Note alla storia

La mia prima storia -o meglio, una piccola one-shot- sui Fondatori di Hogwarts, che mi hanno sempre particolarmente affascinata... e la mia prima storia su Acciofanfiction! 

Buona lettura,

Winter_.

Di fuoco e pietra

 

*

 

Una torcia bruciava nel corridoio dell'ala ovest del castello, illuminando la fredda pietra e riempiendo, con il suo vivace sfrigolare, la piatta monotonia dell'imperante silenzio.

Una figura incappucciata poi comparve all'imboccare della lunga via, e i suoi passi pesanti e concitati coprirono il rumore del fuoco, con eco assordante.

"Stolti. Stolti i miei compagni e ciechi, ciechi e dal cuore pieno di debolezza" sussurrò tra se e se l'uomo dal volto coperto, sistemandosi il cappuccio meglio che poteva.
Pieno d'odio, ancora camminava, preferendo sfogare quella rabbia in quel lungo peregrinare tra le vie del silenzioso maniero, senza affidarsi alla rapida smaterializzazione che seppur proibita agli studenti, nulla avrebbe potuto su uno dei maghi più potenti del mondo magico.
Una torcia si spense al suo passaggio, spingendo l'uomo a bloccare il suo passo per guardarsi intorno, guardingo, consapevole di non essere più solo. Null'altro che tenebre e pietra vide, l'uomo alto e robusto, sfilandosi il cappuccio dalla testa e liberando un'ordinata chioma di capelli neri come la notte. I suoi occhi verdi scrutarono ancora seguendo ogni piccolo rumore, ogni minimo spostamento d'aria che si verificava sotto i suoi occhi. Seguì la rapida fuga di un gatto bianco in un pertugio nel portico e seguì il dolce planare di un gufo su uno dei rostri di ferro ma niente, niente di quello che aveva temuto e allo stesso tempo, nel profondo della sua anima, sperato.
Mentre stava per riprendere il suo cammino, la sua lenta fuga, un'ombra scura comparve alla sua destra, sbucando improvvisa da un ritratto di giovane donna incorniciato d'oro e bronzo.
Un uomo alto come lui e avvolto da un mantello di broccato rosso e alamari dorati, gli si parò davanti, arrestando il suo lento intercedere.
"Godric" sussurrò l'uomo dai capelli neri con un finto sorriso che lasciava trasparire odio, impotenza, dolore. "Immaginavo che saresti venuto."
L'uomo vestito di rosso lo guardò con i suoi profondi occhi castani, il viso corrugato in un espressione tesa, implorante.
"Salazar" mormorò, con voce calma. "La tua decisione è folle. Come puoi anche solo concepire di... selezionare i nostri studenti come bestie di una mandria?"
Salazar Serpeverde chiuse gli occhi, sperando di sbollire la rabbia, pregando se stesso che le sue dita non sfiorassero l'impugnatura della sua bacchetta.
"I nostri studenti sono bestie, in fondo. E in una mandria gli esemplari sani vanno separati da quelli deboli. Questa è la regola, amico mio. Questa è la vita."
Godric Grifondoro strabuzzò gli occhi, incredulo, incapace di credere che quelle parole piene di odio e pregiudizio provenissero dalla voce e dalla bocca dell'uomo di fronte a lui.
"E' un ragionamento disumano, Salazar. Colmo d'intolleranza, follia, e una spropositata bramosia di potere. Hai perduto il senno" disse Godric, pronunciando a forza quelle parole, come se gli pesassero direttamente sul cuore.
Salazar rise.
"Mi deludi, Godric. I nostri buoni compagni ti hanno condizionato completamente il pensiero con le loro sciocche ideologie e le loro buone dottrine" sputò. "E credevo fossi venuto da me per altro scopo. Mi deludi, amico" pronunciò quest'ultima frase con tono più basso.
Godric Grifondoro distolse lo sguardo, tormentandosi le mani, cercando un qualunque pretesto per non riallacciare il contatto visivo con l'uomo di fronte a lui.
"Tu e il tuo sciocco pudore, Godric. Qualche volta sono persuaso dall'idea che tu abbia la capacità di dividere la tua persona in due diversi uomini" Salazar si avvicinò e sfiorò con una mano una ciocca di capelli chiari dell'uomo in rosso.
"Uno spregiudicato giovane mago pieno di coraggio, iniziativa e ...voglia di sperimentare" bisbigliò, mentre la sua mano scendeva ad accarezzare le sue labbra con la punta delle dita. "E un bigotto, rispettoso, timoroso ragazzetto che si rifiuta di palesare qualcosa di evidente."
Quando la sua mano scivolò via dalla sua pelle, Godric quasi sussultò, deluso dall'improvviso cessare di quella lenta carezza.
"Chi ho davanti ora? Il Grifondoro che ragiona con la propria testa, o l'ipocrita che si lascia trascinare da quello che gli altri gli dicono di fare?"
Godric non rispose, non subito. Il suo respiro divenne pesante e sentì il suo cuore battere talmente forte da sembrare quasi volesse uscir fuori dal suo petto.
"Le tue idee sono folli, Salazar. Io sono solo Godric, un uomo solo. Ed è la mia mente, non quella dei nostri compagni, che mi dice quanto siano orribili le tue convinzioni."
Salazar rise, ma dentro di se il suo cuore sembrava pesare quanto un macigno. Ma era Salazar Serpeverde, e  mai lo avrebbe confessato.
"Ecco qualcosa che ancora detesto in te, mio fido compare" disse acido. "Rispondi alla domanda, quando te ne pongo una. Quale Godric ho davanti?"
Sembrò che una scossa avesse attraversato il corpo dell'uomo vestito di rosso e oro, come un onda invisibile che lo travolse facendolo sussultare, costringendolo a stringere i pugni e digrignare i denti, corroso dall'indecisione, da quel coraggio tanto ostentato ma che in quel momento veniva clamorosamente a mancare.
"In questo momento davanti a te c'è un Godric che vorrebbe che tu fossi diverso. Davanti a te c'è un Grifondoro che si distrugge all'idea che tu vada via per sempre" bisbigliò a voce talmente bassa che Serpeverde quasi faticò a udirlo. Ma comprese. Comprese più che bene.
Finalmente Godric alzò lo sguardo e guardò colui che aveva sempre considerato al di sopra di un semplice amico. Lo fissò, studiò ogni piccolo particolare del suo viso, imprimendolo a fuoco nella sua mente come se nel suo cuore sapesse che mai più sarebbero stati nuovamente così vicini. Guardò le sue iridi smeraldine che reggevano il suo sguardo senza esitazione, osservandolo a sua volta come a cercare di comprendere il motivo di quel contemplativo silenzio.
Spinto da una forza a lui sconosciuta, Salazar Serpeverde abbandonò ogni convinzione, ogni pensiero razionale, ogni concezione del giusto o sbagliato, ogni possibile accezione della parola ‘peccato'. In un istante che sembrò fermo nel tempo, la bocca del serpente strinse nella sua morsa d'amore e morte le fauci del leone.
Le loro labbra si sfiorarono, con una delicatezza e una passione sconosciuti a entrambi, e le loro mani si cercarono, avide, come se non potessero vivere in altro modo se non intrecciate l'una con l'altra. Quel bacio fu per tutti gli sguardi rubati nei corridoi, per quegli sguardi colmi di parole mai dette. Per quelle lacrime versate, piene di colpa per un sentimento creduto sbagliato. Un errore, una folle perversione.
Non esistevano studenti che avrebbero potuto scorgerli, non esisteva più nessuno.
Quando si separarono, Godric si resse alla vicina colonna di pietra, le gambe che cedevano, il cuore che batteva nella sua folle corsa.
Salazar lo guardò ancora, con occhi diversi, completamente. Tutto era cambiato in quei pochi secondi. Ogni cosa. Dal più piccolo granello di polvere, alla luce fioca delle candele e da quella più viva delle torce, dal lento stormire degli uccelli notturni, allo strascicato continuo spostarsi delle scale di pietra tutto aveva una luce completamente diversa.
"E' questo il vero Godric Grifondoro? Quell'unico uomo che desideri essere?" domandò Serpeverde, guardando l'uomo dagli occhi scuri che aveva il viso crucciato, sofferente.
"Questo è il Godric che vorrei essere, Salazar. Ma allo stesso tempo e un uomo che non esisterà mai" sussurrò Grifondoro in risposta. "Non andare. Ti prego" implorò, reggendosi ancora alla pietra, guardandolo.
Il cuore di Salazar tanto simile al duro granito si sgretolò in tanti piccoli impalpabili detriti. Non aveva creduto a quella vana speranza. Non aveva creduto in quella pazzia, in quell' impensabile utopia ma la delusione era stata ugualmente insopportabile. Ma lo sapeva, era preparato a questo.
"Noi non saremo mai affini nel pensiero, amico. I miei ideali non saranno mai i tuoi. Le mie parole e le mie convinzioni saranno sempre motivo di odio e vergogna per te" disse in un doloroso sussurro. "Andrò via e non cambierò la mia decisione".
Godric si rialzò, ritrovando le forze e sfiorandogli il braccio, piano. Lo amava e quel pensiero lo spaventava. Non gliel'avrebbe mai detto, anche se fosse servito a farlo rimanere. Si aggrappò a futili speranze.
"Fiori diversi possono condividere lo stesso giardino" disse, con voce sicura "puoi rimanere, possiamo parlare, discutere. Possiamo mettere fine a questa contesa" continuò.
Salazar gli sorrise e non c'era astio in quel sorriso, ne altro sentimento diverso dalla tristezza che tanto si sforzava di celare.
"Per voi non sarò mai un fiore, ma erbaccia malata, io temo. E per quanto si possa discutere, l'erbaccia continuerà a crescere e a avvelenare quei delicati fiori."
Indossò nuovamente il cappuccio scuro, celando parzialmente il viso. L'espressione di Godric, ancora più colma di pena e impotenza sembrava l'esatto riflesso della sua.
Ricordò il calore delle sue labbra e la dolcezza di quel ricordo fu malamente distrutta dalla consapevolezza che non sarebbe mai più successo. Mai più.
Godric non parlò di nuovo, non lo pregò ne supplicò. Rimase li in piedi, avvolto nel suo mantello dei fieri colori della sua casata e lo guardò ancora, in silenzio, le labbra serrate, senza neanche l'ombra della volontà di voler pronunciare un triste saluto.
"Addio, amico" sussurrò Salazar guardando per l'ultima volta i profondi occhi castani del suo compagno. Il suo lento intercedere per il corridoio riprese e il silenzio fu nuovamente stracciato dal rumore di quei passi forti, cadenzati, passi di un uomo ferito, di un uomo dal cuore perduto.
Godric lo seguì con lo sguardo, ma non gli disse addio, lo guardò camminare per il corridoio, guardò la sua figura avanzare lontano da lui senza voltarsi mai, senza rivolgere di nuovo a lui lo sguardo. Col cuore in pezzi lo guardò svoltare l'ultimo lontano angolo, e osservò la torcia illuminare l'ultimo frammento del suo mantello scuro, vide la torcia illuminare l'ultimo frammento di un amore nato e distrutto in quel corridoio, fra i freddi mattoni di pietra.

 

 

 

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