Note alla storia

La mia prima One Shot sulla morte di un genitore e non sono stata capace di renderla come la volevo, ma sembra almeno sincera.
E' una storia vicina al mio personale, insomma.

Era morto.
Lui era morto.
Il sole tramontava oltre le colline: un immenso disco di fuoco rosso, ardente al di là dei confini neri del suo mondo.
Il Mago strinse convulsamente le dita intorno alla bacchetta: ormai era uno strumento inutile, inerte, privato della sua magia.
Senza neanche rendersene conto la spezzò, con gli occhi vuoti.
La donna che era rimasta in disparte gli sfiorò la spalla, con una dolcezza composta. Una strana, malinconica tenerezza.
"Non preoccuparti..." sussurrò.

* * *

Remus John Lupin sussultò nell’udire quella voce amica come se fosse stato destato da un rumore improvviso, eppure Remus non aveva chiuso occhio nelle precedenti trenta ore.
Volse lo sguardo all’aggraziata figura di Lily Evans: la donna indossava una tunica blu che minimizzava le rotondità della gravidanza.
“Oh… Non c’è più nulla di cui io debba preoccuparmi, Lily” mormorò il mago e si strinse nelle spalle; istintivamente i muscoli della mano si rilassarono e sul tappeto color crema ricaddero i frammenti della bacchetta insieme a piccole gocce di sangue.
La scheggia d’opale, custodita nell’ anima della verga, era un minuscolo occhio nero che fissava il mago.
Lily non commentò, preferì tacere e non aggiungere vuote, inutili parole incapaci di colmare l’assordante silenzio del cuore. Aveva perduto la madre un anno prima; la signora Evans aveva accettato la morte con triste serenità, con voce flebile e roca ripeteva che il mondo apparteneva ai giovani come le sue figlie.
La sensazione di non essere stata all’altezza delle aspettative dei genitori, di non aver ripagato degnamente l’amore della madre pungeva l’anima di Lily e si tramutava in lacrime, in sogni oscuri ed in rimorsi.
+
“Nostra madre non era degna dei tuoi prodigi di strega, Lily?” aveva singhiozzato Petunia. La rabbia aveva cancellato il dolore e le aveva dato una nuova e pericolosa energia.
“Sono una maga, non sono Dio! Petunia, se avessi potuto… Se qualcuno avesse potuto…” aveva balbettato Lily incrociando le braccia, come ad abbracciarsi da sola.
“Io non ho mai capito cosa diavolo tu abbia imparato in quella dannata scuola!” aveva urlato Petunia.
Erano state costrette a sostare nel corridoio della villa degli Evans: il medico era intento ad accertare la morte dell’anziana signora e Lily avvertiva la tensione salire e farsi intollerabile ogni minuto che trascorreva fra quelle mura, una volta tanto confortevoli.
“Nessuno può insegnarci a vivere” aveva risposto atona Lily.
“Lo so” aveva pianto Petunia.
Petunia aveva nutrito disprezzo e timore per il Mondo Magico, non era così ipocrita da nasconderlo e spesso le due sorelle avevano litigato, s’erano persino picchiate nella stanza da bagno, perché avevano fatto scelte radicali che le ponevano lontane l’una dall’altra, ma erano sorelle.
Erano lo stesso sangue, la stessa carne, la stessa vita.
James Potter era figlio unico e non poteva o non voleva capire, aveva udito il battibecco e con furore aveva osato riprendere aspramente Petunia; il marito di lei, Vernon, era passato alle vie di fatto.
+
John Lupin giaceva composto sul letto matrimoniale, il suo ultimo giaciglio; gli occhi castani avevano ammirato una bellezza così radiosa e pura d’obliare la paura del trapasso, la mano di Remus li aveva serrati poi in una pietosa, tenera carezza, sul viso rugoso del signor Lupin era ancora dipinto un tenue, serafico sorriso.
John non s’era consumato in una lenta agonia, non aveva dato alcun segno di cedimento nel suo fisico asciutto e magro, giovanile malgrado i sessanta anni compiuti.
Remus stentava a credere che suo padre gli fosse stato tolto con una simile velocità, con tanta crudeltà in un tramonto di Novembre. La Morte l’aveva rapito e a Remus non restava che una bacchetta spezzata e un fascicolo di documenti da firmare.
+
“Buonanotte, Remus” suo padre s’era chinato su di lui e gli aveva sfiorato la fronte con un bacio.
“’Notte papà” aveva esclamato il ragazzino imbronciato.
La signora Lupin era sulla soglia avvolta in una vestaglia bianca, sembrava un angelo: era bellissima, ma Remus era stato troppo schivo e freddo per dirglielo.
Il Mannaro era riuscito a morderlo, a lacerare la sua pelle sino a spezzargli un braccio: Remus J. Lupin non sarebbe più stato un ragazzo normale e poi un uomo normale, in lui cresceva il lupo…
La paura, la violenza e l’istinto ferino stavano già plasmando il suo carattere.
La mutazione era dolore.
“Remus perché non sorridi più?” aveva detto il signor Lupin alzando le spalle; la sua era figura spigolosa, nervosa ed ossuta.
Remus non aveva risposto.
John aveva lanciato un’occhiata alla moglie.
“Hai il sorriso di tuo madre e tu non trovi sia bellissima?” aveva aggiunto con brio sornione.
Remus aveva fissato la mamma: la trovava bella e dolce, ma non riusciva a dirlo.
“Non mi stanco di vedervi sorridere, sai?
Fai uno sforzo per il tuo vecchio” aveva insistito John.
“Papà, io sono…” aveva mormorato trattenendo le lacrime.
John s’era seduto sul bordo del letto: “Tu sei Remus John Lupin” aveva detto serio: “Il Lupo è parte di te, ma tu non sei il Lupo. Il Lupo arriverà e poi tu ritornerai, perché tu sei Remus e la Licantropia non farà di te un pazzo, sarai tu a decidere quanta importanza dare alla Bestia”.
“Io non voglio essere cattivo” aveva sentenziato Remus.
“Non lo sarai, allora, perché tu sceglierai chi sarai, ragazzo mio, sarà facile dare la colpa al Lupo, ma passata la notte… Sarai soltanto tu”.
“Lo so” aveva detto Remus.
+
La poltrona era logorata dal tempo, sua madre l’aveva ereditata dalla nonna e la casa dove i Lupin vivevano sembrava sgretolarsi sotto i piedi di Remus.
“Voglio vendere tutto” disse con cipiglio risoluto l’uomo.
Lily finse di dover accomodare una tenda e gli voltò le spalle: “Per le decisioni c’è tempo.” sussurrò.
“Questo posto non è la mia casa.” suggiunse Remus.
“Lo è e lo sarà sempre, come lui sarà tuo padre e lo piangerai per sempre… Per sempre”.
Remus s’alzò: “Stai bene?”
Lily annuì.
“Chiama James, non voglio che tu viva questa tensione” le disse.
“La sento anche sdraiata sul divano, la tensione.” borbottò la giovane.
“Saresti più comoda, James è uno spirito pratico e tu non devi affaticarti” obiettò Remus.
“Lo so” disse asciutta Lily.
+
James aveva guardato il livido viola ombreggiare lo zigomo sinistro: “Babbano ignorante!” aveva ridacchiato.
Lily era stata scacciata dalle zie in malo modo e non aveva azzardato ribattere, non dopo il penoso spettacolo dato durante la veglia funebre di sua madre.
“Perché hai… ?” la domanda era stata soffocata dal buon senso: “Non impicciarti mai più fra mia sorella e me”.
“Io sono parte della famiglia, ormai” aveva replicato James.
“Ascolta, Petunia ed io abbiamo dei problemi, ma non voglio che siano problemi tuoi” aveva precisato Lily.
“Tanto valeva che non mi sposassi, dato che io non sono la tua famiglia”.
Lily era scoppiata in lacrime: “Taci!
Chi mi resta, adesso? Tu solo. Tu sei la mia famiglia, James” aveva detto era la sola verità.
“Mi spiace per tua madre”.
James l’aveva abbracciata: “Mi spiace per Petunia”.
Lily aveva affondato il viso nel suo petto: “Lo so”.
+
La notte era iniziata, l’oscurità cadeva come un mantello bruno sul paesaggio e nel soggiorno i convenuti erano raccolti in un rispettoso silenzio.
“L’Eterno Riposo…” cominciò a recitare sommessamente Diana Rosier, una delle ragazze di Sirius.
James, lo stesso Black, Peter e Ted Nova abbassarono il capo e pregarono osservando i lacci delle scarpe.
“Amen” concluse Diana.
Un coro discreto le fece eco e gli uomini si segnarono fugacemente.
Remus fu sommerso d’abbracci, pacche sulle spalle, brevi incitazioni alla forza d’ animo, al coraggio, alla serenità.
“Ci occuperemo noi di ogni cosa, Remus… Fatti forza” lo consolò James.
“Non c’è niente di cui occuparsi” disse piano Remus: “ A parte la burocrazia”.
“Quella è la specialità di Peter” commentò Diana. Era la sola presenza gradita per Remus, oltre a Lily ovviamente.
La sofferenza va vissuta, non rimossa, ed i suoi amici non erano capaci di fermarsi e di piangere.
Fu guardando la volta celeste attraverso la finestra che Remus comprese cosa rendesse un fardello la sua sofferenza: la paura.
Il terrore di un bambino morso a sangue da un Licantropo, lo sgomento della sua solitudine e la certezza di aver perduto chi l’aveva amato senza reticenze. Remus aveva paura e l’avrebbe avuta sino alla fine.
“Tuo padre non avrebbe voluto vederti così” le ovvietà di Peter erano sconcertanti. E vere.
“Lo so” disse Remus.

Posta una recensione

Devi fare il login (registrati) per recensire.