Note alla storia
Le considerazioni di Ron sulla praticità del nome "Hugo" sono un voluto omaggio all'indimenticato Massimo Troisi ...
Il nome della Rose
Hermione Granger aveva insistito, spalleggiata dai genitori, perché la figlia nascesse nella migliore clinica Babbana di Londra. Tutto eccitato all'idea di vedere i genii ecologici Babbani in azione coi loro meravigliosi macchinari, Arthur Weasley si era subito accodato al desiderio della nuora, e anche per convincere Ron ci era voluto poco. L'ultima a rassegnarsi era stata Molly (“Cos'ha la vecchia levatrice Glenna che non va bene? Pensa, Ronald, è lei che ti ha fatto nascere. Ha fatto nascere anche James Sirius, e Ginny non ha avuto nulla da lamentarsi ...”). Ma Hermione era stata irremovibile, e ora che la piccola era nata, e tutto era andato bene, ogni polemica era dimenticata. L'unico inconveniente era che non più di sette maghi alla volta potevano stazionare nella camera della puerpera, altrimenti l'eccesso di energia magica disturbava il funzionamento delle apparecchiature elettroniche e informatiche. Il numeroso e rumoroso clan Weasley (con le appendici Potter, Delacour, Johnson eccetera) era così costretto ad alternarsi nell'entrare ad ammirare la neonata e a elogiare la madre.
Verso le sei di sera del secondo giorno di vita di Rose Weasley, fecero il loro ingresso nella stanza, due presenze femminili non invitate e non previste. Parvati Patil e Lavender Brown. Alla vista della biondina, Ron diventò tutto rosso, e Hermione si irrigidì. Ginny, già incinta del proprio secondo figlio, era impegnata ad allattare al biberon il suo primogenito, e si limitò ad un distratto cenno di saluto.
Con un sorriso a trentadue denti, Lavender si avvicinò all'ancora informe esserino, sulla cui testolina cominciavano a spuntare timidi peluzzi rossi, e pronunciò la più scontata delle frasi di circostanza:”Oh, ma che bella bimba! E come l'avete chiamata?”
Hermione rispose tutta orgogliosa: “Rose”.
Lavender s'illuminò:”Che bello! Lo sai che è il mio secondo nome?”.
Il gelo pervase di colpo la camera. Hermione prese a tremare convulsamente. Rose cacciò un urlo disperato e Ron la prese in braccio. James fece eco alla cuginetta. Parvati disse in gran fretta “E' stato bello rivedervi, ma ora siamo in ritardo e dobbiamo andare”. Ed uscì, trascinandosi dietro una stupita Lavender.
Hermione si riprese la figlia e gridò:”Fuori tutti! Ronald Bilius, dopo uno scherzo così, tra noi due è finita!”.
Ron si allontanò con la coda tra le gambe, ma Ginny rifiutò di muoversi.
“Avevo detto fuori tutti”, sibilò Hermione alla cognata.
“Ho una poppata da finire”, ribatté Ginny, “e un'amica da far ragionare”.
“Ragionare?” strillò Hermione, “non voglio ragionare! Voglio solo cacciare via quel verme dalla mia vita! E non difenderlo solo perché sei sua sorella!”.
“Mai difeso quel mammalucco di Ron, e non comincerò ora. Ma dimmi solo una cosa. Tu sei stata sei anni nello stesso dormitorio di Lavender a Hogwarts, vero?”
“Sì, e con ciò?”.
“Tra ragazze nel dormitorio ci si dice tutto. Hai mai avuto sentore del fatto che Lavender avesse un secondo nome?”
“Devo ammettere … no. Eppure mi ha fatto una testa così raccontandomi di suo padre, di sua madre, del suo bracchetto, del suo povero coniglietto morto, di quella scombinata della zia Sally ...ma niente su un secondo nome”.
“E se non l'ha detto a te in sei anni di dormitorio, come avrebbe potuto dirlo a Ron in pochi mesi di pomiciate? Ti assicuro che di queste cose coi ragazzi non si parla. Me la sono spassata con Michael e con Dean, ma figurati se si è mai parlato di secondi nomi ...”.
Hermione si morse un labbro. “Forse hai ragione. Ma allora perché Ron ha scelto proprio quel nome? Cosa c'è sotto?”.
“Racconta tu: l'ha scelto lui quel nome? Ma come siete arrivati a decidere? Pensa che avevo scommesso dieci galeoni con George che l'avreste chiamata Muriel ...”.
“Infatti, quando l'ecografia ci ha detto che era una femmina, Ron voleva proprio chiamarla così”
“Scusa, cos'è l'eccografia?”.
“Uffa, qualche volta sei come tuo padre! E' il metodo Babbano per determinare il sesso del nascituro. Tra i maghi che si fa, si attende l'ultimo momento?”.
“Per nulla. All'ultimo giorno della luna nuova del quarto mese bisogna pronunciare l'incantesimo Mentulam revelo. Funziona quasi sempre, con James è andata così”.
Ginny tacque, per pudore, che quando era nata lei l'incantesimo aveva dato il responso sbagliato, e per anni aveva dovuto indossare gli abitini dei fratelli maggiori.
“Insomma”, proseguì Hermione un po' più tranquilla, “sono stata proprio io a dirgli che non era una buona idea. Avevo appena letto un libro di un Babbano, un tale Jodorowsky, che dice che se diamo ad un figlio un nome di una persona di famiglia, o di un amico, è come caricare questo povero esserino di un peso enorme. Tutte le aspettative, i ricordi, le recriminazioni, i rimpianti legati a quell'altra persona … proiettati su un neonato? Mi sarei sentita come se tenessi dentro di me una fotocopia della zia Muriel ...”.
“Che non è precisamente un mostro di simpatia”, ridacchiò Ginny.
“Ho spiegato tutto questo a Ron, e lui si è convinto. Allora (ricordo come fosse oggi, era quasi mezzanotte, eravamo a letto), si è alzato, ha guardato quei suoi stupidi poster di Quidditch (lo fa sempre, quando cerca ispirazione), e ha detto semplicemente 'La chiameremo Rose''. E a me andava bene, perché era un bel nome, e chi andava a pensare che fosse il nome di quella ...”.
“Sappiamo già che Lavender non c'entra. Oltretutto, lei ha chiuso con gli uomini. Ora vive con Parvati”.
“Sul serio?”.
“Si sono messe insieme l'anno che voi siete andati a caccia di Horcrux. Sarà stata la guerra, o non so cosa, ma penso che la cosa abbia fatto bene ad entrambe”.
“Ma se non è Lavender, chi può essere? Niente mi leva dalla testa che c'è di mezzo un'altra donna. Magari una collega d'ufficio, non puoi chiedere a Harry?”.
“Glielo chiederò, ma ti avverto: Harry non ha il minimo fiuto per queste cose. Se avesse dovuto uccidere Voldemort a colpi di pettegolezzi, saremmo ancora sotto il tallone dell'Ordine Oscuro”.
Le due amiche risero insieme, prima in sordina, poi sempre più sguaiatamente. Una risata liberatoria, soprattutto per Hermione che, sopraffatta dall'accumulo di emozioni, fece capire alla cognata che voleva dormire. Almeno quelle pochissime ore che restavano alla poppata successiva..
La mattina dopo, Hermione trovò un biglietto sul comodino.
Nessuna Rose al Ministero. Chiesto per sicurezza anche a Percy (qualche volta è utile avere un fratello odiosamente pignolo). Baci, Gin.
Hermione era disorientata. Nessuna storia in ufficio, possibile? Ripercorse con la memoria i pochi anni della convivenza e del matrimonio con Ron. Non era mai stato l'uomo che inventa riunioni fino a tarda notte, o trasferte di lavoro (lavorava nello stesso ufficio di Harry, ed erano inseparabili come ai tempi di Hogwarts). Era stato più volte, con Harry, in missione per dare la caccia a qualche Mangiamorte latitante, e ne era tornato con ferite e cicatrici, ma nessuna traccia di rossetto altrui. Non l'aveva mai sorpreso a inviare gufi a chissà chi, a biascicare scuse penose, a profumarsi più del solito. Non aveva mai riscontrato un calo di desiderio a letto, né gli aveva mai sentito addosso un odore estraneo (tranne quella volta, ricordò con un sorriso, che per stanare Rabastan Lestrange lui e Harry si erano calati nelle fogne di Londra). Consultò febbrilmente un vecchio numero di Witches' Weekly, dove c'era il servizio Dieci infallibili indizi per capire se il vostro uomo vi fa le corna. Nulla: zero su dieci. Possibile che quell'imbranato di Ron Weasley avesse compiuto il Delitto Perfetto, e poi si fosse tradito così banalmente?
Sentì bussare alla porta. Non era ancora l'ora della poppata. Non aveva voglia di vedere nessuno, ma malvolentieri disse “Avanti”.
Era Ron. Aveva le occhiaie, la barba non fatta, l'aria da cane bastonato. Le ricordò la volta che si era ripresentato davanti a lei, nella Foresta di Dean, dopo avere abbandonato lei e Harry. Aveva un grande tubo in mano, come quelli in cui gli studenti di arte o architettura tengono i loro fogli di lavoro.
“Hai cominciato il trasloco?” gli chiese Hermione con freddezza. “Perché, a meno che tu non abbia una spiegazione convincente, stasera dormi da tua madre”.
Ron aprì il tubo dicendo “Volevo solo farti vedere questo. Lo riconosci?”. Srotolò il foglio che vi era contenuto. “E' il poster che c'è sopra il nostro letto, a casa”.
“Lo so benissimo, se vuoi portatelo pure dietro”.
“Guardalo bene, ti prego”.
Hermione aguzzò la vista. Era abituata, fin dal primo giorno della loro convivenza, ad avere quel poster in camera, tanto che non l'aveva mai guardato se non distrattamente. Era vecchio, avrà avuto almeno un secolo. Era in bianco e nero e la magia funzionava a intermittenza. Mostrava una scena di Quidditch (ci mancherebbe altro, con uno come Ron!). Una donna robusta, quasi in piedi sulla scopa, dai lineamenti severi e concentrati nel massimo sforzo atletico, allungava la mano destra per acchiappare un Boccino, mentre con la sinistra respingeva gli spintoni di un uomo mingherlino e barbuto.
“Embè, è solo una tizia che prende un Boccino, no? Quante volte l'abbiamo visto fare a Harry, o a Ginny. Perché non hai preso un poster con uno di loro?”.
“Leggi la didascalia”.
La didascalia era scritta in caratteri gotici e un po' sbiadita, ma con un piccolo sforzo Hermione riuscì a decifrarla.
Campionato di Quidditch del 1892. Rose Milliband, Cacciatrice dei Cannoni di Chudley, conquista il Boccino nell'ultima, decisiva partita contro il Puddlemere United.
Ron cominciò a biascicare:”Sai, è l'ultima volta che i Cannoni hanno vinto il campionato, e ho pensato che poteva essere un buon esempio a cui ispirarsi per la piccola ...”.
Non riuscì a finire la frase. Hermione lo attirò a sé e lo baciò teneramente, non senza avergli tirato dolorosamente le orecchie.
Mezz'ora dopo, l'infermiera che portava Rose per la poppata li trovò ancora così, abbracciati e piangenti.
“Così tutto a posto, Hermione? Lo stupidone si è fatto perdonare?” le chiese Ginny quel pomeriggio.
“Sì, ma mi devo vendicare. Se me l'avesse detto prima, che c'entrava il Quidditch, mi sarei risparmiata mezza giornata di sangue amaro”.
“Cosa pensi di fare?”.
“Se mai avremo un maschietto, gliela farò vedere io”.
E infatti, due anni dopo …
“Stavolta è un maschio, Hermione!”, disse tutto emozionato Ron, con in mano il risultato dell'ecografia.
“Quindi tocca a me scegliere il nome, vero?”, chiese lei, con aria furbetta.
“So cosa stai pensando, Mione. Sono stato stupido, con Rose, e me lo merito. Se vorrai chiamarlo Viktor, non mi opporrò”.
“Viktor? Ma no, abbiamo già una Victoire in famiglia. Pensavo di chiamarlo … Hugo”.
“Hugo? Perché no? Mi piace, io sono per i nomi brevi. Non quelle sciroppate lunghe che piacciono a Harry e a mia sorella. Pensa “Al-bus-se-ve-rus”! Prima di aver finito di chiamarlo, quello chissà dove è andato, in che guai si è cacciato. Invece “Hu-go!”. Quello, come fa per muoversi, neanche un passo, e subito “Hu-go!”. Sì, è proprio un'ottima scelta, amore”.
Hermione sorrise. “A proposito, Ron, hai mai sentito parlare del libro Notre Dame de Paris?”.
“Dovrei leggerlo?”.
“Lascia stare, è uno di quei polpettoni francesi, non ti piacerebbe”.
Note di fine capitolo
Le considerazioni di Ron sulla brevità del nome Hugo sono spudoratamente ispirate al monologo finale di Massimo Troisi in Ricomicio da tre.