Note al capitolo
Mi sembra doveroso ringraziare le "ragazze del martedì sera" per il loro continuo "bombardamento" di idee e soprattutto Alektos, per avermi aiutato a caratterizzare un giovanissimo Sirius Black.
“Remus Lupin, giusto?”
“Remus John Lupin! Tu, invece, Peter Minus, dico bene?” Fece il bambino dai capelli biondo chiaro, color grano, a quello con i capelli color topo, corti e ben pettinati.
“Esatto!” Affermò, sorridendogli allegro. Era piccolo e cicciottello, e sembrava un po’ costretto nella divisa di Hogwarts. L'altro era completamente diverso: era alto e magro e, nella divisa, non troppo nuova, sembrava affogarci, al punto che il maglione era rabboccato più volte sulle maniche.
Remus aprì il suo baule e iniziò a sistemare i vestiti nell’armadio, ordinatamente, mentre Peter si infilava il pigiama.
La porta del dormitorio del primo anno si spalancò, facendo entrare altri due ragazzi. Il primo era un po’ bassino, con i capelli corti e neri completamente arruffati, l’altro era magro, con i capelli neri mossi e gli occhi chiarissimi, quasi grigi.
“Sera a tutti! James Potter!” fece quello coi capelli arruffati, sorridendo ai compagni di stanza oltre gli occhialetti tondi. Strinse le mani a Remus e Peter, permettendo all’altro ragazzo di entrare. Questo si sedette sul letto, buttando i vestiti sulla sedia, disordinatamente, mentre si infilava il pigiama.
Remus alzò un sopracciglio, guardando i vestiti così raffazzonati. Non era quello che si può definire un tipo ordinato, ma amava dare un senso logico alle cose, anche ai vestiti sulle sedie.
“Tu devi essere Sirius Black, vero? Remus John Lupin.” Disse allungando una mano. Sirius lo guardò, anzi lo squadrò, esaminandolo da capo a piedi. Remus notò che i suoi occhi indugiavano sulle maniche rimboccate, sulla divisa scolorita, sui pantaloni larghi e si sentì a disagio, ma sostenne lo sguardo, sforzandosi pure di sorridere mentre si sentiva avvampare. L’aria si era fatta tesa, mentre Peter spostava gli occhi dall’uno all’altro, domandandosi in quale modo avrebbe dovuto poggiare i vestiti sulla sedia: scelse una soluzione di comodo, imitando la foggia degli abiti di James.
Dopo qualche istante Sirius allungò una mano: “Giusto, piacere.”
James si rilassò, infilandosi il pigiama.
“Voi come siete messi? Siete i primi Grifondoro in famiglia? Io sono l’ultimo di una lunga serie!” Disse, mentre si sedeva sul letto a fianco a Sirius, indicando orgoglioso una fotografia sul comodino. Remus la prese e la guardò: i genitori di James, appena più che adolescenti, in divisa con lo stemma di Grifondoro, lo salutavano allegro.
“Anche i miei sono, cioè erano, insomma, tutti e due Grifondoro.” Fece, posando la fotografia.
“Io sono il primo in famiglia!” Trillò Peter, gonfiando il petto orgoglioso, e continuò: “Mia mamma sarà fiera di me! Loro sono due Tassorosso, ma mi hanno sempre detto che Grifondoro è la casa più ambita: pure Silente l’ha frequentat-“
Sirius lo interruppe, scoppiando a ridere. I suoi occhi erano diventati freddi come il ghiaccio, sprezzanti e, in qualche modo, tristi.
“Anche la mia sarà molto contenta... Mi sembra di già di sentirla... Io sono l’unico della mia famiglia che non sia finito a Serpeverde.” Nella camerata calò il silenzio.
“La casa dei maghi oscuri? Mia mamma dice che sono venuti tutti da lì!” Sussurrò Peter nell’orecchio a Remus.
“Ma davvero? Non lo sapevo! Tu, James?” Domandò Sirius, ironico, tirandosi su, contro la testiera del letto, evidentemente stizzito. I capelli neri, lunghi fino alle spalle, mossi, gli coprirono il viso, nascondendo i suoi occhi.
Peter arrossì, sentendosi sprofondare. Perché doveva sempre parlare così tanto?
“E’ stata una giornata lunga, ragazzi, io andrei a dormire!” Affermò James, striracchiandosi e avviandosi al suo letto. “Io prendo questo vicino alla finestra, vi spiace?”
“Nessun problema James! Io mi prendo quello a fianco a quello di Peter...” Disse Remus, infilandosi sotto le coperte: quel Black gli puzzava di ragazzino viziato lontano un miglio.
“Buonanotte ragazzi!” Ululò allegro James, posando gli occhiali sul comò. Era davvero felice: domani sarebbe cominciata la sua grande avventura!
Si girò su un fianco e fissò il baldacchino chiuso del letto di Sirius: chiuso come il carattere di quel ragazzo.
“Notte Sirius!” mormorò a bassa voce, in modo da poter essere sentito solo da lui. Nessuna risposta.
“Buonanotte James.”
Più tardi, durante la notte, Sirius fu svegliato da un rumore sommesso. Rimase immobile, fermo, allungando solo la mano destra sul comodino per prendere la bacchetta. Si alzò piano, mettendo entrambi i piedi sul tappeto. Ascoltò il silenzio, cercando di scoprire l’origine del rumore: il letto di Peter. Si avvicinò, mentre il suona assomigliava sempre di più a un lamento. Appoggiò la mano alla tenda e, bacchetta in pugno, la spalancò, scoprendo un Peter Minus tremante, appoggiato alla testiera del letto.
“Perché diavolo frigni, Minus?” Domandò Sirius a voce alta, svegliando gli altri compagni di stanza, che fecero capolino fra le cortine.
Peter lo guardò, con i suoi occhi piccoli e un po’ acquosi, arrossati, e provò a parlare, ma gli uscì un suono inarticolato. Aveva pianto. Sirius notò che stringeva tra le dita tozze una fotografia. Senza pensarci su due volte gliela strappò di mano. Un sorrisetto cattivo si dipinse sul suo volto.
“Venite a vedere! A Minus manca la mamma!” Gridò, mentre trionfante porgeva la foto a James. Peter si fece piccolo piccolo sotto le coperte, cercando inutilmente di nascondersi.
“Povero, piccolo Peter, senza la sua mammina che viene a dormire con lui! Sei proprio un piscialletto!” Gracchiò, mentre i suoi occhi diventavano freddi e pungenti come il ghiaccio. Quel ciccione era proprio uno spasso: sua madre non era mai venuta a dormire con lui e lui non ne sentiva minimamente la mancanza. Anzi, l’aveva sentita a sei anni, ma gli era stato detto che era da deboli, e lui, sentendosi umiliato si era promesso di non esserlo. Senza nemmeno accorgersene strinse il mano intorno alla bacchetta, finchè le nocche non diventarono bianche.
“Sei un debole, Minus, e sei una femminuccia! Il dormitorio delle femmine è di là!” Ghignò, arrogante, indicando la porta. Peter cercò di trattenere le lacrime, mentre arrossiva fin sulla punta dei capelli.
Remus, che fino a quel momento aveva osservato in silenzio la scena, si alzò dal letto, e con calma si sedette a fianco a Peter, poggiandogli una lunga mano sulla spalla. Il ragazzo lo guardò attonito, temendo un’altra crudele presa in giro.
“Non c’è niente di male, se ti manca la mamma, Peter.” Disse piano, ma con voce ferma e calda. A Sirius per poco non cadde la mandibola, senza parole. Il ragazzino dai capelli color topo, invece lo guardò, fissando gli occhi di Remus, talmente chiari da sembrare grigi, sentendo per un attimo scendere il groppo che gli attanagliava la gola.
“Anche a me manca tanto la mia. Devi pensare che la rivedrai presto, che domenica ti verrà a trovare, che ti scriverà tutti i giorni e devi stare tranquillo: sono sicuro che in questo momento è a casa tua, nel suo letto, e che ti sta pensando anche lei. Quando vuoi bene a qualcuno non conta la distanza che vi separa.” Peter gli prese la mano, pieno di gratitudine, stringendola.
“Ma che bel quadretto! Due femminucce che si fanno le coccole! Mi vien da vomitare!” Rise Sirius, che intanto si era ripreso dallo sbigottimento, schernendoli.
Peter lo ignorò, sentendosi forte di quella mano che gli veniva stretta e si sentì più felice, tirando rumorosamente su col naso. Remus si sfilò un fazzoletto dalla tasca del pigiama e glielo porse, sorridendogli amabilmente.
“Hai ragione, Remus. Verranno a trovarci e ci scriveranno tante lettere, così non sentiremo la loro mancanza.” Disse allegro, fissando l’amico. Remus d’un tratto si rabbuiò, mentre il suo sorriso, così bello fino a poco prima, si era inclinato, diventando malinconico.
“Non credo che la mia le scriverà, magari vorrebbe, ma non credo lo farà.”
“E perché? Sono certo di sì!” Fece Peter, stupito: Remus non poteva comportarsi così, non dopo le parole che gli aveva appena sentito pronunciare.
“Perché non penso che esistano postini babbani, né tanto meno gufi, nel posto dove è andata la mia mamma.” Un silenzio di tomba piombò nella stanza. Peter cercò gli occhi di Remus e li trovò lucidi e tristi.
“La mia mamma è morta.” Disse alla fine, sostenendo con fierezza gli sguardi dei compagni. Poi accadde qualcosa di inaspettato: Peter gli saltò al collo, abbracciandolo.
“Allora la mia scriverà a te e ti verrà anche a trovare!” Gridò, stringendo forte quel ragazzo, così grande nell’aspetto e nel carattere.
Per Sirius era davvero troppo: “Non solo femminucce, due checche! Guardali James: sono penosi.” sghignazzò, cercando con lo sguardo l’approvazione di James, che si portò gli si portò al fianco.
Sirius sorrise: “Finalmente qualcuno con un po’ di palle!” pensò, ma poi ammutolì, vedendo il ragazzino con gli occhiali andare oltre, sedendosi anche lui sul letto di Peter.
“E poi... Cavolo Peter, siamo da soli, possiamo fare tutto quello che diavolo ci pare! Non è fantastico?” fece, mettendosi in ginocchio e fissando i due ragazzi negli occhi.
Remus e Peter lo guardarono abbastanza sorpresi: si erano immaginati che fosse anche lui uno viziato e maleducato come quel Black.
“C-come, prego?”
James alzò gli occhi scuri al cielo, allargando le braccia: si era aspettato che tutti capissero al volo una cosa così ovvia!
“Aspetta... Ti faccio un esempio: c’è qualcosa che tua mamma ti impedisce di fare a letto?” domandò, tirandosi su gli occhiali sul naso.
Sirius scoppiò a ridere, dicendo una volgarità, mentre Remus lo guardava con la coda dell’occhio, abbastanza seccato.
Peter si concentrò, pensando ai numerosi divieti che sua mamma gli imponeva, poi, arrossendo, disse: “Mangiare le caramelle!”
“Perfetto!” urlò James, saltando giù dal letto e correndo verso il suo baule, sotto lo sguardo attonito dei suoi compagni di stanza. Ci saltò praticamente dentro e, dopo poco, riemerse, carico di dolciumi di tutti i tipi. Si ributtò sul letto, sommergendo gli occupanti con ogni ben di Dio.
“E questi da dove saltano fuori?” chiese Peter, con gli occhi che luccicavano davanti a una simile abbondanza.
“Sei un parente dei padroni di Mielandia?”
“Questi, caro Remus, sono gli investimenti della mia ultima paghetta!”
“I tuoi ti danno la paghetta?”
“Certo! Perché a te no?” gli rispose James, guardandolo meravigliato, come se fosse la cosa più normale del mondo. Solo allora notò che il pigiama del ragazzo era talmente corto da arrivargli sopra alle caviglie e che i cavalli disegnati sulla stoffa erano talmente scoloriti da sembrare fantasmi. Avvampò, ma si riprese subito: “Facciamo pure festa, non preoccupatevi! Sono sicuro che domenica me ne invieranno degli altri!” E afferrò un pacchetto di gomme Bolle-Bollenti, lanciandolo a Remus, che lo afferrò prontamente.
“Potresti giocare a Quiddich!”
“Ma che dici, Peter? Io non so nemmeno stare in equilibrio su una scopa!”
E iniziarono a chiacchierare di tutto, ridendo allegramente, quasi dimenticandosi di Sirius, che era in piedi vicino al letto e li fissava allibito.
James se ne accorse e, porgendogli una Cioccorana, disse: “ Vuoi una caramella, Sirius?”
Sirius rimase immobile, mentre una parte di lui gli stava urlando di accettare l’invito e sdraiarsi sul letto con gli altri. Remus, Peter e James lo fissavano, aspettando una risposta.
“Non so che farmene delle vostre caramelle.” ringhiò, voltando loro le spalle e infilandosi nel letto rabbiosamente. Lui non aveva bisogno di nessuno.
“Fossi al posto tuo incomincerei a chiedermi perché non sono finito a Serpeverde.” Mormorò James e Sirius lo udì, sentendosi turbato e, anche se non lo avrebbe mai ammesso, neppure a se stesso, ferito da quelle parole. Chiuse le tende, mettendo ancora una volta una barriera a separarlo dal mondo.
Cercò di dormire, ma i ragazzi andarono avanti a vociare per un po’ e lui non poteva fare a meno di ascoltare le loro chiacchiere spensierate. Strinse con rabbia i pugni. Cosa ne sapevano loro, di Serpeverde? Non potevano nemmeno immaginare cosa gli avrebbero detto i suoi genitori, appena saputa la notizia. Forse lo avrebbero sgridato, anche se lui non aveva nessuna colpa. O, forse, più probabilmente, l’avrebbero trattato come al solito, come se lui non fosse stato presente, come se non ci si potesse aspettare altro da un figlio disgraziato come lui. Eppure lui aveva pregato tanto il Cappello Parlante di mandarlo a Serpeverde, ma quello gli aveva sussurrato che lui era proprio un Grifondoro.
“Tu non sei un Black!” gli aveva detto una volta suo padre, con uno sguardo che trasudava disprezzo, lo stesso disprezzo che lui aveva vomitato su Peter un attimo prima. E la cosa che gli bruciava di più è che era vero. Lui era diverso. Era gentile e un tempo era certo di essere stato anche affettuoso. Aveva paura del buio perché amava la luce, che non entrava mai a casa Black. Alle Arti Oscure e ai libri preferiva il manico di scopa e, soprattutto, lui rideva. Certo, lo facevano anche i Black, ma sarebbe stato più corretto dire che loro deridevano gli altri. E invece Sirius non aveva per forza bisogno di schernire un altro, per farlo.
Senza rendersene conto si mise a piangere, affondando la testa nel cuscino. Era invidioso: invidioso di Peter perché sua mamma andava a dormire con lui quando aveva paura, di James, perché i suoi genitori lo ricoprivano di attenzioni, di Remus, perché sua mamma doveva averlo amato così tanto da riscaldarlo ancora col suo affetto.
Pianse a lungo, silenziosamente, stringendosi il viso fra le mani per asciugarsi le lacrime. Dalla stanza, intanto, non proveniva più alcun rumore. Aprì le tende e di soppiatto si avvicinò al letto di Peter: i tre ragazzi giacevano beatamente addormentati in un mare di caramelle e incarti, con il sorriso ancora sulle labbra. Sirius guardò Peter sotto le coperte, al caldo, mentre alla sua destra e alla sua sinistra erano rannicchiati James e Remus, assopiti, ma tremanti di freddo. Prese due coperte dal suo letto e gliele buttò addosso, poi dichiarò: “Tanto non riuscivo a dormire!”, cercando di dirlo più a se stesso che agli altri. Dopotutto lui era pur sempre Sirius Black.
Si sdraiò sul fondo del letto, rannicchiandosi in un angolino, quasi fuggendo il contatto con gli altri, un po’ per non disturbarli, un po’ perché temeva di essere cacciato. Con sua sorpresa vide le lunghe gambe di Remus allontanarsi da lui, per far posto alle sue, che erano a penzoloni giù dal letto, mentre James faceva passare le proprie sotto il suo collo, offrendogliele come cuscino. Un po’ imbarazzato, Sirius si adagiò in quella piccola nicchia, e senza sapere bene il perché, si sentì felice. Girandosi su un fianco pensò che quello che sentiva dovesse essere il sentimento più simile all’affetto di una famiglia che avesse mai provato.
“Remus John Lupin! Tu, invece, Peter Minus, dico bene?” Fece il bambino dai capelli biondo chiaro, color grano, a quello con i capelli color topo, corti e ben pettinati.
“Esatto!” Affermò, sorridendogli allegro. Era piccolo e cicciottello, e sembrava un po’ costretto nella divisa di Hogwarts. L'altro era completamente diverso: era alto e magro e, nella divisa, non troppo nuova, sembrava affogarci, al punto che il maglione era rabboccato più volte sulle maniche.
Remus aprì il suo baule e iniziò a sistemare i vestiti nell’armadio, ordinatamente, mentre Peter si infilava il pigiama.
La porta del dormitorio del primo anno si spalancò, facendo entrare altri due ragazzi. Il primo era un po’ bassino, con i capelli corti e neri completamente arruffati, l’altro era magro, con i capelli neri mossi e gli occhi chiarissimi, quasi grigi.
“Sera a tutti! James Potter!” fece quello coi capelli arruffati, sorridendo ai compagni di stanza oltre gli occhialetti tondi. Strinse le mani a Remus e Peter, permettendo all’altro ragazzo di entrare. Questo si sedette sul letto, buttando i vestiti sulla sedia, disordinatamente, mentre si infilava il pigiama.
Remus alzò un sopracciglio, guardando i vestiti così raffazzonati. Non era quello che si può definire un tipo ordinato, ma amava dare un senso logico alle cose, anche ai vestiti sulle sedie.
“Tu devi essere Sirius Black, vero? Remus John Lupin.” Disse allungando una mano. Sirius lo guardò, anzi lo squadrò, esaminandolo da capo a piedi. Remus notò che i suoi occhi indugiavano sulle maniche rimboccate, sulla divisa scolorita, sui pantaloni larghi e si sentì a disagio, ma sostenne lo sguardo, sforzandosi pure di sorridere mentre si sentiva avvampare. L’aria si era fatta tesa, mentre Peter spostava gli occhi dall’uno all’altro, domandandosi in quale modo avrebbe dovuto poggiare i vestiti sulla sedia: scelse una soluzione di comodo, imitando la foggia degli abiti di James.
Dopo qualche istante Sirius allungò una mano: “Giusto, piacere.”
James si rilassò, infilandosi il pigiama.
“Voi come siete messi? Siete i primi Grifondoro in famiglia? Io sono l’ultimo di una lunga serie!” Disse, mentre si sedeva sul letto a fianco a Sirius, indicando orgoglioso una fotografia sul comodino. Remus la prese e la guardò: i genitori di James, appena più che adolescenti, in divisa con lo stemma di Grifondoro, lo salutavano allegro.
“Anche i miei sono, cioè erano, insomma, tutti e due Grifondoro.” Fece, posando la fotografia.
“Io sono il primo in famiglia!” Trillò Peter, gonfiando il petto orgoglioso, e continuò: “Mia mamma sarà fiera di me! Loro sono due Tassorosso, ma mi hanno sempre detto che Grifondoro è la casa più ambita: pure Silente l’ha frequentat-“
Sirius lo interruppe, scoppiando a ridere. I suoi occhi erano diventati freddi come il ghiaccio, sprezzanti e, in qualche modo, tristi.
“Anche la mia sarà molto contenta... Mi sembra di già di sentirla... Io sono l’unico della mia famiglia che non sia finito a Serpeverde.” Nella camerata calò il silenzio.
“La casa dei maghi oscuri? Mia mamma dice che sono venuti tutti da lì!” Sussurrò Peter nell’orecchio a Remus.
“Ma davvero? Non lo sapevo! Tu, James?” Domandò Sirius, ironico, tirandosi su, contro la testiera del letto, evidentemente stizzito. I capelli neri, lunghi fino alle spalle, mossi, gli coprirono il viso, nascondendo i suoi occhi.
Peter arrossì, sentendosi sprofondare. Perché doveva sempre parlare così tanto?
“E’ stata una giornata lunga, ragazzi, io andrei a dormire!” Affermò James, striracchiandosi e avviandosi al suo letto. “Io prendo questo vicino alla finestra, vi spiace?”
“Nessun problema James! Io mi prendo quello a fianco a quello di Peter...” Disse Remus, infilandosi sotto le coperte: quel Black gli puzzava di ragazzino viziato lontano un miglio.
“Buonanotte ragazzi!” Ululò allegro James, posando gli occhiali sul comò. Era davvero felice: domani sarebbe cominciata la sua grande avventura!
Si girò su un fianco e fissò il baldacchino chiuso del letto di Sirius: chiuso come il carattere di quel ragazzo.
“Notte Sirius!” mormorò a bassa voce, in modo da poter essere sentito solo da lui. Nessuna risposta.
“Buonanotte James.”
Più tardi, durante la notte, Sirius fu svegliato da un rumore sommesso. Rimase immobile, fermo, allungando solo la mano destra sul comodino per prendere la bacchetta. Si alzò piano, mettendo entrambi i piedi sul tappeto. Ascoltò il silenzio, cercando di scoprire l’origine del rumore: il letto di Peter. Si avvicinò, mentre il suona assomigliava sempre di più a un lamento. Appoggiò la mano alla tenda e, bacchetta in pugno, la spalancò, scoprendo un Peter Minus tremante, appoggiato alla testiera del letto.
“Perché diavolo frigni, Minus?” Domandò Sirius a voce alta, svegliando gli altri compagni di stanza, che fecero capolino fra le cortine.
Peter lo guardò, con i suoi occhi piccoli e un po’ acquosi, arrossati, e provò a parlare, ma gli uscì un suono inarticolato. Aveva pianto. Sirius notò che stringeva tra le dita tozze una fotografia. Senza pensarci su due volte gliela strappò di mano. Un sorrisetto cattivo si dipinse sul suo volto.
“Venite a vedere! A Minus manca la mamma!” Gridò, mentre trionfante porgeva la foto a James. Peter si fece piccolo piccolo sotto le coperte, cercando inutilmente di nascondersi.
“Povero, piccolo Peter, senza la sua mammina che viene a dormire con lui! Sei proprio un piscialletto!” Gracchiò, mentre i suoi occhi diventavano freddi e pungenti come il ghiaccio. Quel ciccione era proprio uno spasso: sua madre non era mai venuta a dormire con lui e lui non ne sentiva minimamente la mancanza. Anzi, l’aveva sentita a sei anni, ma gli era stato detto che era da deboli, e lui, sentendosi umiliato si era promesso di non esserlo. Senza nemmeno accorgersene strinse il mano intorno alla bacchetta, finchè le nocche non diventarono bianche.
“Sei un debole, Minus, e sei una femminuccia! Il dormitorio delle femmine è di là!” Ghignò, arrogante, indicando la porta. Peter cercò di trattenere le lacrime, mentre arrossiva fin sulla punta dei capelli.
Remus, che fino a quel momento aveva osservato in silenzio la scena, si alzò dal letto, e con calma si sedette a fianco a Peter, poggiandogli una lunga mano sulla spalla. Il ragazzo lo guardò attonito, temendo un’altra crudele presa in giro.
“Non c’è niente di male, se ti manca la mamma, Peter.” Disse piano, ma con voce ferma e calda. A Sirius per poco non cadde la mandibola, senza parole. Il ragazzino dai capelli color topo, invece lo guardò, fissando gli occhi di Remus, talmente chiari da sembrare grigi, sentendo per un attimo scendere il groppo che gli attanagliava la gola.
“Anche a me manca tanto la mia. Devi pensare che la rivedrai presto, che domenica ti verrà a trovare, che ti scriverà tutti i giorni e devi stare tranquillo: sono sicuro che in questo momento è a casa tua, nel suo letto, e che ti sta pensando anche lei. Quando vuoi bene a qualcuno non conta la distanza che vi separa.” Peter gli prese la mano, pieno di gratitudine, stringendola.
“Ma che bel quadretto! Due femminucce che si fanno le coccole! Mi vien da vomitare!” Rise Sirius, che intanto si era ripreso dallo sbigottimento, schernendoli.
Peter lo ignorò, sentendosi forte di quella mano che gli veniva stretta e si sentì più felice, tirando rumorosamente su col naso. Remus si sfilò un fazzoletto dalla tasca del pigiama e glielo porse, sorridendogli amabilmente.
“Hai ragione, Remus. Verranno a trovarci e ci scriveranno tante lettere, così non sentiremo la loro mancanza.” Disse allegro, fissando l’amico. Remus d’un tratto si rabbuiò, mentre il suo sorriso, così bello fino a poco prima, si era inclinato, diventando malinconico.
“Non credo che la mia le scriverà, magari vorrebbe, ma non credo lo farà.”
“E perché? Sono certo di sì!” Fece Peter, stupito: Remus non poteva comportarsi così, non dopo le parole che gli aveva appena sentito pronunciare.
“Perché non penso che esistano postini babbani, né tanto meno gufi, nel posto dove è andata la mia mamma.” Un silenzio di tomba piombò nella stanza. Peter cercò gli occhi di Remus e li trovò lucidi e tristi.
“La mia mamma è morta.” Disse alla fine, sostenendo con fierezza gli sguardi dei compagni. Poi accadde qualcosa di inaspettato: Peter gli saltò al collo, abbracciandolo.
“Allora la mia scriverà a te e ti verrà anche a trovare!” Gridò, stringendo forte quel ragazzo, così grande nell’aspetto e nel carattere.
Per Sirius era davvero troppo: “Non solo femminucce, due checche! Guardali James: sono penosi.” sghignazzò, cercando con lo sguardo l’approvazione di James, che si portò gli si portò al fianco.
Sirius sorrise: “Finalmente qualcuno con un po’ di palle!” pensò, ma poi ammutolì, vedendo il ragazzino con gli occhiali andare oltre, sedendosi anche lui sul letto di Peter.
“E poi... Cavolo Peter, siamo da soli, possiamo fare tutto quello che diavolo ci pare! Non è fantastico?” fece, mettendosi in ginocchio e fissando i due ragazzi negli occhi.
Remus e Peter lo guardarono abbastanza sorpresi: si erano immaginati che fosse anche lui uno viziato e maleducato come quel Black.
“C-come, prego?”
James alzò gli occhi scuri al cielo, allargando le braccia: si era aspettato che tutti capissero al volo una cosa così ovvia!
“Aspetta... Ti faccio un esempio: c’è qualcosa che tua mamma ti impedisce di fare a letto?” domandò, tirandosi su gli occhiali sul naso.
Sirius scoppiò a ridere, dicendo una volgarità, mentre Remus lo guardava con la coda dell’occhio, abbastanza seccato.
Peter si concentrò, pensando ai numerosi divieti che sua mamma gli imponeva, poi, arrossendo, disse: “Mangiare le caramelle!”
“Perfetto!” urlò James, saltando giù dal letto e correndo verso il suo baule, sotto lo sguardo attonito dei suoi compagni di stanza. Ci saltò praticamente dentro e, dopo poco, riemerse, carico di dolciumi di tutti i tipi. Si ributtò sul letto, sommergendo gli occupanti con ogni ben di Dio.
“E questi da dove saltano fuori?” chiese Peter, con gli occhi che luccicavano davanti a una simile abbondanza.
“Sei un parente dei padroni di Mielandia?”
“Questi, caro Remus, sono gli investimenti della mia ultima paghetta!”
“I tuoi ti danno la paghetta?”
“Certo! Perché a te no?” gli rispose James, guardandolo meravigliato, come se fosse la cosa più normale del mondo. Solo allora notò che il pigiama del ragazzo era talmente corto da arrivargli sopra alle caviglie e che i cavalli disegnati sulla stoffa erano talmente scoloriti da sembrare fantasmi. Avvampò, ma si riprese subito: “Facciamo pure festa, non preoccupatevi! Sono sicuro che domenica me ne invieranno degli altri!” E afferrò un pacchetto di gomme Bolle-Bollenti, lanciandolo a Remus, che lo afferrò prontamente.
“Potresti giocare a Quiddich!”
“Ma che dici, Peter? Io non so nemmeno stare in equilibrio su una scopa!”
E iniziarono a chiacchierare di tutto, ridendo allegramente, quasi dimenticandosi di Sirius, che era in piedi vicino al letto e li fissava allibito.
James se ne accorse e, porgendogli una Cioccorana, disse: “ Vuoi una caramella, Sirius?”
Sirius rimase immobile, mentre una parte di lui gli stava urlando di accettare l’invito e sdraiarsi sul letto con gli altri. Remus, Peter e James lo fissavano, aspettando una risposta.
“Non so che farmene delle vostre caramelle.” ringhiò, voltando loro le spalle e infilandosi nel letto rabbiosamente. Lui non aveva bisogno di nessuno.
“Fossi al posto tuo incomincerei a chiedermi perché non sono finito a Serpeverde.” Mormorò James e Sirius lo udì, sentendosi turbato e, anche se non lo avrebbe mai ammesso, neppure a se stesso, ferito da quelle parole. Chiuse le tende, mettendo ancora una volta una barriera a separarlo dal mondo.
Cercò di dormire, ma i ragazzi andarono avanti a vociare per un po’ e lui non poteva fare a meno di ascoltare le loro chiacchiere spensierate. Strinse con rabbia i pugni. Cosa ne sapevano loro, di Serpeverde? Non potevano nemmeno immaginare cosa gli avrebbero detto i suoi genitori, appena saputa la notizia. Forse lo avrebbero sgridato, anche se lui non aveva nessuna colpa. O, forse, più probabilmente, l’avrebbero trattato come al solito, come se lui non fosse stato presente, come se non ci si potesse aspettare altro da un figlio disgraziato come lui. Eppure lui aveva pregato tanto il Cappello Parlante di mandarlo a Serpeverde, ma quello gli aveva sussurrato che lui era proprio un Grifondoro.
“Tu non sei un Black!” gli aveva detto una volta suo padre, con uno sguardo che trasudava disprezzo, lo stesso disprezzo che lui aveva vomitato su Peter un attimo prima. E la cosa che gli bruciava di più è che era vero. Lui era diverso. Era gentile e un tempo era certo di essere stato anche affettuoso. Aveva paura del buio perché amava la luce, che non entrava mai a casa Black. Alle Arti Oscure e ai libri preferiva il manico di scopa e, soprattutto, lui rideva. Certo, lo facevano anche i Black, ma sarebbe stato più corretto dire che loro deridevano gli altri. E invece Sirius non aveva per forza bisogno di schernire un altro, per farlo.
Senza rendersene conto si mise a piangere, affondando la testa nel cuscino. Era invidioso: invidioso di Peter perché sua mamma andava a dormire con lui quando aveva paura, di James, perché i suoi genitori lo ricoprivano di attenzioni, di Remus, perché sua mamma doveva averlo amato così tanto da riscaldarlo ancora col suo affetto.
Pianse a lungo, silenziosamente, stringendosi il viso fra le mani per asciugarsi le lacrime. Dalla stanza, intanto, non proveniva più alcun rumore. Aprì le tende e di soppiatto si avvicinò al letto di Peter: i tre ragazzi giacevano beatamente addormentati in un mare di caramelle e incarti, con il sorriso ancora sulle labbra. Sirius guardò Peter sotto le coperte, al caldo, mentre alla sua destra e alla sua sinistra erano rannicchiati James e Remus, assopiti, ma tremanti di freddo. Prese due coperte dal suo letto e gliele buttò addosso, poi dichiarò: “Tanto non riuscivo a dormire!”, cercando di dirlo più a se stesso che agli altri. Dopotutto lui era pur sempre Sirius Black.
Si sdraiò sul fondo del letto, rannicchiandosi in un angolino, quasi fuggendo il contatto con gli altri, un po’ per non disturbarli, un po’ perché temeva di essere cacciato. Con sua sorpresa vide le lunghe gambe di Remus allontanarsi da lui, per far posto alle sue, che erano a penzoloni giù dal letto, mentre James faceva passare le proprie sotto il suo collo, offrendogliele come cuscino. Un po’ imbarazzato, Sirius si adagiò in quella piccola nicchia, e senza sapere bene il perché, si sentì felice. Girandosi su un fianco pensò che quello che sentiva dovesse essere il sentimento più simile all’affetto di una famiglia che avesse mai provato.
Note di fine capitolo
Allora, che ne dite? Spero vi piaccia e, ovviamente, vale la solita regola: per consigli, pomodori da tirarmi, commenti etc... Recensite!Posta una recensione
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