Mi sento male.
Anzi, no.
Malissimo.
Mia figlia mi odia.
E quella erre, pronunciata forte e chiara nel nome del suo amico, è stata uno schiaffo. Penso di essermi fatta un’idea del dolore che si prova con un Cruciatus.
Appena tornati a casa, Claire, in lacrime, è corsa a nascondersi nella sua stanza. Piange da mezz’ora e ad ogni singhiozzo mi sento peggio. Abbiamo stabilito di lasciarla sfogare.
Sono ancora frastornata dal passaggio nel Flusso di Scorrimento, eppure il malessere che provo non dipende da questo. Odio veder piangere mia figlia, anche se si tratta di un capriccio. Detesto la parte della mamma severa, anche se so che questa cosa le servirà a non crescere viziata. I miei genitori mi sgridavano in continuazione, qualunque cosa facessi o dicessi. Non voglio diventare come loro, non voglio che il nostro rapporto madre-figlia sia basato su una sfilza di ottusi dinieghi, e Philip fatica non poco a tenermi in carreggiata. Mi sento un mostro, ben più del libro di Teddy invaghito della mia scarpa.
«Che razza di madre sono?» chiedo, seduta sul letto.
Philip, davanti all’armadio, si volta e mi guarda con affetto. Abbandona la felpa che stava infilando e siede accanto a me. Sono così stanca. Nascondo il viso tra le mani. Non voglio che veda le mie lacrime. Lo sento appellare la scatola dei fazzoletti di carta e allungarmene uno.
«Jillian, ti prego non fare così. Ha solo tre anni, ti ripeterà queste frasi un altro milione di volte come minimo da qui a quando sarà adulta. È solo delusa, le passerà. Come sempre»
Ha un tono molto quieto, pacato, e la sua mano scalda dolcemente la mia.
«Tre e mezzo» lo correggo io, in ritardo.
«Tre e mezzo» concorda, circondandomi con le braccia e baciandomi. «Dai, non piangere… Sai che non sopporto di vederti triste. Non è la prima volta che fa i capricci»
«È la prima volta che mi dice che sono cattiva con lei» singhiozzo contro il suo collo.
Vorrei sprofondare. Ora capisco come si sentiva mia madre quando a dire queste cose ero io. Certo, lei era molto più rigida e distaccata di quanto lo sia io, ma la sofferenza è identica. Philip mi culla per un po’ cercando di tranquillizzarmi. Chiudo gli occhi, ascoltandolo bisbigliare frasi rassicuranti. Il calore della sua pelle mi conforta.
Dopo un po’ (non so quanto sia trascorso dal nostro rientro) riesco a far chiarezza nelle meningi. Siamo genitori, non posso lasciare sola la nostra piccola. Dobbiamo andare da lei. Ha bisogno di essere coccolata più di me. E dobbiamo cercare di farle capire che non siamo cattivi, solo che ci sono delle regole e vanno rispettate.
Mi sporgo dalla porta. Claire è raggomitolata nell’angolo del suo letto, contro i draghi di peluches. Ha in braccio Nessie. La tiene così stretta che finirà col farle schizzare fuori l’imbottitura. Philip mi appoggia una mano sulla spalla, spingendomi ad entrare.
Se penso che quella stanza fino a quattro anni fa non c’era… L’ha fatta Sam, quando abbiamo detto a lui e ad Agnes che ero incinta. Ha impiegato una giornata intera a mettere insieme tutti gli incantesimi per realizzare il vano. Al resto abbiamo pensato io e mio marito. E i nonni. E Martin, ovviamente. Metà delle cose che ci sono in questa stanza sono arrivate dal suo negozio. L’apporto di mio fratello è stato impagabile, anche perché è l’unico della mia famiglia a sapere la verità su di noi.
Ho dovuto ricredermi sul suo conto. L’avevo sempre ritenuto una mente logica e razionale, un freddo realista identico ai nostri genitori. Invece, quando gli ho raccontato la verità ed ha visto Philip usare la bacchetta, non credevo ai miei occhi. Era entusiasta, è tornato bambino, diceva che aveva sempre sospettato che i miei sogni fossero qualcosa di più concreto, ma che non aveva mai osato ammetterlo per timore dei rimproveri di mamma e papà. Ora però, ora che sapeva, poteva infischiarsene e credere senza timore: sua nipote era una strega!
Quell’immagine mi dà un briciolo di coraggio.
«Claire?» chiamo sottovoce, sedendomi vicino a lei.
Nasconde la faccia in mezzo ai giocattoli. Sconfortata aspetto che sia Philip a fare la prossima mossa. Ho paura di scoppiare a piangere di nuovo.
«Ehi, principessa? Che vogliamo fare? Eh?»
Si contorce piagnucolando e continua a nascondersi. Si seppellirà sotto i pupazzi se non la fermiamo.
«Allora, principessa?» insiste pacato. «Sai che le principesse non piangono?»
«Sì che piangono!» mugugna.
«Quelle un po’ sciocchine, ma tu non sei un principessa sciocchina, vero? Sei la mia principessa!» e le fa una carezza, sciogliendo il codino ormai disfatto.
Claire si gira un poco. Le tenerezze di suo padre sono sempre un buon punto di partenza per le trattative.
«Vojo Loccan» bisbiglia con il drago rosa premuto sulla faccia.
«Chi? Non ho capito» fa lui, cercando il suo sguardo fra le pellicce multicolori.
«Loccan!» ripete, un poco più forte.
«Non lo conosco, chi è?»
Ho tutta l’intenzione di strozzarlo. La mia bambina sta per rimettersi a piangere e lui fa lo stupido! Ma che cos’ha in testa!?!
«Lorrrcan! Vojo Lorrrcan!» strilla e chi finisce strangolata è Nessie, a cui cade un orecchino.
Philip le sorride compiaciuto, sciogliendo anche l’altro codino. Rivedo me stessa alla sua età. In molte fotografie ho gli occhi lucidi, i miei sorrisi erano merce rara. Avevo genitori troppo duri, ne sono convinta.
«Ah, Lorcan! Il tuo nuovo amico! E che problema c’è? Domani arriva presto e vi vedrete all’asilo»
Claire rimette il broncio, nascondendo il faccino contro la povera draghetta rosa, ormai deputata a baluardo di difesa.
«Adesso!» piagnucola.
Guardo Philip, incapace di formulare un pensiero coerente. Lui mi fa un cenno, sa quel che fa. Non ama alzare la voce con nostra figlia. Da bravo Tassorosso, sa che la via migliore in certe situazioni è quella della calma. Parlare con una  bimba di tre anni e mezzo per spiegarle che i capricci sono una cosa sbagliata, anche se dettata dall’affetto, è un’impresa titanica a mio avviso. Tuttavia confido riuscirà nell’intento: ha avuto l’esempio di suo padre, un uomo paziente e gentile. Altre volte ho potuto notare quanto questi atteggiamenti li accomunino.
«Domani» ribadisce, facendole un’altra carezza.
«Io vojo adesso!» insiste cocciuta.
«Claire, fai sempre così quando non ci sono? Tutti questi capricci da bambina cattiva?» le domanda, improvvisamente serio.
«No» rispondo io abbracciandola e tirandola vicina, «la nostra bimba è sempre bravissima, perché sa che quando il suo papà si allontana poi torna sempre da lei, vero streghetta?»
Annuisce con forza. Ha gli occhi arrossati. Devo metterle un po’ di collirio, quello omeopatico che le ho messo l’altra settimana quando si è graffiata con le rose di Sam. Se solo ricordassi dove l’ho messo…
«E non sei contentissima di vedermi quando ritorno?»
«Tì» ammette, continuando a nascondersi, questa volta contro di me.
«Bene, perché anche Lorcan tornerà da te, domani»
Ci guarda, non sembra convinta. Credo proprio non abbia intenzione di farsi abbindolare da questa coppia di adulti chiacchieroni. Devo trovare una soluzione. E alla svelta.
«Mamma…»
Abbasso la testa, poggiando la fronte sulla sua. I suoi boccoli mi solleticano il naso. Sento la sua manina sulla mia pancia. Vuole che le dia un po’ di sostegno, che le dica qualcosa di buono. Se potessi l’accontenterei, ma so che non posso dargliela vinta ogni volta. Non è giusto nei suoi confronti. Deve imparare la lezione, per quanto possa risultarle sgradevole.
«Papà ha ragione» mi sforzo di dire. «Ogni tanto bisogna dividersi, così è più bello ritrovarsi. Credo che anche Lorcan sarà più contento di rivederti domani mattina, perché avrà sentito la tua mancanza, sai?»
«Tanto?»
«Tantissimo» confermo.
«Tantissimo così?» e spalanca le braccia.
«Oh, no! Molto di più! Ha detto che sei streghissima, come puoi mancargli così poco?» la prende in giro Philip e lei, prontamente, cerca di allargarle ancora.
Finalmente sembra cominciare a capire, o almeno ad accettare l’idea. Forse ha bisogno di un ulteriore motivazione, di un qualcosa che la distragga dal pensiero di Lorcan. Non so se sia il caso. Non vorrei dirlo ora, ma l’alternativa è continuare a giocare sui rapporti a distanza. Alla prossima occasione ci ritroveremo punto e daccapo, preferirei evitarlo. Ha bisogno di qualcosa che la spinga a comportarsi sempre bene, in ogni occasione.
«E poi» mi decido ad aggiungere, «sei una sorella maggiore. Devi dare l’esempio. Sei grande!»
Tento di ignorare l’espressione sbalordita di Philip. Non avrei voluto farglielo sapere così, pensavo di parlargliene questa sera a letto, e di preparare insieme il modo carino per dare la notizia a Claire.
«Sorrrella di chi?» domanda marcando nuovamente su quella magica consonante.
Guarda intorno, in cerca di qualche nuovo arrivato.
«Beh, ancora non so. Tu cosa preferisci? Un fratellino o una sorellina?»
Ci pensa un attimo, la lingua che le spunta da un angolo della bocca.
«Sorrrellina»
So perché vuole una sorella. Pensa a Emily e Brigit, le figlie di mio fratello, e a quanto si divertono insieme.
«Bene, allora bisognerà far capire alla sorellina come ci si comporta. Non vogliamo che faccia i capricci, vero?»
«No»
«E chi le insegna a essere una brava sorellina?»
«Io!»
Sollevata, la prendo in braccio e le copro il viso di baci. Stavo morendo di paura all’idea di averle fatto del male, di aver rovinato il nostro legame.
«E sai cosa fa una brava sorella maggiore? Primo, non piange e non fa i capricci. Secondo, fa il bagnetto con la mamma mentre il papà prepara la cena»
«Anche Nettie fa il bagnetto!» esclama e finalmente la vedo sorridere di nuovo mentre agita il pupazzo all’indirizzo di Philip.
Vuole che glielo animi, per giocarci nella vasca. Lui però impiega un secondo di troppo a capire e si prende una sgridata dalla figlia impaziente.
«Papà, tu dommi!»
La sua faccia è il ritratto dell’incapacità di comprendere.
«Papà è un po’stanco, tesoro» cerco di prender tempo io.
«Eh? Io, sì… un pochino. Ehm… Ah, sì, certo. Iocus animis
Non so se sia una buona idea quella di lasciarlo solo in cucina a preparare il suo famoso Timballo del Ritorno, la notizia lo ha sconvolto un po’ più di quel che mi aspettavo. Temo per i pensili. Non vorrei dover chiamare Sam in tutta fretta per qualche disastro. Adesso è lì, con indosso solo i pantaloni del pigiama, ancora confuso. Mi fissa, seduto sul letto. Cerca la mia mano, portandomi dinnanzi a sé.
«Perché non me l’hai detto?» rimbrotta, fingendosi offeso.
So che non è arrabbiato. I suoi occhi sono pieni di gioia e si mordicchia il labbro, chiaro segno della sua agitazione repressa.
«Ho ricevuto i risultati delle analisi solo ieri sera. E oggi ho avuto la conferma definitiva, mentre ero a Hogwarts»
«A Hogwarts? Non mi hai detto di essere andata da Madama Chips»
«No, infatti. È stata una delle Centaure a farmelo capire» e gli racconto quanto è successo nel Soffio, di quello sguardo, di quel gesto e di quell’esclamazioneo finale. «È stata una sensazione strana, sembrava vedesse dentro di me»
Lui sorride, posando entrambe le mani sui miei fianchi. Mi fa avvicinare ancora, sistemandomi fra le sue ginocchia. Gli accarezzo i capelli.
«Di quanto…»
«Due mesi»
Sospira. Sta cercando di ricordare in quale occasione siamo riusciti a compiere questa magia. L’unica che si può compiere a prescindere dall’essere maghi. Probabilmente è stato durante il Festival internazionale del Docklands e di Greenwich*. La fiera aveva entusiasmato la bambina al punto che è crollata subito dopo cena, lasciandoci tutto il tempo di allestire il nostro personale spazio festivo in camera da letto. Sì, dev’essere andata così. Una notte felice per un evento altrettanto radioso.
«Credi che… mi senta?» chiede titubante.
In risposta sollevo la camicia da notte, finché non sento il suo respiro sull’ombelico.
«Perché non provi a domandarlo al diretto interessato? O interessata?»
Rido quando la sua bocca si posa sulla mia pelle. Soffro il solletico ma resisto. Ogni bacio è una tortura dolcissima. Lo abbraccio. La sua pelle un po’ ruvida per la barba non fatta non mi infastidisce, anzi. Gli avrò detto un milione di volte che lo preferisco in questa versione “uomo rude dal cuore tenero”.
Un brivido mi scuote dalla testa ai piedi. Un brivido diverso. Philip si ferma, preoccupato.
«Cosa c’è?»
Sorrido, chinandomi a sfiorare le sue labbra.
«Ti sente» sussurro.
Ricambia il mio sorriso e il mio bacio.
«Pensi che… possiamo…»
«Philip, sai che non c’è problema… e poi non hai ancora un cavallo marino spiaggiato sotto le coperte»
«Ippocampo, non cavallo marino» corregge, trascinandomi sul letto. «E comunque, ti ho sempre trovata stupenda durante la gravidanza di Claire, mi pareva di avertelo fatto notare in più occasioni»
Cielo, se ripenso agli ultimi due mesi prima del parto mi torna il mal di schiena. Avevo preso quasi dieci chili e pur essendo abituata al mio fisico non propriamente da Veela, mi sentivo un disastro. Solo quando Claire si agitava dentro di me ritrovavo la giusta prospettiva. Allora mi sentivo bellissima. Interpretavo il suo scalciare come un modo per dire che non dovevo deprimermi, che stavo portando un essere meraviglioso dentro quell’ingombrante rotondità.
Lui mi sfiora una guancia con le dita.
«Posso fare l’amore con te? Te la senti?»
Amo mio marito. Arrivare a chiedermi il permesso per una cosa simile. Quanti uomini lo farebbero?
«Mi prendi in giro? Sei stato via due giorni! Sei in arretrato, caro il mio signor Cross…»
«Mi farò perdonare, cara la mia signora Cross e mamma bis!» replica.
Fare l’amore è un problema da quando è nata la piccola. Prima erano le colichette e le poppate notturne a rompere la magia. Ora sono i brutti sogni, il bisogno di coccole, il sentirsi al centro dell’attenzione. Abbiamo perso il conto delle volte che abbiamo dovuto interrompere le nostre effusioni per via dei suoi pianti o perché piombava in camera senza che la sentissimo arrivare.
Ci spogliamo in fretta, non c’è tempo da perdere. Ogni secondo è prezioso per la nostra intimità.
La luce azzurra dell’illuminazione stradale filtra soffusa attraverso le tende. Avremmo voglia di fare tutto con calma, di sentirci liberi di gridare se necessario, di ansimare e gemere senza preoccuparci di tendere l’orecchio in attesa di un suono o una voce. Philip cerca di essere delicato, mi riempie di baci, carezze, tenerezze, sfiora il mio ventre ogni volta che può.
Questa volta siamo stati fortunati. Siamo riusciti ad arrivare fino in fondo senza sorprese.
Mentre ce ne stiamo lì, l’uno nelle braccia dell’altra, appagati, azzardo una domanda.
«Cosa vorresti? Un maschietto o una femminuccia?»
«Questo l’ha già deciso Claire, mi pare» risponde stringendomi.
«No, sul serio, Philip. Tu cosa vorresti che fosse?»
«Vorrei solo che fosse sano, e che avesse ancora i tuoi occhi. Mago o Babbano, non importa»
Sto per ribattere che non è giusto, che questa volta il bambino dovrebbe ereditare i suoi, quando una vocina chiama. Sprofondiamo entrambi la testa nei cuscini. Niente da fare, non è un sogno che la fa parlare nel sonno.
«Su, papà, tocca a te!» sospiro, spingendolo verso il bordo del letto.
«Okay, okay. Tu bada al piccolino, arrivo subito»
Mi sistemo sui cuscini, pronta all’ennesima mezz’ora di psicologia infantile. Ricompaiono poco dopo. Claire viene deposta sul materasso e gattona fino a raggiungermi, trascinando la povera Nessie sulle lenzuola.
«Brutto sogno?» chiedo.
Nega in silenzio, interessandosi al peluche.
«È scappato uno dei tuoi draghi?»
Altro diniego.
«Io ho pensato» dice, rigirando gli orecchini di Nessie.
Altra frase celebre di mia figlia, insieme a “Papà mi ha promesso”. Generalmente seguono dei voli pindarici che solo lei è in grado di seguire. La maggior parte delle volte noi restiamo inchiodati a quel breve preambolo, ascoltandola basiti e rallegrati dalla disarmante semplicità con cui riesce a mettere insieme i punti di vista più sconclusionati. Potere dell’infanzia.
«Cos’hai pensato, su, facci sentire» la invita Philip, tirando su le lenzuola.
«Io vojo il fatellino»
«Fratellino» la correggo.
«Frrratellino» ripete annuendo.
«Come mai questo cambio? Non vuoi più la sorellina? Non ti piace più?» domando, colpita dalla piccola rivoluzione.
«Lei poi mi ruba»
«Ti ruba i giochi?»
«No, rrruba Lorcan»
Ci scambiamo un’occhiata a metà fra il perplesso e il divertito. Adesso che ha deciso di dire la erre la raddoppia a casaccio. Ma è la sua uscita a divertirci maggiormente. Quel ragazzino deve averle fatto una grossa impressione se è ancora fissata con lui.
«Ma quando nascerà sarà piccola piccola, come nelle foto che ti faccio vedere di quando sei nata tu!» spiego, abbottonandole il pigiama.
«Ma lei poi diventa grrrande e mi ruba»
«E perché non deve rubarti Lorcan? Non potete giocare insieme? Sai, anche lui ha un fratellino. Potete giocare in quattro. È più divertente. Tu, la tua sorellina, Lorcan e…»
Inutile per Philip tentare di blandirla: lei replica prima che possa finire.
«No. Io pposo Lorcan»
Philip ha uno scatto strano, come se fosse inciampato. Il che è improbabile, visto che è sdraiato.
«Lo s-sposi?»
«Lui è amore a me, e io lo pposo»
«Ha detto lui che vuole sposarti?» s’informa.
«No, io ho detto. E lui mi pposa pecché sì!»
Decisa, non c’è che dire.
«E dove andrete a vivere?»
«Nella cameetta» risponde, indicando la porta della sua stanza.
«Nella tua stanza? E farai anche la lavatrice, da mangiare, le pulizie…» 
«No, fa mamma» sbadiglia.
Questa poi non me l’aspettavo. Credevo avrebbe accennato ai suoi elettrodomestici giocattolo.
«Ah, grazie! Furba la signorina qui, eh?» rido facendole il solletico. «Trovi il fidanzato, ti sposi e poi la mamma fa tutto il resto, vero? E chi lavora?»
«Papà!» ride additandolo.
«Meno male, pensavo avrei fatto anche quello… e  perché tu e Lorcan non lavorate?»
«Perrrché siamo piccoli! I bimbi non lavoano, giocano»
Il ragionamento non fa una piega. Per lei. Io non ricordo di aver mai fatto simili discorsi alla sua età. Mi torna in mente una cosa che Rolf ha detto oggi, di ritorno dal Paiolo Magico: che i nostri figli sono più svegli rispetto a come eravamo noi alla loro età. E io che l’avevo sempre ritenuta una frase fatta. Ha perfettamente ragione.
Sarebbe ora di dormire. Per stanotte staremo insieme in questo letto e domattina telefoneremo a Martin per dargli la bella notizia. E per avvisarlo che sua nipote si sposa. Forse dovrei dirlo anche a Rolf e Luna. Magari anche a Lorcan, ma credo che a questo penserà direttamente Claire.

* Festival internazionale del Docklands e di Greenwich: si tiene nell’ultimo fine settimana di giugno. Il pubblico può assistere gratuitamente a processioni, spettacoli, concerti e fuochi di artificio.

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