Note alla storia

Questa storia ha partecipato al contest Psyco! di chia_3 sul forum di EFP
“Credo che per questa sera possa bastare, signor Nelson, ma domani l’aspetto di nuovo. Puntuale.” Severus Piton osserva con uno sguardo minaccioso Jack Nelson, uno studente di Grifondoro al quinto anno che - dopo essere stato palesemente provocato - ha osato scagliare una Fattura Orcovolante contro un Serpeverde e, per questo, è stato punito. È già la terza sera che si reca di malavoglia nell’ufficio del Professore di Pozioni e si mette a sua disposizione: questa volta, gli è toccato spolverare i ripiani su cui sono riposti con cura gli ingredienti delle Pozioni. Jack è piccolo di statura, ma ha una corporatura massiccia che gli ha fruttato il ruolo di Battitore nella squadra della sua Casa. Ha portato a termine quel compito delicato e noioso senza lamentarsi, per non dare soddisfazione a Piton, o prolungare la punizione. Il professore ha trovato comunque qualcosa da ridire su come ha svolto il lavoro e, ora, lo guarda con quell’aria di scherno che fa venire voglia a Jack di tirare un bel pugno su quel naso adunco. Per fortuna, nel corso degli anni, ha imparato a controllare un poco la sua impulsività. Esce dall’ufficio, biascicando un “buonasera” e raggiunge in fretta la Sala Comune: ha ancora un mucchio di compiti da fare.
Piton si lascia finalmente cadere sulla sua poltrona e chiude gli occhi: è certo di non essere riuscito ancora a piegare l’ego di quel giovane studente, ma spera che almeno questa punizione gli insegni a controllare i suoi istinti. È un ottimo studente, ma si lascia trascinare dalle emozioni e questo gli causa notevoli problemi: non gli è sfuggito lo sguardo carico d’odio che gli ha lanciato prima di uscire. Riapre gli occhi e controlla l’ora: le ventidue e trenta. Potrebbe prepararsi un infuso, correggere gli ultimi compiti dei Corvonero e poi andare a dormire. Si alza, prende una tazza e, con un rapido colpo di bacchetta, la riempie di acqua calda. Si sente particolarmente stanco: forse, i compiti dei Corvonero potrebbero aspettare fino al giorno successivo. Raccoglie una cucchiaiata di foglie di biancospino da mettere nel filtro, mentre reprime uno sbadiglio.
Osserva le volute di fumo che si alzano dalla tazza, dove un liquido profumato lo invita a berlo. Fino a qualche anno fa, avrebbe optato per un buon Whisky o un bicchiere di vino elfico, ma ormai ha capito che nemmeno l’alcool è in grado di cancellare tutto quel dolore che prova, così ha ripiegato su qualcosa di più rilassante. Sorseggia l’infuso con calma, trattenendolo in bocca. Sente il calore diffondersi dallo stomaco a tutto il corpo: è una sensazione piacevole e appagante.
Ha quasi finito di bere, quando avverte un leggero capogiro e la tazza rischia di scivolargli dalla mano. È davvero troppo stanco: deve mettersi a letto e farsi una bella dormita, possibilmente senza incubi. Si alza, appoggiandosi alla scrivania, ed è proprio in quel momento che scorge un lungo serpente verde brillante strisciare indisturbato sul pavimento di pietra. Prima che abbia il tempo di reagire, l’animale si infila sotto la porta dell’ufficio e scompare alla sua vista.
Che cosa ci faceva un serpente di quelle dimensioni nel suo ufficio? Uno scherzo di qualche studente? E adesso, dove si sarà andato a nascondere?
Improvvisamente sveglio, Severus impugna la bacchetta ed esce a grandi passi dall’ufficio. I sotterranei sono bui e la luce della bacchetta proietta ombre inquietanti sulle pareti di pietra. Si guarda intorno, scrutando negli angoli e, proprio quando teme di averlo perso, coglie il movimento di una coda appuntita, in cima alle scale. Si affretta, facendo i gradini a due alla volta.
Nell’ingresso, si ferma e riprende fiato: dove sarà finito quel maledetto rettile?
Il serpente è proprio alla sua sinistra e lo fissa con quei suoi occhi gialli, quasi a volerlo sfidare. La sua lingua biforcuta scatta all’infuori, producendo un sibilo minaccioso. Il mago punta la bacchetta, ma il suo incantesimo non colpisce il bersaglio. Per tutta risposta, l’animale si infila sotto la porta della Sala Grande.
Piton impreca a denti stretti: come ha potuto fallire quel colpo? Spalanca con furia la porta della Sala e vi entra con lunghi passi decisi. Il silenzio è quasi irreale: quella stanza, che di solito è gremita di studenti schiamazzanti, ora è deserta e l’assenza di rumori diventa quasi assordante. Il professore di pozioni si ferma, voltando la testa alla ricerca dell’animale. Ad un tratto, il suo sguardo è attratto da una presenza: non l’aveva notata subito, ma seduta ad uno dei tavoli c’è una persona. Sembra una studentessa: ha lunghi capelli neri che le scendono ben oltre le spalle e, con le dita della mano destra, ne sta attorcigliando una ciocca, mentre legge un libro.
Che cosa ci fa una studentessa a quell’ora in Sala Grande? È una chiara violazione del regolamento e Piton, ormai dimentico del serpente, si affretta a raggiungerla.
La ragazza non sembra averlo sentito e continua a leggere indisturbata.
“Che cosa ci fai qui?” le chiede il professore, con tono acido. “Lo sai che ore sono?”
Senza dire una parola, la giovane si volta e lo guarda: ha gli occhi verdi e luminosi, un viso pulito, un po’ pallido. Severus non saprebbe dire qual è il suo nome, ma ha certamente un aspetto familiare. Sulla sua divisa spicca un grifone alato.
“Chi sei?” domanda, mentre la sua mente sta cercando inutilmente di dare un nome a quel volto.
“Sono Daisy.”
Quel nome non gli suggerisce nulla. Sente il cuore che gli martella nel petto e non capisce il motivo di quell’agitazione.
“Non dovresti essere qui.” Le dice serio.
Un’alzata di spalle è tutto quello che ottiene.
Lo sguardo di Piton si riempie d’ira.
“Non dovresti essere qui.” Ripete, con astio.
“E dove dovrei essere?” domanda tranquillamente la ragazza.
“Nel tuo dormitorio, è ovvio.”
“In realtà, ti stavo aspettando.”
“Aspettavi me?” chiede, incredulo.
“Sì.”
“Se avevi bisogno di me potevi venire nel mio ufficio. Di che anno sei?”
Nonostante continui a fissarla, non è ancora riuscito a capire chi si trova davanti.
“Ma come? Non lo sai?” chiede lei, evidentemente delusa.
Piton si sforza di ricordare, ma la sua mente sembra bloccata. Quegli occhi...
“No, non ricordo... non riesco...”
“Stai cercando di capire chi sono usando la tua parte razionale: così non ci riuscirai mai.”
“Che cosa vuoi dire?”
“Guardami, guardami bene.” Dice, avvicinandosi.
“Chi, chi sei?”
“Sono il tuo fiore preferito.”
“Non capisco.”
“Non vuoi capire.” Sospira. “Sono tua figlia, papà.”

******

“Severus, Severus, ti prego rispondimi.”
Silente è chino sul corpo esanime del suo giovane insegnante: era sceso per parlargli e lo ha trovato così, disteso a terra nel suo ufficio. Prova a farlo rinvenire, usando un incantesimo, tuttavia è inutile. Allora solleva il corpo, e facendolo ondeggiare di fronte a lui, lo porta rapidamente in infermeria.
“Poppy.” Grida, una volta entrato nella grande stanza.
La donna dorme in una camera che comunica direttamente con l’infermeria, in modo da poter essere pronta in caso di emergenza.
“Poppy!” grida di nuovo il Preside, che nel frattempo ha adagiato il corpo del professor Piton su uno dei letti. L’infermeria in quel momento è deserta: nessuno studente malato o ferito.
L’infermiera arriva trafelata: indossa una lunga tunica grigia e ha i capelli sciolti sulle spalle, in disordine.
“Che cosa c’è, Albus? Che cosa è successo?” domanda, affannata.
“Non lo so: ho trovato Severus nel suo ufficio privo di sensi, ma non sono riuscito a svegliarlo.”
La strega passa la sua bacchetta sul corpo del paziente, avanti e indietro, per un paio di volte.
“Non capisco: il problema sembra diffuso in tutto il corpo.”
Chiude gli occhi un momento, come se volesse concentrarsi poi dichiara:
“Potrebbe essere stato avvelenato.”
“Con che cosa?”
“Non lo so e mi ci vorrebbe molto tempo per scoprirlo, analizzando il suo sangue. Stava lavorando a qualche pozione?”
“Non mi sembra che ci fosse nessun calderone sul fuoco, quando l’ho trovato.”
“Non hai notato niente di strano nell’ufficio?”
Il Preside ripensa mentalmente agli eventi appena trascorsi: è accaduto tutto molto in fretta. Aveva bussato alla porta dell’ufficio di Severus e, anche se non aveva ricevuto risposta, era entrato ugualmente. Lo aveva visto subito, a terra, disteso su un fianco, con i cocci di una tazza accanto a lui...
“La tazza!” esclama. “C’era una tazza rotta vicino al corpo: potrebbe aver bevuto qualche cosa di avvelenato.”
“Devi portarmi subito quel che resta di quella tazza, Albus.”
I piccoli occhi della donna lasciano trasparire tutta la sua preoccupazione.

******

“Non è possibile: io non ho una figlia.”
“Ma io sono qui, papà.”
Mentre il mago cerca di mettere ordine nei suoi pensieri, il serpente fa di nuovo capolino: striscia sul tavolo, fino a loro poi, con movimenti fluidi, si arrampica sulle spalle della ragazza.
“Stai attenta!”
“E perché? Lui è un mio amico. Non fare quella faccia: pensavo ti piacessero i serpenti, papà.”
“Tu non sei mia figlia.”
“Invece sì, sono Daisy, tua figlia. Guardami bene: non mi riconosci?”
Severus riconosce i lineamenti del viso, la forma degli occhi e il sorriso di quella giovane che gli sta davanti, tuttavia avverte che qualcosa non va.
“Mi sembra di essere dentro un sogno.” Mormora, come se stesse parlando a se stesso.
“Fuochino, ma ancora acqua.” Dice, sorridendo la strega. “Ti stai avvicinando, comunque.”
“Chi sei?” domanda per l’ennesima volta.
“Chi sei, chi sei, chi sei... Sempre la stessa domanda! Sono tua figlia!”
“Tu non sei reale, sei un’allucinazione.” Dice, appoggiandosi al tavolo per non cadere, perché sente la testa vorticare velocemente.
“Dipende dai punti di vista: io sono tua figlia perché tu mi hai creata. La tua mente mi ha immaginata, mi ha dato un volto, un nome, mi ha dato la vita.” Parla con calma, in tono serio, per dare maggior peso alle sue argomentazioni.
L’uomo è sconvolto: vorrebbe sedersi perché sente le gambe molli, eppure non riesce a muoversi. Osserva sua figlia, il frutto della sua fantasia, che gli sorride: sente un’infinita tenerezza invadergli il cuore, un calore intenso che si diffonde per tutto il corpo. Con un enorme sforzo di volontà solleva il braccio destro, allunga la mano per sfiorare la guancia di Daisy e farle una carezza.

******

La luce lo abbaglia e richiude gli occhi. Sente la propria voce pronunciare sillabe distorte. Qualcuno lo sta chiamando per nome e gli tiene una mano sulla spalla. Quando la sua mente si schiarisce, socchiude gli occhi, abituandoli pian piano alla luce. Ha la gola secca e un indolenzimento generale in tutto il corpo.
La prima cosa che riesce a mettere a fuoco è un paio di occhi azzurri, cerchiati dalla montatura degli occhiali.
“Severus, finalmente.” Lo chiama Silente.
“Che cos’è successo?” biascica.
“Hai assunto della Belladonna: è un potente...”
“Allucinogeno.” Completa la frase, rincuorandosi al pensiero che le proprie facoltà mentali sono ancora integre.
“Poppy non può fare molto: devi aspettare che il tuo corpo smaltisca il veleno. Ci vorranno ancora diverse ore.”
L’altro annuisce.
“Com’è successo? Credi che qualcuno abbia voluto avvelenarti?” chiede il Preside, con sguardo serio e preoccupato.
Il Pozionista prova a ritornare con la mente alla sera precedente, ma i suoi ricordi sono confusi. Era stanco, voleva farsi una tisana. Possibile che abbia sbagliato? Poi, un pensiero lo assale.
“Nelson.”
“Jack Nelson? Il Grifondoro al quinto anno? Che cosa c’entra lui?”
“Ieri sera, era in punizione: gli ho detto di spolverare lo scaffale con gli ingredienti. Potrebbe averne spostato o sostituito qualcuno.”
Lo sguardo di Silente si fa triste: non vuole credere che uno dei suoi studenti, per quanto irrequieto, abbia voluto avvelenare di proposito un insegnate.
“D’accordo, Severus, indagherò. Tu intanto riposati: non ti alzare da questo letto, mi raccomando.”
Il professore annuisce malvolentieri, tuttavia non ha intenzione di disubbidire: la testa gli gira e non vuole correre il rischio di svenire di nuovo.
Osserva Albus allontanarsi e poi uscire, mentre all’estremità opposta del suo campo visivo percepisce un movimento.
“Ti sei svegliato finalmente!” esclama Daisy, sedendosi sul suo letto. “Non è da te dormire così tanto.”
“Sono stato drogato.”
“Già, così sembra.”
“Perché sei ancora qui?” chiede, appoggiandosi sui gomiti per mettersi seduto.
“Pensavo volessi un po’ di compagnia.” Risponde la giovane, con un sorriso. Un sorriso che Severus potrebbe riconoscere ovunque.
“Sei solo un’allucinazione.”
Daisy alza le spalle, con noncuranza.
Il mago resta per un po’ in silenzio, a riflettere.
“Chi è tua madre?”
“Davvero mi stai facendo questa domanda?” ironizza la strega. “C’è mai stata qualche altra donna all’infuori di mia madre?”
Il professore scuote il capo e fa un profondo respiro.
“Quindi tu saresti mia figlia o, per meglio dire, come immagino sarebbe stata mia figlia se avessi sposato Lily.”
“Ho la tua approvazione?”
“Sei un po’ troppo saccente.”
“Questo l’ho preso da te. Comunque, neanche tu sei come mi aspettavo.”
“Che cosa intendi?”
“Che ti è successo? La mamma è morta da anni e tu non hai ancora voltato pagina.”
“È stata colpa mia.” Sussurra, distogliendo lo sguardo.
“Finiscila con questa ossessione! La mamma non sarebbe felice di vederti così.”
“I rapporti tra me e tua madre non ti riguardano!”
La ragazza spalanca gli occhi con un’espressione stupita, come a dire: “Davvero?” In quel momento, Madama Chips fa il suo ingresso in infermeria.
“Severus, tutto bene? Con chi ce l’hai?”
Il professore non si è accorto di aver alzato la voce: ricevere una critica di quel tipo da un’allucinazione - anche se con le sembianze di sua figlia - è stato davvero troppo.
“Tutto bene. Stavo solo pensando ad alta voce.” Quasi si stupisce che l’infermiera non gli chieda chi è quella giovane strega che siede al suo capezzale, eppure sa che nessuno - eccetto lui - può vedere Daisy. Per quanto tempo ancora farà effetto la Belladonna? Decide che deve ignorarla: se farà finta di non vederla, probabilmente, lei scomparirà, così come è venuta.
Daisy si alza e si stira, allungando le braccia sopra la testa.
“Mi sto annoiando.” Dice.
Piton non reagisce.
Dal nulla, appare il serpente, l’animaletto domestico di sua figlia. Il rettile striscia sopra le spalle della ragazza, che sorride compiaciuta.
“Da dove salta fuori quella bestia?”
Non ha resistito a chiedere.
“È un mio amico: mi ricorda che, anche se ho un cuore da Grifondoro, ho comunque una vena da serpe.”
Al paziente seduto sul letto scappa un sorriso, poi scuote la testa. La guarda: rappresenta ciò che avrebbe potuto avere e che invece ha perso per una scelta sbagliata. Quella ragazza arguta avrebbe potuto nascere davvero, se solo fosse stato meno stupido in passato. La vede sorridere e una lacrima gli scivola lungo la guancia.

******

Severus si sveglia e apre gli occhi, sbattendo più volte le palpebre. Si deve essere appisolato, senza accorgersene: è ancora in infermeria, steso sopra il letto e coperto con il lenzuolo bianco, troppo bianco per i suoi gusti. Si guarda intorno con un misto di preoccupazione e attesa: sa che si tratta solo di un’allucinazione, eppure desidera rivedere Daisy. Della ragazza però non c’è traccia. Avverte una certa delusione che gli opprime per un momento il petto, tuttavia non lo ammetterebbe mai: è un insegnante serio e razionale che non si perde dietro a stupide e romantiche fantasie. L’effetto della Belladonna deve essere finito e, in effetti si sente meglio: ha la mente meno annebbiata di prima ed è anche meno indolenzito.
Dopo una mezz’ora, decide che è stanco di restarsene sdraiato a non fare nulla. Scosta le lenzuola e si mette seduto sul bordo del letto: la testa non gli gira e complessivamente sta bene. Si alza e inizia a vestirsi lentamente.
“Cosa stai facendo?”
La voce di Madama Chips lo coglie di sorpresa e lo fa sobbalzare. La donna ha le sopracciglia sollevate e la mani chiuse a pugno appoggiate sui fianchi.
“Sto bene, me ne vado.”
“Non credo che tu abbia già smaltito il veleno: è meglio se resti qui.”
“Ti ho detto che sto bene e poi ho del lavoro da finire. Non posso stare qui tutto il giorno.”
L’infermiera sospira, ben consapevole che non riuscirà a fargli cambiare idea, perché il ragazzo è davvero testardo.
“D’accordo, ma torna immediatamente qui se non ti senti bene.”
Severus è contento di aver riconquistato la salute e la libertà, tuttavia non capisce perché ora Madama Chips lo guardi in quel modo.
“Perché ti porti via quella coperta, Severus?”
Ma quale coperta? Il mago sta per sistemarsi il proprio mantello sulle spalle: che cosa sta dicendo quella strega? Piton scuote leggermente la testa senza capire, poi, improvvisamente, come se fosse stato fatto un incantesimo, il suo mantello nero si trasforma in una delle coperte marrone chiaro che stava ripiegata sul letto a fianco al suo. Il Serpeverde impallidisce e scuote ancor più forte la testa. Ripresosi dallo shock, ripiega la coperta in fretta e, senza degnare di una risposta o di un saluto Madama Chips, esce dall’infermeria.
Tiene la testa bassa mentre sale le scale, perché non vuole incontrare lo sguardo di nessuno: quello che è appena accaduto dimostra che non è ancora guarito del tutto. Raggiunge l’ufficio di Silente in pochi minuti ed entra, cercando di mostrarsi tranquillo e sicuro.
Su una sedia, davanti alla grande scrivania del Preside è seduto Jack Nelson: ha le spalle piegate in avanti e con le mani strette a pugno stringe la divisa della scuola all’altezza delle ginocchia. Quando lo vede entrare sobbalza e i suoi occhi si riempiono di paura.
“Severus,” esordisce il Preside. “Sono contento di vedere che stai meglio. Siediti: stavo facendo due chiacchiere col signor Nelson.”
Il mago si siede con gesti lenti, guardando con astio il ragazzo.
“Il signor Nelson mi stava dicendo che non ha spostato nessuno dei tuoi ingredienti: si è limitato a sollevare i contenitori per spolverare le mensole, ma li ha risistemati esattamente al loro posto.”
“È quello che dice lui, tuttavia sappiamo bene che il ragazzo è propenso a gesti azzardati e irresponsabili.”
“Signore, io...” balbetta il ragazzo, ma lo sguardo gelido del professore lo induce a tacere.
“Ritengo, Albus, che dovremo pensare a una punizione adeguata.”
“Vuoi davvero prendertela con lui?” domanda una voce alle sue spalle. Severus si irrigidisce a disagio: vorrebbe ignorare ciò che ha appena sentito, perché è ben consapevole che nessun altro nell’ufficio l’ha udita.
“Vedi, Severus, a me il ragazzo è parso sincero.”
Quasi non ascolta quello che dice il Preside, perché con la coda dell’occhio sbircia alle proprie spalle: Daisy è lì, che osserva e accarezza tutti gli strani oggetti presenti nell’ufficio.
“Pensi davvero che quel ragazzino abbia consapevolmente spostato gli ingredienti? Questo vorrebbe dire che sapeva che ti saresti preparato un infuso invece che un bicchiere di vino. Inoltre, dovrebbe sapere quali sono gli effetti della Belladonna. Senza contare che, se davvero avesse voluto, avrebbe potuto danneggiarti molto di più.”
“Severus, mi stai ascoltando?” Silente lo sta osservando attraverso i suoi occhiali: ha un’espressione curiosa e un’aria interrogativa.
“Scusa, ero distratto. Dicevi?”
“Non potrebbe essere più probabile che sia stato tu a sbagliare barattolo? Eri molto stanco.”
“Io non avrei mai confuso Biancospino e Belladonna!”
Si rende conto di avere alzato la voce più di quanto volesse e, ora, Silente e Nelson lo guardano in modo alquanto strano: ha risposto alla provocazione della sua immaginaria figlia che, ovviamente, loro non hanno sentito.
“Sei certo di stare bene?” chiede Silente, con tono paterno.
“Sto bene, sono solo un po’ stanco.”
Severus si muove a disagio sulla sedia e sgrana gli occhi: Daisy si è appena seduta sulla scrivania del Preside, ha accavallato le gambe e lo guarda con un’aria sorniona.
“Scendi da lì.” Sibila tra i denti, prima di potersi trattenere.
Persino Fanny smette di beccare il suo osso e lo guarda in silenzio.
“Perché, papà? Credi che il vecchio si offenda?”
Il mago prende fiato per rispondere, ma questa volta riesce a fermarsi in tempo. Distoglie lo sguardo dalla figlia e cerca di concentrarsi su Silente.
“Signor Nelson, credo che sia meglio che lei ora vada. Se sarà necessario, discuteremo in un altro momento di quanto è accaduto.”
Il giovane non se lo fa ripetere: è pallido e sudato, ma esce a passi rapidi, chiudendosi la pesante porta alle spalle.
Severus lo segue con lo sguardo, per non dover prestare attenzione alla figlia.
“È un bravo ragazzo, papà. Te la sei presa con lui solo perché è un Grifondoro.”
“Non è vero e adesso, vorresti farmi la cortesia di tacere!”
“Veramente, non ho ancora detto nulla.” Risponde Silente, con voce calma. “Vuoi spiegarmi che cosa succede?”
“Non succede nulla: ho solo bisogno di dormire un po’.”
“Ragazzo mio, sai mentire molto meglio di così. Che cosa ti succede?”
“Niente che non rientri nei normali effetti di un’intossicazione da Belladonna.”
“Deduco quindi che tu abbia delle allucinazioni. Chi vedi?”
“Non dirglielo!” esclama Daisy, scendendo dalla scrivania.
Severus fa una smorfia e distoglie lo sguardo.
“Non è nulla di importante: è solo il frutto della mia fantasia.”
“Beh, mi sembra che tu gli dia una certa importanza, visto che parli con questa persona immaginaria. Davvero non vuoi dirmi chi è?”
“Non dirglielo, papà. Lui non c’entra con noi.” Ora la strega è seduta dove si trovava prima Nelson: si protende verso di lui e lo guarda con occhi supplichevoli. Sono occhi verdi e limpidi, su un viso pallido, incorniciato da capelli scuri. Vorrebbe allungare una mano e farle una carezza, ma sa di non potere e teme che la ragazza scompaia.
“Daisy.” Sussurra, rivolto più alla strega che al Preside.
“Daisy?” ripete quest’ultimo, corrugando le sopracciglia.
“Mia figlia Daisy.” Risponde seccato, rivolgendo di nuovo l’attenzione all’anziano mago.
Silente tace, si appoggia allo schienale della sua poltrona con le mani appoggiate alla scrivania. Guarda il suo giovane insegnante e viene colto da una compassione infinita. Non ha bisogno di chiedergli a chi assomigli la figlia: è certo di saperlo già. Gli occhi gli si riempiono di lacrime al pensiero di quanto dolore nasconda nel cuore l’uomo che ha davanti: l’anima si ricuce al prezzo di un’enorme sofferenza e lui ne ha una certa esperienza.
“Posso aiutarti in qualche modo?” chiede, con fare paterno.
“No. Ora me ne torno nel mio ufficio e ci rimango fino a quando non starò meglio.”
“Non dovesti stare da solo.”
Severus alza gli occhi al cielo: “Non ho bisogno della tua compassione.”
Si è accorto degli occhi lucidi del Preside e della lacrima che, quasi invisibile, gli è scivolata sulla guancia, eppure non vuole il compatimento di nessuno. Affronterà i suoi demoni da solo, come ogni volta.
Si alza ed esce, senza lasciare il tempo a Silente di ribattere.
Sulle scale, Daisy gli trotterella davanti, allegra. I suoi capelli ondeggiano leggeri e lui resta a guardarla, incantato.

******

È sabato, sono passati tre giorni da quello sfortunato incidente. Dopo essere uscito dall’ufficio di Silente, Severus ha dormito per quasi quattordici ore consecutive, ma quando si è alzato la mattina successiva si sentiva meglio. Non c’era nessuno nella sua stanza, né streghe chiacchierone né serpenti. Si è preparato con calma ed è salito per fare colazione insieme ai colleghi. Le risposte alle domande sulla sua salute sono state estremamente sintetiche.
A lezione, ha dimostrato di essere guarito alla perfezione: i Grifondoro del secondo anno sono usciti con cinquanta punti in meno, rispetto alle due ore precedenti.
Oggi è una giornata noiosa: fuori, il tempo è grigio e una leggera pioggerella cade già dalla mattina. Ha pranzato in Sala Grande, senza abbuffarsi, come d’abitudine ed ora è nel suo ufficio. Vorrebbe un tè o forse una tisana. Va verso lo scaffale degli ingredienti e allunga una mano verso il contenitore del Biancospino, mentre l’occhio gli cade su quello a fianco. Non ha smesso di pensare a Daisy in questi giorni e ne ha sentito la mancanza, anche se sa che si tratta di un sentimento assolutamente irrazionale. Avverte la tentazione forte di ricadere nel sogno: il suo cuore lo spinge in quella direzione, ma la mente lo avverte del pericolo. I sogni dovrebbero restare tali, lo sa, eppure vorrebbe sentire di nuovo quella voce.
Afferra entrambi i barattoli e li appoggia sulla scrivania. Si siede e li osserva a lungo, mentre dentro di lui si scatena una battaglia terribile.
Alla fine, dopo quasi dieci minuti di attenta riflessione, dopo aver valutato i pro e i contro, prende la sua decisione. Allunga la mano verso uno dei contenitori.

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