“Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile.

Ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto,

 e al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto:

questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile.”

-Aristotele-

 

 

Adorava indossare la divisa da Quidditch e, se fosse stato per lei, l’avrebbe messa ogni giorno, ma era costretta a infilarsi quella della sua Casa: le piaceva sentire la stoffa ruvida e rigida che le sfiorava la pelle, le trasmetteva un senso di calore e per questo la preferiva a quella liscia e sempre fredda della camicia.

Quella mattina, però, sarebbe voluta rimanere in pigiama sotto le coperte, a oziare, per quel poco che glielo permetteva lo studio: era domenica, l’unico giorno in cui riusciva a riposarsi un po’. Tuttavia, quel giorno, man mano che passavano i minuti malediceva sempre di più quell’idiota del suo Capitano, Noah Baston, che aveva mandato sua sorella, la piccola Angie, poco più che undicenne, a svegliarla. Il ragazzo conosceva l’irascibilità della sua miglior giocatrice, Charlotte Paciock, e sapeva perfettamente che avrebbe schiantato qualsiasi persona tranne la sua sorellina. Ai più, infatti, era noto il fatto che Charlie aveva un debole per gli studenti del primo anno, soprattutto per quelli che avevano grandi occhi scuri e guanciotte piene e rosee, proprio come Angie. Questa sua “predilezione” per i bambini che si affacciavano per la prima volta allo studio della magia era da attribuire al suo passato, poiché non aveva mai dimenticato l’ansia e la paura che l’avevano accompagnata durante i suoi primi giorni a Hogwarts, e il fatto che gli studenti più grandi facessero di tutto per farla sentire ancora più a disagio. A tutti questi fattori andava ad aggiungersi anche la lontananza dalla sua famiglia al punto che, dopo neanche un mese, Charlie se ne voleva andare dalla scuola per poter proseguire gli studi a casa. Fu una ragazza, che all’epoca frequentava il sesto anno, ad aiutarla facendole capire che all’interno di quella scuola, oltre che apprendere importanti nozioni sulla magia e su come usarla, avrebbe anche potuto divertirsi e fare nuove amicizie, che sarebbero diventate le più importanti della sua vita. Presa, allora, la decisione di rimanere, si impegnò lei stessa in prima persona ad aiutare tutti i futuri studenti, prendendoli sotto la sua ala protettiva e mostrando loro solo le bellezze della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

Charlie sentiva il vento ululare all’esterno e vedeva la pioggia battere con tutta la sua forza sui vetri dei lucernari degli spogliatoi: l’idea di allenarsi con quel tempo non era di certo una delle migliori di Noah e non vedeva l’ora di farglielo sapere.

Dopo aver allacciato l’impermeabile rosso per coprirsi dal temporale che imperversava fuori, prese la sua scopa dallo stanzino e si diresse verso l’esterno, assaporando la sfuriata che avrebbe fatto a breve; non fece in tempo a mettere il piede sul prato bagnato, però, che venne investita dalle grandi gocce di pioggia. Più si avvicinava al centro del campo, dove gli altri giocatori la stavano aspettando, più il vento aumentava di potenza e più le sue scarpe affondavano nel miscuglio di erba e fango facendo aumentare la rabbia della ragazza.

-Charlie, finalm…- Noah provò a dire qualcosa, ma fu subito interrotto.

-Ma cosa hai nella testa? È domenica mattina e, per di più, c’è un tempo così orribile. Non potevi rimandare gli allenamenti?- la ragazza dovette urlare per sovrastare il rumore della pioggia e per questo non ricevette il risultato sperato.

-Abbiamo la partita contro Serpeverde tra due settimane.- anche lui dovette urlare per farsi sentire, ma la sua voce e il suo tono lasciavano trasparire soltanto calma, almeno per il momento.

-Non me ne frega assolutamente nulla. Manca ancora un sacco di tempo e ci alleniamo già abbastanza al di fuori del week-end. Abbiamo bisogno di riposare, o vuoi che arriviamo alla partita sfiniti?- la voce di Charlie si alzò ancora di più e, stavolta, insieme alle parole, riuscì a sputare fuori anche tutta la rabbia.

-Non sei tu il Capitano. Devi smettere di dare ordini e decidere quando dobbiamo allenarci e tutto il resto. Io sono il Capitano e io ho deciso che oggi ci saranno gli allenamenti, che tu lo voglia o meno.- la vena che aveva sul collo iniziò a pulsargli vistosamente, ma lui continuò. –Quindi, se vuoi continuare a far parte di questa squadra, sali su quella dannata scopa, prendi la pluffa e inizia a tirare rigori, altrimenti girati, torna negli spogliatoi, togliti la divisa e lascia questa squadra per sempre.- la cosa che più di tutto faceva innervosire e arrabbiare Noah era l’atteggiamento della Cacciatrice: odiava quando si atteggiava a Capitano e ignorava completamente la sua autorità. Sapeva di essere brava e quasi indispensabile per la squadra, e questo le dava una sicurezza tale da decidere di fare qualsiasi cosa di testa propria.

-Non puoi permetterti di buttarmi fuori dalla squadra. Senza di me non segnerete neanche un goal e sarà difficile per te proteggere quegli anelli.- si difese lei, stringendo talmente forte il manico della scopa da far diventare bianche le nocche della mano destra.

-Non ho bisogno di una giocatrice arrogante e presuntuosa come te, non mi interessa se buttarti fuori significa perdere ogni incontro. Sarei anche disposto a prendere con noi tuo fratello pur di farti tenere la bocca chiusa e non sentire più le tue lamentele.- non aveva fatto in tempo a finire la frase che si era già reso conto di aver esagerato: non avrebbe dovuto mettere in mezzo il fratello di Charlie.

-Tu non hai il diritto di nominare mio fratello! Sei solo uno spregevole raccomandato: sei il Capitano solo perché tuo padre è un giocatore famoso. Mi fai schifo, come persona, ma soprattutto come giocatore.- la replica di Charlie non si era fatta di certo attendere, e, alla fine, la ragazza buttò la scopa a terra e si diresse minacciosamente verso Noah che, consapevole della sciocca scenetta che stavano mettendo in atto, strinse i polsi della giovane, bloccandola e cercando di scusarsi prima di ricevere un pugno in pieno volto come era successo qualche anno prima.

-Hai ragione!- quelle due semplici parole avevano il potere di calmarla, almeno per il tempo sufficiente a formulare delle valide scuse. Noah la conosceva da più di sette anni e sapeva quanto lei adorasse avere ragione, soprattutto quando era lui a dargliela.

-Non avrei dovuto parlare di Neal: siamo entrambi arrabbiati e, come al solito, diciamo cose che non pensiamo. Sai perfettamente quanto voglio bene a quel piccoletto e anche che non sopporto quando pretendi di decidere per la squadra, perché quello è compito mio.- a questo punto Charlie si era calmata del tutto; Noah aveva il grande potere di farla arrabbiare nel giro di pochi secondi, ma anche quello di trovare le parole giuste per tranquillizzarla. Lei, nonostante tutto, era l’unica ragazza che stimava più di se stesso e, non a caso, era l’unico componente di sesso femminile della squadra.

Charlie, ormai calma, abbassò le braccia e, con aria colpevole, disse:

-E’ che… ho sonno. La domenica ho bisogno di dormire.-

Noah scoppiò a ridere, seguito dagli altri giocatori che avevano assistito, sconsolati, alla quotidiana litigata tra i due.

-Potrai dormire solo dopo aver segnato almeno una cinquantina di goal ai Serpeverde.- il Capitano si voltò per poter iniziare finalmente la sessione di allenamenti, quando  lei lo chiamò.

-Ah, Noah… bella mossa usare tua sorella.-

 

 

Il giovane Baston passò buona parte della mattinata a dispensare consigli ai suoi giocatori e a osservare Charlie, per quel che la pioggia gli permetteva. Era inutile nascondere, almeno a se stesso, che quella ragazza lo intrigava: era piccola, bassa ed esile, aveva il fisico perfetto per essere agile e poter scartare facilmente i giocatori avversari e andare a segno senza che gli altri se ne rendessero conto. Tuttavia, lei non era esattamente il suo tipo ideale, visto che a lui piacevano con un po’ più di forme, possibilmente nei punti giusti, alte e aggraziate. Nonostante non incarnasse il suo ideale di donna, però, aveva qualcosa di particolare che lo attirava, forse i lunghi capelli scuri sempre legati in una coda di cavallo, o gli occhi neri, penetranti e sinceri, o quel sorriso dolce, delicato e travolgente che riusciva a nascondere con la durezza e la cocciutaggine. In realtà la cosa che più lo affascinava, però, era la sua ambizione, la sua determinazione; infatti, era pronta a qualsiasi cosa pur di raggiungere i suoi obiettivi, anche se, comunque, per farlo non avrebbe mai calpestato gli altri: non era mai stata sleale né con gli amici né con i nemici, caratteristica che, probabilmente, aveva ereditato dalla madre.

Un’altra cosa che la rendeva diversa dalle altre era ciò che le aveva permesso il suo ingresso a Grifondoro: il coraggio. Non aveva paura di niente e di nessuno, e si sarebbe battuta con il ragazzo più grosso e muscoloso di tutta Hogwarts se solo avesse messo in mezzo il fratello, come aveva dimostrato poco prima.

-Cosa stai guardando?- la voce di James lo impaurì e lo destò dai suoi pensieri: si era quasi dimenticato di essere sul campo di Quidditch.

Nel frattempo, Charlie stava strillando a uno dei suoi battitori usando un linguaggio non proprio forbito. E, in quel momento, Noah riuscì a ricordarsi perché non le aveva mai chiesto di uscire: era troppo maschiaccio e a lui piaceva la femminilità.

-Se Charlie non la smette di rimproverare i miei giocatori, giuro che la butto fuori. Tu non dovresti essere alla ricerca del boccino?- si girò verso uno dei suoi migliori amici con uno sguardo di finto rimprovero.

-Già fatto.- così dicendo James alzò la mano destra chiusa a pugno su una sfera dorata dai cui lati uscivano un paio di ali sottili che svolazzavano freneticamente. –Ho cercato di attirare la tua attenzione per ore per dirtelo, ma tu eri troppo preso da Charlie.-

-Stavo solo guardando il suo modo di rubarmi il ruolo. Le rimane solo di buttarmi giù dalla scopa e mettersi lei stessa tra i pali.- replicò, sentendosi punto sul vivo.

-Sai, Noah, ho perso il conto delle volte che mi hai detto che l’avresti buttata fuori. Ammettilo, ti piace il suo modo di prendere il comando e soprattutto devi ammettere che con lei la squadra ha una marcia in più. Dovresti chiederle di uscire.- come sempre, James era riuscito a cogliere nel segno, come se gli avesse letto nel pensiero.

-Ma smettila. Non vedi che è un maschio? Non ha niente che la faccia sembrare donna, neanche le tette.-

Gli sguardi dei due Grifondoro erano puntati sulla ragazza in questione che nel frattempo aveva spintonato un compagno facendolo cadere rovinosamente dalla scopa e rischiando di fargli rompere qualche osso. Lei, ignara di essere il centro del discorso che stavano avendo i suoi amici, alzò lo sguardo e incrociò il loro. Impiegò un attimo a raggiungerli e, non appena si trovò vicino, diede una pacca sulla spalla di Noah così forte da mozzargli quasi del tutto il fiato.

-Potter, Baston, stavate parlando di me?- chiese, sempre con il sorriso sulle labbra.

-Certo, Paciock. Stavamo dicendo che assomigli più a un uomo che a una ragazza.-

Noah non sarebbe mai riuscito a dirle una cosa del genere e ogni tanto si ritrovava a chiedersi se, per caso, non avesse paura della sua reazione.

-Dovresti correggere con: Charlie, sei più uomo tu di quanto non lo siamo io o Noah.- anche se meno di due ore prima aveva avuto quella forte discussione con il suo Capitano, adesso si mostrava allegra e gioiosa, come d’altronde era sempre. Un’altra bella virtù della ragazza, infatti, era quella di riuscire a buttarsi tutto alle spalle e a sorridere quasi in ogni occasione. O, perlomeno, era così che si mostrava agli altri.

 

 

 

 

 

NdA: questa long è nata dalla mia voglia di cimentarmi di nuovo nella scrittura e dal mio amore per la nuova generazione del mondo di Harry Potter, i capitoli avranno tutti, più o meno, questa lunghezza. Ovviamente questo è un capitolo introduttivo, la storia prenderà corpo con i prossimi.

Se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate, ne sarei felicissima.

 

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