Note alla storia

A RobyLupin che mi aveva chiesto dell'infanzia di Nel e Conrad, e a tutti quelli che avranno la bontà di leggere e commentare ^^
Conrad Lethifold era nato per essere un figlio unico, condizione di cui non aveva potuto godere a lungo, suo malgrado. Sua sorella Cornelia era nata soltanto due anni dopo di lui, e non era stata niente altro se non l’inizio della fine: dopo di lei erano nati Constance ed infine Connor, costringendolo a dover vivere in una casa decisamente sovraffollata, per i suoi gusti. Man mano che cresceva Nel, la secondogenita, era diventata il suo capro espiatorio preferito. Dopotutto era lei la fonte di ogni guaio; gli altri non avevano fatto altro che seguire a ruota. I suoi primi tentativi di omicidio risalivano alla prima infanzia: più di una volta, non ancora treenne, aveva cercato di soffocarla nella culla, senza successo. Avendo fallito con le “vendette pulite”, aveva aspettato che crescesse un po’ per poterla martoriare per bene.
Quel giorno la quiete in casa Lethifold decise di fuggire dalla finestra.
- Conrad, per l’amor di Merlino, smetti di tirarle i capelli o ti spedisco a letto senza cena! – aveva urlato suo padre una sera, correndo a staccare la sua secondogenita, di allora cinque anni, dalle grinfie del fratello.
- Che colpa ne ho io se è così scema da mettersi a urlare? – aveva ribattuto Conrad, senza scomporsi.
- Vai di sopra e non ti azzardare a svegliare Constance, che sta riposando. – disse poi Benjamin al figlio, mentre la bimba fra le braccia, con una ciocca di capelli in meno e gli occhi umidi, lo fissava con odio.
- Devi proprio tenerlo papà? Non puoi buttarlo via? – aveva chiesto lei, tirando su con il naso. - No, Nellie, proprio non posso, mi dispiace. – l’aveva consolata suo padre, asciugandole il viso con un fazzoletto.
Quello che disturbava molto Conrad era l’ostinazione della sorella. Con Constance bastava farla frignare un po’ per vederla correre via a ricevere conforto; Nel pretendeva di restituire sempre il favore, e riusciva anche a fargli un male cane. Le cose non erano certo cambiate, man mano che i due si facevano grandi.
- Hai strappato le pagine del mio libro! – urlò Nel, alla tenera età di otto anni, in un pomeriggio d’estate, piombando nella camera de fratello come una furia, brandendo la sua copia de La fabbrica di cioccolato.
- Non voglio che tu metta piede qui dentro, stupida oca: fila via. – aveva risposto lui, senza alzarsi dal letto su cui era coricato.
- Ho visto le pagine mezze bruciate nel camino, bava di lumaca che non sei altro!
- Dovevi aspettartelo, non sei forse stata tu a mettere uova di fata nella mia federa? Mamma ci ha messo ore a ripulirla, ben ti sta.
- Solo perché tu…
- Non me ne frega niente, Nel. Arrangiati. – furono le lapidarie parole di Conrad, mentre si risistemava più comodamente, a leggere. Cornelia aveva una buona dialettica, per la sua età, e detestava essere zittita: la sua risposta era generalmente violenta. Sbattendo a terra il suo libro ormai mutilato, balzò sul letto di Conrad cercando di graffiargli la faccia. Lui riuscì a pararsi il viso con le braccia, scaraventando la sorella a terra con un calcio. In condizioni normali questo sarebbe stato sufficiente per permettere a Nel un’onorevole ritirata, ma lei era così arrabbiata che si rimise in piedi giusto per sputargli addosso; tecnica recentemente imparata dagli amici di quartiere. – Mi fai schifo. – aveva poi aggiunto, mentre Conrad, piuttosto inorridito, si asciugava con la manica della maglietta.
- Tu sei morta. – sentenziò prima di cominciare a inseguirla per tutto il piano. La bambina tentò per un paio di volte di chiudersi in una qualche stanza, ma il fratello era sempre abbastanza veloce da spintonarla via prima che facesse scattare la serratura.
- Lasciami stare!
- Hai iniziato tu, ora ne paghi le conseguenze. – urlò a fatica Conrad mentre lei lo buttava a terra, sperando invano di liberarsi di lui. Cornelia ormai aveva cominciato a morderlo a sangue, come faceva tutte le volte che non riusciva a scrollarselo di dosso. In qualche modo riuscì perfino a tirargli uno schiaffo, scocciando Conrad oltre ogni limite, che infatti la spinse via, non notando che erano finiti sul ballatoio delle scale. Cornelia rotolò giù per tutta la rampa come un sasso, fino al pianerottolo. Conrad, accaldato e col fiatone, si affacciò in attesa di sentire l’ennesimo spocchioso insulto, ma la sorella era rimasta per terra, immobile.
- Che hai fatto? – sussultò Constance, aprendo la porta del bagno: evitava sempre di essere nei paraggi quando loro due litigavano, aveva paura di finire nel mezzo della baraonda. Si affacciò a vedere, e prese una paura matta: corse alla finestra a richiamare a gran voce i suoi genitori, che erano in giardino con l’ultimo nato.
In seguito Conrad ebbe ricordi piuttosto confusi di quello che seguì: Nel cominciò a riprendere conoscenza proprio mentre sua madre, terrorizzata, arrivava a raccoglierla; aveva sbattuto violentemente la testa, ma per il resto sembrava intera. Lui rimase immobile in cima alle scale per tutto il tempo, come pietrificato, completamente ignorato da tutti. Connie restò per un po’ abbracciata alla ringhiera, prima di scendere molto lentamente, per andare a sincerarsi delle condizioni della sorella maggiore.
Suo padre ricomparve poco dopo, più minaccioso che mai: gli diede i più forti e, sapeva bene, meritati schiaffi della sua vita e lo trascinò di sotto, in cucina, con pochissimo garbo. – Ora tu le chiedi scusa. – intimò. – E questo sarà il meno.
Giunto in cucina, Conrad notò che i volti di tutti erano estremamente pallidi, ad eccezione di Connor, ignaro e felice sul suo seggiolone. Nel era in braccio a sua madre che le teneva del ghiaccio sulla testa; entrambe tremavano come foglie: una per lo spavento, l’altra per il freddo.
- Mi chiedo come ti sia venuto in mente! – sbottò Cathrine Lethifold con voce incrinata. – Avrebbe potuto farsi davvero male.
- Non l’ho fatto apposta, stavamo litigando. – Conrad non mentiva, dopotutto non aveva davvero visto la scala; probabilmente non si sarebbe spinto a tanto, volontariamente.
- Sono davvero, davvero stanca delle vostre liti continue, questo vale anche per te. – disse la donna abbassando lo sguardo sulla figlia. – Siete abbastanza grandi da convivere in maniera civile!
- Scusa mamma. – disse Conrad. Non era più accaldato come prima, ma ora stava decisamente sudando freddo.
- Scusati anche con tua sorella, è quella che si è fatta più male. – s’intromise suo padre. Onestamente Conrad avrebbe voluto ribattere che aveva certi graffi che gli bruciavano da morire, e che Nel non era tipo da meritarsi le sue scuse, ma chinò il capo e obbedì. Il brivido del tentato omicidio non era stato poi così eccitante, una volta che ci era andato così vicino. - Mi auguro di non dover più assistere ad una scena simile. – sospirò Cathrine stringendo a sé la figlia.
In effetti, per un certo lasso di tempo, tra Conrad e Cornelia calò una sorta di guerra fredda; a stento si rivolgevano la parola. Lei provava il sacro terrore di finire ammazzata, lui si sentiva piuttosto in colpa, e voleva evitare di perdere nuovamente il controllo. In seguito, mesi dopo, passarono a insulti sibilati e pizzicotti dolorosissimi, ma non letali. Poi, finalmente, venne il giorno della agognata separazione: Conrad era pronto per imbarcarsi per Hogwarts. Cornelia volle soprintendere per tutto il tempo la preparazione del baule effettuata da Conrad stesso e la madre: passeggiare a Diagon Alley l’aveva incuriosita molto sul suo prossimo futuro di strega. Quando lei e il fratello rimanevano soli, per brevi e tormentati attimi, non mancava di ripetere ossessivamente: - Sono felice che tu te ne vada, non voglio più vederti.
La risposta era, in genere: - Vai a quel paese.
Il primo settembre arrivò con una velocità inaudita, per la gioia di entrambi. Nel accompagnò il fratello verso la deportazione con cuor leggero, entusiasta all’idea di liberarsene quanto meno fino a Natale.
- Comportati bene, Conrad, e vedi di essere Smistato nella casa giusta. – si raccomandò suo padre con un sorriso.
- Scrivi ogni volta che vuoi, ti risponderò in un baleno, d’accordo? – aggiunse la madre, abbracciandolo. Non le andava per niente l’idea di saperlo lontano per mesi.
Conrad accettò quegli slanci affettuosi di bon grado, acconsentì a lasciarsi baciare da sua madre e suo padre, che gli sarebbero mancati, saluto più o meno allo stesso modo Connie e Connor, e fu costretto a fare altrettanto con Nel.
- Addio, lagna.
- Addio. – fu l’unica parola che pronunciò la ragazzina. Osservò poi con sollievo Conrad salire sul treno; la famiglia Lethifold rimase lì finchè il convoglio non partì con uno sbuffo fumoso, e sparì dietro una curva. Lei sospirò sollevata.
Le prime due settimane trascorsero a meraviglia: lei si preparò allegramente al suo ritorno a scuola finendo i compiti e vide con soddisfazione suo padre gongolare all’idea che il suo primogenito era finito a Corvonero, proprio come lui. Sua madre non ci aveva badato molto, consolandosi soprattutto nel sapere che Conrad se la passava alla grande. Lei non aveva fatto molto caso né all’una né all’altra cosa, ma aveva gioito della progressiva scomparsa dei lividi sulle sue braccia e gambe, e della tranquillità della sua stanza, benché divisa con Connie, visto che non subiva più raid punitivi. Ma la noia, presto, subentrò a tutto il resto.
La scuola procedeva liscia come l’olio, e i compagni di classe non erano cambiati molto dal giugno precedente. Gli amici del fratello, due anni avanti a lei, riusciva a vederli con fatica, spesso solo per pochi attimi nei noiosi ed eterni pomeriggi del week end. Constance non era una sostituta all’altezza, nemmeno per farle qualche dispetto: non riuscivano mai a regolare i conti fra loro, senza che la sorella chiamasse degli adulti ad intervenire. Tagliare i pizzi delle sue bambole diventava inutile e del tutto controproducente.
Verso novembre Cornelia fu travolta da una malinconia che la rese molto più taciturna di quanto non fosse normalmente.
- Vorresti essere già a scuola come Conrad? – le aveva chiesto Connie un pomeriggio, mentre tentavano di completare un puzzle su Guendalina la guercia.
- Sì. – mentì Nel, supponendo che, in realtà, fosse proprio l’assenza di Conrad il problema. Tra novembre e dicembre la giovane streghetta non fece altro che tentare di distrarsi, magari in compagnia di uno dei meravigliosi racconti di guerra di suo nonno, o lasciandosi viziare da nonna Gerberula, così chiassosa da saper infondere allegria più o meno a chiunque.
Arrivò infine il giorno di inizio vacanze, e Cornelia fu la più ansiosa di rivedere il fratello, anche se cercò di non darlo a vedere, così come aveva finto di essere totalmente disinteressata alle notizie che giungevano per lettera; in ogni caso, era in prima fila ad attenderlo, accanto a Connie. Cominciò a batterle forte il cuore quando vide il treno arrivare, e si guardò attorno agitata, mentre vedeva mucchi e mucchi di studenti scendere con i loro bauli giganti. Conrad probabilmente non sarebbe stato così felice di rivederla, riflettè improvvisamente: il panico la invase. Fu proprio Constance ad avvistarlo, e fu lei che si infilò tra un paio di sconosciuti, falciando per altro un loro vicino di casa, nonché compagno di dormitorio di Conrad, Nick, per corrergli incontro.
- Ciao fratellone! – esultò. Conrad assunse l’aria di chi era appena stato raggiunto da un cucciolo sovraeccitato, se la scollò gentilmente da dosso e si diresse verso i genitori.
- Sei cresciuto tanto, bambino mio, ti vedo molto bene. – si complimentò sua madre, che teneva per mano Connor, prima di abbracciarlo stretto.
- Sei diventato alto. – commentò quest’ultimo.
In effetti, constatò Nel, ora il fratello maggiore la sovrastava di un palmo e mezzo: sarebbero state vacanze fisicamente dolorose, se lo sentiva. – Bentornato. – biascicò lei, a testa bassa, su incitazione del padre. Una volta in auto i due si ritrovarono alle due estremità opposte, e Nel lasciò che Conrad raccontasse a mamma e papà della scuola. Il suo umore era cupo: nessun segno di mancanza. Appoggiò il mento alla mano sinistra e aspettò di arrivare a casa. Ascoltò in religioso silenzio tutti i racconti su Hogwarts, che la fecero pentire amaramente di non aver dato ascolto alla metà delle lettere che erano state spedite a casa, e provando un’invidia nera per ciò che a lei era temporaneamente negato. Le scuole babbane erano una vera palla, a confronto. Decisa a porre fine alle sue sofferenze, o a incrementale, se Conrad avesse deciso di recuperare le botte mancate nei mesi trascorsi, si appollaiò vicino alla porta del fratello, in attesa che la madre finisse di recuperare la biancheria sporca e che lo lasciasse solo. Quando Cathrine Lethifold sparì di sotto, lei bussò allo stipite della porta.
- Posso? – chiese. Conrad la radiografò coi suoi occhi azzurri e privi di alcuna emozione. Che voleva adesso?
- Se vuoi. – commentò, mentre arraffava grossi tomi dal suo baule per metterli sulla scrivania. - E’ bella la torre di Corvonero? Mi piacerebbe essere Smistata lì come papà. – e come te, pensò, evitando accuratamente di lasciarselo scappare.
- Dalla Sala Comune si vedono le montagne, e ci sono un mucchio di libri un po’ ovunque. A me piace. – rispose distrattamente Conrad. Non aveva molto altro da aggiungere, era piuttosto in imbarazzo. Cornelia era stata una delle cose di cui aveva sentito più la mancanza. Non aveva mai chiesto sue notizie, come di nessuno degli altri fratelli, ma come compagna di liti era impagabile.
- Guarda, non ho più neanche un livido. – disse Nel, tirandosi su la manica del maglione e scoprendosi il braccio. Conrad si voltò sorpreso a guardarla, poi imitò il suo stesso gesto.
- Nemmeno io, a parte questo. – disse indicandosi il gomito destro. – Ho sbattuto contro il comodino una mattina che sono quasi caduto dal letto.
- Ma sei un imbranato! – sghignazzò Cornelia, accorgendosi che i segni dei suoi denti erano comunque visibili: non si sentì affatto in colpa per la cosa.
- E’ colpa del baldacchino, cretina. Vorrei vedere te. – sbottò Conrad, tenendola lontana con una mano, mentre tirava fuori dal baule alcuni ingredienti per pozioni.
- Hai già imparato a fare i veleni? Melanine Hobbes non fa altro che fare cerbottane con la penna e riempire il mio banco di palline di carta insalivata, vorrei strozzarla con le sue stesse armi.
- No, ma ho imparato a maneggiare per bene questa. – ammise il fratello, estraendo con cura la sua bacchetta magica, che Nel osservò con occhi luccicanti. – Posso provarla su di te, se mi annoio?
- E’ illegale, solo un poppante come Connor ci cascherebbe. – mormorò Cornelia con apprensione, mentre se la vedeva puntare addosso.
- Papà usa la magia tutti i giorni, chi si accorgerebbe di un incantesimo in più? – ghignò malevolo Conrad. Cornelia rimase immobile: aveva invidiato veramente Conrad da Olivander, e aveva sbavato su più d’una vetrina di bacchette, e ora come non mai ne sentiva il bisogno. Contro la magia lei era proprio inerme, al momento. Senza aspettare che la sorella rispondesse, il giovane mago frugò nel suo baule, senza abbassare l’arma. Ne estrasse un sacchetto di pelle, e lo porse alla sorella.
- Cos’è?
- Un centauro. – scherzò lui in maniera irritante. – O lo apri o me lo tengo io.
Dubbiosa, la bambina prese il sacchetto e lo aprì, temendo di essere investita da uno schizzo di inchiostro o roba simile. Una volta sfilato il cordoncino non accadde nulla; incoraggiata, Nel fece scivolare il contenuto nella sua mano. Osservò il regalo piuttosto dubbiosa: milioni di schegge di vetro, piccole e grandi, piovvero sulla sua mano; per poco non rischiò di tagliarsi.
Osservò Conrad con un sopracciglio alzato: - E sarebbe?
Il fratello deglutì facendosi rigido. – Porco troll, sapevo che dovevo metterlo via meglio, quello stupido viaggio in treno l’ha frantumato. – sbottò. Merlino, per una volta che tentava di fare una cosa carina il destino si accaniva contro di lui: tutto merito del prestigioso Hogwarts Express.
- Cos’era? – chiese Nel, ora curiosissima.
- Non era niente, per tua informazione. – si affrettò a dire il ragazzino, temendo di ricevere un ringraziamento.
- Cos’era? – insistette lei.
- Una decorazione di Natale, l’ho presa dall’albero della Sala Grande, non se n’è accorto nessuno. – spiegò. Non era certo che fosse legale farlo, ma dopotutto nessuno gliel’aveva impedito. Fissò per un attimo la sorella e poi la sua mano, indeciso sul da farsi. Poi, come ricordandosi di colpo di essere un mago, afferrò il polso della sorella.
- Stai ferma. – le intimò.
- Perché?
- Reparo. – disse soltanto il ragazzino, puntando la bacchetta sui frammenti di vetro. Di colpo questi si ricomposero ordinatamente, pur lasciando visibili parecchie incrinature.
- Oh, wow, sei bravo. – commentò ammirata la bambina, guardando quello che ora aveva in mano; una sfera di vetro quasi perfetta decorata con disegni arabescati su tutta la superficie di color argento. Le venature la facevano apparire assai fragile.
- In origine era più o meno così, puoi farne quello che vuoi.
- Posso metterlo sull’albero di Natale? – chiese lei.
- Connor rischia di farla cadere ancora, vedi tu. – suggerì Conrad, che non voleva che quel regalo fosse reso pubblico in alcun modo.
- E’ vero. La metterò da qualche altra parte. – disse Cornelia, andandosi a sedere sul letto del fratello. Rimasero insieme altre due ore nella stessa stanza, lei a giocare coi giochi di luce del vetro, lui a sistemare le sue cose. Non si rivolsero più la parola, il che era un sostanziale passo in avanti, rispetto al passato.
- Conrad? – chiamò poi lei.
- Che vuoi?
- Devo per forza farti un regalo anche io, adesso? – domandò fingendosi estremamente ansiosa riguardo alla cosa. Conrad scoppiò a ridere.

Posta una recensione

Devi fare il login (registrati) per recensire.