La stanza fumosa del motel era malamente illuminata, l’unica lampada che funzionava il signor Lovegood la teneva accesa giorno e notte. La trovava un’invenzione curiosa ed, in più, era convinto che il poco calore sprigionato riuscisse ad allontanare la nebbia creata dai Dissennatori. Talvolta, quando era chino sulle mappe della zona, evocava dal nulla globi luminosi, si sistemava meglio gli occhiali e borbottava qualcosa sottovoce, mentre cerchiava delle porzioni di mappa.
“Dici che riusciremo a trovare qualche traccia?” chiese Luna, sporgendosi al di sopra della spalla del padre. Gli occhi sporgenti, socchiusi per riuscire a leggere nella luce fastidiosa.
“Mah, chissà.” rispose vago l’uomo, rivolgendo alla figlia un sorriso affettuoso.
La ragazza sospirò; non era certo il momento migliore per provare l'esistenza degli Eliopodi. Luna avrebbe preferito andare in Svezia, ma suo padre aveva insistito. Non abbiamo abbastanza denaro per una spedizione all'estero, aveva detto. Così si erano limitati a fare i bagagli per trovare l'esercito di Fudge. Non che avesse più alcuna importanza, ma per il signor Lovegood restare in redazione con montagne di scartoffie da leggere e compilare era insopportabile.
“Venendo verso il motel ho visto una casa che sembrava disabitata.” disse Luna, rompendo nuovamente il silenzio. Si allontanò verso la finestra e guardò fuori. Ma non vide un bel niente tranne lo spesso muro di nebbia. Rabbrividì e tornò a voltarsi velocemente verso il padre.
Per un istante, una voce indistinta di donna le aveva sussurrato parole dolci all’orecchio, colmandola di tristezza.
“Vorresti andare a darci un’occhiata?” chiese il signor Lovegood, senza alzare la testa. Ma i suoi occhi fissavano un solo punto sulla mappa, senza in realtà vederlo.
“Mi piacerebbe, sì”
Il signor Lovegood staccò lentamente lo sguardo dalla mappa, per incrociare quello della figlia. Sorrideva ancora, con la stessa dolcezza di prima, ma il suo sorriso veniva incrinato dalla preoccupazione.
“Va bene,” rispose, quasi cauto. “Però stai attenta.”
Il vapore saliva lentamente verso il soffitto, creando una lieve condensa nella stanza. Appoggiò appena le labbra sulla tazza da the, poi la riappoggiò sul piattino, continuando a stare zitta. Theodore le sedeva di fronte, anche lui in silenzio. Contemplava assorto un vecchio ritratto che russava pesantemente. Era l’unico rumore nella stanza, oltre i loro respiri. Fuori era buio pesto, forse era meglio ritornare al motel.
Aveva vagato per una buona mezz’ora attorno alla casa, senza scovarci alcun segno di vita. Il giardino era curato, ma come se al giardiniere non importasse più di tanto del suo stato. Anche la facciata era ben tenuta, ma tutte le finestre erano sprangate. Se qualcuno abitava lì dentro doveva condurre una vita monacale.
Che poi, in quella casa ci abitava qualcuno e nemmeno era un monaco. Stava per uscire dal cancello, quando una targhetta attaccata al muretto aveva attirato la sua attenzione. Nott, c’era scritto. Non ci aveva pensato poi troppo a suonare il campanello.
“Come mai sei a York?” chiese Theodore, improvvisamente, staccando lo sguardo dall’anziano nel quadro per voltarsi a guardarla.
“Oh, papà ed io stiamo cercando gli Eliopodi.” rispose Luna prontamente, scrollando le spalle. Lei avrebbe preferito andare in Svezia.
“Ah.” commentò il ragazzo, facendo un buffo movimento con le sopraciglia e cercando di non mettersi a ridere. “E sarebbero?”
“Oh, sono l’esercito personale di Fudge.” spiegò Luna, con il tono di chi spiega a un bambino che non può mangiare dei sassi. “Esseri di fuoco.”
“Ah.” ripeté Theodore, anche perché non sapeva proprio che dire.
Altri minuti di silenzio. Non parlavano, seduti uno di fronte all’altro. Theodore guardava ancora il suo antenato dormire. Luna studiava la stanza, invece. Non c’era molto da guardare, in realtà.
“Credevo fossi più ricco, sai.” disse, interrompendo per l’ennesima volta il silenzio. Era come un’altalena, silenzio, un affermazione, silenzio, altre poche parole, silenzio di nuovo.
“Come?” chiese Theodore, sorpreso.
“Beh, sì.” rispose lei. Non aveva molto senso come risposta.
“Ti va di vedere il resto della casa?” chiese il ragazzo, non molto convinto. Un po’ sperava che lei dicesse di No.
“Oh, sì. Se non ti dispiace.”
“Che stanza è questa?” chiese Luna, mentre sorpassavano una porta chiusa.
Thoedore non la guardò neppure, tirava dritto verso la stanza successiva, lo sguardo fisso davanti a sé.
“È la vecchia stanza dei miei.” rispose, senza alcuna intonazione nella voce. Restò zitto per pochi secondi, prima di aggiungere. “C’è morta mia madre, lì.”
“Oh, scusami.”
“Lascia perdere.” disse, brusco. Aprì un’altra porta, rivelando una camera da letto. “Questa è la mia stanza.”
Non era molto grande, ma un po’ meno spoglia del resto della casa. C’era un letto, un armadio e una scrivania. Le tende erano tirate, sull’unica finestra. Luna sorrise tranquilla, entrando.
“È molto cupa.” disse.
“Credi?”
“Sì.” rispose lei, sincera.
Theodore si lasciò scappare un sorriso, appoggiato allo stipite della porta. Luna però era voltata di spalle e non lo vide. Studiava la stanza, come se cercasse qualcosa di non visibile.
Si avvicinò curiosa alla scrivania, chinandosi appena verso il tavolo. I lunghi capelli biondi le ricaddero tutti in avanti, coprendole il viso.
“Oh, questi siamo noi.” disse, sorpresa, prendendo in mano una fotografia. Ritraeva loro due, pochi mesi prima, a Hogwarts. Uno accanto all’altra, seduti sotto un albero senza toccarsi. Lei aveva un sorriso accennato e l’aria di chi non si rendeva conto di dove fosse. Theodore muoveva la bocca come se stesse parlando. “Non sapevo ci avessero fotografati.”
“È stato un Gryffindor del tuo anno.” la informò Theodore, staccandosi dalla sua postazione e avvicinandosi. “Gli ho detto di darmela.”
Concluse con un alzata di spalle e un sogghigno. In realtà glielo aveva praticamente ordinato. Luna sorrise, senza ascoltarlo troppo. Si spostò parte dei capelli dal viso, continuando a esaminare la scrivania. C’erano molti vecchi libri, dai titoli illeggibili e la copertina scura. Sopra uno aperto, una lettera col timbro del Ministero.
“Oh,” esclamò, scorrendo lo sguardo sulle parole, leggendole velocemente. “È morto tuo padre.”
Prese la lettera, ma Theodore gliela strappò subito di mano, facendola sparire in tasca.
“Sì. Due settimane fa, ad Azkaban.” disse duro, la mascella contratta. Non la guardava in viso. “Ma naturalmente si sono sprecati a dirmelo solo oggi.” concluse, sarcastico.
“Beh, hanno molto da fare, no?” disse Luna, tornando dritta. “Con tutti gli attacchi dei Death Eaters.”
“Mio padre era un Death Eaters.” sbottò lui.
“Appunto.”
“Appunto cosa?” chiese lui, alzando la voce. Si voltò a guardarla, arrabbiato, ma Luna non fece una piega. “Cosa vorresti dire? Che si meritava di morire in una di quelle fottute celle?!”
“Non ho detto questo.”
“Ma è quello che intendevi.”
“No. Non è vero.” replicò Luna, con un sospiro. “Ma era comunque un assassino, no?”
“Era mio padre.” disse con enfasi Theodore, afferrandola per il polso. “Era mio padre, cazzo! E adesso è morto!”
“Era vecchio.” disse Luna, immobile anche se tranquilla. “E ferito.”
“Cos-“ lui la guardò sorpreso, continuava a stringerle il polso con forza, senza rendersene conto. “Come ferito? Come fai a saperlo?”
“Beh, credo fosse lui. C’era qualcuno a terra.”
“È vero. Tu…” Theodore mollò di colpo il polso della ragazza. “Tu eri con Potter. Al Ministero.”
“Beh, sì.” mormorò lei, anche se non c’era bisogno di risposta, massaggiandosi il polso.
Theodore non disse nulla per un po’, fissava la mano della ragazza, dove era rimasto un lieve segno rosso.
“Sc- Scusa.” disse, alla fine. Si passò una mano sulla faccia e scosse la testa. “Scusa.”
“Forse è meglio che vai.” disse Theodore, tornando nell’ingresso. “Magari tuo padre si sta preoccupando.”
“Sì, già. Hai ragione.”
“Ti accompagno al cancello, ok?” chiese Theodore, vagamente impacciato. Si grattò leggermente il mento, dove spuntava un accenno di barba.
Luna annuì. Camminava piano, ma anche così i passi rimbombavano nella casa vuota. Stavano fianco a fianco; quasi casualmente il ragazzo fece scivolare la mano in quella di Luna.
Lei non disse nulla, forse non se ne era accorta, forse non voleva farci caso. Però non ricambiò la stretta.
“Luna, aspetta.” la richiamò Theodore, fermandola con una mano sulla spalla.
La ragazza si voltò, la mano ferma sulla maniglia del cancello. Lo fissava un po’ sorpresa, un po’ più sorpresa del solito, e Theodore si sentì a disagio osservato da quegli occhi.
“Oh, beh, ecco.” iniziò impacciato. “Scusa ancora per prima, sai. Non avrei dovuto aggredirti in quel modo.”
“Ah, non importa.” disse Luna con un sorriso.
“Eh, già.”
Theodore strinse la maglia della ragazza, vicino al bordo del collo. Senza pensarci, fece scivolare le dita lungo il collo di Luna, sfiorandole l’attaccatura dei capelli.
“Eh, già.” ripeté distrattamente, Theodore, mordendosi il labbro inferiore, come se fosse indeciso.
Luna non disse nulla, lo guardava curiosa per il suo strano comportamento. Non si muoveva nemmeno, le dita del ragazzo erano calde sulla pelle. Sentiva una curiosa sensazione di calore per la sua vicinanza e questo la rilassava.
Trasalì solo quando Theodore si chinò a baciarla. Un brivido le fece scattare le mani in avanti, sul petto del ragazzo, staccandosi dalla maniglia del cancello. Lui non ci fece caso, affondò la mano tra i capelli di Luna, stringendoli e approfondì, impacciato, il bacio. Sentiva come un bisogno, un bisogno che non riusciva a identificare. Forse voleva sentirla vicina, forse voleva sentire vicino qualcuno, non importava chi. Era una sensazione nuova per lui e ci si trovava male.
“Ah, no.” mormorò Luna, staccandosi sia per separarsi, che per riprendere fiato. Gli diede una spinta leggera, che lo fece barcollare un po’.
“Scu-scusa. Non dovevo, davvero.” mormorò Theodore, riprendendosi dallo stupore iniziale. “Scusa.”
“No è che…” iniziò Luna, ma in realtà non sapeva cosa dire. “Non so. È strano, sai.”
“Sì, beh, un po’.” replicò il ragazzo. Anche se in realtà non ci trovava nulla di strano. Di solito per le ragazze non era una cosa normale?
“Beh, sì.” disse Luna. “Credo che devo andare, sì è meglio.”
“Sì, vai.”
“Beh, ci vediamo a scuola?”
“Sì, credo che verrò.” rispose Theodore, sorridendo, in realtà un po’ deluso, guardando la ragazza sgusciare fuori dal cancello e risalire la strada. Per poi venire inghiottita dalla nebbia.
“Dici che riusciremo a trovare qualche traccia?” chiese Luna, sporgendosi al di sopra della spalla del padre. Gli occhi sporgenti, socchiusi per riuscire a leggere nella luce fastidiosa.
“Mah, chissà.” rispose vago l’uomo, rivolgendo alla figlia un sorriso affettuoso.
La ragazza sospirò; non era certo il momento migliore per provare l'esistenza degli Eliopodi. Luna avrebbe preferito andare in Svezia, ma suo padre aveva insistito. Non abbiamo abbastanza denaro per una spedizione all'estero, aveva detto. Così si erano limitati a fare i bagagli per trovare l'esercito di Fudge. Non che avesse più alcuna importanza, ma per il signor Lovegood restare in redazione con montagne di scartoffie da leggere e compilare era insopportabile.
“Venendo verso il motel ho visto una casa che sembrava disabitata.” disse Luna, rompendo nuovamente il silenzio. Si allontanò verso la finestra e guardò fuori. Ma non vide un bel niente tranne lo spesso muro di nebbia. Rabbrividì e tornò a voltarsi velocemente verso il padre.
Per un istante, una voce indistinta di donna le aveva sussurrato parole dolci all’orecchio, colmandola di tristezza.
“Vorresti andare a darci un’occhiata?” chiese il signor Lovegood, senza alzare la testa. Ma i suoi occhi fissavano un solo punto sulla mappa, senza in realtà vederlo.
“Mi piacerebbe, sì”
Il signor Lovegood staccò lentamente lo sguardo dalla mappa, per incrociare quello della figlia. Sorrideva ancora, con la stessa dolcezza di prima, ma il suo sorriso veniva incrinato dalla preoccupazione.
“Va bene,” rispose, quasi cauto. “Però stai attenta.”
Il vapore saliva lentamente verso il soffitto, creando una lieve condensa nella stanza. Appoggiò appena le labbra sulla tazza da the, poi la riappoggiò sul piattino, continuando a stare zitta. Theodore le sedeva di fronte, anche lui in silenzio. Contemplava assorto un vecchio ritratto che russava pesantemente. Era l’unico rumore nella stanza, oltre i loro respiri. Fuori era buio pesto, forse era meglio ritornare al motel.
Aveva vagato per una buona mezz’ora attorno alla casa, senza scovarci alcun segno di vita. Il giardino era curato, ma come se al giardiniere non importasse più di tanto del suo stato. Anche la facciata era ben tenuta, ma tutte le finestre erano sprangate. Se qualcuno abitava lì dentro doveva condurre una vita monacale.
Che poi, in quella casa ci abitava qualcuno e nemmeno era un monaco. Stava per uscire dal cancello, quando una targhetta attaccata al muretto aveva attirato la sua attenzione. Nott, c’era scritto. Non ci aveva pensato poi troppo a suonare il campanello.
“Come mai sei a York?” chiese Theodore, improvvisamente, staccando lo sguardo dall’anziano nel quadro per voltarsi a guardarla.
“Oh, papà ed io stiamo cercando gli Eliopodi.” rispose Luna prontamente, scrollando le spalle. Lei avrebbe preferito andare in Svezia.
“Ah.” commentò il ragazzo, facendo un buffo movimento con le sopraciglia e cercando di non mettersi a ridere. “E sarebbero?”
“Oh, sono l’esercito personale di Fudge.” spiegò Luna, con il tono di chi spiega a un bambino che non può mangiare dei sassi. “Esseri di fuoco.”
“Ah.” ripeté Theodore, anche perché non sapeva proprio che dire.
Altri minuti di silenzio. Non parlavano, seduti uno di fronte all’altro. Theodore guardava ancora il suo antenato dormire. Luna studiava la stanza, invece. Non c’era molto da guardare, in realtà.
“Credevo fossi più ricco, sai.” disse, interrompendo per l’ennesima volta il silenzio. Era come un’altalena, silenzio, un affermazione, silenzio, altre poche parole, silenzio di nuovo.
“Come?” chiese Theodore, sorpreso.
“Beh, sì.” rispose lei. Non aveva molto senso come risposta.
“Ti va di vedere il resto della casa?” chiese il ragazzo, non molto convinto. Un po’ sperava che lei dicesse di No.
“Oh, sì. Se non ti dispiace.”
“Che stanza è questa?” chiese Luna, mentre sorpassavano una porta chiusa.
Thoedore non la guardò neppure, tirava dritto verso la stanza successiva, lo sguardo fisso davanti a sé.
“È la vecchia stanza dei miei.” rispose, senza alcuna intonazione nella voce. Restò zitto per pochi secondi, prima di aggiungere. “C’è morta mia madre, lì.”
“Oh, scusami.”
“Lascia perdere.” disse, brusco. Aprì un’altra porta, rivelando una camera da letto. “Questa è la mia stanza.”
Non era molto grande, ma un po’ meno spoglia del resto della casa. C’era un letto, un armadio e una scrivania. Le tende erano tirate, sull’unica finestra. Luna sorrise tranquilla, entrando.
“È molto cupa.” disse.
“Credi?”
“Sì.” rispose lei, sincera.
Theodore si lasciò scappare un sorriso, appoggiato allo stipite della porta. Luna però era voltata di spalle e non lo vide. Studiava la stanza, come se cercasse qualcosa di non visibile.
Si avvicinò curiosa alla scrivania, chinandosi appena verso il tavolo. I lunghi capelli biondi le ricaddero tutti in avanti, coprendole il viso.
“Oh, questi siamo noi.” disse, sorpresa, prendendo in mano una fotografia. Ritraeva loro due, pochi mesi prima, a Hogwarts. Uno accanto all’altra, seduti sotto un albero senza toccarsi. Lei aveva un sorriso accennato e l’aria di chi non si rendeva conto di dove fosse. Theodore muoveva la bocca come se stesse parlando. “Non sapevo ci avessero fotografati.”
“È stato un Gryffindor del tuo anno.” la informò Theodore, staccandosi dalla sua postazione e avvicinandosi. “Gli ho detto di darmela.”
Concluse con un alzata di spalle e un sogghigno. In realtà glielo aveva praticamente ordinato. Luna sorrise, senza ascoltarlo troppo. Si spostò parte dei capelli dal viso, continuando a esaminare la scrivania. C’erano molti vecchi libri, dai titoli illeggibili e la copertina scura. Sopra uno aperto, una lettera col timbro del Ministero.
“Oh,” esclamò, scorrendo lo sguardo sulle parole, leggendole velocemente. “È morto tuo padre.”
Prese la lettera, ma Theodore gliela strappò subito di mano, facendola sparire in tasca.
“Sì. Due settimane fa, ad Azkaban.” disse duro, la mascella contratta. Non la guardava in viso. “Ma naturalmente si sono sprecati a dirmelo solo oggi.” concluse, sarcastico.
“Beh, hanno molto da fare, no?” disse Luna, tornando dritta. “Con tutti gli attacchi dei Death Eaters.”
“Mio padre era un Death Eaters.” sbottò lui.
“Appunto.”
“Appunto cosa?” chiese lui, alzando la voce. Si voltò a guardarla, arrabbiato, ma Luna non fece una piega. “Cosa vorresti dire? Che si meritava di morire in una di quelle fottute celle?!”
“Non ho detto questo.”
“Ma è quello che intendevi.”
“No. Non è vero.” replicò Luna, con un sospiro. “Ma era comunque un assassino, no?”
“Era mio padre.” disse con enfasi Theodore, afferrandola per il polso. “Era mio padre, cazzo! E adesso è morto!”
“Era vecchio.” disse Luna, immobile anche se tranquilla. “E ferito.”
“Cos-“ lui la guardò sorpreso, continuava a stringerle il polso con forza, senza rendersene conto. “Come ferito? Come fai a saperlo?”
“Beh, credo fosse lui. C’era qualcuno a terra.”
“È vero. Tu…” Theodore mollò di colpo il polso della ragazza. “Tu eri con Potter. Al Ministero.”
“Beh, sì.” mormorò lei, anche se non c’era bisogno di risposta, massaggiandosi il polso.
Theodore non disse nulla per un po’, fissava la mano della ragazza, dove era rimasto un lieve segno rosso.
“Sc- Scusa.” disse, alla fine. Si passò una mano sulla faccia e scosse la testa. “Scusa.”
“Forse è meglio che vai.” disse Theodore, tornando nell’ingresso. “Magari tuo padre si sta preoccupando.”
“Sì, già. Hai ragione.”
“Ti accompagno al cancello, ok?” chiese Theodore, vagamente impacciato. Si grattò leggermente il mento, dove spuntava un accenno di barba.
Luna annuì. Camminava piano, ma anche così i passi rimbombavano nella casa vuota. Stavano fianco a fianco; quasi casualmente il ragazzo fece scivolare la mano in quella di Luna.
Lei non disse nulla, forse non se ne era accorta, forse non voleva farci caso. Però non ricambiò la stretta.
“Luna, aspetta.” la richiamò Theodore, fermandola con una mano sulla spalla.
La ragazza si voltò, la mano ferma sulla maniglia del cancello. Lo fissava un po’ sorpresa, un po’ più sorpresa del solito, e Theodore si sentì a disagio osservato da quegli occhi.
“Oh, beh, ecco.” iniziò impacciato. “Scusa ancora per prima, sai. Non avrei dovuto aggredirti in quel modo.”
“Ah, non importa.” disse Luna con un sorriso.
“Eh, già.”
Theodore strinse la maglia della ragazza, vicino al bordo del collo. Senza pensarci, fece scivolare le dita lungo il collo di Luna, sfiorandole l’attaccatura dei capelli.
“Eh, già.” ripeté distrattamente, Theodore, mordendosi il labbro inferiore, come se fosse indeciso.
Luna non disse nulla, lo guardava curiosa per il suo strano comportamento. Non si muoveva nemmeno, le dita del ragazzo erano calde sulla pelle. Sentiva una curiosa sensazione di calore per la sua vicinanza e questo la rilassava.
Trasalì solo quando Theodore si chinò a baciarla. Un brivido le fece scattare le mani in avanti, sul petto del ragazzo, staccandosi dalla maniglia del cancello. Lui non ci fece caso, affondò la mano tra i capelli di Luna, stringendoli e approfondì, impacciato, il bacio. Sentiva come un bisogno, un bisogno che non riusciva a identificare. Forse voleva sentirla vicina, forse voleva sentire vicino qualcuno, non importava chi. Era una sensazione nuova per lui e ci si trovava male.
“Ah, no.” mormorò Luna, staccandosi sia per separarsi, che per riprendere fiato. Gli diede una spinta leggera, che lo fece barcollare un po’.
“Scu-scusa. Non dovevo, davvero.” mormorò Theodore, riprendendosi dallo stupore iniziale. “Scusa.”
“No è che…” iniziò Luna, ma in realtà non sapeva cosa dire. “Non so. È strano, sai.”
“Sì, beh, un po’.” replicò il ragazzo. Anche se in realtà non ci trovava nulla di strano. Di solito per le ragazze non era una cosa normale?
“Beh, sì.” disse Luna. “Credo che devo andare, sì è meglio.”
“Sì, vai.”
“Beh, ci vediamo a scuola?”
“Sì, credo che verrò.” rispose Theodore, sorridendo, in realtà un po’ deluso, guardando la ragazza sgusciare fuori dal cancello e risalire la strada. Per poi venire inghiottita dalla nebbia.
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