Note al capitolo

[1] Parole di Silente a Lucius Malfoy: “Harry Potter e la Camera dei Segreti”, Capitolo 14 - Cornelius Caramell. [2] Parole di Silente a Harry: “Harry Potter e la Camera dei Segreti”, Capitolo 18 - Un premio per Dobby.
[3]
Parole di Silente a Piton: “Harry Potter e i Doni della morte”, Capitolo 33 – La storia del Principe.

 
La battaglia era durata a lungo: la scuola era ormai semi distrutta e invasa dai Mangiamorte, i suoi difensori decimati e senza più speranze.
Si era arrivati alla resa dei conti nella Sala Grande: Harry Potter, ferito, sanguinante e zoppicante era solo di fronte a Voldemort, forte e invincibile, ormai certo della vittoria finale; tutti gli altri assistevano immobili e in silenzio al duello che avrebbe decretato la sorte del mondo magico.
Solo Nagini si muoveva, strisciava nel cerchio che si era formato intorno ai due contendenti, finalmente libera da pochi istanti dall’impenetrabile gabbia incantata nella quale Voldemort l’aveva tenuta protetta fino a poco prima, quando, nell’esaltazione della vittoria di cui aveva ormai la certezza, aveva deciso che anche il serpente potesse infine partecipare all’apoteosi finale.
Severus Piton era in un angolo, invisibile a tutti grazie a una sua pozione segreta. Aveva impiegato il suo tempo a proteggere come poteva i combattenti, soprattutto gli studenti, ma anche i professori e i membri dell’Ordine quando ne aveva avuta l’occasione. Come un nero angelo senza ali, si era mosso rapido tra i duellanti ed era stato ovunque un suo incantesimo di difesa o uno scudo protettivo potessero salvare una giovane vita. Eppure, troppe volte era arrivato in ritardo, o era stato troppo lontano per intervenire, e aveva visto impotente giovani maghi e streghe accasciarsi al suolo senza vita in quell’ultima battaglia che si era trasformata in un massacro.
Aveva più volte cercato di eliminare Nagini, ma l’infuriare della battaglia, la necessità di proteggere i ragazzi e la potenza della gabbia incantata da Voldemort glielo avevano sempre impedito.
Adesso, però, il serpente era libero e il mago poteva finalmente compiere il suo dovere.
- Bene, Harry Potter, ora non puoi più fuggire, – sibilò Voldemort con la sua fredda e acuta voce insinuante, - né puoi più farti scudo dei tuoi amici.
Con un gesto plateale indicò i sopravvissuti tenuti sotto tiro dalle bacchette dei Mangiamorte che li soverchiavano in numero.
Gli occhi di Harry erano fissi su Nagini e Severus poté leggervi chiara la preoccupazione del ragazzo che sapeva di non poter affrontare con successo Voldemort finché il suo ultimo Horcrux, il serpente, era ancora vivo. Ma, al tempo stesso, Harry sapeva che non ci sarebbe stata alcuna possibilità di successo per lui in quello scontro finale; doveva sacrificare la propria vita, perché lui stesso era un Horcrux: doveva lasciarsi uccidere da Voldemort affinché anche quell’ultimo brandello d’anima fosse distrutto. Eppure, qualcosa dentro di lui lo frenava, gli imponeva di aspettare ancora: sapeva di essere un Horcrux, glielo aveva detto Silente. Però… non riusciva a ricordare quando glielo avesse rivelato, e questa era davvero pura follia. Forse la sua mente non funzionava più, forse era stato colpito da troppi incantesimi…
Severus pregò che il suo Oblivion selettivo avesse funzionato e che nei ricordi del ragazzo, insieme alla tesi di Silente che Harry fosse un involontario Horcrux di Voldemort, fosse rimasta anche l’essenziale informazione di non sfidare l’Oscuro Signore finché Nagini non fosse morta.
- Non intendo fuggire, - rispose lentamente Harry senza mai perdere di vista Nagini, - non sono mai fuggito davanti a te.
Severus si trovò mentalmente a implorare il ragazzo di cercare di guadagnare ancora tempo e, soprattutto, di non provocare le ire dell’Oscuro Signore. E quell’inizio non andava affatto bene…
Voldemort non ebbe difficoltà a notare che l’attenzione di Potter era volta verso Nagini e, timoroso che volesse farle del male, ordinò secco:
- Nagini, esci dal castello! Ora!
Il grosso serpente sollevò la testa e in un guizzo spinse fuori la lingua biforcuta, quasi volesse protestare contro l’ordine del suo padrone; poi tornò a strisciare obbediente per terra, fendette con il suo grosso corpo sinuoso la folla che si aprì impaurita al suo passaggio e si diresse velocemente verso l’uscita della Sala Grande.
Severus, che si trovava dall’altra parte della sala, scivolò rapido e silenzioso dietro il cerchio di spettatori stretto intorno ai due contendenti: l’effetto della pozione dell’invisibilità stava ormai svanendo e a tratti poteva vedere il proprio mantello nero apparire nell’aria e ondeggiare al suo fianco.
Doveva fare presto, prestissimo, prima che fosse troppo tardi. E ormai gli rimaneva davvero poco tempo. Se la tesi di Silente fosse stata sbagliata, come Severus era convinto, il sacrificio cui Harry stava andando incontro gli sarebbe stato fatale e avrebbe regalato all’Oscuro Signore la supremazia su tutto il mondo magico.
Accelerò il passo e si mise quasi a correre verso l’uscita della sala all’inseguimento del serpente diretto verso il portone d’ingresso: nessuno degli spettatori al duello finale avrebbe badato a un mago vestito di nero che nella notte correva forse incontro alla propria morte.
Doveva riuscire a eliminare Nagini prima che lo scontro finale si compisse; in cuor suo sperava che le manie di grandezza di Voldemort lo portassero a perdere tempo parlando ancora con Harry. E altrettanto fortemente si augurava che Harry gli desse corda e non si lasciasse invece prendere dalla solita irruenza di Grifondoro: di morti quella notte ce n’erano già stati abbastanza e se qualcuno doveva ancora sacrificarsi, quello era lui, Severus Piton, non certo un giovane mago dall’anima pura e limpidi occhi verdi!
Il mago giunse correndo al Salone d’Ingresso: Nagini era ancora lì e sentendolo arrivare si girò e lo fissò con i suoi freddi occhi. Dalla Sala Grande giungevano ovattate le voci di Voldemort e di Harry, a tratti coperte dalle esclamazioni degli spettatori. Non doveva lasciarsi distrarre: aveva ancora un dovere essenziale da compiere.
Se la sua personale ipotesi, del tutto in antitesi con quella di Silente, fosse stata giusta, con l’eliminazione di Nagini non ci sarebbero stati altri frammenti della sua anima a tenere Voldemort ancora legato alla vita. Si sarebbe afflosciato davanti a tutti, finalmente privo di vita. Per sempre.
Di nuovo l’urlo della folla giunse alle sue orecchie: forse il duello era iniziato.
Nagini era davanti a lui, la testa sollevata sul grosso corpo e la lingua guizzante.
Doveva essere veloce e letale, doveva dimostrare ancora una volta la sua piena fedeltà a Silente e compiere la missione che gli aveva affidato tanti anni prima: proteggere il figlio di Lily.
Ma Harry non era più solo il figlio di Lily. Se quella notte il mago si era mostrato a lui senza maschere, era solo perché il ragazzo in tutti quegli anni era riuscito a entrargli nel cuore, era riuscito ad essere il figlio che tanto avrebbe desiderato da Lily. Non vedeva più il volto dell’odiato James nei giovani lineamenti di Harry; vedeva solo un ragazzo che aveva bisogno di guida e di affetto, un ragazzo che era rimasto solo e aveva perduto tutti i suoi punti di riferimento.
Severus ormai vedeva solo un ragazzo dai limpidi occhi verdi che credeva in lui.
Nagini si era fatta molto nervosa e si era avvicinata, quasi volesse attaccarlo.
Il mago levò la bacchetta augurandosi che, tolta la protezione della gabbia magica, nient’altro difendesse l’Horcrux e, quindi, la sua magia fosse sufficiente a uccidere il serpente senza venire a sua volta ucciso dalle difese messe in opera dal brandello d’anima di Voldemort.
Un lampo vermiglio entrò dal varco lasciato dall’anta divelta del portone d’ingresso della scuola e si stemperò poi in scintille dorate: era Fanny.
La fenice si posò al suo fianco lasciandogli scivolare in braccio un involto scuro e rattoppato: il Cappello Parlante!
Fanny era arrivata in suo aiuto e un lieve sorriso sfuggì dalle labbra del mago ricordando le parole che tanti anni prima Albus gli aveva detto e che da un anno continuava ossessivamente a ripetersi, dopo la terribile notte sulla Torre di Astronomia: avrò veramente lasciato la scuola soltanto quando non ci sarà più nessuno che mi sia fedele. [1]
E Severus gli era sempre stato fedele, su questo non c’era alcun dubbio!
Il mago sentì il Cappello Parlante pesare fra le sue mani e subito intuì che contenesse la Spada di Grifondoro, la stessa che Silente aveva usato per distruggere l’Horcrux contenuto nella pietra dell’anello e di cui aveva avuto bisogno Ron per distruggere quello contenuto nel medaglione di Serpeverde.
Altre parole del vecchio preside gli risuonarono nella mente: soltanto un vero Grifondoro può estrarre la spada dal cappello.[2]
La grossa testa piatta e rettangolare di Nagini era davanti a lui, le grandi fauci spalancate e i denti aguzzi colmi di veleno magico.
Severus infilò la mano nel Cappello, esitante, aggrappato al ricordo di altre parole di Albus, parole che lo avevano stupito e che, forse, non aveva mai compreso appieno: sei un uomo molto più coraggioso di Igor Karkaroff. Sai, a volte credo che lo Smistamento avvenga troppo presto... [3]
Con un sorriso di trionfo Severus estrasse la spada d’argento, la mano dalle lunghe dita pallide e affusolate stretta con forza sull’elsa tempestata di rubini.
La testa di Nagini scattò in avanti per azzannare e i denti scricchiolarono sbattendo tra loro quando mancò la presa; il mago si era sottratto all’attacco con un rapido movimento e stava ora tirando un fendente deciso: tagliò di netto la grossa testa del serpente che rimbalzò a terra e poi rotolò sul pavimento fermandosi contro un mucchio di calcinacci e pietre.
Severus non degnò di un solo sguardo il grosso corpo di Nagini che si abbatteva di schianto a terra: lasciò cadere la spada e si slanciò veloce verso la porta della Sala Grande proprio mentre un urlo di orrore vi echeggiava.
Voldemort stava lanciando il suo fatale Avada Kedavra contro il ragazzo che era coraggiosamente fermo davanti a lui, indifeso e vulnerabile, del tutto pronto al sacrificio finale, la bacchetta che era stata di Draco a terra vicino al suo piede destro, irrimediabilmente spezzata.
Il raggio verde della maledizione mortale eruppe con odio furioso dalla punta della bacchetta del mago oscuro, si innalzò e si diresse rapido verso il petto inerme di Harry.
Poi, come in un sogno, mentre Severus correva veloce dentro la Sala Grande e si faceva strada tra gli spettatori accalcati e ormai ammutoliti, vide la traiettoria fatale interrompersi e la luce verde del sortilegio affievolirsi e poi svanire del tutto a pochi centimetri dal petto di Harry che era rimasto immobile ad attenderla.
Spostò lo sguardo verso Voldemort e lo vide afflosciarsi di colpo su se stesso, un’espressione di incredulità dipinta sui lineamenti serpentini. Si sgonfiò come un sacco vuoto, privo di reale vita ormai da anni, ripiegandosi su se stesso, mentre il suo corpo si sbriciolava tramutandosi in impalpabile cenere.
Tom Riddle era morto. Morto come avrebbe già dovuto essere diciassette anni prima.
Severus sorrise stirando appena le labbra sottili: la sua tesi era quella giusta, ma senza la Spada di Grifondoro non avrebbe potuto salvare Harry.
Un urlo lacerò l’aria della Sala Grande:
- Eccolo! È là, in mezzo alla folla: è quel fottuto bastardo di Piton!
Era stato Paciock a individuarlo, il ragazzo che per tutto l’anno aveva guidato contro di lui la rivolta dell’Esercito di Silente e che ora lo stava indicando a tutti.
Il mago ormai era arrivato quasi in prima fila e il resto della folla si aprì quasi, spingendolo avanti.
Decine di bacchette si levarono contro di lui e Harry avanzò fino a fronteggiarlo:
- Ah! Eccolo il codardo che si è nascosto per tutta la durata della battaglia!
Piton impallidì lievemente, ma mantenne la sua espressione imperturbabile, il volto fiero rivolto in avanti: aveva compiuto il suo dovere e Harry era salvo. Questo solo era importante.
- Cercavi di filartela in mezzo alla folla, vigliacco, ora che il tuo padrone è morto?
Il mago sostenne impavido lo sguardo colmo di odio di quegli occhi verdi che solo poche ore prima lo avevano guardato in modo ben diverso.
Lo fissò in profondità, gli occhi neri nei verdi, e poi disse, con impassibile calma, la voce profonda e ferma:
- Se davvero vuoi, guardami, Harry, guardami per l’uomo che realmente io sono!
Per un lungo istante infinito gli occhi verdi si fusero in quelli neri.
- Un assassino, un bastardo traditore, ecco chi sei! – urlò Harry indicandolo a tutti quanti.
Un lampo di terrore passò per un fugace istante negli occhi di Piton. Sapeva a priori che quel sortilegio era molto difficile, che raramente funzionava. E sapeva perfettamente cosa sarebbe accaduto se avesse fallito. Era un rischio fatale che aveva messo in conto fin dall’inizio.
- Usa la mia, Harry, e uccidilo!
Neville gli lanciò la sua bacchetta e Harry l’afferrò al volo con il suo istinto di Cercatore, senza neppure spostare lo sguardo dagli occhi neri e scintillanti del mago davanti a lui. Sentiva l’odio montargli in petto: era solo colpa di Piton se i suoi genitori erano morti.
Brandì la bacchetta e la puntò contro il viso del mago: voleva sentirlo implorare, quel maledetto assassino, quello schifoso codardo che aveva ucciso Silente solo per salvarsi la vita!
Severus trattenne il fiato e rimase immobile, gli occhi sempre fissi in quelli di Harry, pronto a ricevere la maledizione di morte che già leggeva nella mente del ragazzo.
Era giusto così, lui solo era la causa della morte di Lily e James, e Harry adesso avrebbe rimesso a posto ogni cosa. In fin dei conti, aveva compiuto il suo dovere, fino in fondo: aveva salvato il ragazzo che non sarebbe mai stato suo figlio… e ora poteva anche morire.
- … Professor Piton!
La voce di Harry tremò, vibrante di profondo rispetto.
Severus deglutì a fatica:
- Harry… - sussurrò, un sorriso appena accennato che si posava con sollievo sulle labbra sottili.
Un sorriso che Harry già conosceva bene.
Un sorriso che desiderava rivedere. Ancora e ancora.
Il ragazzo lo aveva infine riconosciuto per l’uomo che realmente era: era riuscito a revocare l’Oblivion con le stesse parole con le quali lo aveva lanciato poche ore prima. E questo significava una sola cosa: il ragazzo davvero non voleva dimenticare, non dopo aver saputo la verità, non dopo aver conosciuto quale persona, realmente, si nascondeva dietro la sgradevole maschera di Severus Piton!
Nel silenzio sospeso e sbalordito che era sceso intorno a loro, il mago scosse piano il capo, il sopracciglio che si sollevava, forse solo per abitudine:
- Perché, dannazione, perché sei rimasto fermo davanti a lui? Perché non hai cercato di fuggire e salvarti la vita?
Il sorriso si allargò sul volto sudato e coperto di schizzi di sangue e terriccio di Harry:
- Forse perché avevo piena fiducia in lei, Professor Piton? Perché sapevo che avrebbe compiuto il suo dovere, fino in fondo?
Severus fissò in silenzio il figlio che avrebbe voluto fosse suo, mentre il sole sorgeva dopo quella tremenda notte di battaglia e il soffitto incantato della Sala Grande si incendiava di luce.
- Grazie, Professor Piton, grazie per tutto quello che ha sempre fatto per me! – esclamò Harry buttando le braccia al collo del mago mentre intorno a loro si levavano esclamazioni di sorpresa sempre più forti.
Severus rimase immobile, rigido tra le braccia di quel figlio che aveva protetto per tutta la vita, mentre la commozione dilagava sul pallore del suo volto e una lacrima solitaria scendeva ad incontrare il suo sorriso.
 

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