Note alla storia

Titolo in italiano: promessa.

Note al capitolo

La storia ha partecipato al contest "Tribute to Micheal Jackson" di Only me, su EFP.
La canzone è appunto "Dirty Diana" di M.J. e come tale non mi appartiene.
Promise

[…]She says «that’s ok.
Ehi, Baby do what you want,
I’m the stuff that you want,
I’m the thing that you need».


1976
Fu solo quando la professoressa McGranitt si avviò con cipiglio severo e passo di marcia verso il tavolo dei professori, fendendo la folla in due come un rasoio affilato, che lui osò alzare gli occhi.
Plumbei, scuri e tetramente luminosi tra la cortina di capelli scuri e selvaggi.
Un ghigno di derisione scappò tra le labbra sottili, tagliando il viso pallido e fine «Ops…» sussurrò solo.
Un sussurro a malapena udibile e la Sala scoppiò; nella marmaglia di risa e parole fuggite al vento - uno sguardo solo, silenzioso e vibrante.
Degli occhi grandi – troppo grandi – profondi in modo osceno, lo fissavano muti, lasciando scivolare discorsi troppo antichi da ricordare, troppo consumati da rievocare.
Sirius ammiccò mentre si avvicinava, vestendosi dell’indifferenza che – intrappolata nel corpo – piegava occhi troppo avvezzi a trasparire, per dissimulare ancora. Tuttavia ci provò, abbassando lo sguardo, velando lo specchio che poteva riflettergli l’anima.
«Ciao, cugina» emise, condensando una singola nota d’ironia che lei non poté che raccogliere.
Un ghigno di labbra rosse si aprì sul viso pallido di un’ antica bellezza di memorie passate, circondato da una chioma fluente, intricata, profonda e odorosa come steppe in pioggia.
Non respirò, ma l’odore filtrò come veleno tra le crepe della propria pelle, impregnando i muscoli, fin dentro le ossa; rabbrividì e il ghigno si allargò.
«Ciao cugino. Bello scherzo, degno di te» sibilò Bella, sfiorandogli la divisa mentre lo superava.
Gli lasciò il vuoto addosso ma quel maledetto odore lo sentiva dentro come un cancro intossicante – sempre.

La rivide che pioveva, come in ogni patetico romanzo di appendice.
Sotto la pioggia, i contorni si sfocavano.
Sotto la pioggia, ritornava lei – solo e soltanto.
Scappava quella notte, da un destino vuoto che avrebbe dovuto accoglierlo e – invece – lo aveva sputato miseramente. Fuori, nella notte, ancora una volta.
E lei era lì.
La lunga chioma protetta e celata da un lungo mantello scuro grondante acqua, le lunghe dita chiare a stringere quel pezzo di legno che dava tanto potere.
E gli occhi, grandi e scuri, che lo fissavano scappare via – veloce - verso qualcosa.
Sirius si allontanò a grandi falcate dalla porta scura di Grimmauld Place, fino a raggiungerla. La camicia zuppa gli si era incollata al petto smagrito, i capelli erano appiccicati alla fronte e al collo come pellicola. Si fissarono per un lungo attimo mentre il silenzio si protraeva tra loro come una mano invisibile, poi lui chiuse gli occhi. Già, semplicemente.
Nel suo sguardo c’era quella bestia che scivolava pigramente appena sotto superficie labile dell’iride.
Bestia assetata di follia, di fame.
Non voleva guardarla. Non voleva guardarla, per non guardarsi.
Dopotutto erano due gemelli di sangue, imprigionati dall’odore, dalla fame insaziabile e divoratrice.
No, non voleva guardarsi.
«Vattene».
Bella non ghignò, le labbra rimasero serrate e tinte di sangue e profumate, mentre le mani lasciavano sparire la bacchetta per protendersi verso di lui. I tacchi affondarono nel terreno quando si mosse, dissolvendosi nello scroscio, poi due dita sottili gli sfiorarono il collo.
Fu un sussurro inudibile eppure il suo corpo lo sentì e la sua pelle e le sue ossa; fremeva di calore sotto la pioggia gelata e le sue labbra sorrisero - ma di un sorriso vero - quando lo sguardo la avvolse.
Pioveva ancora, quando se ne andò.
Col suo profumo e le sue labbra di sangue e i suoi occhi di notte.
E lui rimase con il pesante baule abbandonato nel fango, i vestiti zuppi, un’immagine negli occhi chiari e un sussurro – tra gli scrosci – nelle orecchie.

[She says «we no turning back»,
She trapping me in her heart]


Musica.
Musica sensuale, ipocritamente dolce filtrante attraverso le pareti marce di un locale di terza categoria.
Decadenti cadaveri in decomposizione di amori fugaci lì, nelle stanze occultate da splendenti porte lucide di vernice.
Un tic-tac prodotto da un pendolo magico addossato ad una parete, scandiva momenti – attimi – d’intimità temporanea rubata al tempo del mondo. Patetico, forse, o forse malinconico, o forse reale.
L’attesa nervosa era sfaldata – granello dopo granello – da una sola, semplice promessa.
Sotto la pioggia, quella notte.
Lei con le labbra vermiglie, il mantello nero della morte; lui bagnato fino alle ossa, in fuga da un universo che mai lo aveva accettato.
Una sola parola – una – un sussurro, scivolato al cervello dall’aria intrisa d’acqua, e non aveva retto.
Il suo cuore, debole, non aveva potuto ignorare.
Stupido mille volte, si era buttato nel fuoco volontariamente.
«Fatti trovare. Io ci sarò».
Una promessa sola ed eccolo, lì, tra le pareti fradice, un pendolo troppo lento e una musica troppo dolce.
Tic-tac.
Fu al “tac” che qualcosa, in lui, si smosse. Sirius sentì il cuore fremere e l’aria riempirsi di qualcosa che stava aspettando ma senza crederci, non fino in fondo.
E lei era lì.
Il mantello scuro come la notte e le labbra dipinte di sangue e lo sguardo famelico di una creatura fantastica.

La porta si aprì su pareti brutalmente bianche, bagnate della luce chiara di un pomeriggio assolato. Il letto rivestito di grigio sporco dondolò, quando Sirius vi si sedette.
Lei attraversò la soglia di un passo – uno solo – a piedi nudi, dopo che le scarpe furono abbandonate in un angolo; le dita sottili, esangui, si chiusero sui fianchi snelli «Ora?», fece con tono insinuante ma sottile come brezza primaverile, sorridendo.
Ed era un sorriso, vero, su labbra di sangue.
Sirius alzò lo sguardo plumbeo, del colore del mare in tempesta, ma non parlò. C’era solo una parola che carezzava le sottili labbra chiuse – «no,no» - ma qualcosa scivolò, tra un battito e l’altro.
Voglia che si inoculava lentamente nelle vene che andavano al corpo, che riempivano il cuore e inondavano il cervello; gli occhi spalancati gridavano un desiderio che non voleva provare, ma non poteva non farlo.
Troppo forte, la smania s’impossessò degli arti, della pelle, dei muscoli, facendogli perdere il controllo.
La voleva, lo sentiva.
Sapeva che la voglia, appassita dall’appagamento, avrebbe lasciato il posto ad un dolce veleno che lo avrebbe corrotto dall’interno. Eppure non gli importava.
Anche la belva ruggiva in accordo e lei lo capì.
«Cambiare idea adesso sarebbe meschino, non trovi?» Fece Bella, mentre il mantello le scivolava giù per le esili braccia.
Sirius si scostò una ciocca corvina dagli occhi grigi che bevevano quel corpo nudo e superbo, poi ghignò, appoggiando la schiena al cuscino spiegazzato «Sarebbe stupido, anche».

[I’m the stuff that you want…]

Sono quello che vuoi, che aneli vivere qui – ora – sotto di te.
Sia il suo corpo che la mente urlavano quelle parole di fumo che si condensarono lì, addosso a loro, quando la porta si richiuse ad imprigionarli ancora una volta.
Sirius aspettò in silenzio, con il mondo in attesa, che lei si avvicinasse lentamente a sfiorargli i lunghi capelli sottili; dita leggere che carezzavano la mente sconvolta. Fu persino dolce – dolce – quando disse «Ciao» e lui rispose «Ehi» per poi protendersi a cancellare quel rosso, sulle labbra.
In realtà non la vedeva davvero, quando erano lì, alle prese col tempo; guardava la sua pelle rifulgere della luce trasparente del giorno, sentiva la voce spezzarsi e annegare nel bisogno che aveva di lui.
Ed era pelle, fiato, carne e labbra che si posavano delicatamente sul collo e gambe che stringevano i fianchi e denti che – a un certo punto – schiudevano la passione. Uno nell’altra a celebrare eredità di un passato pesante, violentato da un ideale ingiusto e crudele – che era vita – e che era dimenticato ora, in un solo momento di realtà.
Sirius ansimò quando le strinse i fianchi, sentendo scivolare la rabbia – e la paura – e la delusione e la furia, ancora e ancora, in lei che non si spezzava ma accoglieva e curava con forza e decisione il suo animo squassato. E gridò, Bella, quando sentì quel grido salirle per la schiena incuneata e per i nervi tesi spasmodicamente e per i muscoli infuocati.
Fu quasi pace poi quella che li accolse – spossati – nella luce rossa del tramonto filtrante dalla finestra spalancata. E silenzio, leggero, nei suoi occhi chiusi.
Con un sospiro, Bella rotolò su un fianco a scorrere la delicata linea del petto chiaro che si alzava e si abbassava, ritmicamente. Poteva sembrare che dormisse, lì immobile, ma lei la sentiva – la belva che si spostava dietro alle palpebre.
Sirius aprì gli occhi lentamente a fissarli sul soffitto marcio di incuria. Lo sapeva, lui, che era un momento, un momento da nulla, ed era già andato via, evaporato con il sole che ora scendeva a baciare la terra scurita.
E lo sapeva lei, che già cercava con lo sguardo i vestiti abbandonati come relitti in un angolo, con la schiena bianca e sottile curvata sulle gambe arcuate.
Un attimo – da nulla – che era già andato.
Bellatrix scivolò via pigramente, coprendo quel corpo orgoglioso che sapeva di lui e flettendo le labbra che avevano toccato ogni cosa, in una sola volta ghignando.
«Tornerai?» Ed era una domanda semplice, davvero, che sfuggiva via da occhi cupi e pesanti da portare.
Lei sorrise ed era quasi dolce a vederla, poi silenzio.
La belva, negli occhi, riposava per un istante ma mai morta, la pelle ancora gridava il suo profumo e le mani indugiavano – solo un attimo.

[I'll be your everything,
If you make me a star]


Bella sollevò lo sguardo scuro, lo cercò in quegli occhi, al di là del grigio, mentre il rosso tornò a colorarle le labbra sottili e dischiuse, velocemente – come un’ illusione.
Poi lo trovò e fu quasi un ghigno, quello che sfiorò la mente di Sirius; impercettibilmente, poggiò la pianta del piede sul freddo pavimento, poi l’altro, a mostrarle la schiena ampia e chiara.
«Lo farai?»
Un sussurro leggero attraversò la stanza, mescolandosi all’aria fresca della sera.
Lei ghignò, non vista, ed una luce percorse le iridi castane e la belva si svegliò, ruggendo.
Lui, il suo odore, permeava tra i capelli lunghi come una fragranza persistente, annegandole i sensi.
Avrebbe fatto di tutto per sentirlo – ancora.
«Sempre» sussurrò e scivolò via, a piedi nudi; ed era tenue come un’illusione, quando scomparve per il corridoio e giù, per le scale, fuggendogli dalla vita – di nuovo – per poi ritornare in un solo istante, tutte le volte.
Sorrise Sirius, quando fu fuori – tempo dopo – col cielo scuro sulla testa e una voce sensuale a vorticargli nella testa. Una promessa, una sola. E fu quasi dolce a ricordarla.

Note di fine capitolo

Un paio di note:
il primo pezzo si riferisce ai due al tempo di Hogwarts; ovviamente avendo Bella otto anni in più, non è possibile che i due siano ad Hogwarts insieme, perciò chiamiamola licenza poetica. xD
Poi c'è un salto temporale non meglio identificato e un 'se' grosso come una casa.
Non sono del tutto soddisfatta del lavoro (anzi per niente) però la devo dedicare ad un Essere :P

Alla Kokò che tanto rompe le scatole ma poi scrive cose meravigliose, soprattutto sui due fanciulli qui sopra(L).
Ah, questa è per il suo compleanno – ovviamente mostruosamente in ritardo – ma tanto mi perdona, mi perdona.
Auguri in anticipo! (Per l’anno prossimo, s’intende).

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