Note alla storia

"Direi proprio di no, Minerva cara. Hai mai pensato alla Terra come ad una gigantesca tazza di latte?".
Minerva corrugò la fronte e levò istintivamente il sopracciglio sinistro verso la tesa del suo cappello nero.
"Mi credi se ti assicuro che è in grado di reggere benissimo due passeggeri?".
"Nel caso io risponda di no, non dovrò salire su questo traballante trabiccolo...?".
"Nessuno ti vuole costringere ad usufruire di questo veicolo, Minerva cara, né tanto meno il sottoscritto. Certamente, però, devo essere sincero: mi dispiacerebbe alquanto, se tu non mostrassi neanche la curiosità di accompagnarmi in un volo di prova, dal momento che...".
"D'accordo. Spero solo che non sia l'ultimo...".
"No, di certo! O almeno... questo dipenderà dal tuo giudizio... Sapevo che ne saresti stata entusiasta, una volta digerita l'idea! Pensavo proprio che, se supererà il tuo "test di gradimento", potremmo usarla spesso per i nostri spostamenti non ufficiali... per andare a bere una Burrobirra con gli altri da Madama Rosmerta, ad esempio... o anche solo per fare una passeggiata... o per...".
"Sì, sì, Albus, d'accordo! È una promessa: ti accompagnerò per un volo di prova, come lo chiami tu... Ma ora andiamo! Si sta facendo tardi e non è il caso di rischiare che qualcuno ci veda in giro per un quartiere Babbano, alle prime luci dell'alba".
"Hai perfettamente ragione, Minerva! Dopo di te!".
Ad un cenno del suo capo, la scopa biposto si alzò da terra e Albus Silente distese il palmo della mano verso la strega, sottolineando il gesto con un'espressione del volto placidamente soddisfatta.
La professoressa esitò esterrefatta, spostando lo sguardo dalla mano tesa dell'amico al nodoso bastone, che l'aspettava sospeso a mezz'aria accanto a lui. A metà della sua lunghezza il legno era tagliato trasversalmente da un secondo manubrio, in tutto identico a quello del "conducente".
Evidentemente il Preside aveva scelto proprio quell'occasione, quell’importantissima uscita notturna che per anni avevano architettato nei minimi dettagli, per rodare il veicolo di sua ideazione.
Quando pochi istanti prima aveva accettato l'invito ad un giro su quell'improbabile scopa, però, Minerva non intendeva dire subito.
"Ehm... Non vorrei deluderti, Albus..." incominciò con voce accorata e dispiaciuta "...Ma non credi che stavolta sarebbe più salutare se utilizzassimo i nostri consueti mezzi di trasporto? La faccenda in questione è già abbastanza delicata senza che ci andiamo a cercare altri possibili intoppi...".
"Intoppi, amica mia? Quali intoppi? Non devi avere alcun timore, te lo garantisco! Questo veicolo è più che sicuro, essendo frutto di un elementare Incantesimo di Trasfigurazione Espandente, che entrambi saremmo capaci di compiere persino con la bacchetta dietro la schiena".
"Sì, ma... proprio stasera...".
"Scusami se insisto, Minerva, ma non riesco proprio a comprendere perché tu debba sempre complicare le cose, creando problemi dove non esistono. So quanto sia delicata la nostra missione, ma non pensi comunque anche tu che allora avremmo più probabilità di essere scoperti se ci dirigessimo là con due scope? Con una sola scopa potremo controllare la situazione addirittura con maggiore facilità".
Minerva alzò gli occhi verso il soffitto dell'ufficio di Silente, quasi fosse convinta che in quel brevissimo lasso di tempo l'amico rinsavisse dalle sue idee bellicose.
Ma, quando abbassò lo sguardo, ritrovò sul suo volto la stessa espressione di speranzoso incoraggiamento che vi aveva lasciato un istante prima.
Non poteva deluderlo. Sembrava uno studente cui fosse appena stato regalato il primo manico di scopa.
"E va bene! Ma se non mi troverò... a mio agio... ti avverto già da ora che ritornerò con mezzi alternativi".
"E quali sarebbero?" chiese allora Silente in tono cautamente divertito, mentre l'amica si accomodava con qualche titubanza sul legno, lasciando penzolare entrambe le gambe alla destra di esso "Una volta che saremo là, non avrai la tua scopa e un Incantesimo di Richiamo di così larga portata in mezzo a tutti quei Babbani potrebbe essere assai più rischioso di un’intera fila di scope biposto che sfrecciano nei cieli di Londra".
"Tornerò a piedi, se necessario. Tu non ti preoccupare di questo" rispose stizzita l'insegnante, incrociando le braccia sul petto.
"Minerva, se non te la senti, non è necessario che tu faccia questo per me" mormorò allora il Preside abbassando lo sguardo, mentre, però, tra le mani rigirava già un paio di spessi occhialoni da moto, come se fosse pronto ad indossarli al minimo segnale di cedimento.
Minerva emise un sospiro rassegnato dalle narici e lanciò un'ultima occhiata indagatrice al manico nodoso della scopa.
Notando la sua esitazione, Silente continuò con voce sempre più flebile e amareggiata "Me ne farò una ragione. D'altronde... se hai paura...".
La reazione della strega fu immediata, tanto che il Preside si vergognò quasi un poco di quello che aveva appena detto.
In effetti, pur non avendolo fatto con alcuna malizia, si rendeva conto solo ora che quella frase non avrebbe potuto indurre la collega ad altra scelta, se non ad un fiero consenso alla partenza, per dimostrare che non aveva alcuna paura del veicolo.
"Non sia mai! Io, avere paura di un manico di scopa?... Quest'affermazione suona come un'offesa alle mie orecchie, caro Albus. Non ho alcuna paura! Nella maniera più assoluta! Nutro solo qualche riserva sul fatto di scegliere un veicolo così inconsueto per questo incarico. Abbiamo aspettato tanto, per non turbare l'equilibrio della situazione... E ora ho paura che questa risulti come un'imprudenza immotivata di cui potremmo pentirci".
A questo punto la McGranitt tacque, lo sguardo fisso nelle pupille celesti dell'insegnante, oltre le sue sottili lenti a mezzaluna. L'espressione era la stessa di quando parecchi anni prima, una giovane studentessa di Grifondoro, già molto abile in Trasfigurazione, insisteva col ripetere di non aver trasformato volutamente la piuma della sua compagna di Serpeverde in una viscida Lucertola Salterina.
"E va bene! Su, partiamo in fretta o potrei ripensarci!" concluse infine la donna con finta noncuranza.
Un sorriso raggiante si allargò immediatamente sul volto del Preside, mentre si accomodava i grossi occhiali da moto sul naso e prendeva quindi posto a cavallo del manico di scopa, davanti all'amica.
Silente sfiorò con le dita le estremità del manubrio, quasi per accertarsi che esso fosse posto alla distanza giusta rispetto al busto.
Quindi si girò indietro e lanciò da sopra la spalla destra un'occhiata felice alla strega, ancora visibilmente imbronciata: "Sei pronta per la partenza?".
Minerva portò meccanicamente le mani al nastro che tratteneva il suo cappello a punta, accertandosi per l'ennesima volta che fosse ben saldo sotto il mento.
Solo allora annuì poco entusiasta all'idea di staccare i piedi dal rassicurante pavimento di pietra dell'ufficio.
Silente puntò la bacchetta in direzione della finestra, che si spalancò su di una notte scura e umida. Il cielo pareva completamente annerito da un’impenetrabile distesa di nubi, che minacciavano da un momento all'altro di sfogare tutti i loro dispiaceri sul paesaggio addormentato.
"Non potevamo scegliere nottata migliore per il nostro "volo di prova", vero Albus?" chiese la strega, stringendosi il colletto del mantello da viaggio sotto la gola.
Ad ogni modo sapeva che era impossibile ormai convincere l'amico a rimandare l’uscita.
"Direi proprio di no, Minerva cara. Hai mai pensato alla Terra come ad una gigantesca tazza di latte?".
Minerva corrugò la fronte e levò istintivamente il sopracciglio sinistro verso la tesa del suo cappello nero.
Le parole del Preside riecheggiavano ancora nelle sue orecchie e la mente tentava di riordinarle, in modo tale da dare un senso logico a quella frase tanto insolita, quando la scopa dette un brusco strattone e si distaccò da terra all’incirca di un metro.
Il cappello della strega sobbalzò vistosamente e, mentre una mano rimaneva aggrappata con vigore al manubrio, l'altra si slanciò d'istinto alla parte superiore della tesa.
"Oh, nessuna paura! Devo solo ancora prenderci un po’ la mano" la rassicurò Silente con quella che suonò più come una frase di conforto verso il conducente del veicolo, che verso il suo passeggero.
"Ed ora la vera partenza. Tieniti forte, Minerva! Siii... parte!".
E ad un battito delle suole delle sue scarpe l'una contro l'altra più energico del precedente, la scopa con i suoi due passeggeri spiccò verso l'alto con un'angolatura che di molto superava i quarantacinque gradi, dritta verso quelle nuvole spesse e minacciose che incombevano sul paesaggio inglese.
Minerva per un attimo ebbe persino il timore che Silente avesse qualche difficoltà nel raddrizzare la scopa, dal momento che il loro volo continuava sempre nella medesima direzione, con la stessa velocità e nel più totale mutismo da parte del pilota.
Quando le nuvole divennero troppo vicine da poterne distinguere i contorni, la McGranitt chiuse gli occhi e per paura di perdere l'equilibrio si aggrappò con la mano alla spalla dell'amico, che non sembrò nemmeno accorgersene, tanto era concentrato sulla guida.
Sentì un muro di tiepido vapore infrangersi sulla sua fronte, sulle sue guance schiaffeggiate dal vento. Fu come se quella materia inconsistente e fumosa le penetrasse nelle orecchie e per un attimo non fu in grado di udire nulla, se non il battito accelerato del suo cuore, ricolmo di emozione.
Quindi il manico della scopa si assestò gradualmente in una diligente posizione orizzontale e la strega riaprì gli occhi sulla distesa di bianca spuma, che si estendeva sotto di loro fin dove lo sguardo poteva arrivare, laddove prima erano campi coltivati e macchie più scure di foresta. La luna sul loro capo splendeva tersa, limpida come non mai, simile ad un grosso lampadario sferico dalla superficie cangiante.
"Era questo che intendevi quando parlavi di un'enorme tazza di latte?" sorrise Minerva, ora visibilmente più distesa rispetto a qualche istante prima.
"Adoro i cappuccini con la schiuma. I Babbani hanno uno strano modo di fabbricarla e non si può dire che venga loro mai troppo bene. C'è chi la fa troppo liquida e allora poi finisce col mischiarsi col caffélatte sottostante e chi la fa troppo spessa, al punto che persino il cucchiaino ha difficoltà a girarci in mezzo per sciogliere lo zucchero sul fondo... A pensare che avremmo un così magnifico esempio sulle nostre teste di come va fatto un vero cappuccino con la schiuma" concluse Silente, strizzando ancora una volta l'occhio destro alla collega da sopra la spalla.
Minerva ricambiò con un timido sorriso.
Non aveva conosciuto il giocoso ragazzino che viveva dietro le celesti pupille di Albus Silente, finché non aveva messo piede nella scuola in quanto insegnante e non più come semplice allieva. Negli anni in cui era stato suo docente in Trasfigurazione, non si era mai potuta avvicinare a lui tanto da poter sbirciare oltre quelle sue esili lenti a mezzaluna, che contribuivano a conferire tanta solennità al suo volto. Ma ora che condividevano questo rapporto di piacevole confidenza, si era abituata a considerare una consuetudine il ritrovarsi faccia a faccia con quello spirito giovanile e sincero, che spesso illuminava i lineamenti dell’insegnante e gli faceva sollevare i baffi verso l’alto, a coronamento di ogni più tenue sorriso.
Nulla si intravedeva più sotto di loro se non soffici agglomerati di nuvole, su cui la luna dipingeva suggestivi effetti chiaroscurali.
Anche dopo una buona mezz’ora dalla loro partenza, il paesaggio non accennava a cambiare.
Nemmeno uno spiraglio si apriva nella fitta coltre bianca, tanto che la McGranitt aveva smesso da un po’ di chiedersi quale fosse la loro posizione, sicura che la meta finale del viaggio non fosse ormai molto lontana.
Ma Silente aveva pensato anche a questo e conservava ancora un asso nella manica, di cui la strega non era pienamente a conoscenza.
“Minerva, potresti essere così gentile da prendere lo Spegnino nella tasca del mio mantello?” chiese il Preside, senza staccare le mani dal manubrio.
La McGranitt obbedì e trasse da essa quello che sembrava un accendino d'argento, di piccole dimensioni, che aveva già visto parecchie volte in mano al collega, ma non aveva mai tenuto prima tra le sue dita.
"Aprilo e accendilo tu. Per quanto mi senta già piuttosto a mio agio nella guida di questa Windsor 57, preferisco non staccare le mani dal manubrio, per questioni di equilibrio...".
La McGranitt fissò lo Spegnino per qualche istante, come a volerne prendere meglio le misure. Quindi lo aprì con uno scatto e l'accese.
Subito dall'oggetto si sprigionò una sfera luminosa di un intenso color giallo paglierino, che le fluttuò per un momento così vicina alla punta del suo naso, da costringerla ad incrociare gli occhi per continuare a fissarla.
Subito dopo la luce si allontanò oltre la spalla di Silente, quasi sfiorò l’estremità anteriore del manico di scopa ed infine iniziò a scendere in ripida picchiata verso il basso, fermandosi comunque in un punto dove potesse essere ben visibile dai due insegnanti, come una palla infuocata contro la candida distesa bianca delle nuvole.
Fu allora che Silente dette un secondo colpo delle suole tra loro, simile a quello che era occorso per far alzare la scopa quando erano ancora nell'ufficio e la Windsor incominciò a scendere bruscamente in direzione della luce.
Minerva, allarmata da quella improvvisa perdita di quota, ma fiduciosa nelle capacità dell’amico, si aggrappò con entrambe le mani al manubrio retrostante il conducente e puntò anche lei lo sguardo sulla luce, che in breve li guidò oltre la distesa delle nuvole.
Il paesaggio sottostante era del tutto cambiato, da quando era scomparso dalla loro vista qualche tempo prima: i campi coltivati avevano lasciato spazio ai cortili delle case unifamiliari di un quartiere Babbano, dove le strade si incrociavano come rettilinei serpenti d'asfalto nera.
La luce che li guidava scese ancora di altezza fin quasi a sfiorare le tegole dei tetti, ma stavolta la scopa non fece altrettanto.
Silente preferì evitare di avvicinarsi troppo alle case: era molto buio, è vero, ma il pericolo di essere visti dai Babbani era comunque troppo alto per rischiare.
All'improvviso la luce scomparve in prossimità di una stradina stretta ed apparentemente deserta, sulla quale si affacciavano alcune abitazioni basse, circondate da un muretto di mattoni.
"Eccoci arrivati. Preparati alla discesa, Minerva!".
La donna non mosse un muscolo: d'altronde non avrebbe potuto aggrapparsi più saldamente di così al manubrio.
Le discese con un normale veicolo a un posto non erano mai state proprio il pezzo forte di Silente... Ma con una scopa biposto... meglio non immaginare nemmeno ciò, che poteva attenderla.
Il bastone piegò verso terra ed in meno di venti secondi giunsero al livello dei rami più alti degli alberi.
Un cartello indicava il nome della stradina, dove la sfera luminosa, uscita dallo Spegnino del Preside, era scomparsa poco prima: “Privet Drive”.
La scopa rallentò la sua corsa e Silente curvò il manubrio in direzione del vialetto di un’abitazione, situata al numero quattro della via.
"Sono passati cinque anni dall'ultima volta che siamo venuti qui, ma mi sembra che sia rimasto tutto come allora" mormorò Silente, voltando il capo indietro verso l'amica "Persino quelle foglie ammucchiate là, vicino all'ingresso, mi sembrano le stesse di cinque anni fa".
"Non me ne stupirei affatto..." sibilò gelida la McGranitt, puntando con espressione lievemente disgustata un sacchetto nero per i rifiuti, lasciato fuori dalla porta d'ingresso, ormai inzuppato fradicio per la pioggia.
Senza scendere dalla scopa, sospesi a poco più di un metro dal suolo, i due insegnanti si avvicinarono ad una finestra buia e sbirciarono all'interno.
"Non si vede niente, Albus! Ho l'impressione che forse sarebbe meglio se facessimo un po’ di luce...".
Silente annuì e la strega estrasse dal mantello da viaggio la bacchetta, puntandola contro il vetro della finestra, che assunse un aspetto fosforescente, rischiarando così l'oscurità della stanza: un'enorme sagoma giaceva sul letto accanto a quella di una donna, visibilmente più magra del marito, che dormiva con il braccio destro piegato sotto il cuscino e con un’orribile retina per capelli, stretta sulla fronte.
La pancia di Vernon Dursley si alzava e si abbassava al ritmo del suo pesante respiro, mentre dalla bocca rotonda, rimasta aperta, colava sul mento un sottile rivolo di bava.
L'aria sembrava vibrare sotto i possenti gorgheggi, che fuoriuscivano dalla sua gola.
"Evidentemente questa non è la stanza di Harry..." sottolineò Minerva McGranitt in tono disgustato, mentre il suo sguardo pareva come calamitato dalla scioccante visione del corpulento Babbano addormentato.
"Facciamo il giro" mormorò allora Silente e, ad un cenno della bacchetta, il vetro tornò della sua naturale colorazione e l'oscurità ripiombò nella stanza.
Silente cercò allora con lo sguardo l'altra finestra, che si apriva sul piano superiore della casa, ma un'altra volta la loro ricerca si rivelò infruttuosa: nella camera accanto ai genitori riposava Dudley, abbracciato ad una specie di robot metallico dall’aspetto poco rassicurante.
Il bambino indossava un pigiama a righini gialli e blu, sul quale erano disegnati aeroplani ed elicotteri multicolore.
Dal soffitto della stanza pendevano svariati modellini di aerei ed altrettanti erano disposti ordinatamente in fila sulle mensole e per terra.
Silente decise di scendere di quota per poter esplorare adeguatamente le stanze al pianterreno.
Giunti davanti alla finestra di quello che doveva essere il soggiorno e compiuto ancora una volta il consueto Incantesimo Rilucente, Minerva poggiò improvvisamente una mano sulla spalla del collega:
"Albus, guarda! Non vedi anche tu una luce là nel corridoio?".
Albus si risistemò le sottili lenti dorate sul naso con la punta dell'indice e strizzò le palpebre per cercare di abituare meglio le pupille all'oscurità, che permaneva nel salotto, in quei punti troppo distanti dalla finestra illuminata.
Fu allora che intravide un bagliore oltre la cornice della porta che dava nel corridoio, proprio come gli aveva detto la collega poco prima.
"Come possiamo fare a controllare da quella parte? Entrare in casa è troppo rischioso, ma non ho visto finestre che diano sul corridoio" bisbigliò la professoressa nell'orecchio del Preside.
"Dovremo improvvisare..." rispose allora Silente e sul suo sorriso si riaccese quell'espressione di compiacimento, che appariva inconfondibilmente al sopraggiungere di ogni sua brillante idea.
Per l'ennesima volta la Windsor mosse attorno alla casa, ma stavolta non si andò a fermare in prossimità di una finestra, ma bensì nella parte bassa del muro perimetrale che dava sul cortile.
Allora Silente estrasse la bacchetta e, sfiorando la parete con la punta di essa, disegnò un’immaginaria forma rettangolare sull’intonaco.
Non appena ritrasse la bacchetta, la superficie sembrò perdere improvvisamente la sua consistenza e baluginare come lo schermo di un televisore guasto.
Quando l’incantesimo finalmente si fu assestato, nella parete apparve un varco luminoso attraverso il quale fu possibile osservare il punto della casa, da cui poco prima i due insegnanti avevano notato provenire il chiarore di un lume acceso.
Albus e Minerva si sporsero verso l’apertura ed un’immensa commozione scaturì nel cuore di entrambi alla vista di un bambino di all’incirca sei anni, con i capelli scuri e spettinati, riverso su di un basso banchetto di legno verniciato.
Un ciuffo disordinato gli ricadeva sulla fronte ed un paio di occhialini tondi rimanevano agganciati precariamente all’estremità del suo naso, minacciando di scivolare via al minimo movimento inconsulto. La guancia appoggiata sulla superficie, nascondeva per metà uno straccio di cotone giallognolo.
Le dita bianche ed affusolate del bambino erano ancora strette attorno ad un pomo di metallo, presumibilmente posto come maniglia ad una delle porte della casa.
Altri cinque pomi già lucidi e strofinati di recente brillavano al bagliore di un’abat-jour, posta in alto su di una mensola affollata di barattoli di vernice e pennelli.
C’era anche un letto nella stanza o, per meglio dire, quello che sembrava uno scomodo giaciglio, ricavato da una vecchia poltrona rattoppata.
Accanto al letto, su di un comodino scrostato, era poggiata la foto di due giovani abbracciati e sorridenti, circondata da carte di caramelle e da un bicchierino di plastica vuoto.
“Albus, lo tengono in un... in un...”.
“...sottoscala” sospirò l’insegnante in tono austero, completando la balbettante successione di sillabe dell’amica “Ero già a conoscenza di questo particolare, ma non ero mai venuto prima a controllare di persona e speravo che, in tutti questi anni, i suoi zii avrebbero finito per provare un minimo di affetto nei suoi confronti, almeno quel tanto che sarebbe bastato ad assicurargli una sistemazione decente”.
Una profonda amarezza trapelava dagli occhi dell’insegnante ed insieme ad essa un inesprimibile senso d’impotenza attanagliava il suo animo.
“Finché Harry non avrà l’età giusta per entrare ad Hogwarts, non potremo fare nulla per migliorare le sue condizioni di vita. Se solo ve ne fosse la possibilità, penso che ogni mago o strega di buon cuore del Mondo Magico farebbe di tutto per garantire ad Harry un’infanzia felice, ma è per il suo bene che dobbiamo trattenerci dall’aiutarlo”.
“Ma se solo potessimo parlare con i suoi zii...”.
“E’ tutto inutile, Minerva. Con certi individui, ogni discussione equivale solamente a fiato sprecato”.
“E se facessimo un piccolo, innocuo incantesimo, in modo da far loro capire che sarebbe necessario un atteggiamento diverso nei confronti del nipote?... Albus, è solo un bambino... Non possono metterlo a lucidare i pomi delle porte di notte, come se fosse il loro servetto! Neanche un elfo domestico andrebbe mai trattato così!” ribadì la McGranitt, alzando senza accorgersene il suo tono di voce ben oltre la soglia di sicurezza, consentita alle loro discussioni nel bel mezzo di una così delicata missione.
“Ssscht! Minerva, calmati! Continueremo a vegliare su di lui, non lo lasceremo mai solo, ma non abbiamo altra scelta. Stasera siamo venuti qui per accertarci di persona delle condizioni di salute del piccolo Harry e, per quanto sia ben riconoscibile il disagio in cui è costretto a vivere, direi che fisicamente sta bene. Questa stanza è alquanto... spartana... lo so, ma sarebbe troppo pericoloso tentare di ingerirci nella situazione familiare dei Dursley e, comunque, questo resta il posto più sicuro dove Harry possa crescere, in attesa di venire a conoscenza delle sue potenzialità”.
Minerva ascoltò in silenzio le parole dell’amico, ma le sue labbra sottili furono scosse da un impercettibile tremolio, che Silente interpretò come l’ennesimo sforzo da parte della donna di trattenere le lacrime.
Non l’aveva mai vista in quello stato. Era come se sentisse su di lei il peso di una terribile colpa. La colpa di aver affidato un bambino inerme ed orfano alle cure di una famiglia di Babbani ottusi e aridi, che lo trattavano come un’anomalia, uno scherzo della natura, sebbene fossero consapevoli della forza insita in lui, ereditata dai suoi genitori.
Forse erano spaventati da essa.
Forse, togliendogli tutti i mezzi di sviluppo che garantivano, invece, al loro pasciuto figlioletto (che questi ne facesse cattivo uso è un’altra questione) erano convinti di bloccare il suo processo evolutivo, di ostacolare il compimento del suo luminoso destino magico.
Forse il punto era questo, forse la loro era solo paura.
Paura, data dall'ignoranza.
Ignoranza destinata irrimediabilmente a crescere all'ombra della stagnante convinzione che tutto ciò, che fosse risultato difficilmente comprensibile per la loro ristretta mentalità, non avesse alcun diritto di esistere.
Ignoranza destinata a tramandarsi alla loro discendenza, a meno che non fosse intervenuto un forte scossone a smuovere le acque.
“Minerva, ora ci conviene andare. Il sole tra non molto sorgerà e per quell’ora dovremo già essere tornati al castello. Viaggeremo di nuovo sopra le nuvole e non penso che nel frattempo ci siano state schiarite tali da escluderci un viaggio ben protetto da occhi indiscreti, ma preferisco non sfidare troppo la sorte: finora è andato tutto come previsto, senza “intoppi”...” e sottolineò l’ultima parola con una punta di divertimento nella voce, alludendo non troppo velatamente alle eccessive preoccupazioni esternate dall’amica qualche ora prima, al momento della partenza.
La strega alzò gli occhi al cielo ed emise un rapido sbuffo dalle narici. Quindi voltò di scatto lo sguardo in direzione di Silente, allontanando la questione con un colpo di cancellino e tornando a considerazioni più serie:
“Posso almeno...”.
“...Sì, certo” sussurrò il mago, afferrando al volo le intenzioni della collega.
Minerva sorrise ed alzò la bacchetta in direzione del piccolo Harry, ancora placidamente addormentato, con gli occhiali sempre più in bilico sulla punta del naso.
Uno zampillo di scintille azzurre si staccò dalla punta di essa e le lenti scivolarono via con cautela dalle orecchie del bimbo, fluttuando a mezz’aria in direzione del comodino, dove si posarono ordinatamente senza produrre il minimo rumore.
Quindi la strega mosse la bacchetta nuovamente verso il bambino e fu come se due braccia invisibili lo alzassero dal ripiano della scrivania e lo trasportassero amorevolmente verso l’angolo opposto dello spoglio stanzino, abbandonandolo con materna delicatezza sulle coperte, che nel frattempo si erano scostate scoprendo il malconcio materasso sottostante.
Harry scivolò senza aprire gli occhi sotto le lenzuola, che si richiusero su di lui, coprendolo sino alle spalle.
Silente stava già per metter mano allo Spegnino, quando si accorse che restava ancora qualcosa da fare: ad un rapido cenno della sua mano lo strofinaccio giallastro, su cui Harry poggiava la testa fino a poco prima, prese magicamente vita ed iniziò a strofinarsi contro l’ultimo pomo che il bambino, colto dal sonno, non aveva finito di lucidare.
Una volta conclusa la sua mansione, lo straccio cadde inerte sulla superficie verniciata della scrivania e Silente spense l’abat-jour con il suo fedele Spegnino.
“Buonanotte, Harry e buona fortuna” mormorò Minerva McGranitt, mentre il professore richiudeva la finestra provvisoriamente apertasi nel muro.
Quindi Silente batté per la terza volta le suole delle scarpe l’una contro l’altra e la Windsor 57 prese il volo, librandosi sui tetti delle case, pronta a bucare nuovamente la coltre di nubi e portare a termine la sua prima nottata di servizio.
Questa volta fu un cielo dalle pallide sfumature arancio ad accoglierli oltre quella vaporosa distesa. Minerva, ormai sicura della stabilità del veicolo, allentò il nastro che le teneva fermo il cappello a punta sotto la gola.
Silente, seppur intento alla guida, intravide il trafficare della strega dietro di lui e, voltandosi, non poté far altro che interpretare quel gesto, come indice di una relativa tranquillità finalmente raggiunta dal suo passeggero.
“Questo significa che faremo altre uscite a bordo della Windsor? Esame superato, professoressa?”.
Minerva attese qualche istante prima di rispondere, tanto che il Preside già si stava preparando psicologicamente a sostenere un’altra arringa difensiva a favore della sua invenzione, quando finalmente l’amica rispose alla sua domanda con un’entusiasta:
“A pieni voti, caro professore!”.
Il Preside sorrise e poggiò la mano sinistra su quella destra della collega, ferma sulla sua spalla.
Quindi la Windsor 57 accelerò e proseguì la sua rotta verso il castello di Hogwarts, immerso nell’atmosfera lattiginosa di quell’umida alba autunnale.

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