Note al capitolo
Il fatto raccontato in questa one-shot non rientra in nessun missing moment... è puramente uscito dalla mia testa(malata)...Non sapevo se mettere AU o spiegarlo nelle note, ma ho preferito fare la seconda possibilità, per evitare inutili gaffe...
Buona lettura.
Il cane di zia Marge
-Vado a riprendere Squarta in giardino. Mangerà con noi, vero Petunia cara?
- Sì, certamente. - rispose la donna con uno strano tono.
Era assolutamente contraria che quella zitella portasse il suo cane pulcioso dentro casa. Ma che poteva fare?
Ogni anno, nello stesso periodo, alla stessa ora e con lo stesso incomodo, Marge, la sorella di suo marito Vernon, si presentava, prepotentemente, in casa loro con il suo cane, un bulldog di nome Squarta. E prontamente, ogni anno rimaneva una settimana per salutare il fratello e acclamare il suo adoratissimo Dudders, distruggendo e insozzando tutti i suoi tesori.
Candelabri storti, tazzine rotte, sedie cigolanti, graffi profondi come il Grand Canyon sul tavolo, doghe sfondate, forchette e coltelli piegati erano cose quotidiane, quando lei era a Privet Drive. Era un uragano, dove passava distruggeva qualcosa.
E lei, così maniacale per la pulizia, così amante dell’ordine, così precisa, non poteva far altro che sperare che quella settimana finisse subito. Aveva messo anima e cuore per lucidare ogni singola mattonella, togliere i granelli di polvere dai mobili, far risplendere il tegame della cucina, ordinare il suo servizio di piatti preferito. Ma si accorse che era inutile.
Come se non bastasse, a dare man forte a quella “tiranna”, c’era anche Squarta. Un cane dal pessimo carattere, come la padrona, non tardava a far sentire la sua presenza.
Impronte da tutte le parti, piccole chiazze di pipì sui mobili, peli sparsi per la casa, piattini leccati e lunghe strisce di bava per il pavimento erano i regali del cane per tanta ospitalità. E non c’era cosa che la faceva più incavolare che quella di vederli entrambi camminare a testa alta e petto all’infuori per la casa, o quello che si potevano permettere date le gambe tozze e storte che entrambi possedevano.
Era troppo. Doveva fare qualcosa. Quella bestia era un pericolo per l’igiene di tutti. Doveva dire alla cognata che non poteva portare il cane in casa. Ma come? Sapeva che Marge era molto permalosa e testarda. Doveva trovare le parole giuste e convincerla. Forse se avesse detto che Dudley aveva una strana allergia al pelo dei cani, la donna si sarebbe impietosita e avrebbe giudicato giusto il fatto che il cane stesse fuori, in fondo faceva caldo e si stava bene anche la notte.
Ma un urlo risuonò alle sue orecchie. Petunia, spaventata, uscì in giardino e vide la grassa zia Marge per terra a piangere come una bambina di cinque anni, mentre un ululante Squarta era appeso a testa in giù con una fune che legava la coda ad un grosso ceppo dell’albero dei vicini. Le zampe cicciotte del cane penzolavano inermi come quattro grossi salami e il muso era contorto in una smorfia di dolore. La possente donna prese a supplicare e borbottare strane parole.
- Il mio piccolo Squarta, che cosa orribile… che ti hanno fatto tesoro? No, non piangere, la mamma ti viene a liberare… che cosa orribile, che cosa orribile… piccoli sudici vandali! Se scopro chi è stato, giuro non rivedrà più la luce del giorno… che cosa orribile! – frignò, mentre si avvicinava al cane. Tentò di slegare la corda dalla coda, ma non ci riuscì. Squarta ricominciò ad ululare e la zia, non riuscendo più a trattenersi, scoppiò in un pianto a dirotto, unendosi alla bestia nella lunga cacofonia che oramai aveva attirato gli sguardi curiosi dei vicini.
Da dietro un cespuglio, il piccolo Harry rideva senza contegno, guardando la scena della zia piagnucolona e il cane moribondo. Si chiedeva chi fosse stato a fare quello scherzo, perché aveva l’intenzione di stringergli una mano e chiedergli l’autografo, doveva essere un tipo con molto coraggio per legare il cane di zia Marge all’albero. Forse non conosceva la donna.
Petunia rimase lì, a guardare la scenetta pietosa di fronte a lei. Stava quasi per unirsi al nipote, ma l’arrivo repentino di suo marito, la fece riprendere. Vernon era livido. Alla vista di sua sorella frignante di fronte a quel cotechino del suo cane, divenne rosso in viso e la vena sulla tempia incominciò a pulsare furiosa. Corse, per quello che poteva permettere la sua mole, verso la donna e cerco di aiutarla a slegare il cane. Ma la bestia, oramai in preda al panico, con un gesto veloce, affondò i denti nel braccio dell’uomo e incominciò a tirare per staccarsi. I baffi di Vernon tremarono e dalla sua bocca uscì un urlo di dolore, tanto che fece spaventare Dudley, che si era affacciato dalla sua camera con il viso tutto sporco di cioccolata per vedere cosa fosse successo.
La zia Marge continuava a piangere, il cane non accennava a lasciare il braccio dell’uomo e Harry, dal suo cantuccio, rideva reggendosi la pancia con le lacrime agli occhi.
Petunia, sconvolta, prese la scopa e incominciò a tirare bastonate contro la testa della bestia che non cedeva, anzi strinse ancora di più la morsa, mentre Vernon continuava ad urlare.
Dudley era sceso dalla sua camera e andò dalla madre. Con un bastone, prese a menare anche lui al cane. La zia Marge aumento il suo lamento, gridando - BASTA! - contro i due parenti. Ma il cane non volle sapere niente, e continuò a tenere le fauci incollate al braccio di Vernon.
Disperato, Dudley lasciò il bastone e, con le mani fisse sulle due gambe posteriori, prese a tirare il cane verso di lui, tentando di farlo staccare dal padre.
Solo Petunia e Harry videro alla perfezione la dinamica della scena che si presentò ai loro occhi dopo che il ragazzo obeso diede un forte strattone al cane.
La corda si slacciò dalla coda della bestia, Dudley cadde all’indietro portandosi con se il cane, Vernon ruzzolò per terra, colpendo la sorella in viso, facendole sanguinare il naso. I vicini, da dietro le finestre spalancate, e Harry, da dietro il suo cespuglio di begonie, non c’è la fecero più e scoppiarono in una sonora risata alla vista della patetica scena. Dudley, che finendo a terra si ritrovò il grasso sedere del cane in faccia, scoppiò a piangere e corse dentro casa gridando - Che schifo!
La zia Marge andò verso il cane e prendendolo in braccio abbaiò contro i vicini - Che avete da guardare, spioni!
Vernon era ancora a terra e Petunia si accovacciò per vedere come stava, ma l’uomo scattò a sedere e furioso, si alzò e andò verso Harry gridando - TU! Tu e la tua maledetta anormalità! Avrai una punizione esemplare, brutto escremento paranormale! Tu e il tuo schifoso problema, mi avete stufato! Non tentare di scappare perché ti prenderò!
Quella sera Marge disse che tornava a casa sua perché Squarta stava troppo male.
Harry ricevette la più clamorosa sculacciata che Privet Drive non avesse mai visto, accusato di aver legato il cane all’albero e di aver fatto cadere Dudley mentre tentava di salvare lui e la bestia.
Dudley non toccò cena, disgustato per aver avuto per qualche secondo il sedere del cane in faccia. Il suo piatto preferito giaceva davanti a lui( lasagne al forno), freddato e immacolato, come esattamente sua madre gliel’aveva posto davanti. Neanche le urla di Harry gli fecero tirare su il morale.
L’unica felice di quella situazione fu Petunia. Certo, era stata umiliata davanti a tutti i vicini, ma ebbe la tanto desiderata occasione di tirare qualche bastonata in testa a quel cane e vedere la possente donna piagnucolare e frignare come una bambina viziata.
Accompagnando Marge al cancelletto, dove un taxi la stava aspettando, scoccò uno sguardo dispiaciuto alla donna e sibilò – Cara, facci sapere quando Squarta si riprenderà dallo shock, siamo veramente dispiaciuti per quello che è successo. Se tu vorrai potrete tornare per Natale.
- No, Petunia! - abbaiò l’altra - credo che per quest’anno basti così. Ci vediamo l’anno prossimo.
Senza esitare, scagliò la sua valigia al tassista e, fatto accoccolare il cane sul sedile posteriore, si mise al fianco dell’autista e partì, lasciando Petunia sconvolta, ma allo stesso tempo sollevata sul marciapiede. La donna rimase a guardare l’auto allontanarsi, fino a quando quella non svoltò l’angolo.
- Certo che deve essere stato un trauma per lei vedere il suo cane appeso all’albero.
Petunia sussultò al suono di quella voce. Un ragazzo, sulla ventina, si era avvicinato silenziosamente e guardava la strada dove il taxi era appena scomparso, dispiaciuto. La donna gli scoccò uno sguardo glaciale, mentre quello continuava a parlare.
- Non sapevo che reagisse così, insomma, non una donnona come lei, aveva pure i baffi!
A quella battuta Petunia si sciolse in un sorriso e abbandonò la freddezza iniziale per il ragazzo. Lo guardò attentamente. Non era una faccia conosciuta, aveva l’aria strana, tipo quella che avevano gli stranieri, quando andavano ad abitare in un altro stato, ma lui parlava molto bene l’inglese, doveva essere per forza di quella zona, il dialetto era quello.
Notò che portava uno strano completo. Indossava una t-shirt con scritto “Rolling Stones” e dei pantaloni gessati che facevano a pugni con le ciabatte a puà colorati. Un basco arancione copriva i capelli castani. Era davvero strano.
- Senta, volevo scusarmi con lei. - continuò quello senza dar peso alle occhiate curiose della donna - Sì, cioè… è colpa mia se adesso suo marito si ritrova con un’enorme ferita sul braccio e suo nipote con una chiappa deformata.
- Non ti preoccupare per mio nipote, se lo è meritato comunque. Non ha finito di verniciare la staccionata. – e con il dito indicò l’unica tavola di legno ancora marrone, e non bianca.
- Suvvia,- sospirò il giovane guardandola negli occhi - Non sia così dura con quel bambino, ha solo otto anni.
- Lei non può capire, quel marmocchio ha molti problemi.
- E di che tipo? A me sembra perfettamente normale.
- Ho detto che non può capire! - rispose acida Petunia - e anche se glie lo dicessi, lei non ci crederebbe mai.
- Oh, lei non ha neanche idea di quanto la posso capire. Le dico solo che quel bambino è perfettamente normale e non ha nessun problema. - sussurrò il ragazzo abbassando la testa, sorridendo.
- Ne è sicuro? - domandò la donna, guardandolo scettica.
- Sicurissimo! - esclamò il ragazzo - Bene, io devo andare. Le chiedo nuovamente scusa, non era mia intenzione, ma quel cane era insopportabile!
- No, anzi. Mi ha fatto un favore enorme, non si scusi.
- Ok, adesso devo andare. Mi saluti Harry.
- Chi?
- Suo nipote… quello con la cicatrice sulla fronte. - indicò con il dito la parte superiore della faccia - Mi è simpatico. – finì il ragazzo, guardandola scettico - A presto. Ah... - aggiunse il giovane prima di andarsene - se le servo ancora per cacciare quel cane da casa sua, venga a cercarmi al n° 66 di Magnolia Crescent, mi chiamo Richie, sono l’unico con questo nome nella via.
- Va bene. - Petunia salutò con la mano il ragazzo e si diresse verso casa. Fece un passo verso il cancello e tornò con lo sguardo dove aveva lasciato il giovane. Non c’era più. La donna rimase lì ritta e ferma a chiedersi dove fosse andato, quando la voce di suo marito la destò dai suoi pensieri. Entrò in casa e andò dal compagno. Vernon, che aveva assistito a tutto il colloquio tra i due, chiese – Chi era quello con cui stavi parlando?
- Mah, Vernon, era un nuovo vicino. Si chiama Richie e abita al n°66 di Magnolia Crescent. Davvero un bravo ragazzo, anche se si veste come un poveraccio. - borbottò la donna sparecchiando la tavola.
- Petunia, ti rendi conto che non esiste nessun n°66 in quella via?
-Vado a riprendere Squarta in giardino. Mangerà con noi, vero Petunia cara?
- Sì, certamente. - rispose la donna con uno strano tono.
Era assolutamente contraria che quella zitella portasse il suo cane pulcioso dentro casa. Ma che poteva fare?
Ogni anno, nello stesso periodo, alla stessa ora e con lo stesso incomodo, Marge, la sorella di suo marito Vernon, si presentava, prepotentemente, in casa loro con il suo cane, un bulldog di nome Squarta. E prontamente, ogni anno rimaneva una settimana per salutare il fratello e acclamare il suo adoratissimo Dudders, distruggendo e insozzando tutti i suoi tesori.
Candelabri storti, tazzine rotte, sedie cigolanti, graffi profondi come il Grand Canyon sul tavolo, doghe sfondate, forchette e coltelli piegati erano cose quotidiane, quando lei era a Privet Drive. Era un uragano, dove passava distruggeva qualcosa.
E lei, così maniacale per la pulizia, così amante dell’ordine, così precisa, non poteva far altro che sperare che quella settimana finisse subito. Aveva messo anima e cuore per lucidare ogni singola mattonella, togliere i granelli di polvere dai mobili, far risplendere il tegame della cucina, ordinare il suo servizio di piatti preferito. Ma si accorse che era inutile.
Come se non bastasse, a dare man forte a quella “tiranna”, c’era anche Squarta. Un cane dal pessimo carattere, come la padrona, non tardava a far sentire la sua presenza.
Impronte da tutte le parti, piccole chiazze di pipì sui mobili, peli sparsi per la casa, piattini leccati e lunghe strisce di bava per il pavimento erano i regali del cane per tanta ospitalità. E non c’era cosa che la faceva più incavolare che quella di vederli entrambi camminare a testa alta e petto all’infuori per la casa, o quello che si potevano permettere date le gambe tozze e storte che entrambi possedevano.
Era troppo. Doveva fare qualcosa. Quella bestia era un pericolo per l’igiene di tutti. Doveva dire alla cognata che non poteva portare il cane in casa. Ma come? Sapeva che Marge era molto permalosa e testarda. Doveva trovare le parole giuste e convincerla. Forse se avesse detto che Dudley aveva una strana allergia al pelo dei cani, la donna si sarebbe impietosita e avrebbe giudicato giusto il fatto che il cane stesse fuori, in fondo faceva caldo e si stava bene anche la notte.
Ma un urlo risuonò alle sue orecchie. Petunia, spaventata, uscì in giardino e vide la grassa zia Marge per terra a piangere come una bambina di cinque anni, mentre un ululante Squarta era appeso a testa in giù con una fune che legava la coda ad un grosso ceppo dell’albero dei vicini. Le zampe cicciotte del cane penzolavano inermi come quattro grossi salami e il muso era contorto in una smorfia di dolore. La possente donna prese a supplicare e borbottare strane parole.
- Il mio piccolo Squarta, che cosa orribile… che ti hanno fatto tesoro? No, non piangere, la mamma ti viene a liberare… che cosa orribile, che cosa orribile… piccoli sudici vandali! Se scopro chi è stato, giuro non rivedrà più la luce del giorno… che cosa orribile! – frignò, mentre si avvicinava al cane. Tentò di slegare la corda dalla coda, ma non ci riuscì. Squarta ricominciò ad ululare e la zia, non riuscendo più a trattenersi, scoppiò in un pianto a dirotto, unendosi alla bestia nella lunga cacofonia che oramai aveva attirato gli sguardi curiosi dei vicini.
Da dietro un cespuglio, il piccolo Harry rideva senza contegno, guardando la scena della zia piagnucolona e il cane moribondo. Si chiedeva chi fosse stato a fare quello scherzo, perché aveva l’intenzione di stringergli una mano e chiedergli l’autografo, doveva essere un tipo con molto coraggio per legare il cane di zia Marge all’albero. Forse non conosceva la donna.
Petunia rimase lì, a guardare la scenetta pietosa di fronte a lei. Stava quasi per unirsi al nipote, ma l’arrivo repentino di suo marito, la fece riprendere. Vernon era livido. Alla vista di sua sorella frignante di fronte a quel cotechino del suo cane, divenne rosso in viso e la vena sulla tempia incominciò a pulsare furiosa. Corse, per quello che poteva permettere la sua mole, verso la donna e cerco di aiutarla a slegare il cane. Ma la bestia, oramai in preda al panico, con un gesto veloce, affondò i denti nel braccio dell’uomo e incominciò a tirare per staccarsi. I baffi di Vernon tremarono e dalla sua bocca uscì un urlo di dolore, tanto che fece spaventare Dudley, che si era affacciato dalla sua camera con il viso tutto sporco di cioccolata per vedere cosa fosse successo.
La zia Marge continuava a piangere, il cane non accennava a lasciare il braccio dell’uomo e Harry, dal suo cantuccio, rideva reggendosi la pancia con le lacrime agli occhi.
Petunia, sconvolta, prese la scopa e incominciò a tirare bastonate contro la testa della bestia che non cedeva, anzi strinse ancora di più la morsa, mentre Vernon continuava ad urlare.
Dudley era sceso dalla sua camera e andò dalla madre. Con un bastone, prese a menare anche lui al cane. La zia Marge aumento il suo lamento, gridando - BASTA! - contro i due parenti. Ma il cane non volle sapere niente, e continuò a tenere le fauci incollate al braccio di Vernon.
Disperato, Dudley lasciò il bastone e, con le mani fisse sulle due gambe posteriori, prese a tirare il cane verso di lui, tentando di farlo staccare dal padre.
Solo Petunia e Harry videro alla perfezione la dinamica della scena che si presentò ai loro occhi dopo che il ragazzo obeso diede un forte strattone al cane.
La corda si slacciò dalla coda della bestia, Dudley cadde all’indietro portandosi con se il cane, Vernon ruzzolò per terra, colpendo la sorella in viso, facendole sanguinare il naso. I vicini, da dietro le finestre spalancate, e Harry, da dietro il suo cespuglio di begonie, non c’è la fecero più e scoppiarono in una sonora risata alla vista della patetica scena. Dudley, che finendo a terra si ritrovò il grasso sedere del cane in faccia, scoppiò a piangere e corse dentro casa gridando - Che schifo!
La zia Marge andò verso il cane e prendendolo in braccio abbaiò contro i vicini - Che avete da guardare, spioni!
Vernon era ancora a terra e Petunia si accovacciò per vedere come stava, ma l’uomo scattò a sedere e furioso, si alzò e andò verso Harry gridando - TU! Tu e la tua maledetta anormalità! Avrai una punizione esemplare, brutto escremento paranormale! Tu e il tuo schifoso problema, mi avete stufato! Non tentare di scappare perché ti prenderò!
Quella sera Marge disse che tornava a casa sua perché Squarta stava troppo male.
Harry ricevette la più clamorosa sculacciata che Privet Drive non avesse mai visto, accusato di aver legato il cane all’albero e di aver fatto cadere Dudley mentre tentava di salvare lui e la bestia.
Dudley non toccò cena, disgustato per aver avuto per qualche secondo il sedere del cane in faccia. Il suo piatto preferito giaceva davanti a lui( lasagne al forno), freddato e immacolato, come esattamente sua madre gliel’aveva posto davanti. Neanche le urla di Harry gli fecero tirare su il morale.
L’unica felice di quella situazione fu Petunia. Certo, era stata umiliata davanti a tutti i vicini, ma ebbe la tanto desiderata occasione di tirare qualche bastonata in testa a quel cane e vedere la possente donna piagnucolare e frignare come una bambina viziata.
Accompagnando Marge al cancelletto, dove un taxi la stava aspettando, scoccò uno sguardo dispiaciuto alla donna e sibilò – Cara, facci sapere quando Squarta si riprenderà dallo shock, siamo veramente dispiaciuti per quello che è successo. Se tu vorrai potrete tornare per Natale.
- No, Petunia! - abbaiò l’altra - credo che per quest’anno basti così. Ci vediamo l’anno prossimo.
Senza esitare, scagliò la sua valigia al tassista e, fatto accoccolare il cane sul sedile posteriore, si mise al fianco dell’autista e partì, lasciando Petunia sconvolta, ma allo stesso tempo sollevata sul marciapiede. La donna rimase a guardare l’auto allontanarsi, fino a quando quella non svoltò l’angolo.
- Certo che deve essere stato un trauma per lei vedere il suo cane appeso all’albero.
Petunia sussultò al suono di quella voce. Un ragazzo, sulla ventina, si era avvicinato silenziosamente e guardava la strada dove il taxi era appena scomparso, dispiaciuto. La donna gli scoccò uno sguardo glaciale, mentre quello continuava a parlare.
- Non sapevo che reagisse così, insomma, non una donnona come lei, aveva pure i baffi!
A quella battuta Petunia si sciolse in un sorriso e abbandonò la freddezza iniziale per il ragazzo. Lo guardò attentamente. Non era una faccia conosciuta, aveva l’aria strana, tipo quella che avevano gli stranieri, quando andavano ad abitare in un altro stato, ma lui parlava molto bene l’inglese, doveva essere per forza di quella zona, il dialetto era quello.
Notò che portava uno strano completo. Indossava una t-shirt con scritto “Rolling Stones” e dei pantaloni gessati che facevano a pugni con le ciabatte a puà colorati. Un basco arancione copriva i capelli castani. Era davvero strano.
- Senta, volevo scusarmi con lei. - continuò quello senza dar peso alle occhiate curiose della donna - Sì, cioè… è colpa mia se adesso suo marito si ritrova con un’enorme ferita sul braccio e suo nipote con una chiappa deformata.
- Non ti preoccupare per mio nipote, se lo è meritato comunque. Non ha finito di verniciare la staccionata. – e con il dito indicò l’unica tavola di legno ancora marrone, e non bianca.
- Suvvia,- sospirò il giovane guardandola negli occhi - Non sia così dura con quel bambino, ha solo otto anni.
- Lei non può capire, quel marmocchio ha molti problemi.
- E di che tipo? A me sembra perfettamente normale.
- Ho detto che non può capire! - rispose acida Petunia - e anche se glie lo dicessi, lei non ci crederebbe mai.
- Oh, lei non ha neanche idea di quanto la posso capire. Le dico solo che quel bambino è perfettamente normale e non ha nessun problema. - sussurrò il ragazzo abbassando la testa, sorridendo.
- Ne è sicuro? - domandò la donna, guardandolo scettica.
- Sicurissimo! - esclamò il ragazzo - Bene, io devo andare. Le chiedo nuovamente scusa, non era mia intenzione, ma quel cane era insopportabile!
- No, anzi. Mi ha fatto un favore enorme, non si scusi.
- Ok, adesso devo andare. Mi saluti Harry.
- Chi?
- Suo nipote… quello con la cicatrice sulla fronte. - indicò con il dito la parte superiore della faccia - Mi è simpatico. – finì il ragazzo, guardandola scettico - A presto. Ah... - aggiunse il giovane prima di andarsene - se le servo ancora per cacciare quel cane da casa sua, venga a cercarmi al n° 66 di Magnolia Crescent, mi chiamo Richie, sono l’unico con questo nome nella via.
- Va bene. - Petunia salutò con la mano il ragazzo e si diresse verso casa. Fece un passo verso il cancello e tornò con lo sguardo dove aveva lasciato il giovane. Non c’era più. La donna rimase lì ritta e ferma a chiedersi dove fosse andato, quando la voce di suo marito la destò dai suoi pensieri. Entrò in casa e andò dal compagno. Vernon, che aveva assistito a tutto il colloquio tra i due, chiese – Chi era quello con cui stavi parlando?
- Mah, Vernon, era un nuovo vicino. Si chiama Richie e abita al n°66 di Magnolia Crescent. Davvero un bravo ragazzo, anche se si veste come un poveraccio. - borbottò la donna sparecchiando la tavola.
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