Dormi Piccola Speranza
L’inverno si stava rivelando particolarmente rigido quell’anno e su tutta Little Whinging erano caduti molti centimetri di neve per la felicità di centinaia di bambini che non avevano mai osato sognare tanto.
Per le strade ed i viali era facile poter scorgere le opere dei piccoli artisti che stoicamente resistevano alle continue battaglie di neve che si scatenavano di volta in volta.
L’aria era gioiosa ed il buon umore contagioso tant’è che perfino nella piccola villetta di Privet Drive era possibile ascoltare le risa divertite di un bambino che, infagottato come un piccolo eschimese, si stava divertendo con i suoi amichetti a costruire quello che,ai loro occhi, era il pupazzo di neve più bello di tutti i tempi.
Erano ore che la madre lo stava richiamando per farlo rincasare al caldo ma lui, testardo, la ignorava bellamente continuando a decorare Mr Robinson con il suo amico Pit.
Non gli andava di rientrare, lui voleva giocare ancora, ancora ed ancora!
Nulla erano valse le urla della madre finché il padre, un uomo grande e grosso come una montagna a detta di tutti, non era uscito per prenderlo e portarlo in casa ignorando le urla e gli strepiti del bambino.
- Va a casa marmocchio – disse secco verso l’amichetto di giochi del figlio e poi, senza nemmeno voltarsi a controllare, si chiuse la porta alle spalle e depositò il figlioletto ancora scalpitante davanti al caminetto per tenerlo al caldo.
- Voglio tornare fuori a giocare! – urlò il piccolo sconvolto dalla rabbia.
- Tesoro della mamma è buio ti prenderai un malanno! – cercò di placarlo la madre uscendo dalla cucina per andare ad inginocchiarsi di fronte al figlio.
- Voglio uscire ORA!
Non c’era molto da fare, quando il piccolo di casa Dursley s’impuntava su qualcosa non c’erano versi per placarlo.
Ogni sua parola era legge.
Gli urli si propagarono nel salottino scuotendo i nervi del padre che nel frattempo aveva ripreso a leggere pacificamente il suo giornale lasciando che fosse la moglie a contrattare con il suo ometto.
- Diddino della mamma, non fare così! – implorò la donna correndo a recuperare uno dei giochi del figlio che, però, finì prontamente scaraventato verso la parte opposta della stanza accompagnato da una sequela di urli e, incredibilmente, insulti.
- Non rompere! Non voglio il gioco! Voglio uscire!
Vernon Dursley alzò gli occhi dal giornale e con un ghigno soddisfatto tuonò divertito: - Vedi donna? Questo si che è un uomo che un giorno si farà rispettare! Bravo figliolo!
La donna sorrise mestamente al marito e cercò nuovamente di comprare la calma del figlio porgendogli uno dei suoi dolci preferiti che stavano appesi al caminetto in una grossa calza di natale.
Inutile dire che anche quel tentativo fallì miseramente mentre le urla non accennavano a diminuire.
Petunia baciò dolcemente la testa al figlioletto e cercò di prenderlo in braccio guadagnandosi un calcio e diversi urli rabbiosi da parte del monello che continuava a lanciare a destra e a manca i pacchetti depositati sotto l’albero per sfogare la frustrazione di non vedere esaudito, nuovamente, il suo ordine.
Erano tanti quell’anno e lui sapeva che sarebbero stati tutti suoi quei pacchetti di natale e perciò continuò imperterrito a calciarli rabbiosamente.
- Ciccino non fare così! Romperai tutti i tuoi regali! Non vuoi aprirli domani mattina? – cercò di rabbonirlo la donna.
- NO!!!!! – tuonò lui.
- Sentito che voce Petunia?
Stavolta Petunia osservò il marito con un leggero cipiglio, non voleva certo che suo figlio si sgolasse e passasse tutto il giorno di Natale a letto senza voce per una bizza inutile come quella.
- Vernon rimarrà senza voce! Cerca di calmarlo!
L’uomo sbuffò e si girò leggermente verso il figlio che continuava a tiranneggiare i mobili di casa con furia crescente; non capitava spesso che un suo desiderio rimanesse insoddisfatto ma quando capitava era capace di armare una vera e propria rivoluzione quel monello!
- Dud, smettila! – tuonò senza minimamente apparire minaccioso agli occhi del ragazzino.
Allora l’uomo sospirò e si alzò andandogli incontro per prenderlo in braccio ma il ragazzino scappò dalla sua presa e si catapultò su per le scale non prima, però, d’aver sferrato un calcio violento alla piccola porticina del ripostiglio che si trovava alla base di quest’ultime.
Ci fu una specie di lotta fra padre e figlio ma alla fine l’uomo riuscì a placare il piccolo demonio ma non prima di avergli promesso una nuova bicicletta che avrebbero acquistato quella sera stessa come regalo di Natale anticipato.
Il bambino ridacchiò soddisfatto mentre si faceva vestire dalla madre e, prendendo l’enorme mano del padre si apprestava a salire in macchina per recarsi in centro per il suo Regalo di Pre-Natale.
Regalo che divenne, negli anni a seguire, una sorta di costosa abitudine che i Signori avevano concesso al figlio in cambio di un pranzo di Natale passato in tranquillità.
Il rombo della macchina che partiva e il silenzio scese sulla casa avvolgendola come a volerle donare un po’ di quella pace e tranquillità che non aveva più dalla venuta del piccolo demonio.
Quei momenti di calma erano rari al numero 4 di Privet Drive e la casa sembrava tornare a respirare come dopo una lunga corsa.
Il camino scoppiettante illuminava il salotto scaldandolo e le luci del grande albero di Natale giocavano briose creando mille giochi di colore irradiando felicità e allegria.
Tutto era perfettamente natalizio nel perfetto salotto della perfetta famiglia Dursley.
Tutto.
O forse no…
Il silenzio fu rotto improvvisamente dal cigolio di una porta che si apriva sommessamente e due grandi occhi si affacciarono titubanti da essa.
Una piccola mano spinse ancora la porticina per permettere al proprietario di quegli occhi di scivolare fuori, muto e silenzioso come un ombra.
Perché lui ERA un’ombra.
L’ombra della vergogna.
Accorto si mosse nel piccolo salotto senza toccare nulla ed aggirando i mille giochi buttati ogni dove senza nemmeno vederli.
Era buio nella stanza ma non avrebbe mai osato accendere nessuna luce e, in fondo, il camino ne faceva abbastanza per lui abituato ad essere ombra fra le ombre.
Il rosso delle fiamme illuminarono e si scontrarono con il verde di quegli occhi così grandi e spauriti mentre si avvicinava lentamente al camino lasciando che il calore lo avvolgesse.
Un brivido lo percosse e le piccole braccia tentarono di cingere il suo corpo tremante per incutersi l’illusione di un caldo momento d’affetto.
Lasciò vagare lo sguardo sul grande albero di Natale che lo sovrastava facendosi incantare dai mille giochi di colori che finivano per incatenarsi e giocare con il nero dei suoi scapigliatissimi capelli.
Un piccolo sospiro risuonò nel silenzio della villetta ed il bambino di spaventò indietreggiando pronto alla fuga ma, accorgendosi della sua stessa follia s’impose di calmare il suo cuore e tornò ad ammirare l’ambiente che lo circondava.
Regali… calze… ghirlande… biscotti… dolci… Natale.
I suoi occhi si fecero appena più grandi e vacui quando si posarono su una scatola tutta rotta e raggrinzita e capì che quella sarebbe stato il suo regalo di Natale.
Si avvicinò lentamente ad essa e fece passare un piccolo dito, che spuntava da un maglione troppo grande e sformato per lui, sulla superficie grigia e ruvida.
Un’ondata di tristezza lo avvolse ed il piccolo accarezzò nuovamente quell’unico segno della sua esistenza.
Nient’altro indicava la sua presenza, né gioco né foto.
Nulla.
Solo l’ombra d’una vergogna incomprensibile per il piccino.
Si alzò nuovamente e lanciò un’occhiata nervosa verso la porta, certo che da un momento e l’altro si sarebbe spalancata di botto condannandolo all’ennesima punizione.
Trotterellò inciampando nei suoi stessi vestiti verso la grande finestra alla sua destra ed alzò gli occhi al cielo per ammirare il cielo, era notte, faceva sempre notte presto d’inverno costatò triste, lottando contro se stesso per non spalancare la porta e correre fuori a toccare un po’ di neve.
Ma non gli era permesso, lui non poteva rovinarla a Dud… era la sua neve e perciò non doveva toccarla.
Sorrise tristemente quando vide passare di fronte alla villetta un giovane uomo preceduto da una bambina che correva allegra canticchiando Jingle Bells.
Adorava quella canzone, non sapeva perché ma gli riportava alla mente profumo di biscotti al cioccolato e risa, tante risa…
- Jingle bells, jingle bells, jingle all the way…
O, what fun it is to ride in a one-horse open sleigh!
- James! Ti prego basta!
Risa
- Jingle bells… Dai Felpato canta con noi… Jingle bells, jingle all the wayyyy!
- Jamessss bastaaaaa non ti sopporto più!
Altre risa si unirono alle prime.
- Dai Harry! Canta con me così facciamo impazzire la mamma!
Jingle bells, jingle bells, jingle all the way…
O, what fun it is to ride in a one-horse open sleigh
La voce calda di un uomo venne accompagnata dal gorgoglio gioioso di un bambino.
- No Jam! Basti tu per mandarmi al San Mungo!
- Ma amore, Harry vuole cantare!
- JAMES!
- Ma amore…
- Jam, aiutami con questi biscotti avanti.
- ARRIVIAMO!
Risa… risa… Felicità
Il piccolo scosse la testa come a voler scacciare la tristezza e si allontanò dalla finestra per tornare accanto al camino, aveva freddo, faceva freddo.
Porse le manine verso le fiamme e per un istante il calore lo inondò facendolo sorridere felice per la prima volta in quella serata, il camino era una bella compagnia quando la casa era vuota e poteva sgattaiolare fuori per qualche ora.
Era un buon amico.
Si sporse per afferrare un biscotto dal piatto dei dolciumi e lo nascose in tasca.
Quel Natale avrebbe festeggiato anche lui.
Doveva sbrigarsi o non avrebbe potuto salutarla… doveva affrettarsi.
Lesto salì le scale e si diresse verso la stanza degli zii dove sapeva che l’avrebbe trovata.
Si rannicchiò ed infilò la piccola manina sotto il grande comò della biancheria della zia, era là che l’aveva trovata ed era certo che ci fosse ancora.
La sua mano la sentì e con un fruscio l’estrasse dal nascondiglio affinché i suoi occhi verdi potessero incontrare nuovamente i suoi gemelli incastonati sul viso di una giovane donna dai capelli rossi.
Una singola lacrima scivolò sulla gota sporca del piccolo tracciandone la scia.
Un singhiozzo, una carezza ed un piccolo bacio donato ad un ricordo.
- Auguri – mormorò piano mentre incontrava nuovamente gli occhi allegri di sua madre che stava abbracciando da dietro le spalle sua zia che guardava l’obiettivo con uno sguardo duro.
Lo stesso sguardo che riservava a lui ogni giorno; ma sua madre non lo seppe allora che zia Petunia non sorrideva ai suoi occhi verdi e che non l’avrebbe mai più fatto nemmeno in futuro… nemmeno ai suoi.
Ripose accuratamente la foto al suo posto e certo di non aver lasciato segni scivolò nuovamente in salotto asciugandosi con una manica sporca il visino contratto in una smorfia di silenzioso dolore.
Sentì in strada i canti natalizi di un gruppo di bambini, e ciò servì a farlo tornare in sé ricordandogli che lui in quel periodo doveva essere un’ombra.
- Ragazzo, non voglio né sentirti né vederti hai capito? Non azzardarti a mettere fuori il naso dal ripostiglio fino a Santo Stefano! Non voglio rovinarmi il Natale per colpa tua… hai capito?
Silenzio e grandi occhi verdi puntati in quelli dello zio.
- Rispondi, hai capito piccolo ingrato?
- Si, zio.
Due parole prima di sparire nel sottoscala.
Il rumore dell’auto degli zii lo allertò e velocemente si andò a rinchiudere nella sua stanza.
Nel momento in cui chiuse la minuscola porticina del sottoscala sentì la porta principale aprirsi e gli schiamazzi allegri del cugino riempire nuovamente la casa.
Casa.
Quella era la sua casa e la sua vita, doveva farsene una ragione.
Chiuse gli occhi rannicchiandosi sulla sua piccola branda e si sforzò di non ascoltare le urla di giubilio di Dudley per la sua nuova bicicletta accarezzando con la mente in momento in cui avrebbe potuto gustare il suo biscotto.
Senza accorgersene scivolò in uno stato di dormiveglia e come sempre finì nel sognare il suo mondo fantastico.
Il suo mondo ideale…
Il suo mondo fatto di magia.. unicorni bianchi… vecchi con il cappello a punta…
Ed ecco il suo sogno preferito.
Mamma e papà lo stringono al cuore cullandolo dolcemente mentre lui stringe al petto un nero cucciolo di cane di pezza.
Riesce quasi a sentire il profumo di sua madre ed il respiro caldo di suo padre.
Nel suo sogno lo baciano sulla fronte ed il bambino nel sonno si tocca la saetta che svetta sulla sua fronte.
Il suo destino.
Continua a sognare e si stringe maggiormente a loro come un piccolo naufrago disperato mentre le lacrime prendono a solcare il suo viso.
- Non piangere anima mia
Gli sussurra una voce e per la prima volta crede di sentire al voce di sua madre accarezzargli l’anima.
- Non piangere tesoro, siamo qua.
Suo padre.
Il bambino piange mentre la voce dei suoi sogni gli scivola dolcemente nel cuore.
- Non piangere Harry. Siamo qua, siamo sempre stati qua e non ti lasceremo ma. Non piangere tesoro della mamma.
- Mamma – un sussurro disperato rotto dai singhiozzi si perde nel vuoto della piccola stanza.
- Harry, non disperare piccolo. Io e la tua mamma siamo con te.
- Papà –
- Sì angelo, siamo qua… Buon Natale piccolo e non dimenticare mai… Mamma e Papà ti amano, ora e sempre. Dormi tesoro, dormi piccola Speranza.
Fine.
Note di fine capitolo
Spero che questo piccolo frammento del passato di Harry vi piaccia.
E' triste lo so ma sinceramente non ho potuto che scriverla così.
Nota: Harry non ricorda lo scambio di battute della madre e del padre è un frammento che ho inserito per spiegare perchè al bambino quella canzone natalizia faccia tornare in mente l'odore dei biscotti...
Spero di leggere qualche vostro commentino
Nasreen<3