Cerca di trattenersi. Lo guarda. Abbassa la testa per nascondersi. Non ce la fa. Prova ad interessarsi al piatto che ha riempito all’inverosimile. Gli do trenta secondi, non di più. Anche Philip, seduto accanto a me, si trattiene a stento, prendendo un’altra grossa fetta di Shepherd’s Pie*. L’ilarità serpeggia in maniera inquietante, lo sfogo è dietro l’angolo.
«Allora, Ron, vuoi finirla?» sbotta Harry, schermato da alcune bottiglie di Burrobirra.
Vinco la scommessa con me stessa. Scoppia a ridere battendo una mano sul tavolo, rischiando di far rotolare dappertutto le Jacket Potatoes** che stanno di fronte a lui sulla tavolata.
Dopo un primo istante d’incertezza, io, Philip, Hermione, Rolf e Tonks ci uniamo, con le lacrime agli occhi.
«Non capisco cosa ci troviate di tanto divertente» rimbrotta, fingendosi offeso.
In realtà è molto contento di essere stato definito un emerito incapace da una bambina di tre anni. Lo prende quale segno che la gente inizia a non identificarlo più come una specie di dio in terra. É una cosa ce non ha mai potuto soffrire, anche se da ragazzo l’appellativo di “Prescelto” gli dava un brivido d’orgoglio nei momenti in cui era prossimo a cedere.
«Surclassato da un Vermicolo, è fantastico!» fa Ron, riprendendo fiato e guardando intorno con gli occhi annebbiati dalle lacrime. «Dov’è? Dov’è quella meraviglia, voglio farle i complimenti! Non ne sentivo una così bella da… da quando?»
«Direi da quando la Dippet ha annunciato che si sposava» suggerisce Potter, afferrando James per la maglietta mentre tenta di strisciare giù dalla sedia. «Qui, tu. Lo sai che sei in punizione»
«Ma papà, non ho fatto niente!» mugola il bambino, poggiandogli il mento sul braccio con occhi imploranti.
«Inventane un’altra, e smettila di fare la brutta copia di Sirius. Non sei capace» lo riprende, aggiungendo a bassa voce: «Non mi costringere ad un Legamenta come fa mamma… Non voglio usarlo per farti obbedire»
Credo che questa la minaccia sia tutt’altro che reale, dubito abbiano mai provveduto ad attuarla.
James sbuffa, incrociando le braccia e mettendo il muso. Il padre, per punirlo delle prese in giro al fratellino, gli ha imposto l’assoluta immobilità a pranzo. A parole s’intende, non affatturerebbe mai un bambino, nemmeno se lo meritasse. Non può allontanarsi di un centimetro dal suo fianco e la cosa lo disturba parecchio. È da venti minuti che lancia occhiate infuocate agli altri bambini, liberi di muoversi e di intralciare a piacimento gli inservienti.
«Tonks, come mai Remus non è venuto?» domando alla mia dirimpettaia.
«Ci raggiungerà per il dolce. É andato a Diagon Alley con Teddy a comprare le cose per Hogwarts» replica, indicando la porta che dà sul retro con la costoletta che tiene in mano.
«E ti fidi? Gli lasci fare le compere?» domanda esterrefatto Harry, a cui Ginny ha tassativamente vietato certe incombenze.
Pare che il qui presente abbia l’innata tendenza a tornare a casa con la lista della spesa arricchita da voci non richieste, generalmente attinenti al quidditch. Dalle riviste specializzate ai modelli in miniatura delle scope dei campioni del passato, se non direttamente dei manici nuovi e biglietti per le partite. Passi che la moglie è stata un’ottima giocatrice e ora fa la commentatrice sportiva, e che la dimora in Grimmauld Place è dotata di un numero di stanze prossimo all’infinito, ma a tutto c’è un limite. Solo che lui proprio non lo vede. Rimarrò sempre dell’idea che un buon oculista Babbano aiuterebbe. E ripeto, Babbano. I medimagi del San Mungo mentirebbero in maniera indegna sulla sua miopia, pur di entrare nelle sue grazie. Credo sia per questo motivo che non si fa visitare da un secolo.
«Di libri ci capisce più Remie di me! Teddy poteva andarci anche da solo, è grande, inizia il terzo anno. Sa bene cosa gli occorre. Però Remus ha insistito, aveva voglia di fare un po’ il topo mannaro di biblioteca e aveva un sacco di ore di permesso da farsi scalare… Solo che avrebbero potuto dirmelo prima, così sarei andata anch’io!» brontola, addentando il manicaretto con foga da mannara digiuna.
Sappiamo tutti perché quei due si sono defilati lasciandola qui: la sua goffaggine associata agli scaffali del Ghirigoro è sinonimo di disastro. Ron porta ancora i lividi di qualche mese fa, quando è andato a ritirare alcuni volumi per me ed Hermione e ha incontrato la signora Lupin proprio là dentro. O meglio, si è scontrato con lei, ritrovandosi sepolto da una pila di libri e mensole, alta e battagliera quanto il Platano Picchiatore.
«Merlino, ha già tredici anni!» sospira Hermione, accarezzando una testolina rossa che sbuca appena oltre il tavolo. «Come passa il tempo! Sembra ieri che strillava perché doveva essere cambiato ed ora…»
«Mamma, quando io ho tredici?» chiede curioso Hugo.
«Tu? Fra nove anni. Questi» e gli mostra le dita.
Il bambino le conta una alla volta con l’indice, incespicando nei numeri. Fa una smorfia.
«Sono tanti» lamenta.
«Sono quelli che ci vogliono, per la miseria!» risponde Ron, prendendolo sulle ginocchia. «E se non mangi abbastanza e diventi grande come me, gli anni aumenteranno e a Hogwarts ci andrai quando avrai l’età di nonno Arthur! Vuoi essere il primo studente con la dentiera?»
Prontamente, il bambino accalappia un boccone di torta salata dal suo piatto e lo intinge nella salsa di rafano. Lo manda giù praticamente intero, suscitando i rimproveri della mamma. Io gli farei i più vivi complimenti per la resistenza, oggi quell’intruglio è davvero piccante.
Un altro commensale che non lesina sul condimento è Rolf Scamandro: le protuberanze nel suo piatto sono glassate di salsa al punto tale che è difficile capire che sono patate ripiene. Incontrarlo mentre veniva a prendere Lorcan è stata una bella sorpresa. Mi aspettavo di vederlo solo domani, al seminario di Linguistica Magica. Purtroppo Luna non ci sarà stavolta: è rimasta a casa con Lisandro. Il poveretto è gonfio come una zampogna per aver stuzzicato con un po’ troppa foga un Mimbulus Mimbletonia, che l’ha ricoperto di siero. Siero a cui entrambi i gemelli sono allergici in maniera preoccupante. Così, l’esimio professore, ha dovuto portare con sé l’altro erede per evitare che, nel tentativo di risollevare il morale del fratello, questi finisse coll’imitarlo. Non sarebbe la prima volta che tentano di condividere le loro sventure. In quattro anni hanno accumulato una lista di “incidenti” da far invidia a Tonks. La sola differenza tra di loro -età a parte- è che i piccoli Scamandro i sinistri se li cercano.
Luna è rimasta incinta poco dopo il matrimonio, e i bambini somigliano molto a Rolf, anche se l’espressione sognante che gli si dipinge sul volto in alcune occasioni è identica a quella della mamma. È una madre molto affettuosa, presente, comprensiva, affatto assillante. Certe volte penso che dovrebbe essere più severa con loro, perché li lascia un po’ troppo liberi di scoprire il mondo in autonomia, non stabilisce regole vere e proprie. Guardando però Lorcan seduto per terra accanto a Claire, intenta narrare chissà quale astruso racconto, mi dico che forse sono io ad essere troppo severa con la mia amica. Quel bambino non è affatto un pericoloso, piccolo selvaggio. È persino più educato di Albus, che è il ritratto spiaccicato di suo padre.
«Jill?»
«Sì?»
Hermione ha una faccia strana, molto pensierosa.
«Che impressione ti hanno fatto?»
«Chi?»
«Le Centaure»
«Hermione, sai che non…» inizio io.
La regola è di non parlare di lavoro quando pranziamo, lo sa. E per quanto la mattinata sia stata densa di eventi, non mi sento di voler mandare a monte le abitudini che da anni portiamo avanti.
«Centau-re? Centau-ri, vorrai dire. Sono esseri sapienti, che posseggono i pregi ed i difetti dell’intero genere umano, anche se portati ad un livello di elevazione inarrivabile. Profondi conoscitori delle stelle e del destino. Guaritori. E sono maschi» corregge Tonks, dopo essersi fatta spuntare una lunga barba da filosofo greco.
«Non voglio parlare di lavoro» si schermisce. «Voglio solo sapere che effetto ti hanno fatto le Centau-re. Femmine, Tonks. Le abbiamo incontrate stamattina»
«Femmine? Dite sul serio?» chiede Ron, assolutamente incredulo. «Pensavo che non esistessero»
«Ti sei mai domandato come si riproducano, senza femmine?»
Ron è interdetto e ammette di non essersi mai posto il problema.
«Beh, io avrei un’ipotesi bavosa a riguardo…»
Tutti si girano a guardare Tonks, perplessi oltre misura.
«Pensavo fossero come le lumache»
Vedendo che nessuno osa proferir parola, anche solo per tentare di sviare il discorso, spiega:
«Ermafroditi! Fanno tutto da soli!»
«No… ehm, Tonks, scusa se te lo faccio notare, ma proprio non è possibile che lo siano»
«Perché, Harry? Ti intendi di ermafroditi?»
Il poveretto cambia colore con la stessa rapidità dei capelli della Metamorphomagus, sordo all’insistente richiesta di James, che gli domanda se lui è quella cosa che ha appena detto la zia. Parecchi sguardi inquieti si ricorrono sopra il desco, pregando che gli altri bambini non abbiano sentito. Non sapremmo come spiegar loro cos’è un ermafrodito.
«N-no! Non è q-questo che intendevo!» cerca di replicare, in evidente difficoltà.
«E cosa? Gli hai chiesto di alzare la zampa per vedere sotto?»
«Dora, guarda che si vede la differenza»
«O-oh! E come mai ne sei tanto sicura, Hermioncina cara?» ammicca.
«Forse perché il dimorfismo sessuale è evidente, cosa che tu sfuggi con perizia per portare la discussione sul piano a te più congeniale» la rimprovera pacato qualcuno alle sue spalle.
Remus e Teddy ci salutano allegramente, prendendo posto.
«Oh, i miei pellicciotti preferiti!» esclama abbracciandoli e baciandoli energicamente, incurante della sedia che rovescia a terra insieme alla borsa. «Avete finito di scialacquare la pecunia?»
«“Scialacquare la pecunia”? Mamma, hai mangiato un dizionario?» domanda preoccupato Teddy, sbirciando tra i piatti vuoti.
Concordo: non è da lei usare vocaboli tanto elevati.
Subito Albus, Rose, Lily e Hugo circondano il cugino, tartassandolo di inviti al gioco. Accetterebbe, se Alicia non arrivasse giusto in quel momento a portare in tavola il dolce.
Da un po’ di tempo a questa parte Tom, il proprietario del locale, ha ridotto le sue mansioni, passandole a sua figlia Delice, in veste di cuoca, e ad Alicia e Russell, i due camerieri. Ormai, il vecchio oste si occupa solo della supervisione della sala e dei conti.
I bambini riprendono posto diligentemente. Non certo per obbedire ai nostri richiami: il cheese cake ai frutti di bosco ed i muffin assortiti sono infinitamente più attraenti. Briciole piovono ovunque, sulle faccine golose appaiono allegri pastrocchi di cioccolato, marmellata e salse varie. Un piccolo carnevale.
La faccia cupa di James si distende addentando una fetta di torta sproporzionata per le sue capacità. Harry non riesce a nascondere un’ombra di dispiacere per sé stesso. Gliel’ha tagliata lui, oppresso dal senso di colpa per averlo sgridato. Vorrebbe essere in grado di imporsi su quel ragazzino troppo esuberante come fa Ginny, che riesce a tenerlo sempre in riga. Proprio non riesce. Lo guarda con tenerezza e lui ricambia, un po’ strafottente. Remus scuote la testa: ha ripetuto alla nausea a Harry che mettere insieme i nomi del padre e del padrino defunti era una pessima idea. Quando guarda quel marmocchio impertinente gli si legge in faccia che la pensa ancora così.
Clarie, finito il suo muffin alle fragole -ribadisce: le cose rosa sono da femminucce e questo era fuxia come i capelli di Tonks, quindi assolutamente perfetto-, sbadiglia accoccolandosi contro il petto di Philip.
«Ttanca» sospira soddisfatta, pulendo le mani sulla tovaglia martoriata dalla sbadataggine dei commensali.
Sorrido. Il suo adorato papà non resiste al segnale e comincia ad accarezzarle i codini ormai sfatti. Starei a guardarli per ore. Sono un quadretto dolcissimo. La mia piccolina giocherella con un bottone della sua camicia, intanto lui le arriccia una ciocca attorno al dito, solleticandole l’orecchio. Fin dal primo momento in cui ho saputo di essere incinta ho capito che Philip sarebbe stato un padre meraviglioso. Ne ho la conferma ogni giorno. Senza accorgermi, porto una mano sul ventre. Non avevo idea di quanto forte potesse essere il legame che si crea tra una donna e la creatura che porta in grembo per nove mesi.
La discussione sulle Centaure cade nel vuoto, mentre i vassoi vengono vuotati delle leccornie, lasciandone solo il profumo invitante.
Presi dalla noia, i bambini riprendono i giochi e anche Claire si rianima, cercando di raggiungerli.
«Ehi, ehi, ehi! Dove scappi?»
«A giocae con Loccan!»
«Ancora? Hai detto che eri stanca!» obbietta Philip, dandole ad intendere di sentirsi deluso da quell’abbandono.
Non gli ha nemmeno accennato al regalo, cosa molto insolita. Di solito è la prima cosa che chiede.
Claire gli si accosta all’orecchio e bisbiglia, con le manine stretta a coppa:
«Lui sa i ddaghi!»
«Ah, beh, se conosce i draghi…» e la lascia scendere dalle ginocchia.
Il quintetto di maghetti e streghette si riunisce accanto ad un’alta credenza. Con tutto lo spazio che ci sarebbe sotto la scala che porta di sopra, loro occupano sì e no un metro quadro nel posto più problematico del locale.
«Lorcan ha un futuro come ricercatore nel settore dei draghi. Due mesi fa in Galles ha scovato un nido di Sabbionari! Era praticamente intatto, c’erano ancora i resti delle uova. Incredibile. Io non lo avevo notato»
«Sabbionari? Cioè come dire…» domanda Tonks, ma prima ancora che possa azzardare una delle sue battute, Rolf la interrompe, intavolando un’interessante lezione di Dragologia.
I bambini si avvicinano, ascoltando estasiati la descrizione dei Sabbionari, piccoli draghi delle dimensioni di una pecora, privi di ali e dotati di zampe anteriori piatte e tozze, adatte a scavare. Vengono chiamati così per due motivi: il primo è che le coste sabbiose sono il loro habitat, il secondo è che per vivere lungo le spiagge hanno sviluppato una livrea che imita perfettamente i colori e la grana della sabbia. Si nutrono dei crostacei che trovano scavando nei lidi.
«Addiamo a ceccalli?» trilla Claire, ma non sta parlando con me o con Philip.
La domanda è unicamente per il suo nuovo amichetto, che annuisce, chiedendo però una cosa in cambio.
Trascina Claire accanto a Rolf e lo chiama. Ha un’aria molto seria. Vorrà chiedere al suo papà se possono cercare draghi lì nel Paiolo Magico.
«Gli fai vedere il dito?» e le prende il mignolo.
Cielo, no… non ci credo. Non so che fare, se ridere o morire d’imbarazzo.
«Lei dice che ha tantissima magia qui dentro. Più di Harry!»
«Sì» conferma lei, alzandosi sulle punte per mettere in mostra la sua presunta arma. «Io sono steghissima!»
Lo studioso è perplesso e finge di analizzare la mano. Potter ridacchia trionfante, sorseggiando il succo di zucca avanzato da Lily.
«Papà, quanta magia ci sta in un dito?» chiede compunto Lorcan.
Quando pone domande è identico a Rolf. Durante i seminari spesso si rivolge agli uditori coinvolgendoli allo stesso modo, obbligandoti a ragionare su quanto appena esposto o su quel che sai. Non puoi limitarti a startene seduto passivamente nella tua poltroncina prendendo appunti, devi partecipare. E in un modo o nell’altro, farai quel che chiede.
«Dipende dal dito» dice Tonks, sventolando un pollice delle dimensioni di un’anguria.
Lily, che ha le dita piccole e sottili, piagnucola che lei ne ha poca di magia e corre a farsi consolare dal padre. Povero Harry, non so come riesca a gestire quel terzetto. James non perde l’occasione per mostrare a tutti che invece è in possesso di un paio di appendici prensili abbastanza capienti, oltre che sporche di crema e di macchie di pennarelli. Teddy, che ha un’indole piuttosto tranquilla al pari del padre, non replica, ma apre e chiude le dita sotto al tavolo. Le sue mani sono il doppio di quelle del piccolo rompiscatole. Hugo e Rose invece scambiano pareri confrontandosi palmo contro palmo, giungendo all’inspiegabile costatazione che sono in possesso della stessa quantità di magia, anche se Rose è più grande.
«Io sono forte, ho mangiato tanto come papà e ho tanta magia!» esclama il maschietto trionfante.
«Non vuol dire un Bubotubero secco!» prorompe la sorella. «Puoi averne tanta o poca, ma tanto se non sai usarla la magia, non ti serve a niente!»
Un ragionamento degno di Hermione.
«In realtà» interviene Scamadro Senior, «si tratta di una questione ampiamente dibattuta, e che non possiede un autentico fondamento oggettivo…»
«Rolf!» esclama stizzita Hermione, cercando di zittirlo.
«Sì?»
«Sono bambini, cosa pensi che capiscano di queste cose?»
«Io capisco!» obbietta acido James.
«Anch’io, non sono stupida!» fa eco Rose, guardando in tralice la mamma.
Non ho mai visto Hermione in crisi come ora. Non sa cosa dire alla figlia che la fronteggia altezzosa. Harry intanto è riuscito a recuperare punti di stima presso il maggiore dei suoi ragazzi. Gli a ha assicurato che certamente è un tipo intelligente, ma che quelle cose non sono facili per nessuno. E soprattutto sono molto più noiose dei racconti sui gatti della signora Figg. Un argomento sufficiente a farlo desistere.
«Rose, tesoro, io non ho mai detto che tu…»
«Hai detto che non capisco! Invece a casa dici sempre il contrario! Tu dici le bugie!» strilla, con due grossi lacrimoni in procinto di scorrerle sulle guance.
«Ma no, ma no!» interviene Ron, prendendo la per mano e tirandosela vicina. «Vieni qui, cervellina mia. La mamma non voleva dire che sei stupida, anzi! Tu ci capiresti tutto, anche più di lei! Solo che queste faccende sono così complicate che fanno venire il mal di testa. E se viene a te o a Hugo o a gli altri, come fate i vostri bei lavoretti con le maestre? Eh? Me lo dici? Miseriaccia, io voglio il mio bel disegno giornaliero da mettere in ufficio domani mattina!»
Il suo sorriso tranquillizza la bambina, ma non può toglierle il broncio mentre si volta verso la mamma. Ha uno sguardo accusatorio.
«Rose, tu sei una bimba intelligente. Non sei stupida» dice Hermione facendole una carezza. «Ho sbagliato ad esprimermi»
«Come quando dici che quelli che fanno Quiggit sono tutti somari sulle scope e poi dici alla zia Ginny che lei è bravissima?»
La bocca della verità! Il mio capo prende una deliziosa tonalità amarena, in tinta coi capelli del marito. Il cognato la fissa con una buffa smorfia, sul tipo “ah, le cose stanno così?”.
«Sì, amore. Esatto» ammette imbarazzata.
I più piccoli cominciano a sbadigliare e a strofinarsi gli occhi. È ora di rientrare al Ministero per il pisolino.
*Shepherd’s Pie: torta salata con carne d’agnello, ricoperta di purè di patate.
**Jacket Potatoes: patate al forno, ripiene di tonno o carne e formaggio.