Note alla storia
La storia partecipa al Challenge: "Chi, con chi, che cosa facevano" indetto da Kukiness sul forum di Efp
Quando Teddy quella mattina aveva raggiunto il suo nuovo posto di lavoro estivo, l'ultima persona che si era aspettato di incontrare era suo padre.
I loro sguardi si erano incrociati e papà aveva sostenuto cocciutamente il suo. Per un po' non avevano avuto niente da dirsi, cosa che succedeva spesso da qualche anno. Prima di entrare nell'adolescenza aveva adorato suo padre: durante l'infanzia la sua massima aspirazione era stata quella di diventare come lui e, all'epoca, il dividere lo stesso lavoro, gomito a gomito, sarebbe stato davvero 'mitico'. Ora invece ne era molto irritato: era grande, ormai, e voleva emergere, far vedere quanto valeva per quello che era, e non perché figlio suo o della mamma Auror.
“Primo giorno anche per te?” si decise finalmente a chiedere suo padre.
Teddy si appoggiò alla parete tappezzata di cacche di gufo, osservando torvo le postazioni dei pennuti postini. Il suo tono gentile e misurato lo infastidiva.
“Tu non dovresti essere qui,” borbottò immusonito.
“E perché mai? Ho fatto domanda e mi hanno preso, proprio come te. L'annuncio che abbiamo letto sul giornale non poneva restrizioni, i... papà sono ammessi.”
Lui sbuffò.
“Sostituire 'papà' con 'lupo mannaro'” tradusse mentalmente. Sapeva di essere cattivo a pensarlo, ma se da una parte apprezzava quello che era - i suoi amici Nati Babbani avrebbero dato qualsiasi cosa per avere un papà da film dell'orrore, come lo definivano loro- dall'altra lui e sua madre avevano sempre dovuto progettare qualunque cosa in funzione della sua natura. Stare male una volta al mese era invalidante e anche loro dovevano rinunciare a tante cose, perché la mamma non l'avrebbe mai lasciato solo.
“Intanto potevi anche dirmelo...” protestò, sempre senza degnarlo di uno sguardo.
“Magari te l'ho anche detto, ma tu non mi stavi ascoltando.”
Teddy aggrottò la fronte. Non capiva se stesse scherzando oppure fosse successo davvero. In effetti entrambe le opzioni erano ugualmente possibili.
“Non è questo il punto,” svicolò. “È che tu sei troppo vecchio per questo lavoro.”
Lui strinse appena gli occhi.
“Ti ringrazio per la tua premura, Ted, ma sono certo di poterti ancora battere, sul piano fisico, in qualunque prova tu voglia.”
Era difficile farlo arrabbiare sul serio, però in quanto a frecciatine ci sapeva fare, Teddy doveva ammetterlo.
Ovviamente la sua osservazione aveva colpito nel segno, visto che si sentiva in costante competizione con lui.
Era frustrante ascoltare i racconti dei suoi amici i cui padri, in crisi di mezza età o altra roba da vecchi, li sfidavano in cose da ragazzini e si facevano bagnare comicamente il naso da loro.
Suo padre non era così, sembrava non avere ambizioni di alcun genere, ma se cercava di dargli una scrollata proponendogli qualche sfida mascherata da gioco, non si tirava indietro e quasi sempre lo batteva.
“È perché sei un lupo mannaro!” pensò. Era concorrenza sleale!
“Perché non dici ad alta voce quello che pensi?” lo provocò papà, con un sorrisetto.
“Ho sedici anni! Ho diritto alla mia privacy, la devi piantare di leggermi nella testa!” alzò la voce, incapace di trattenersi.
Suo padre non si scompose.
“Vedi forse la bacchetta nella mia mano? Ti sto fissando negli occhi?”
“Non mi interessa come fai, è irritante!”
“D'accordo, allora mi fingerò scemo anche se so benissimo quello che ti passa per la testa.”
Teddy si afferrò il capo tra le mani.
“Come cavolo fa la mamma a sopportarti?”
Il papà sembrò sgonfiarsi. Sentì che gli metteva una mano sulla spalla e gliela stringeva.
“Scusami,” disse piano. “Cercherò di starti meno addosso. Capisco che le mie attenzioni possano essere fastidiose, alla tua età.”
“Ok,” rispose lui secco. Sentiva le orecchie in fiamme per l'imbarazzo e non capiva perché fosse diventato tutto così difficile con lui, con la mamma non succedeva. “Probabilmente non è colpa tua, forse stai facendo come il nonno faceva con te,” cercò goffamente di rimediare. Se parlare da padre a figlio lo faceva uscire dai gangheri perché si sentiva ormai un adulto, farlo da uomo a uomo era qualcosa di terribile, e non capiva il perché, in fondo era quello che voleva... o no?
“Grazie per la comprensione, ma non è così, anzi...” gli rispose papà. “Il mio errore è pensare che tu abbia bisogno di quello che desideravo io, ma sbaglio, perché tu non sei me. Quando hai un figlio... ecco...” era strano vederlo in difficoltà e la cosa attirò la sua attenzione. “Sai, è come se ti fosse regalata un'altra vita, e ti confondi, rivedendoti in lui.”
Teddy annuì.
“Non sono te,” ripeté. “Proprio così.”
“Ho centrato il punto?”
“È così per tutti i ragazzi, no?”
“Certo. Pensa alla mamma e alla nonna.”
Era vero: la nonna ancora non aveva rinunciato a far comportare la figlia un po' più come lei, e la criticava sempre pur volendole bene per quello che era.
“Merlino! Questo significa che non è finita affatto, vero? La mamma ha tipo quarant'anni e la nonna ancora la tormenta!”
Il papà incurvò le labbra.
“Oh, te ne farai una ragione, vedrai.”
Teddy non sapeva se ridere o mettersi le mani nei capelli, l'onere di decidere gli fu risparmiato dal signor Darrill, che entrò in quel momento nella guferia.
“Bene,” lesse, strizzando gli occhi, su un foglietto che teneva a un braccio di distanza dal viso “Remus e Ted Lupin, giusto? Siete pronti a entrare nel fantastico mondo del collaudo dei gufi postini?” chiuse il breve discorso, pronunciato senza alcun entusiasmo, con un gran sbadiglio.
“Quelli lì,” approfondì solo dopo una lunga pausa, indicando alcuni rapaci dall'aria arruffata che parevano aver concluso la muta da poco. “Sono i vostri compiti per oggi. Indirizzateli dove vi pare, basta che siate in grado di seguirli per controllare se la posta è giunta a destinazione in forma ottimale.”
Li lasciò con un generoso plico di pergamene, indice della poca fiducia che riponeva nei suoi animali.
“Di quanti tentativi avremo bisogno per ogni postino?” si domandò Teddy perplesso. La fatica non lo spaventava: nessuno lo obbligava a lavorare in estate, era una sua scelta. Quello che temeva era di non riuscire a portare a termine il suo dovere.
“Lo scopriremo presto,” rispose tranquillo suo padre, richiamando il primo gufo dal posatoio. “Hai anche tu qualcosa da dire alla mamma?”
Teddy ci pensò su. Papà stava di nuovo facendo quel giochetto del 'so cosa pensi', ma questa volta non ne ebbe a male, perché sapeva esattamente anche lui cosa gli passava per la testa.
“A te quale paia ha obbligato a indossare, stamattina?” chiese con un ghigno. Lui poteva essere buffo con addosso la roba che la mamma purtroppo insisteva a comprare loro, ma papà era davvero da sbellicarsi.
“Le mie sembrano ritagliate dall'ombrello rosa di Hagrid.”
“Mmm... e cosa c'è disegnato?”
“Dei maialini. Tono su tono.”
Teddy lo fissò intensamente.
“Vediamole,” ordinò tutto serio.
Sua padre si guardò attorno, controllando che non ci fosse nessuno, gufi a parte. Poi si slacciò i pantaloni, abbassandoli quel tanto che bastò a scatenare l'ilarità di Teddy.
“Ci sono solo le chiappe dei maiali, e ancheggiano perfettamente sincronizzati!”
“Sì, beh, le tue mutande sono forse meglio?”
Teddy assunse un'aria afflitta.
“Non di molto.”
“Lasciamo stare la mamma. Sappiamo entrambi che lamentarsi è inutile, l'ha sempre vinta lei,” sospirò rassegnato.
“Lettera minatoria al negozio di Diagon Alley dove compra questa... roba?” suggerì Teddy.
Il papà alzò le sopracciglia.
“Idea geniale!”
Teddy prese la prima pergamena, e non seppe perché, ma appena l'ebbe tra le mani pensò subito alla Mappa del Malandrino che Harry gli aveva consegnato poco prima dell'inizio del suo primo anno a Hogwarts.
“È passato molto tempo, ma pergamene e scherzi sono ancora il mio piatto forte,” ridacchiò papà.
Anche Teddy sorrise.
Era davvero incorreggibile, ma forse lavorare con Lunastorta per un'estate non sarebbe stato poi così male!