Note al capitolo

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Storia scritta per il Gioco Creativo n. 13 Un anno di Sorrisi per Severus del forum Il Calderone di Severus.

Il foglio bianco.
Ovvero, della disperazione di una fanwriter

   
La giornata era assolutissimamente perfetta.
Assolutissimamente, sì. Era un vocabolo che non esisteva, un superlativo assoluto che più assoluto non ce n’era, ma che calzava a pennello con quel sabato di giugno.
Cielo sereno, color azzurro purezza talmente limpido da sembrare troppo bello per essere vero. Sole sfolgorante, né troppo né troppo poco, ovvero il giusto.
Praticamente un clima temperato ideale, di quelli che esistono pochi giorni all’anno e che si vorrebbe racchiudere in un barattolo da tirare fuori all’occorrenza nelle grigie e piovose giornate autunnali o negli afosi ed appiccicaticci pomeriggi estivi.
Un po’ quel clima ideale che sa di buono, di fiori e di profumo di panni stesi ad asciugare al sole.
Praticamente un idillio.
Non approfittarne sarebbe stato un delitto.
Fu così che si preparò all’evento con la mente e con i gesti.
Sbrigò le faccende domestiche più sbrigativamente possibile e mai quel verbo si adattò in modo splendido all’avverbio che indicava il modo con cui sistemò alla bell’e meglio tutta casa, giusto per non sentirsi poi in colpa ed evitare di avere incubi notturni con aspirapolveri impazzite che la rincorrevano ovunque perché si erano sentite sole ed abbandonate.
Accese la mente, spalancò le porte della fantasia e le tende dell’immaginazione svolazzarono felici alla lieve brezza dei sogni, aprì i cassetti in cui erano rinchiusi tutti i sinonimi e quelli saltarono fuori felici, gioiosi ed allegri. Infine, per completare l’opera, spalancò i grandi cancelli delle coniugazioni verbali ed infiniti, congiuntivi e participi sciamarono festanti mettendosi subito a fare il girotondo attorno alla loro regina, la consecutio temporum. Nuvole di leggiadri e flessuosi punti interrogativi si stendevano all’orizzonte come i cirri nei cieli dell’estate che il sole al tramonto dipinge di tenue rosa, mentre virgole e due punti giocavano a nascondino insieme agli altri segni di punteggiatura.
Lei era appagata ed al tempo stesso smaniosa di mettersi all’opera, sentendo una sorta di acquolina in bocca, un po’ come quando ci si ferma davanti alla vetrina di una pasticceria e si sosta un attimo – giusto il tempo di mandare al diavolo i propositi di dieta – lasciando che il ricordo di una morbida crema al cioccolato e di una pastafrolla fragrante siano il fattore convincente che ha la meglio su qualsiasi altra cosa, perfino sul portafogli quasi vuoto.
Finalmente il momento tanto atteso e sospirato era giunto.
Accese il suo aggeggio magico, quello con tanti pulsantini con le lettere dell’alfabeto scritte sopra. Certo, era un’invenzione Babbana che difficilmente avrebbe mai trovato spazio nel vero mondo della magia – anzi, era certa che sarebbe stata un’opzione impossibile – ma aveva un pregio spettacolare: lì dentro vi si potevano mettere i sogni.
Una specie di Pensatoio, senza incisioni e senza strani tuffi in ricordi passati, non alla maniera dei maghi in ogni caso. La mente pensava una cosa e subito le mani leste pigiavano quei pulsantini luminosi e traducevano il pensiero in parole scritte nero su bianco.
Carta e penna avevano il medesimo pregio, lo sapeva benissimo la nostra protagonista, ma per una maniaca della calligrafia come lei era impossibile scrivere con la medesima velocità delle sue idee ed al tempo stesso vergare elegantemente le parole in modo leggibile e piacevole a vedersi.
Non le rimaneva quindi che posare le agili dita sui pulsanti e tradurre i pensieri in parole, il foglio bianco fittizio davanti ai suoi occhi era immacolato più di candida neve appena scesa dal cielo e non attendeva che d’esser riempito con nero inchiostro altrettanto fittizio. Il cursore lampeggiava impaziente, scalpitando per tracciare la sua scia di parole.
Passò un minuto senza che accadesse nulla.
Non si disperò.
Chiuse gli occhi e chiamò a sé la fantasia. Ne aveva spalancato le porte, la signora doveva almeno esserle grata e regalarle qualche idea da potersi tramutare in frasi compiute.
Anche il secondo minuto trascorse nel nulla completo.
Fece un respiro profondo, poi un altro ancora, imponendosi di rimanere calma.
Era una fanwriter, non poteva perdersi d’animo alla prima difficoltà, non era nel suo carattere.
Il foglio vuoto, però, reclamava il cibo delle parole.
Lei gliene regalò due, sperando che nel frattempo verbi, sostantivi ed immaginazione volessero collaborare.
Il cursore avanzò nel candore, spostandosi di pochi centimetri.
Dietro di lui comparve la scritta: Severus Piton.
Eccolo, si disse la fanwriter, gioendo dentro di sé.
In un angolino del regno dell’immaginazione s’era accesa una piccola luce che andò ad illuminare un uomo dagli occhi neri come morbido velluto e dai capelli corvini. La sua posa era fiera ed elegante, quasi austera, come la lunga schiera di bottoncini ordinatamente disposti in fila indiana lungo la giacca. Il mantello, nero anch’esso, sapientemente drappeggiato sulle spalle conferiva all’uomo quella giusta aura di rispetto che egli avrebbe sempre meritato.
Severus Piton.
Che aggrottò le sopracciglia in segno interrogativo e così fu scritto sul foglio bianco.
O forse prima fu scritto e solo poi aggrottò le sopracciglia… la contemporaneità dei due fattori era una questione che la fanwriter ancora doveva comprendere pienamente, quasi fosse un mistero insondabile al pari della nascita dell’universo o dell’esistenza degli extraterrestri.
In ogni caso, qualunque dei due eventi fosse accaduto prima, poco importava. In quel momento s’era fatta molto più interessante la profonda ruga del professore di Pozioni alla base della fronte, proprio alla radice del naso.
Il disagio dell’uomo era più che evidente, lei se ne rese conto e si sentì terribilmente in colpa. Lui viveva in un regno lontano, che si poteva raggiungere solo galoppando per delle ore attraverso le distese bianche e ruvide quali erano le pagine piacevolmente profumate di alcuni celebri libri, sette per la precisione. E lo aveva scomodato, senza mezzi termini. Lo aveva scomodato e adesso lui pretendeva che almeno gliene fosse svelato il motivo o che almeno gli venisse dato qualcosa da fare, uno sfondo su cui muoversi… anche qualche battuta di dialogo non gli sarebbe guastata dato che egli era essere senziente dotato di parola.
Lei tentennò, il foglio ancora vuoto e con solo la prima riga scritta con una miserrima frase che non portava a nulla. Mai come in quel momento lo spazio da riempire l’atterrì, lasciandola completamente priva di idee e di concetti da esprimere.
Osservò l’orologio, notando con sommo terrore che era passata più di un’ora senza aver concluso alcunché.
Da idilliaca che era quella giornata si stava tramutando in un disastro di inutilità.
Severus Piton… Severus Piton… cosa si poteva far fare al Potion Master per regalargli un sorriso?
Ah già, il luogo ed il tempo dell’azione.
Il salotto di Spinner’s End le parve una soluzione ideale ed in men che non si dica il Professore si ritrovò seduto sul divano di casa sua. Non appena il cursore terminò di scrivere l’aggettivo “verde” la stoffa su cui Severus era seduto si colorò come l’erba dei prati che il sole d’estate secca con i suoi raggi sferzanti.
Il professore sembrava ben lungi dall’essere soddisfatto della sistemazione e a dire la verità nemmeno la fanwriter poteva chiamarsi contenta.
Effettivamente, pensò lei, lasciarlo così con le mani in mano non è educato.
Subito fluttuò a mezz’aria un grosso volume di pozioni asiatiche dalla copertina color rubino elegantemente intarsiata con filigrana d’argento.
Lo sguardo interrogativo del pozionista trapassò da parte a parte la povera scrittrice come se volesse eliminarla seduta stante.
Ok ok, ho esagerato. Solo copertina color rubino, va bene?
L’uomo parve rilassarsi, adagiandosi più comodamente sullo schienale della poltrona ed il libro andò a posarsi sulle sue ginocchia.
Però… a pensarci bene. Solo libri di pozioni… non saranno troppo monotoni?
Puf! In un attimo le parole d’inchiostro virtuale che riguardavano il volume furono cancellate e tra le mani dell’uomo comparve l’edizione mattutina della Gazzetta del Profeta. La scrittrice ebbe la netta impressione che Piton cominciasse ad essere alquanto impaziente, ma scrollò le spalle e provò ad osare l’impossibile.
Però anche la Gazzetta la si trova praticamente ovunque… e se gli facessi leggere il Cavillo?
Il professore artigliò con tutte le sue forze la carta del quotidiano dei maghi e si lasciò andare ad un’esclamazione che prometteva vendetta.
«Azzardati a farmi leggere quella robaccia e mi rifiuterò per sempre di assecondarti nelle tue già pagliacciate di storie.»
Le dita della scrittrice in erba tremarono al suono di quella voce calda come morbido velluto e capace al tempo stesso d’esser tagliente come gelido ghiaccio appuntito. Non ebbe il coraggio di replicare, lasciando che il professore s’immergesse nella lettura del quotidiano più famoso del mondo della magia.
E…?
Ora serviva l’azione, qualcosa di interessante che poteva catturare l’attenzione di un lettore, poiché quella prima ed unica frase sul foglio bianco poteva portare a qualsiasi trama.
Severus Piton era nel suo salotto, seduto in poltrona, a leggersi con tutta tranquillità l’ultimo numero della Gazzetta del Profeta.
C’era sempre un effetto che non stonava mai, nemmeno in estate, secondo la fanwriter: in un attimo il camino accanto alla poltrona si animò con un allegro fuoco scoppiettante.
Nel frattempo il professor Piton girò pagina, alzando gli occhi al cielo in un gesto di pura disperazione rassegnata.

*

La luna crescente s’era fatta alta nella volta celeste, illuminata quasi per metà.
La fanwriter riuscì a scorgerla per qualche fugace attimo prima che essa scomparisse dal suo spicchio di cielo per andare a nascondersi dietro il tetto del palazzo di fronte.
Intanto il foglio bianco davanti a lei era ancora desolatamente mezzo vuoto, completato con solo qualche frase impregnata di banalità dalla prima lettera maiuscola al punto finale.
Una giornata buttata via, completamente sprecata.
Era furibonda, se solo ne avesse avuto il coraggio si sarebbe volentieri presa a sberle.
Perché v’erano giorni in cui gli impegni l’avevano vessata fino a tarda sera, ma nei quali era comunque riuscita a ritagliarsi scampoli di tempo tra uno sbadiglio e l’altro per scrivere qua e là pensieri ed idee brillanti che poi non aveva faticato a tramutare in storie che l’avevano soddisfatta? Perché invece v’erano giornate in cui lei possedeva non scampoli sparuti, ma metri e metri di tempo da usare a piacimento per fare ciò che più le piaceva al mondo?
Perché quel foglio bianco l’aveva atterrita come mai era capitato, mentre in altre situazioni perfino un banalissimo fazzolettino di carta era diventato cimelio prezioso su cui era stato annotato di tutto ed anche di più?
Non seppe rispondere a questi interrogativi e si sentì desolata come non mai.
Aveva provato di tutto, ad interrompere la scrittura virtuale ed a riprendere in mano carta e penna, aveva perfino fatto finta di non pensarci più e di rinunciare a scrivere la sua storia, mettendo il suo aggeggio magico da parte e cimentandosi nel tentativo di un ricamo all’uncinetto che da mesi giaceva abbandonato nella scatola del cucito assieme ad aghi, fili colorati e ditali dalle varie misure color oro.
Ma a tarda sera la sua testardaggine l’aveva spinta a riprovare, a fare un ultimo sforzo perché nulla rimanesse incompiuto.
Su quel foglio bianco aveva finito per scriverci qualsiasi idea le passasse per la mente, con grande, grandissimo disappunto del Potion Master, che, dopo essere stato confinato a casa sua con la sola compagnia di un gatto nero, s’era ritrovato in un baleno ad Hogwarts nello studio del Preside a chiacchierare con il ritratto di Albus Silente, poi davanti ad una lapide bianca in pieno inverno ed in compagnia di Aberforth, infine accanto al greto di un fiume ad ascoltare una improbabile lezione di filosofia improvvisata da uno strambo Babbano.
Nell’angolino dell’immaginazione della scrittrice Severus Piton stava ventilando propositi di morte lenta e dolorosa per colei che aveva osato scrivere quelle ignominiose righe su di lui. Non avrebbe usato nemmeno la bacchetta, l’avrebbe fatta fuori con le sue stesse mani e senza rimpianto alcuno.
La povera emise un singulto disperato, non sapendo più a quale santo votarsi per risolvere la questione. Sentiva gli occhi penetranti di Piton su di sé e se in altre occasioni sarebbe tranquillamente andata in visibilio, quello non era di certo il momento adatto.
Corrucciato, quasi imbronciato, Severus se ne stava a braccia incrociate un una delle sue pose statuarie, ergendosi in tutta la sua altezza ammantata di nero. Gli occhi d’onice lanciavano lampi d’ira poco rassicuranti, dardeggiandola senza pietà alcuna.
E sì che lei aveva solo cercato di farlo sorridere un po’… cosa c’era di male?
Oh!
Oh… sì!
Come aveva fatto a non pensarci prima?
Era tutto così… così… facile!
Più che bere un bicchier d’acqua.
Ridacchiò compiaciuta di se stessa, fiera di aver avuto quell’idea brillante che le avrebbe salvato la giornata a tempo ormai quasi scaduto. Non fece caso alle occhiatacce del professore di Pozioni, né tantomeno al suo sguardo allibito quando dal foglio bianco scomparvero in un battibaleno azioni e luoghi, cosa che costrinse Severus a tornare nel suo angolino semibuio in mezzo al nulla.
Accostò le porte della fantasia, lasciandole però socchiuse. La brezza dei sogni svanì e le tende dell’immaginazione tornarono quiete ed immobili. Richiamò i sostantivi senza tralasciarne nessuno, e quelli si misero diligentemente in fila per due – un sinonimo ed un contrario che si tenevano per mano – e s’incamminarono verso i loro cassettini. Ad attenderli c’era un meritato riposo. Le coniugazioni verbali non ebbero bisogno di alcun invito, capirono di doversi dirigere verso i cancelli e furono ubbidienti più che mai.
La scrittrice a quel punto intervenne, prendendo per mano un piccolo verbo che faceva al caso suo, un passato remoto di sette lettere che la seguì docilmente mentre i suoi compagni tornavano da dove erano venuti. Un punto fermo, che aveva tardato a mettersi in fila con i suoi simili, ebbe il privilegio di essere scelto quale segno assolutamente necessario e fu ben lieto di rimbalzare fino a prendere il posto che gli spettava.
C’era riuscita.
Il foglio era rimasto bianco per la grande maggioranza, ma ora non le importava più.
Non era la quantità, bensì la qualità quella che faceva la differenza.
Le dita scrissero veloci la sua brevissima frase di tre sole parole.
Nel suo angolino di fantasia il professore non poté fare altro che adeguarsi, ma questa volta non ebbe alcun motivo di esprimere alcuna lamentela, non ne ebbe il tempo.
Il segno d’interpunzione fu come la ciliegina sulla torta che decretò la fine di quella faticosa giornata di scrittura.
 
Sul foglio bianco c’erano scritte tre sole parole.
 
Severus Piton sorrise.
Punto.

Posta una recensione

Devi fare il login (registrati) per recensire.