Note alla storia

Rispetto a Luna Rolf è un po' vecchiotto, lo so. Ma se è nipote di Newt Scamandro, e Newt Scamandro è nato nel 1897 come dice il lexicon, Rolf tanto giovane non è. Spero vi piaccia!
Casa Lovegood non si presentava come un palazzo fastoso, né come una dimora ordinaria.
Al varcare il cancello, Rolf Scamandro portò una mano di fronte al viso, riparandosi dal sole, così da poter osservare con più attenzione l’edificio.
Nemmeno la casa che aveva ereditato da Nonno Newt appariva così insolita rispetto a questa, che doveva essere stata ricavata da una vecchia torre medioevale, si disse il mago, ma della costruzione originaria era rimasto ben poco: su una base circolare si erigeva ora un complesso indefinibile. Il piano terra era circolare, in pietra nera, ma su di esso si alzavano altri tre livelli tirati su senza rispettare alcun criterio edilizio: in cima vi era quello che sembrava un giardino pensile, con qualche albero e rami di rampicanti che scendevano sui muri di mattoni e calce, il tutto perfettamente in vista. Il progetto doveva essere casalingo, e così la realizzazione: i piani sembravano storti, al punto che all’altezza del secondo la palazzina si piegava su se stessa, dando l’idea di una lattina d’alluminio schiacciata su un lato.
Ai lati, grossi ammassi di macerie riposavano nel tiepido sole primaverile; sembravano essere crollate da diverso tempo, eppure si trovavano ancora lì.
Rolf non si poteva definire un architetto, ma si chiedeva come fosse possibile che il complesso rimanesse in piedi: gli sembrava impossibile che qualcuno vi abitasse davvero. Intorno alla casa crescevano le più incredibili specie vegetali, al punto che il mago si appuntò di organizzare una spedizione in quel giardino selvaggio alla ricerca di nuovi campioni da analizzare; se avesse ottenuto il permesso dal padrone di casa, avrebbe scoperto nuove varietà ancora ignote al mondo magico, ne era sicuro.
Dagli alberi pendevano strani ornamenti, nastri colorati e animali di pezza e paglia. Strano, pensò: da quel che sapeva, Xenophilius Lovegood aveva una sola figlia che doveva avere almeno una ventina d’anni.
Bussò alla porta, sghemba anche quella, senza avere risposta; solo allora si rese conto che era aperta. «C’è nessuno?», gridò, un poco allarmato. La guerra era finita da più di tre anni, eppure nessuno riusciva ancora a sentirsi del tutto al sicuro in Gran Bretagna; Voldemort aveva lasciato un segno profondo sul mondo magico e sarebbe servito del tempo per dimenticare e andare avanti.
«Signor Lovegood, è in casa?»
«Chi lo cerca? Mio padre è via, è uscito a fare visita a uno dei nostri redattori».
La voce che gli rispose apparteneva a una ragazza; chiara e cristallina, sembrava invitarlo a raggiungerlo. Doveva essere la figlia; possibile che non si facesse alcun problema a lasciar entrare estranei in casa sua?
Arrivò in quella che sembrava essere la cucina. «Sono Rolf Scamandro, avevo un appuntamento con tuo padre».
Da dietro una vecchia stufa arrugginita comparve una giovane strega pallida e magrolina, dai lunghi capelli color biondo cenere; su tutto, lo colpirono i suoi occhi grigi, grandi e sporgenti. Aveva un’aria sognante e rapita, tanto che non gli diede fastidio notare che lo stava studiando nei minimi particolari.
«Quello della lettera?», domandò la ragazza con un sorriso. «Avresti dovuto presentarti qui direttamente: mio padre ha qualche problema di memoria e dimentica spesso i suoi impegni. Io sono Luna, a proposito».
Allungò una mano nera di fuliggine, che il mago strinse senza remore o timore di sporcarsi. La piccola Lovegood sembrava un tipo simpatico. «Come hai fatto a ridurti così?», chiese senza riuscire a trattenere una risata.
«Il camino in salotto ha qualche problema, temo: non produce calore, non riesco nemmeno a far divampare il fuoco magico. Sospetto che vi si sia insediata una colonia di Mangiafuochi: la stavo cercando, ma per ora ho trovato soltanto cenere».
«Mangiafuochi? Non ne ho mai sentito parlare». Era strano, conoscendo la passione di famiglia per le Creature Magiche; sapeva che il nonno non aveva concluso il suo lavoro di catalogazione e che molte altre specie aspettavano di essere scoperte da un nuovo esploratore, ed era incuriosito da quella strana ragazza.
«Nessuno vuole credermi, oltre a mio padre, eppure esistono. Divorano il fuoco delle stufe e dei camini, lasciando che gli umani si raffreddino senza remore; li sposterei nella stufa, se li trovassi, ma per ora non ho avuto fortuna».
Rolf si aggiustò gli occhiali sul naso, una vecchissima montatura appartenuta a nonno Newt e cerchiata di corno; era una storia interessante, che valeva la pena di approfondire. «E che aspetto dovrebbe avere un Mangiafuoco?»
«Non ne ho idea, non li ho mai visti muoversi con il fuoco spento, come in questo momento; ad ogni modo, cercando ancora troverò sicuramente qualche traccia che provi la loro presenza».
Chi cerca trova, chi si arrende crolla: era uno dei motti preferiti del nonno, che a furia di intestardirsi sulle sue idee aveva provato l’esistenza dei Lethifold e di molte altre creature magiche ritenute semplici leggende. Non sarebbe diventato tanto famoso e ammirato, se non avesse difeso le proprie idee con il suo incrollabile ottimismo e l’incapacità di arrendersi.
«Ricercatrice per il Ministero?»
«Assolutamente no, che Merlino me ne scampi!», esclamò scandalizzata la ragazza. «Anche se il nuovo Ministro è una persona buona e gentile, quel posto non mi avrà mai. Ho troppa paura dell’esercito di Eliopodi che nascondono nei sotterranei».
Rolf stava per chiederle degli Eliopodi, ma si morse la lingua; per quanto fosse interessato alle storie curiose della strega, doveva pensare prima al lavoro.
«Sai per che ora rientrerà tuo padre a casa?»
«Neanche se fossi una Veggente potrei risponderti: papà è imprevedibile, è capace di perdersi sulla via del ritorno o di fermarsi per ore a osservare una piantina insolita. Puoi aspettarlo qui, se vuoi, e se per l’ora di cena non sarà ancora qui sarei molto felice se ti fermassi a mangiare».
Luna lo fissava con aria gentile, aspettando la sua risposta. Il mago sembrò indeciso: nessuno l’aspettava a casa, in fondo, e invece del solito panino consumato al volo in laboratorio poteva gustarsi la compagnia di quella ragazza tanto singolare. «Perché no? Sei molto gentile, ti ringrazio».
«Molto bene, ti preparerò la mia famosa zuppa di Plimpi d’Acqua Dolce, allora; mi serve il tempo di andare a pescarne qualcuno, però», spiegò senza mai smettere di sorridere, «e forse dovrei darmi una pulita, sì».
Sembrava che si fosse accorta soltanto in quel momento della fuliggine che aveva addosso, eppure non ne era infastidita; secondo Rolf, ogni donna di sua conoscenza non gli avrebbe mai permesso di vederla in quello stato. «Fai con comodo, ti aspetto qui», rispose senza problemi senza quasi neanche pensarci.
«Grazie: non appena ho finito, ti andrebbe di pescare con me?»
Plimpi d’Acqua Dolce. Un altro nome che non aveva mai sentito in vita sua. L’uomo annuì, recuperando una sedia e accomodandosi in tutta tranquillità, mentre la ragazza spariva in cima alle scale che portavano al piano superiore; quei gradini sembravano un’unica gigantesca trappola, visto che con tutta probabilità erano tutti sghembi, al punto che forse non ve n’erano due uguali. Ruzzolare di lì doveva essere davvero facile, eppure Luna si arrampicò con l’eleganza di una farfalla, senza mai rallentare per prestare attenzione a dove poggiava i piedi.
Rimasto solo, Rolf si sentì libero di osservare con più attenzione la stanza in cui si trovava: era curioso di natura e gli era difficile non interessarsi ad ogni piccolo dettaglio, anche a costo di apparire maleducato. Non aveva per nulla l’aspetto di un trentacinquenne maturo e posato, cosa che, in fondo, non era.
Lo definivano un bambino figlio di Peter Pan, il personaggio delle favole tanto amato dai Babbani: instancabile, insopportabile quando s’impuntava su un nuovo progetto, scontroso e capriccioso. Non che il giudizio degli altri gli importasse, in realtà; le persone che non riuscivano a condividere la sua passione per il lavoro non meritavano attenzioni, e così le loro opinioni.
Era anche per questo che non si era ancora sistemato: da anni single per scelta, come diceva agli amici; ripeteva spesso di non avere tempo da perdere in frivolezze, ed in effetti non era una bugia, poiché passava gran parte dell’anno in giro per il mondo per convegni, seminari, corsi, scavi alla ricerca di fossili, esplorazioni nella giungla… Aveva molto da fare, questo era sicuro, eppure la solitudine non gli andava molto a genio.
Una donna non era tra le sue priorità, comunque: le sue ricerche erano molto proficue e sentiva che era il momento buono per pubblicare il suo primo libro e sostenere un confronto vero e proprio con il lavoro del nonno, cosa che fino ad allora aveva sempre evitato. Era nel pieno della sua carriera, perciò non cercava proprio quel tipo di distrazioni. Inoltre, sognava una compagna che lo seguisse e lo incoraggiasse nel lavoro, senza badare troppo a rispettare l’orario della cena o le visite ai parenti, ma perfino le sue colleghe, che avrebbero dovuto essere avventurose quanto lui, gli parevano banali e prive di spirito. Pazienza, sarebbero venuti momenti migliori per preoccuparsi della sua vita sentimentale.
Riprese l’osservazione della stanza: la cucina di casa Lovegood era decorata in colori vivaci ed era zeppa di mobili stravaganti, come Rolf ebbe modo di notare; per esempio, il tavolo da pranzo era scompagnato rispetto alle sedie, tutte e sei diverse tra loro. Il piano d’appoggio era coperto da una quantità svariata di libri scolastici: il primo che riconobbe fu, guarda caso, il volume che aveva reso celebre nonno Newt, Animali Fantastici dove trovarli; era aperto circa a metà, sul capitolo dedicato alle creature meno comuni, e i margini di entrambe le pagine erano coperte di annotazioni scritte in una calligrafia tonda e fitta, che brillava sulla pergamena a causa dell’inchiostro viola usato dalla proprietaria. Vi erano nomi di creature magiche sconosciute, ipotesi interessanti e perfino qualche schizzo appena abbozzato.
Altri pesanti tomi erano aperti e scribacchiati allo stesso modo, ma un libro particolare lo colpì, una copia del Libro Mostro dei Mostri. Era un testo che Rolf non amava particolarmente, perché da bambino aveva avuto una brutta esperienza con la copia di suo nonno; gli era stato ripetuto più volte di non avvicinarsi a quella cosa ma, da pargolo curioso e disubbidiente qual era, aveva aspettato che nessuno lo sorvegliasse per aprire il tomo, con effetti disastrosi. Non soltanto aveva rischiato di farsi azzannare e si era preso uno spavento memorabile, ma il padre l’aveva poi messo in castigo per secoli per aver violato le regole ricevute dai genitori.
La copia di Luna, tuttavia, era tinta di rosa confetto: le zanne che costituivano la chiusura erano state limate a puntino, in modo che non potessero fare del male; che pazienza era servita per conciarlo in quel modo e, soprattutto, ad addestrarlo perché rimanesse aperto senza cercare di nascondersi o di mordere? Il libro, infatti, stava quieto sul tavolo, tanto da non sembrare particolarmente minaccioso, e si limitò a ringhiare sommessamente non appena Rolf cercò di toccarlo, convincendolo a ritrarre subito la mano.
«Eccomi, sono pronta!»
Luna era riapparsa in fondo alle scale: aveva indossato una maglietta pulita e si era sciacquata dalla fuliggine. I capelli erano stati legati in due codini spiritosi dietro le orecchie, fermati con due elastici rossi e fucsia.
La ragazza recuperò un retino da pesca, un secchio e un paio di grossi stivali di gomma. «Non ho l’occorrente per pescare anche per te, mi spiace» si giustificò senza smettere per un attimo di sorridere.
«Non fa niente, vuol dire che io starò a guardare: così potrai spiegarmi meglio come sono fatti questi Plimpi d’acqua dolce».
Scamandro era perplesso, perché non riusciva a comprendere il suo atteggiamento: Luna gli dava l’impressione di vivere in un mondo tutto suo, come se non conoscesse la realtà o, più probabile, come se la trovasse noiosa e preferisse abitare in una sua fantasia. Possibile che ne avesse già abbastanza della sua quotidianità, così giovane?
«Va bene: sono molto graziosi, oltre ad avere un buon sapore».
Uscirono dalla porta sul retro, così che Rolf ebbe un altro assaggio dello stile Lovegood: il caos davanti a casa era un nonnulla, rispetto alla baraonda che si trovava in cortile: per un attimo desiderò che sua madre fosse presente, così per una volta avrebbe smesso di rinfacciargli il disordine in cui era abituato a vivere e lavorare. Luna sembrava non accorgersene, come se fosse la normalità.
«Conosci Harry Potter?» domandò all’improvviso il mago ricordandosi di una foto che aveva notato mentre aspettava la padrona di casa.
«Oh sì, chi non lo conosce? Siamo buoni amici dai tempi della scuola e abbiamo combattuto insieme durante la guerra». Gli raccontò in poche parole di quanto le era accaduto, della prigionia dai Malfoy, del salvataggio e, infine, della battaglia finale, il tutto con la massima naturalezza. Parlò di molte cose, anche piuttosto personali, come della morte di sua madre o degli strani scherzi che i suoi compagni di scuola le facevano considerandola mezza matta.
Non fece domande a Rolf sul suo passato o la sua famiglia, nemmeno riguardo al nonno, in genere il primo argomento di conversazione che tutti cercavano in lui, chiedendogli soltanto del suo lavoro e delle ricerche che aveva in piedi in quel periodo. Aveva tante teorie interessanti e non vedeva l’ora di finire la specializzazione e trovare un finanziatore per cominciare i suoi studi intorno al mondo.
Nulla sembrava metterla in imbarazzo, e Rolf notò che era davvero carina, immersa nel torrente fino alle ginocchia per cercare questi Plimpi d’acqua dolce. Il mago seguiva i suoi movimenti con attenzione, iniziando a considerare con più serenità quelle stranezze proprie di Luna. La strega sembrava perfettamente a suo agio con lui, anche quando decise di averne presi abbastanza e che era il momento di tornare verso casa con un secchio pieno d’acqua e nulla più.
Rolf era sempre più confuso e, allo stesso tempo, incuriosito da quella giovane strega.
Se aveva vissuto tante brutte avventure a soli diciassette anni, era quasi logico che inventasse animali fantastici e altre stranezze per allontanarsi dal mondo; eppure Luna era più di quello, era…
Una persona unica, si disse Rolf. E anche se quella sera cenò con una zuppa d’acqua calda e rosmarino e il signor Lovegood rientrò così tardi che il biologo non poté fare altro che dare a lui e alla figlia la buonanotte, prima di prendere un altro appuntamento; il padrone di casa era molto dispiaciuto della sua sbadataggine, ma il mago gli assicurò di non essere per nulla arrabbiato per l’intoppo. Non lo confessò apertamente, ma quella giornata non gli sembrava per nulla sprecata. Anzi.
Tornato a casa, considerò quasi speranzoso la possibilità che Xenophilius si dimenticasse di nuovo del loro impegno: un’altra giornata con Luna Lovegood non gli sarebbe dispiaciuta affatto.

Note di fine capitolo

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