“Io quetta non me la metto!” strillò Teddy con tutto il fiato che aveva in gola, lanciando verso la mamma una magliettina rosa appallottolata.
“Sì che te la metti, invece!” ribatté lei, i capelli che stavano mutando in una ingombrante criniera scarlatta.
“No! No! E no!”
“Teddy…”
“È losa! Losa! È da femmina!”
Tonks si premette le dita sugli occhi. “Remus, ti prego, pensaci tu.”
“Io queste non me le metto”, sentenziò l’uomo, mentre frugava con aria scontenta nella cassettiera. Era appena uscito dalla doccia e si teneva stretto l’asciugamano attorno alla vita, sgocciolando acqua dappertutto. Acqua che in aggiunta a quello che aveva appena detto fece decisamente traboccare il vaso.
“Cosa?!” urlò Tonks, con tutto il fiato che aveva in gola, scagliando verso il marito uno dei suoi scarponi.
Lui lo schivò pigramente. “Non me le metto, Dora”, ripetè, calmo.
“Argh!” urlò lei, sul punto di esplodere. “Ho lavato la mia roba assieme alla vostra, va bene? E se non va bene è così lo stesso! Sbagliare è umano!”
“Io non sono umano”, osservò Remus, trattenendo a stento un ghigno.
“E con questo cosa vorresti dire? Che tu non sbagli mai? No, perché avrei alcune cose da ricordarti, in merito.”
L’uomo si grattò la nuca, con aria desolata. “Ehm… stavo solo scherzando. So di essere un uomo sbagliatissimo…”
“Finalmente iniziamo a ragionare”, disse lei, soddisfatta di averlo colpito sul vivo e ritenendo la questione chiusa.
Remus tornò a fissare la biancheria nel cassetto, pensieroso. Alla fine sospirò, scrollando la testa.
“Io queste non me le metto…” ribadì contro ogni logica.
“Neacche io!” Teddy aveva recuperato la maglietta, che una volta era stata bianca, e la teneva a distanza, stringendola tra due dita, come se temesse che potesse infettarlo.
“Sul serio, Dora, non posso…”
“È losa!”
“Vorrei farti contenta, davvero, ma non me le posso mettere.”
Tonks, fuori di sé, abbracciò la pesante lampada poggiata sul comodino e fece per scaraventarla contro Remus, ma per un caso fortuito le cadde l’occhio sulla sua bacchetta. Gli lanciò quella, pensando con un filo di rammarico che se avesse deciso per la lampada, si sarebbe sentita molto più appagata.
“Se non ti sta bene, amore mio dolce, allora sistema tu la situazione”, lo sfidò.
Lui l’afferrò al volo e la guardò intensamente per un lungo istante. Una ruga gli comparve tra le sopracciglia, come se si stesse sforzando di ricordare l’incantesimo adatto a rimettere le cose a posto.
Sventolò un paio di volte la bacchetta nell’aria per poi lasciarla cadere mollemente lungo il fianco.
“Se sapessi trasfigurare i vestiti per quale motivo, secondo te, avrei passato gran parte della mia vita indossando tristi abiti rappezzati e scoloriti?”
Per le mutande di Merlino! “Allora zitto e infilati quello che c’è nel cassetto!” sibilò Tonks tra i denti, delusa e esasperata.
“No! Non me le posso mettere, queste!” si lamentò di nuovo, mescolando i suoi vestiti con la bacchetta. Sembrava un mago alle prese con una pozione particolarmente complessa. “Lo so che ci tieni molto, insomma… lo capisco… a quale donna non piacerebbe vedermi indossare queste… ma…”
Tonks alzò gli occhi al cielo. “Appunto. Vedrai che la mamma ti farà i complimenti, il rosa ti sta molto bene. E poi non hai scelta, i tuoi vestiti sono tutti rosa, fattene una ragione!”
“Non credo di sentirmela di farmi vedere da Andromeda con indosso queste, credevo fosse una cosa tra di noi…” mormorò lui, con uno sguardo malizioso.
“Una cosa tra di noi?! Se i tuoi vestiti sono tutti rosa, mi spiace fartelo notare, ma tutti ti vedranno in rosa! Che ti piaccia o meno!”
“Non è quello il problema.”
“Cosa?”
“Il rosa, non è quello il problema.”
Tonks si accigliò. “E qual è il problema, allora?”
“Le trovo molto belle, lo ammetto, e con tutta probabilità mi donerebbero anche parecchio, ma io in queste non ci entro.”
Le lanciò un paio di mutandine con lunghi laccetti sui lati e la scritta “I love you” al centro, composta da tanti lupetti che si rincorrevano.
Le sue mutandine preferite.
La ragazza si impietrì. “Opsss. Ehm. Devo aver inavvertitamente scambiato di posto la tua biancheria con la mia”, mormorò a fior di labbra. Un sussurro così fioco che solo il fine udito di un lupo mannaro avrebbe potuto cogliere le sue parole.
“Oh!” strillò Teddy estasiato. “Io quette me le metto!” e gliele sfilò di mano, entusiasta.
“Ehm, Ted…” iniziò Remus, sembrando parecchio in ansia per l’improvvisa caduta di virilità del suo maschietto.
Ma il bimbo lo tranquillizzò subito, infilandosi le mutande in testa, i laccetti che gli schiaffeggiavano il viso come due lunghe orecchie.
“Sono un lupo, uuuuu!” ululò, iniziando a sfrecciare per la stanza.
“Va bene, lupo, vieni qui che ti infilo la maglietta, così ti porto dalla nonna”, ridacchiò Tonks.
“Un lupo, cì. Ma macchio! Io quetta non me la metto!"

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