Note alla storia

Questa storia è stata scritta in quattro e quattr'otto, ed è nata come risposta alla sfida Dumbledore's Pensieve, che mi ha acceso nella testa come una lampadina (o, meglio, me l'ha sostituita, perchè ogni tanto si fulmina).
Non c'è nessuna coppia, il che è nuovo per me, ed è un missing moment di uno dei capitoli di "Harry Potter e l'Ordine della Fenice" successivi alla morte di Sirius.
Non sono certa di aver soddisfatto Doralice con questa mia storia, molto alternativa rispetto al sommario, ma c'è tutto quello che mi è stato richiesto (Silente, un pensatoio, un ritratto, una cioccolata calda e una Puffola Pigmea, inserita in un modo o nell'altro, lo ammetto). Spero che vi piaccia!

L'ufficio del preside non era mai stato così in subbuglio, così pieno di oggetti rotti e sedie rovesciate. Certo, Silente non poteva biasimare il comportamento di Harry, devastato dalla perdita del padrino e ora al corrente di qualcosa che non avrebbe potuto ignorare, però aveva ingenuamente sperato che la prendesse meglio. Si chinò per raccogliere gli strumenti di lavoro infranti e si lasciò cadere su una vecchia poltrona rattoppata con un sospiro.
Quella notte Sirus Black era morto, ed era tutta colpa sua. Avrebbe dovuto parlare ad Harry della connessione mentale con Voldemort appena ne aveva avuto il sospetto, era stato uno sciocco a pensare che si sarebbe fidato ciecamente, limitandosi a fare ciò che gli veniva detto.
Phineas Nigellus riapparve nella cornice trafelato, sembrava avesse corso per tutti i ritratti di Grimmould Place.
«Dunque è vero» rantolò. «L'ultimo erede maschio della casata dei Black è morto! per Merlino! Una famiglia antichissima destinata a scomparire. Ma d'altro canto non ci si poteva certo aspettare che Quello avrebbe avuto degli eredi, sarebbe stato già tanto se avesse sposato una strega puro...».
«Basta, Phineas, è sufficiente» lo interruppe Silente, mentre gli altri ritratti stoccavano a Nigellus occhiate severe.
Si alzò e percorse l'ufficio a lunghi passi per due, tre, cinque volte, la testa turbinante di ricordi e congetture, finche non si fermò davanti ad una credenza e aprì le ante per estrarne il Pensatoio. Come di consueto sfilò un sottile filo perlaceo dalla propria tempia con la bacchetta e lo fece fluttuare fino al bacile di pietra, dove il soffitto assolato della Sala Grande prese forma. Si chinò sul bacile fino ad immergervi il viso, e subito venne catapultato nel ricordo.
Era un torrido pomeriggio di giugno, studenti e professori sedevano ai rispettivi tavoli, intenti a gustare il lauto banchetto di fine anno. Per qualunque altro professore sarebbe stato difficile dire quale di preciso, ma Silente poteva tranquillamente asserire di trovarsi nel bel mezzo del 1977. Ricordava perfettamente gli stendardi rosso-oro penzolare dalle aste sopra i tavoli, come ricordava il discorso da lui tenuto alla fine della cena. Proprio in quel momento un Silente poco più giovane dell'attuale si alzò, e un silenzio rispettoso cadde nella sala.
«Ancora una volta l'estate è arrivata, e con lei il momento dei saluti. Mi congratulo con coloro che hanno passato i loro M.A.G.O -i risultati non tarderanno ad arrivare- e sono prossimi a lanciarsi in una, spero, fortunata carriera nel mondo magico».
Tacque, apparentemente scrutando la sala in tutta la sua integrità, ma segretamente concentrato su un gruppetto di ragazzi al tavolo di Grifondoro. James Potter, che aveva da poche settimane perso la madre, non sembrava pendere dalle labbra del preside. Lanciava pigri incantesimi d'appello a cibo e ciotole, che scivolavano sulla superficie del tavolo, seguiti dagli occhi di Sirius Black, che sembrava in procinto di dire qualcosa da parecchi minuti.
Proseguì il discorso incitando gli studenti a svolgere i compiti delle vacanze e avvertendoli di essere cauti, in quel periodo buio, ma né James né Sirius prestavano la minima attenzione a ciò che diceva. Ad un certo punto un'imprecazione risuonò nella sala, e tutti gli studenti voltarono la testa in direzione di coloro che Silente teneva d'occhio dall'inizio del banchetto. La faccia e l'uniforme di James erano coperti di cioccolata bollente, e dalla tazza rovesciata schizzò fuori una creaturina marrone, che si scrollò rapidamente il liquido di dosso e si rivelò essere una minuscola Puffola Pigmea, incautamente appellata dal ragazzo. Sirius scoppiò in una risata convulsiva, chinandosi sul tavolo e battendovi il pugno con le lacrime agli occhi. James pulì con un tovagliolo le lenti degli occhiali e lo guardò torvo, per poi distendere il viso in un sorriso sincero e scoppiare a ridere a sua volta, accompagnato dal resto della Sala Grande.
«Oh, beh, qualcuno dovrà esercitarsi con certi incantesimi» disse il preside incurante, ma con un ampio sorriso sul volto.
James biascicò delle scuse soffocate dalle sue stesse risa, mentre la Puffola, indignata, tornava dalla sua padrona preoccupata.
Una lacrima solitaria percorse il viso del preside incorporeo, che si voltò e risalì il bacile di pietra.
Quanto avrebbe voluto affidare Harry alle cure di qualcuno che gli volesse bene e che avrebbe saputo rincuorarlo per la perdita subita, invece di forzarlo a tornare dai Dursley. Forse solo Sirius stesso rispondeva alla descrizione, solo lui avrebbe potuto farlo sentire a casa ovunque si trovasse, proprio come faceva con James anni prima.
Con un ampio movimento di bacchetta riparò gli oggetti rotti e li rimise al loro posto, poi tornò ad occupare la poltrona dietro alla scrivania e si preparò all'orda di gufi che lo avrebbe atteso. Ora che il Ministero avrebbe perso di credibilità continuando a considerarlo un pazzo, era più che sicuro di sapere da dove provenisse l'allocco appena planato attraverso la finestra su una delle sedie recentemente riparate.

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