Tum-tum, tum-tum.
Il cuore martellava nel petto, nella gola, nelle orecchie. Copriva ogni altro suono, il respiro affannato, il rantolio di quelle creature, la paura. Non c’era nient’altro se non il suono di quel cuore che non aveva intenzione di smettere di battere, nonostante fosse inevitabile.
Avevo paura, una paura folle, che mi faceva tremare, inducendomi a dimenticare persino la sete letale che mi affliggeva. Non avevo mai avuto così paura in tutta la mia seppur breve esistenza.
Si dice che quando il tuo tempo sta per finire, la vita ti passa davanti agli occhi, facendoti rivivere ogni ricordo. Ma per me non fu così. Vidi soltanto un volto. Un volto a me tanto caro, quanto poco lo era il mio per lui. Mi somigliava talmente, che subito, impazzito dal dolore com’ero, lo scambiai per il mio. Era di un giovane, anche se sapevo che ormai qualcosa era cambiato su quel viso, forse la maturità, forse la guerra, l’avevano certamente marchiato a fuoco. Ma io lo vedevo ancora sedicenne, con un accenno di barba scura, i capelli ad incorniciare il viso bello, altero, nobile. Con quell’aria di innata eleganza che caratterizzava la nostra famiglia, ma soprattutto lui.
Un’altra fitta mi straziò il cuore a quell’allucinogena vista: il male che avevo fatto a lui e lui a me, la consapevolezza che mai, mai e poi mai, avrebbe saputo come andarono realmente le cose, che nonostante tutto avrebbe continuato a disprezzarmi. Eppure stavamo combattendo dalla stessa parte. Ma io ero nell’ombra.
In ogni guerra c’è un eroe che lotta nell’oscurità contro l’oscurità e che non viene riconosciuto come tale.
Io non volevo esserlo, ma mi rispecchiai in quel personaggio. Scoppiai a ridere, nonostante la Morte mi stesse già salutando e aprendo le sue braccia per accogliermi. Quel ruolo non mi apparteneva, era sempre stato di Sirius. Lui sì che era un eroe! L’eroe ribelle che aveva lottato contro tutto e contro tutti, rinnegato la sua famiglia per raggiungere la liberta! Lui era il coraggioso tra noi. Lui era il Grifondoro, non io.
Eppure, lì, sul “letto” di morte, mi sentivo l’eroe che in una guerra si sacrifica per la vittoria, per la libertà. Quello che viene enumerato tra i malvagi, ma che in realtà ha compiuto il gesto più significativo per portare alla conclusione sperata.
Mi beai in quella mia illusione.
Un eroe.
Un eroe come Sirius. Come sognavo da piccolo. Come non avevo mai smesso di sognare.
Buffo, nel momento della morte avevo realizzato il mio sogno.
Ora quelle mani viscide potevano trascinarmi con loro, trasformarmi in uno di loro. L’avrei accettato.
Sentii l’acqua invadermi i polmoni e, come ogni uomo, tentai di liberarmi. Ma contorcermi e dibattermi rendeva l’agonia peggiore. Quelle mani mi trattenevano sul fondo, era inutile combattere. Ma non volevo, non volevo morire! Volevo vivere, Merlino, dovevo vivere!
Il dolore fu straziante, mi strappò ogni altro pensiero, persino il viso di Sirius si offuscò. L’agonia fu lenta, lentissima.
Il mio cuore non voleva smettere di martellare, anzi aveva deciso di aumentare i suoi battiti.
Ma tutto ha una fine…
La vita…
La guerra…
La pace…
Il mio cuore…
Tum-tum…
Con un ultimo battito mi abbandonai all’oblio, felice di non dover più sentire quell’atroce dolore.
Tum.