C'è qualcosa di magico nelle notti d'aprile. Forse è la primavera, la terra che torna a vivere e si apre in tutto il suo splendore, o forse è semplicemente l'odore dei fiori... dolce come il gelsomino, soffocante come i gigli, leggero come i mughetti.
Di fatto però c'è una sorta di battito sommesso nell'aria; le stelle non sono ancora luminose come nelle calde sere d'estate, quasi fossero ancora in bocciolo, e la brezza è ancora fresca...




Questa notte non fa eccezione.
La campagna inglese è soffice, accarezzata in modo fragile dalla luce della falce di luna.
Non c'è altro che natura a perdita d'occhio: la città più vicina dista alcune miglia, e soltanto una piccola costruzione di pietra e assi sconnesse si erge sbilenca di fianco ad un paio di giovani betulle.
È tutto molto silenzioso: una civetta canta da qualche parte, intonandosi al soffio del vento.
Quiete.
Pace.




D'un tratto un nuovo rumore si inserisce in quella sinfonia: il calpestio di passi sulla strada sterrata.
Fastidioso, secco e irregolare annuncia la comparsa di un'alta sagoma nera.
Zoppicando e vacillando leggermente l'uomo si avvia verso la casupola.




“Lumos”.




La voce è sommessa e fragile, accompagnata da un respiro spezzato.
La punta della bacchetta, accendendosi, illumina lo squallido interno della baracca: una sedia, un tavolo e un raggio di luce lattiginosa, proveniente da una feritoia priva di vetri.
L'uomo fa un passo avanti, e un rantolo lo costringe a chinarsi, portandosi una mano al petto.
La luce si posa sui lineamenti del viso, contratti dall'angoscia e dalla sofferenza.




Regulus Black è maledettamente giovane. Ha gli occhi di suo fratello Sirius, grigi come l'acciaio, e gli stessi capelli neri e lisci.
Certo, al di là delle somiglianze fisiche sono diversi come la notte e il giorno. Lo sguardo del maggiore dei fratelli Black è spavaldo e fiero, mentre il giovane Regulus è serio, scostante e insicuro; niente chiome ribelli o cravatte slacciate per il fratellino del famoso Sirius, niente amici popolari o bravate leggendarie. Lui è il bravo bambino, l'orgoglio della famiglia.

Eppure ora Regulus è diverso.

La pelle è di un pallore cadaverico, le labbra tanto spente da confondersi con il resto del viso; i capelli sono troppo lunghi, flosci, e gli ricadono sulla fronte, celandogli gli occhi... quegli occhi sgranati, terrorizzati, sprofondati nelle occhiaie violacee che gli conferiscono un'aria folle e malata.
Trema, nonostante non faccia più freddo e la veste nera lo avvolga fino al collo.
Barcollando paurosamente arranca fino alla sedia e vi si lascia cadere, il petto scosso da singhiozzi senza più lacrime. Le dita inciampano mentre faticosamente si fruga in una tasca, estraendo una pergamena stropicciata, una piuma e una boccetta d'inchiostro rosso.
Il tremito è tale che l'inchiostro si rovescia, perdendo il tappo e spandendosi come sangue sulla superficie tarlata del tavolo.
Regulus bestemmia con voce stridula, raddrizzando il calamaio e macchiandosi le dita.
Posa la bacchetta, lasciando che illumini il foglio.
Chiude gli occhi una volta, apparendo ancora di più un ragazzino terrorizzato... e poi via, afferra la piuma, cerca l'inchiostro, e scrive il suo testamento.




“Caro Sirius...”




No, non ce la può fare. Il dolore al petto si intensifica, e ora non ha nulla a che vedere con quanto gli è successo. Un sorriso triste gli sfiora le labbra esangui, e nel giro di un istante le parole gli fluiscono alla mano, esigendo di emergere sulla carta.



“Non farlo. Non gettare la lettera che stringi tra le mani. Per favore, solo per questa volta, aspetta.
Poi non ti importunerò mai più.
Tu mi disprezzi, e lo so. Ti capisco. Ho fatto una scelta che tu non solo disapprovi, ma a cui avresti preferito la morte.
Espierò la mia colpa, ma prima leggi quanto devo dirti.
Ti ricordi quando eravamo bambini? Eri il mio eroe. Forse lo sei ancora.
Tu eri quello forte, quello ribelle, che ancora bambino si impuntava per le proprie opinioni e si sentiva “diverso”. Nostra madre era così fiera di te...
Lo so, avrai sgranato gli occhi. Sei convinto che ti odiasse, e forse hai ragione; tuttavia ti portava lo stesso, rabbioso rispetto che si ha per un nemico valoroso. Sapevi tenerle testa, Sirius, e a lei non andava bene. Non amava la tua autonomia e il tuo carattere, troppo vigoroso.
Ti ha odiato come si odia il migliore dei propri avversari.
Anche io ti ho odiato, lo sai?
Ti ho detestato quando hai fatto fagotto e te ne sei andato. Io avevo bisogno di te, e tu non te ne sei mai accorto.
Quanta rabbia ho provato... non sei così dissimile da nostra madre, in fin dei conti.
Eri convinto che io fossi il principino viziato, il cucciolo di casa vezzeggiato e adorato da tutti. Non ti sei mai chiesto cosa potessi provare, ti sei limitato a guardarmi con sufficienza, ritenendomi indegno di te.

Grazie, fratello mio.
Grazie di non aver mai capito niente. Di non esserti accorto di quanto cercassi la tua approvazione, del mio patetico tentativo di nascondere gli occhi lucidi quando sei partito per Hogwarts per la prima volta, senza di me. Di non aver capito che quando ti ho gridato che non potevi andartene di casa, che era assurdo, non parlavo a nome dei Black, ma di un adolescente che perde il suo unico punto di riferimento.
Grazie, grazie per avermi ritenuto un viscido inetto.
Per non aver mai capito quanto immenso fosse il mio affetto per te.”




Regulus si lascia sfuggire un gemito. Il Marchio Nero, sull'avambraccio sinistro, sanguina... il simbolo dell'infamia, del tradimento verso l'Oscuro Signore.
Lo troveranno, è solo questione di tempo.
Il giovane Mangiamorte deglutisce a vuoto. Una lacrima gli incespica tra le ciglia. Rabbia, dolore e rimpianto.
Mordendosi un labbro intinge di nuovo la penna, lasciando gocce scarlatte sulla pergamena.
La calligrafia si fa più incerta.




“Vorrei poter dire di aver fatto un errore, unendomi a Tu-Sai-Chi. Non ne sono ancora convinto: alla fine mi ha permesso di fare qualcosa di buono.
Ma partiamo dal principio.
Sai, in realtà non è stata proprio una mia idea; c'era qualche novità nell'aria, voci di una crociata in cui si erano imbarcati Bella, suo marito e Lucius Malfoy. Lo ammetto, sono rimasto incuriosito.
No, aspetta.
Affascinato. Non per il potere, no; sinceramente non me ne facevo molto.
Tu te n'eri andato da quanto? Un anno, forse due. Mi mancavi: a Hogwarts mi evitavi come fossi un lebbroso, ridendo di me: ero l'unico legame che a scuola ti ricordava di quella famiglia che tanto detestavi.
Ho covato tanto rancore contro di te che alla fine mi è parso che potesse soffocare quell'amore fraterno di cui ti parlavo.
Ecco cos' era la mia scelta di diventare Mangiamorte.
Era una ripicca, e un'occasione per diventare qualcuno. Qualcuno che potesse fare paura, qualcuno che tu avresti guardato con timore, o odio, o qualsiasi cosa che non fossero il disprezzo e l'irrisione che mi riservavi.”



Un nuovo brivido. Un ricordo, forte come un pugno.

Lui era alto. Emaciato, pallido, vestito di nero. Aveva gli occhi da serpente e un sorriso nauseante sul volto inumano.
“Inginocchiati ai miei piedi, Regulus Black. Servimi, e le porte del potere ti saranno dischiuse”.
Le pietre contro le ginocchia, il sudore sulla fronte, e il trionfo disperato di aver intrapreso un cammino mortale ed esaltante.
Rialzandosi, capì; non era più figlio di Walburga, non era più fratello di Sirius. Era un burattino nelle mani di Voldemort.


'No!'
Regulus colpisce con il pugno il tavolo, facendo sobbalzare la boccetta di inchiostro.
Chissà dove, un gufo lancia il suo tetro richiamo.




“Per un anno, forse, sono stato quasi fiero di me. Anzi, fingevo di essere orgoglioso per non ammettere di farmi schifo.
Ho visto cosa fa quella gente, Sirius. Li ho sentiti ridere mentre torturavano degli innocenti, li ho visti uccidere per poi porgere contriti le condoglianze alla famiglia della vittima.
Eppure non sono questi gli aspetti peggiori.
Paradossalmente non è la morte donata a farmi orrore.
Non rispettano la vita perché non ne hanno più una. Sono fantocci dagli occhi vuoti, con la testa imbottita di dogmi e fanatismi. Non sanno chiedersi “perché”, sanno solo obbedire e godere del sangue che fanno scorrere.
Ho quasi perso me stesso, fratellone. Mi ero illuso che fosse ciò che volevo: fare tabula rasa e ricostruire dalle macerie.
Ma non si può creare qualcosa dalla distruzione totale. Ero in trappola.
Non potevo tornare indietro, lo capisci? All'inizio perché avevo paura di morire.
Voglio dire, è normale, no? A diciassette anni non puoi non aver paura di morire.
Poi però si è innescato un altro meccanismo, più contorto.
Avrei messo in pericolo la mia famiglia per... per cosa? Perché sono un codardo?
No, non questa volta.
Ora...”




Il vento cambia. Inverte direzione, si fa più intenso, e il suo ululato è un canto di morte.
Regulus si guarda alle spalle. Gli occhi arrossati si sgranano ulteriormente nella tenebra, e lente lacrime folli gli solcano le guance scavate.
Il respiro è frenetico, e tale è la mano che traccia parole convulse sulla lettera.




“... sono cambiato. Puoi non credermi, Sirius; non mi importa più. Ma sono in pace.
Ho scoperto qualcosa sull'Oscuro Signore, qualcosa di fondamentale. Non so com'è successo, ma mettendo assieme tanti indizi, tante frasi ascoltate per caso ho trovato qualcosa di incredibile.
Non è stato difficile, loro non sospettavano di me. Nessuno, tra i Mangiamorte, mi teme. Sono il più giovane, anche più di Barty, e nessuno mi prende sul serio. Forse perché devo fare i conti con parentele importanti come Bellatrix.
(Visto? Di nuovo la stessa vecchia storia...)
Non posso dire di più, è troppo pericoloso, ma sappi questo: se un giorno Colui Che Non Deve Essere Nominato cadrà, sarà anche merito mio.”




Un lampo, e un altro ricordo. Confuso e asfissiante.
Luce verde ed acqua nera, l'odore della salsedine e del sangue. Il sapore orrido della pozione e il fuoco nel ventre. Visioni... visioni di morte.
Soffriranno per colpa tua, Regulus!


Un sudore gelido scorre lungo la schiena del ragazzo. Quella memoria è troppo recente e troppo assurda.
Aveva bevuto quella mistura tremenda, aveva sfiorato l'oblio e la morte, e tuttora si sentiva sull'orlo della fine. Ma non sarebbe stata una lenta agonia, la sua. Lo sapeva.
Agitandosi sulla sedia, qualcosa tintinna nella tasca dei pantaloni.

Un medaglione.
Rotto.

Regulus prende fiato e prova a rimettersi a scrivere. Ma i ricordi sono ancora lì, a pretendere un ultimo tributo.
Legilmanzia. Il suo tradimento scoperto. Fortuna che i dettagli non li ricordava abbastanza da permettere un accesso immediato.
La fuga. E ora l'ultima volontà: parlare un'ultima volta con suo fratello.




“Non posso dirti altro, mio caro fratello.
Sto per morire. Lo sento.
In quest'ora non ha più importanza il male che puoi avermi fatto: rimane soltanto quell'amore ardente, quell'unico sentimento prezioso che mi porterò con me nel Grande Ignoto.
Nei miei pensieri sarai sempre Sirius, il mio fratellone, il mio idolo, ciò che avrei voluto diventare, un giorno.
Forse mi sono riscattato: non siamo così diversi, alla fine.
Perdonami se puoi, te ne prego; sii felice, vivi anche per me quella vita che ho offeso.
Io...”




Uno schiocco.
Regulus Black strilla, alzandosi di scatto ed aggrappandosi allo spigolo del tavolo. L'inchiostro si versa, scivolando vischioso verso il pavimento impolverato.
La porta sala dai cardini.

Se avesse la falce, Nott sarebbe l'immagine perfetta della morte. Alto, curvo, con il cappuccio sul viso.
“No... No!”
Il lungo grido di Regulus copre la risata e la futile invettiva del Mangiamorte.
"Traditore... verme... morire" non sono altro che parole senza senso.

Regulus singhiozza disperato. La bacchetta gli scivola al fianco mentre, invano, si inginocchia.
“Mio fratello... lascia che invii la lettera... solo questo...”




Un lampo verde illumina a giorno, per un istante, le colline inglesi.
Regulus Black, accasciato a terra in una posa scomposta, fissa il vuoto con gli occhi morti.

Aveva diciott'anni.
Aveva un fratello.
Aveva una lettera da spedire. Una lettera coperta d'inchiostro, che nessuno leggerà mai.

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