Il migliore di loro di Ely79

Si avvicina Natale ed il professor Lumacorno organizza una piccola festa a inviti. Le Prefetto di Grifondoro e Corvonero -Lily Evans e Gertrude Donachie- ed i loro due accompagnatori: Remus Lupin e Peter Minus.

Storia scritta per il contest "Uno per tutti: un giorno per iniziare, un filmato per ricordare e un disegno..."


Categoria: Post-DH Personaggi: Horace Lumacorno, Lily Evans, Nuovo personaggio, [+] Malandrini
Era: Ultimi Black e Malandrini (1950-1990)
Generi: Commedia, Introspettivo, Romantico
Lunghezza: A Capitoli
Pairing: Nessuno
Avvertimenti: OC (Personaggio Originale)
Sfide: Nessuno
Series: Nessuno
Capitoli: 5 Completa:Parole: 9813 Read: 26745 Pubblicata: 29/07/11 Aggiornata: 12/09/11
Note alla storia:

Nel finale si parla dell’incontro di Peter e Sirius dopo la morte dei Potter. Non è ben chiaro quando e come avvenga, né se Sirius avesse capito già allora che Peter era il traditore. Quindi questo è la mia ipotesi personale.

1. I - L'invito di Ely79

2. II - Segreti di Ely79

3. III - Al Lumaclub di Ely79

4. IV - I guastafeste di Ely79

5. V - Il migliore di loro di Ely79

I - L'invito di Ely79

Remus guardò la pesante porta chiudersi. Era indeciso sul dove avrebbe preferito trovarsi: se all’interno di quella stanza, a sorbirsi i rimproveri della McGranitt insieme ai suoi due compari, o a milioni di miglia in una qualunque direzione dell’universo. Diede un rapido sguardo alla spilla da Prefetto, che scintillava sulla sua divisa per il secondo anno consecutivo, e si domandò che diamine ci facesse lì. Silente gli aveva fatto quell’onore perché tenesse a bada i suoi soci e lui sentiva di dimostrarsi un enorme incapace: anche quella volta aveva fatto cilecca.
Sospirò affranto, scrollando le spalle.
«Ehi!»
Un ragazzo paffuto e con i capelli scompigliati si sporgeva da dietro lo spigolo del muro, facendogli cenno di raggiungerlo. La faccia tonda mostrava un tale stato d’apprensione che lo si sarebbe potuto scambiare per un pazzo sfuggito alle solerti cure delle infermiere del San Mungo.
«Peter!» esclamò a mezza voce, raggiungendolo.
«Allora? Che ha detto?» s’informò.
L’amico scosse il capo, decisamente abbattuto.
«Madam McGranitt era piuttosto contrariata. Se non ha tentato di infilzarci con la coda come una viverna inferocita, poco ci è mancato» ammise, tornando a fissare il battente di quercia. «Ma era peggio la faccia di Lumacorno, fidati. Mai visto in quello stato».
«E vorrei vedere» disse, sforzandosi di nascondere un risolino. «È un miracolo se quei suoi baffoni di paglia sono ancora al loro posto e non sulla sua nuca…»
«E il colore della sua faccia non stonava affatto. Giallo e viola non sono poi tanto male» convenne, pentendosene subito dopo: strizzò gli occhi per scacciare il ricordo di quella ridicola prugna ornata da due folte strisce di setole bionde che sormontava la veste color pistacchio.
Era cominciato tutto come un normalissima lezione di Pozioni, con i Malandrini appostati a metà dell’aula, la Evans che li teneva d’occhio dalla prima fila di calderoni, Mocciosus che spignattava con nauseante diligenza e Lumacorno intento a tessere le lodi dell’ennesima serie di illustri ex-alunni.
Tema dell’esercitazione era la distillazione dell’Elisir Brandinubi, un filtro poco noto, ma non per questo meno complesso. Durante l’esercitazione, James e Sirius avevano improvvisato una partita di Scacchi Magici sul tavolo, usando come pedine gli elementi del kit di Pozioni. I sommessi rimproveri di Remus non avevano sortito alcun risultato, fino a che, spazientito, il Prefetto aveva dato una manata al tavolo, con l’intento di disperdere i pezzi. La pila di bacche di Pilosina saltellante, che fungeva da torre a James, era crollata, rimbalzando in malo modo contro il calderone. Nel tentativo di acchiappare le drupe al volo, i quattro avevano teso le mani, lasciando cadere ciò che tenevano stretto: una penna appena intinta nell’inchiostro, un paio di bacche di agrifoglio, il misurino di vetro sporco di olio di melaleuca e gli avanzi di un biscotto d’avena.
Penna e misurino - appartenenti a Remus e Peter - erano precipitati quasi incolumi sul legno, mentre gli altri due elementi avevano scatenato una reazione imprevista nell’Elisir: il liquido aveva smesso di sobbollire, trasformandosi in un grumo nebbioso. Lumacorno, allarmato dall’insolito silenzio del quartetto che si sporgeva sbigottito sul paiolo, si era avvicinato ed in quel momento una minuscola nuvoletta azzurrina si era levata dal preparato ad accarezzargli il faccione. Aveva sorriso bonario ai ragazzi, mentre tutta la classe sbarrava gli occhi. In capo a pochi attimi, il suo volto si era gonfiato, aveva cambiato colore ed il docente era stramazzato a terra con un tonfo sonoro. Sirius si era sentito in dovere di commentare con un laconico “fatto il misfatto”, mentre addentava con noncuranza un altro biscotto. Inutile dire che i colpevoli erano stati indicati senza possibilità di dubbio e “invitati” nell’ufficio della McGranitt non appena Lumacorno era rinvenuto.
«Per quanto credi ne avranno?» sbuffò Peter, allungando il collo verso il corridoio.
«Non ne ho idea. Però penso che non se la caveranno a buon mercato. Questa volta c’è di mezzo un insegnante, è roba grossa. Hanno passato il segno, anche se non di loro iniziativa».
Si scambiarono un’occhiata eloquente e Peter tirò fuori dalla tasca delle Cioccorane.
«Come prenderanno l’ennesima “novità”, i signori Potter? Sai, avendo recentemente scoperto di aver adottato Sirius a loro insaputa… non so se il signor Harrison sarà in grado di reggere anche questa» ma Remus lo interruppe con un gesto della mano.
Si allontanarono dall’ufficio della professoressa e sedettero su una delle tante scalinate di Hogwarts. Remus prese a massaggiarsi vigorosamente la faccia, dando l’impressione di volerla strappare via.
«Ho il sospetto che questa volta lui e la signora Stephanie avranno bisogno di una dose massiccia di Infuso Stendinervi. La McGranitt ha minacciato una lettera lunghissima, condita con dovizia di particolari» mugolò.
«Che scommetto le ha fornito quella carogna di Mocciosus» borbottò.
«Pete, per favore, non ti ci mettere anche tu. Severus non è poi tanto male» lo difese l’altro, sinceramente afflitto dall’accanimento che gli amici mostravano verso il compagno.
«No, hai ragione. Voleva solo farti buttare fuori da Hogwarts e raccontare a tutti che sei un…»
Peter non terminò la frase, interrotto da un’esclamazione che riecheggiò lungo il corridoio, facendoli trasalire.
«Proprio voi stavamo cercando!»
I ragazzi rimasero petrificati, sgranando gli occhi sulle due Prefetto che avanzavano a passo di marcia nella loro direzione. Una aveva i capelli bruni e ricci, l’altra rossi e lisci. Man mano che  Lily Evans e Gertrude Donachie si avvicinavano, si sentivano sempre più parte del gradino su cui sedevano.
«Perché ci cercano? Non abbiamo fatto niente!» bisbigliò allarmato Peter, allungandosi indietro, quasi a cercare dello spazio extra per difendersi da qualunque assalto le ragazze volessero portare.
L’amico non spiccicò parola, imitandolo mentre arretrava ancora un poco, fino a salire sul gradino superiore.
«È… molto che mi cercavi, Evans? Qualche problema con quelli del primo anno?» azzardò Remus, augurandosi d’aver visto giusto.
«No. Fortunatamente i problemi li ha qualcun altro,» sogghignò lei, alludendo a Potter e Black, ancora bloccati dalla McGranitt, «così avremo modo di parlare con entrambi».
«Entrambi?» domandarono atterriti.
La cosa non suonava affatto bene.
«Ordunque» esordì la Prefetto di Corvonero, sorridendo inequivocabilmente a Peter. «Messeri, la di voi presenza ci sgrava di un lungo peregrinare in codesti tristi anditi, che il diurno astro sovente abbandona in favore di…»
Alle espressioni attonite dei ragazzi, Lily diede di gomito all’altra, roteando gli occhi ed ostentando un vago sfinimento.
«Gertie, non sei al gruppo di Letteratura. Parla da strega comprensibile».
La ragazza abbozzò un sorriso imbarazzato.
«Scusami, ma abbiamo appena provato ad interpretare la scena clou dell’“Gyula Csongrái”» si giustificò, rivolgendo lo sguardo ai due sul gradino, quasi aspettasse un cenno o una domanda.
Vedendo però che si ostinavano a mostrare un’espressione da fuggiaschi messi all’angolo, tentò di smuoverli, scatenando un misto di ilarità e disperazione nell’amica.
«Voi sapete, vero, cos’è “Gyula Csongrái”?»
Il Prefetto di Grifondoro negò muovendo lentamente il capo. Peter, riavendosi all’improvviso, diede la risposta al quesito:
«Letteratura di inizio secolo. L’opera più celebre dello stregone ungherese László Darnyi» concluse.
Remus diede un’occhiata interrogativa a Peter. Come faceva a saperlo? Lui fece una smorfia che sembrava significare “non chiedermelo ora”.
«Fantastico!» esclamò Gertie, sinceramente impressionata.
«Sì, fantastico. Ora potremmo passare a questioni più importanti?» insisté Lily, avanzando di un passo.
«S-sarebbe a dire?» s’informò timido Peter, a cui pareva che le ragazze fossero divenute immense quanto la Torre di Astronomia.
«Le signorie vostre dovrebbero cortesemente prestare il braccio a codeste donzelle, acciocché possano prender parte al dileggio…»
«Gertie!» strillò spazientita Lily.
«Va bene, quante storie!» replicò la Donachie, levando le mani in segno di resa. «Ci accompagnereste alla festa prenatalizia del Lumaclub?»
Lumaclub. Una parola sola, breve parola sinonimo di smancerie, spregevoli vanterie, manicaretti e noia abissale. Nessuno, ad eccezione degli studenti invitati dallo stesso Lumacorno, avrebbe mai e poi mai desiderato prendere parte a quegli incontri.
«Come sapete il professore organizza ogni anno una festa prenatalizia e vuole che i suoi invitati si presentino accompagnati» spiegò Lily, con molta calma. «Non possiamo andare sole. Ci servono due cavalieri. Voi!»
L’affermazione aveva un che di comico e terrificante. Due Malandrini – quelli sbagliati, pensavano i ragazzi – a fare da accompagnatori a due studentesse modello, carine, intelligenti e fra le predilette di Lumacorno, per giunta. No, qualcosa non quadrava.
«Noi?! Ma… perché?»
«Ti prego, Peter. Non dirmi di no» lo supplicò Gertrude.
Minus si sentiva in imbarazzo: gli occhi della Corvonero non lo mollavano un secondo. Non era la loro insistenza a farlo sentire agitato - la conosceva da anni, sapeva che aveva il vizio di fissare la gente per i motivi più disparati -, bensì la strana luce che li pervadeva. Era troppo felice.
«Ma… io… Perché io, Lily?» piagnucolò Remus, atterrito.
Pensava al suo guardaroba, trovandolo inadeguato a qualsiasi evento mondano. Ma soprattutto pensava a James.
«Perché sei un Prefetto, mio collega diretto in questa carica, membro della mia stessa casa e perché sono sicura di non correre alcun rischio con te al mio fianco. Non sei un esibizionista, un approfittatore o uno svitato. E anche se a volte ti comporti come se non fossi degno della fiducia che ti ha concesso il professor Silente, ti meriti un premio».
«Veramente io non credo di…» tentò di obbiettare.
Purtroppo la Evans sapeva essere piuttosto cocciuta: lo afferrò per un braccio, dandogli uno scossone.
«Andiamo, Remus! Cosa potresti farmi di tanto brutto? Scambiarmi per una tartina e mordermi?» scherzò, sperando di strappare un sorriso e l’assenso sperato a quel ragazzo tanto timido e a modo.
«Non la metterei su questo piano…» replicò invece lui, offeso. «Con me rischi davvero grosso».
«E perché, sentiamo?»
La domanda era ingenua, ma mise in allarme i Malandrini.
«Perché… non sono uno da feste! Sono troppo silenzioso, troppo imbranato, troppo… troppo…» e si volse a guardare l’amico, in cerca d’aiuto.
«Troppo sciatto!» intervenne Peter. «Sì, sul serio. Brutti vestiti, taglio di capelli inguardabile, poca esperienza di questo genere di avvenimenti. Anzi, nessuna! Davvero, grazie per l’invito, ma noi non siamo propri tipi da quel tipo di feste. Non siamo in grado di muoverci, di conversare come si deve. Vi faremmo solo fare una brutta figura».
Si sentì estremamente orgoglioso per quella scusa ideata in pochi secondi. Era perfetta, plausibile ed educata.
«Sei troppo modesto. L’anno scorso te la sei cavata egregiamente alla festa del Ministro» obbiettò Gertie, distruggendo con poche sillabe la sua artistica giustificazione. «Me lo ricordo bene: io c’ero».
Aveva dimenticato che in più d’un’occasione avevano finito col farsi compagnia durante le interminabili serate presso la sala dei banchetti del Ministero. Si diede dello stupido: meritava le prese in giro di Sirius e James, quando gli davano del tonto. Come aveva fatto a dimenticare una cosa simile?
«Bene. Allora, è fatta. Sarete i nostri accompagnatori» sentenziò soddisfatta Lily, nonostante le loro espressioni sbigottite.
«La festa è venerdì sera alle diciannove. Ci aspetterete all’ingresso della scuola alle diciotto e quarantacinque. Da lì andremo alla festa insieme» decretò Gertrude, il cui sorriso ormai illuminava a giorno il corridoio.
Detto ciò, le Prefetto girarono sui tacchi e se ne andarono, zittendo sul nascere ulteriori proteste.
Passarono alcuni minuti prima che Peter riuscisse a spiccicare parola.
«Sempre meglio della punizione di Felpato e Ramoso, qualunque sia» sospirò fingendosi ottimista.
«Tu dici? Uscire con due ragazze, con quelle due ragazze non ti pare una catastrofe? Una tragedia? Quasi quasi rimpiango che non ci sia luna piena… sarei potuto andare a rintanarmi alla Stamberga e tanti saluti alla festa!» esclamò, prendendo la testa fra le mani.
«Remus?» ciancicò, dopo essersi infilato in bocca un paio di Gommabaleni.
«Sì?» gemette.
«Non dirai a James che esci con Lily, vero?»

Note finali:

László Darnyi è uno scrittore-mago di mia invenzione, così come la sua opera.

II - Segreti di Ely79

«Vorrei proprio sapere perché diamine gliel’hai voluto dire. Sapevi che avrebbe fatto una scenata!» mugugnò Peter, frugando tra le pieghe delle pergamene di Erbologia, in cerca della boccetta d’inchiostro.
Aveva riscritto il compito già due volte per colpa di Sirius e James che avevano improvvisato una battaglia di pantofole animate, prima che Remus cedesse ai sensi di colpa e raccontasse dell’invito ricevuto. Non ci teneva ad iniziare la terza copia.
«Ti avevo detto di stare zitto, di aspettare per darmi tempo d’inventare una scusa decente, una spiegazione accettabile per coprirci, per non fargli sapere come stavano le cose per venerdì sera, ma tu, no! Tu hai voluto spiattellarglielo senza mezzi termini. Lo sapevi che l’avrebbe presa malissimo!» rimbrottò.
«Non potevo non dirglielo… non sarebbe stato giusto!» si giustificò il Prefetto, seduto di fronte a lui con le ginocchia al petto  e l’aria da lupo bastonato.
Anziché rispondergli, Peter indicò con enfasi il letto all’altro capo della stanza, dove Ramoso stava steso a faccia in giù, lagnandosi da moribondo disperato contro il cuscino. L’idea che la sua amata uscisse con un membro dei Malandrini - che non si chiamasse James Potter - lo aveva passato da parte a parte. Poco importava che fosse stata lei a pretendere quell’uscita: nella sua mente innamorata, la Evans avrebbe dovuto chiedere solo ed esclusivamente a lui di accompagnarla alla festa di Natale del Lumaclub. Qualunque altra opzione semplicemente non esisteva.
«Come hai potuto farmi questo?!» recriminò di nuovo. «Tu! Proprio tu, Remus! Un Prefetto dovrebbe aiutare i suoi compagni, non infilzarli con la Spada di Godric! Traditore! Perché?»
Gli occhiali erano rimasti sulla federa, dopo avergli martoriato il naso e gli zigomi. Doveva essere la centesima volta che ripeteva quella solfa. Ormai i livelli del suo dramma personale sfioravano vette degne dei compositori d’opera.
«Oh, andiamo Ramoso! Avrebbe potuto andarti peggio» esordì Sirius dalla scrivania.
I tre si voltarono a fissarlo interrogativamente.
Black stava semisteso sul fianco, reggendosi sul gomito e dondolando i piedi nel vuoto. Aveva annodato la cravatta sulla fronte e ne mordicchiava compassato la punta. Fece una pausa coreografica, che sfruttò per rimettersi seduto con voluta lentezza. Calamitare l’attenzione altrui era una sua specialità, che non esitava ad esibire.
«Ma certo. Pensaci bene, James: Rem è perfetto per accompagnare Lily a quella festa. È assolutamente innocuo! Non ha interesse per lei, non ha abbastanza spina dorsale per litigarci se dovesse attaccarti,…»
«Ehi, io sono qui!» obbiettò Remus, risentito.
D’accordo, era vero, non passava per mostrarsi un cuor di leone, ma preferiva impiegare altri modi per tener testa alla Evans nelle discussioni. Per esempio la logica e la cortesia. Gli artigli, a quanto ne sapeva, preferiva usarli sulle cortecce degli alberi che sulla pelle altrui.
Sirius però scelse di ignorare le sue proteste: non voleva perdere il filo del discorso che aveva appena avviato.
«Sarà utilissimo! Ascoltami: non può che parlare bene di te; mettere in luce le tue qualità - anche se sono palesi, lo sappiamo tutti -; spiegarle quanto si sbaglia sul tuo conto; può convincerla che dovrebbe darti, non una, ma almeno un centinaio si chance…» elencò, accompagnandosi con le dita.
Ramoso si aggiustò gli occhiali sul naso e tornò a guardare Lunastorta con l’espressione speranzosa di un gufo in vista di un posatoio al termine di un lungo volo. Dopo un rapido scambio di occhiate sconcertate con i compari, Lupin annuì senza troppa convinzione.
«Lo faresti?» domandò James sollevandosi un poco, le pupille dilatate da una nuova, inattesa speranza.
Remus confermò, sentendosi incredibilmente stupido. Come avrebbe fatto a metterlo in buona luce, quando sapeva perfettamente che Lily non avrebbe prestato la minima attenzione a quel discorso?
«Basta, io vado a recuperare il dizionario di Rune da Carter, prima che faccia le ragnatele in camera sua» sbottò Peter scendendo dal letto.
Stava per raggiungere indisturbato la porta, quando una voce lo chiamò.
«Piano, piano, topastro» ridacchiò Sirius, certo che l’appellativo sarebbe stato sufficiente a fermare l’amico lì dove si trovava. «Ora tocca a te vuotare il sacco».
Quello deglutì a vuoto, la mano che si rifletteva nella maniglia.
«Com’è che tu e quella Pixie della Donachie ve la intendete tanto? Cos’è questa storia dei festini al Ministero?»
Peter serrò la mascella, scegliendo con attenzione quali parole usare: Black era fin troppo bravo a rivoltare le frittate e far sembrare nero il bianco e viceversa.
«Non erano festini. Erano ricevimenti ufficiali» disse, continuando a dar loro le spalle.
«E tu che diamine ci facevi là? La tappezzeria? Una tappezzeria di quelle malandate che vengon via dai muri solo a guardarle» latrò, disegnando nell’aria una sagoma esageratamente ondulata.
Il cinismo di Felpato suonava disprezzabile persino a James. Che bisogno c’era di parlargli a quel modo? Peter era uno che raramente faceva le cose senza motivo: persino quando organizzavano gli scherzi, lui si arrogava il diritto di mandare a monte tutto se non era certo delle possibilità di farla franca. E convincerlo a partecipare su due piedi non era una bazzecola. Persino Remus, che a diplomazia batteva chiunque, doveva arrendersi spesso alle sue opposizioni.
«È vero» intervenne Potter, prima che Sirius avesse tempo di argomentare una nuova offesa. «Che ci facevi al Ministero? Non sono molti quelli che vengono invitati alle feste che danno».
Il ragazzo tacque, sentendo su di sé il peso degli sguardi e degli interrogativi.
«Beh? Il topo ti ha rosicchiato la lingua?» ghignò nuovamente Sirius, afferrandolo per una spalla ed obbligandolo a voltarsi.
Peter sentiva la testa come se fosse diventata di piombo. Non riusciva a sollevarla per fronteggiare la smorfia sprezzante che il Malandrino di fronte gli stava certamente rivolgendo.
«Ero andato con i miei genitori» spiegò a mezza voce.
«Oh! “Premiato Servizio di Ristorazione Minus e figlio”, immagino! Cioccorane e mele stregate a volontà, tanto offrono i banchi di Mielandia!» ridacchiò Black, affondando l’indice nello stomaco dell’altro, che si ritrasse infuriato.
Fino a prova contraria, chi aveva saccheggiato impunemente ogni cesta, mensola o scaffale del negozio di dolci, era Felpato. Poco importava se, per dar meno nell’occhio, avesse usufruito delle capienti tasche di Codaliscia per trasportare la refurtiva: Peter aveva sempre pagato ogni manicaretto fino all’ultimo zellino.
«No!» gridò offeso.
«E allora? Che fanno i tuoi per poterti portare al Ministero? Lava i pavimenti? No, aspetta! Se sono come te, probabilmente fanno i fermaporta!» rise sguaiato.
Sirius finì lungo sulla schiena, sotto il peso del compagno di stanza che, spazientito, gli era balzato addosso.
«Non permetterti mai più di parlare così della mia famiglia! Non osare! Mio padre è un giurista e membro del Wizengamot!» urlò, scrollandolo per il colletto della camicia.
Gli altri rimasero in silenzio, facendo tanto d’occhi.
Il ragazzo insisteva nel tenere il capo chino, quasi si sentisse a disagio per ciò che aveva appena detto.
«Non ce l’avevi mai detto» fece Remus, che fino a quel momento aveva osservato la scena, indeciso sul da farsi.
«Voi non me l’avete mai chiesto. Non sembrava essere un dettaglio tanto interessante. E comunque, non vado orgoglioso di alcune sue decisioni» spiegò rialzandosi.
Ogni volta che i ragazzi erano andati a trovarlo a casa, era stato ben attento che suo padre non fosse presente. Era una brava persona, ma aveva il vizio di intrecciare lavoro e vita privata. Non poteva rischiare un guaio per una parola di troppo, detta magari per scherzo o per troppa boria.
«Tipo portarti alle feste? Chissà che tortura abbuffarti di pasticcini e succo di zucca!»
Il Prefetto impedì a Minus di rifilare un calcio nello stomaco a Black, immolando una gamba.
«Mio padre,» squittì furibondo, «insieme a Orion Black, è stato uno dei promotori della legge che due anni fa ha inasprito le norme sulla segregazione degli esseri semi-umani!»
Al nome del genitore, l’altro era rimasto raggelato. Non ricordava di averlo mai sentito pronunciare il nome dei Minus, ma bisognava ammettere che le conversazioni tra lui e suo padre si erano sempre svolte a monosillabi.
«Qualunque essere. Mannari su tutti» singhiozzò, guardando di sottecchi Remus che si scostava, colpito dalla rivelazione. «Avevo cercato di convincerlo che sbagliava. Che non era giusto quel che stava facendo. Ci ho provato. Davvero».
Si era sentito impotente quando suo padre, pur con tutta la calma del mondo, gli aveva spiegato la necessità di quelle norme. Poco importava quanto fossero obsolete le idee su cui si fondavano: lui le avrebbe appoggiate, per la sicurezza di suo figlio e delle future generazioni.
«Peter, non gli avrai detto che…» azzardò James, arrivando quasi ad alzarsi dal letto per l’apprensione.
«No! Per chi mi avete preso?» sbraitò, indignato oltre misura dall’insinuazione. «Io non tradirei mai il nostro giuramento! Non tradirei mai i Malandrini! Non tradirei nessuno di voi» strillò.
Un attimo dopo, la maniglia si abbassava, lasciando che uno studente abbandonasse la stanza.
«Contento ora, Sirius?» gli chiese mesto Remus, uscendo a sua volta.
L’interpellato rimase supino, a fissare la porta chiudersi. Fuori si udirono dei passi di corsa e delle voci confuse che sfumarono nel silenzio.
«Stavolta dovrai proprio chiedergli scusa. Non avresti dovuto insultarlo a quel modo» lo ammonì Potter, tornando a sdraiarsi. «È un po’ che state sempre a beccarvi, ma credo tu abbia esagerato sul serio. Non avevo mai visto Peter così arrabbiato».
Felpato si limitò a far spallucce con sufficienza.
«Bah, lascialo perdere. Se la farà passare. Piuttosto, fratello mio, qui siamo nel calderone fino al collo» sbottò balzando sul letto, mancando di pochissimo i piedi del compare e scavalcandolo senza tanti complimenti.
«Parla per te. Io sono defunto! Una salma!» sbuffò, tornando a sprofondare il volto nel cuscino.
«James?»
«Sono morto, hai capito?» biascicò sfinito. «Lily non deve avere vicino uno sguattero. Merita un Cacciatore, un mago serio. Non un misero lavapiatti. È una strega troppo speciale, per uno così. Sto rovinando tutto» soggiunse fra sé.
Si era sempre sentito degno di lei, il solo che avesse potuto completarla, ma il pensiero che lo vedesse a prendere ordini e subire gli sberleffi degli altri senza poter ribattere come suo solito, lo avviliva. Era certo che l’avrebbe guardato con occhi diversi, di commiserazione.
Intanto, Felpato si dava da fare, rovistando nei cassetti e sotto i letti.
«Dobbiamo trovare un modo per scontare la nostra stramaledetta punizione senza che quei due e le loro dannate damigelle…»
«Dannate?!» ruggì, riavendosi di colpo. «Passi la Donachie, ma la mia Lily non è dannata!»
«Le loro dolci damigelle,» si corresse stizzito, «si accorgano che noi siamo là. A fare i camerieri» latrò a denti stretti.
Per quanto si sentisse affrancato dal peso del blasone dei Black, l’idea di servire calici di vino elfico e ritirare piattini sporchi di paté di Murtlap, magari infilato in una logora divisa raccattata in qualche negozio di abiti usati, gli dava ancora il voltastomaco. Uno come lui che si abbassava a tanto? Era ridicolo il solo pensarlo, metterlo in atto significava follia pura. Senza contare che, nella torma dei favoriti, non c’erano solo la petulante Evans e l’insistente Donachie: c’era pure Mocciosus. Fare da domestico a quel coso indegno equivaleva a toccare il fondo e ad incatenarcisi a vita. No. Occorreva un intervento d’urgenza, un modo per uscire da quella situazione scandalosa. Ne andava del buon nome dei Malandrini!
«Come è venuto in mente alla scozzesina di dar retta a quel vecchio tricheco?!» brontolò, tuffandosi letteralmente nell’armadio. «Usarci come camerieri per la sua stupidissima festa di Natale!»
«Non m’interessa! Cosa penserà di me, Lily quando mi vedrà fare il lacchè? Dirà che sono caduto troppo in basso per lei, che non sono degno di starle accanto… E avrà ragione» meditò, immaginandola con le lacrime agli occhi per la vergogna nel vederlo umiliato pubblicamente, solo perché un professore non possedeva senso dell’umorismo. «Non voglio che si vergogni di me: quando sarò ufficialmente il suo uomo dovrà essere fiera di tutto quel che ho fatto. Se almeno potessi servire lei sola, sarebbe un’altra faccenda! Di quello si sentirebbe lusingata di certo. Forse potrei convincere Lumacorno a farmi fare il suo valletto personale» decretò.
Sirius sbuffò, esasperato. Proprio non capiva: chi se ne importava della Evans e di quel che pensava di lui!
«Vorrei farti presente che la cara Minnie-miao ci ha sequestrato anche l’ultima copia di sicurezza di "Trucchi sfiziosi per tipi scherzosi". Dobbiamo dare fondo alle nostre abili menti, senza alcun supporto se vogliamo che il nostro onore esca illeso da questa serataccia!» borbottò Sirius, infilato per metà nel suo baule in cerca di qualcosa che ravvivasse la sua immaginazione. «Accidenti a te, gattaccia spelacchiata! Aspetta di capitarmi a tiro quando avrò anch’io la coda…» minacciò.

III - Al Lumaclub di Ely79

Gertie camminava spedita, ascoltando il ticchettare dei tacchi sul pavimento di pietra. Si sentiva molto allegra, nonostante fuori imperversasse un tempo da lupi e nei corridoi di Hogwarts s’infiltrassero refoli gelidi. Sentiva il cuore in subbuglio all’idea di presentarsi alla festa con un degno cavaliere. Il suo cavaliere. A dispetto di ciò pensavano Susan e Annie, le sue migliori amiche a Corvonero, o Lily, la sua collega di Grifondoro, lei stravedeva per Peter Minus.
Conosceva da anni quel ragazzo riservato, un po’ impacciato, ma attento e allegro: suo padre era un giudice del Wizengamot e collaborava spesso con il signor Minus allo scopo di migliorare le leggi esistenti ed introdurne di nuove, che garantissero la sicurezza di maghi e streghe. Da quanto si diceva - ed aveva potuto costatare durante i ricevimenti ufficiali -, Peter avrebbe seguito le orme paterne: era uno dei migliori al corso di Storia della Magia e in Difesa dalle Arti Oscure, materie basilari per diventare un legislatore. Aveva modi garbati, sapeva conversare di vari argomenti, era abbastanza abile nell’argomentare le proprie idee, raramente s’infervorava. Insomma, aveva tutte le carte in regola per entrare nei più alti ranghi del Diritto Magico inglese, se non addirittura internazionale.
Gertie sapeva di non aver mai solleticato gli interessi di Peter, eppure quella sera sentiva che le cose avrebbero potuto cambiare. Stare al suo braccio, parlandogli senza l’ombra dei genitori a soppesare i loro atteggiamenti, avrebbe rimescolato i pezzi sulla scacchiera. O, perlomeno, le avrebbe concesso un breve sogno ad occhi aperti, un piccolo dono di Natale. Non pretendeva, come l’eroina de “Il castello di Marfihoermo” della Gudlög Adlersparre, di essere in grado di scatenare una passione improvvisa nel ragazzo di cui era innamorata solo pronunciando il suo nome, ma per lo meno, di riuscire a farlo interessare a sé.
Nell’atrio scorse Lily, che tentava di sistemare una delle rose d’organza che ornava la cintura dell’abito.
«Buona sera a voi, madamigella in difficoltà!» salutò raggiungendola con una giravolta. «Il vostro eden errante paventa ostici propositi?»
La ragazza sobbalzò spaventata. Per un istante aveva temuto si trattasse del solito Potter. Quando non la tampinava per più di un paio di giorni, come stava accadendo quella settimana, temeva il peggio. L’ultima volta era aveva riempito la sala comune di bolle di sapone a forma di cuore, che cantavano canzoni smielate con il suo nome quando esplodevano.
«Gertie, per pietà, non cominciare con le tue tiritere linguistiche! Questo affare mi sta facendo impazzire!» protestò, strattonando la decorazione.
La Corvonero si sporse, le mani intrecciate dietro la schiena.
«Permetti?»
Lily tergiversò qualche istante, prima di assentire. Con un rapido colpo di bacchetta, la rosa smise di cascare da un lato e sollevò la corolla.
«Grazie».
«Le bacchette servono anche a questo» la prese in giro. «Oh! Ecco giungere i messeri, in perfetto levar di luna!» esclamò, additando la coppia di ragazzi che scendeva le scale in quel momento.
Remus quasi franò sul gradino, come se la giacca – un po’ troppo larga per le sue spalle ossute – avesse deciso di andare ad abbracciare le scarpe.
«Levar di… luna?!»
«Intende dire che siamo in orario» tradusse pacato Peter, mentre faceva un bell’inchino a Gertrude. «Buona sera, signorine. Scusate, ma il galateo non prevede che gli uomini se ne stiano ad attendere le dame?»
«Non sono una da galateo. E comunque, detesto arrivare in ritardo» si giustificò Lily, prendendo sottobraccio un imbarazzatissimo Remus.
Negli ultimi due giorni aveva tormentato Peter perché lo aiutasse nella scelta del vestito giusto per la serata, ma quanto si portava appresso si era rivelato inadatto. Aveva finito coll’indossare un completo giacca e pantaloni di un deprimente grigio, che sua madre gli aveva inviato in fretta e furia, nella speranza di non farlo sfigurare. Tuttavia, pareva che qualunque cosa indossasse lo facesse assomigliare ad uno spaventapasseri: le nottate di luna piena assottigliavano la sua forma umana come un plimpy sotto il sedere di un gigante, mentre i vestiti mantenevano inalterata la propria taglia.
Dal canto suo, Peter, che di solito preferiva non dare nell’occhio, si era presentato con una veste damascata blu notte con profili violetti, esattamente all’opposto di quella di Gertrude che era viola con decori blu. Approfittando della sua forma di Animagus aveva potuto origliare indisturbato i discorsi della ragazza e scoprire in anticipo come si sarebbe vestita: l’etichetta imponeva che le coppie si presentassero alle feste con abiti coordinati, ma lui era troppo timido per domandarle apertamente cosa avrebbe indossato. E la situazione aveva già esasperato la tendenza di Black a sputare sentenze, cosa che lo irritava oltre modo: l’idea di fornire a quel presuntuoso altri spunti per prenderlo in giro non l’allettava affatto.
Aveva colto il brillio di sorpresa nello sguardo scuro di Gertie e se ne era compiaciuto. Un po’ meno lo rallegrava la faccia di Remus, che sembrava perennemente sul punto di darsela a gambe levate. Eppure lo aveva istruito a dovere, gli aveva elencato le regole base dello stare nell’alta società. Perché si ostinava a non sentirsi in grado di sostenere qualche ora di pacata conversazione, guarnita di manicaretti e bevande che mai avrebbero visto transitare sulle tavolate della Sala Grande?  Perché era convinto che tutti fossero in grado di vedere il lupo sotto la sua pelle?
«Quello da dove è uscito?» domandò ad un tratto Lupin, interrompendo il proprio tentativo di decidere se e cosa assaggiare dal buffet e i pensieri di Peter.
Un vassoio rettangolare, carico di pasticcini, era comparso nel bel mezzo di una folla di portavivande contenenti ghiottonerie salate, senza alcuna apparente logica.
«Credo sia sempre stato lì» rispose l’altro, preso dall’allestimento di un piattino di leccornie per Gertie, come si conveniva ad un autentico gentilmago.
«No, Pete. Ne sono certo. Non c’era due secondi fa. E non ci sono elfi domestici nei paraggi, Lumoacorno dice di non usarli per le sue feste» disse, sollevando il piatto e controllandone la faccia inferiore, sospettoso. «E sai un’altra cosa? Sento un odore familiare» soggiunse, annusando nuovamente l’aria.
«Sarà la colonia del professore. Appesta sempre tutta la classe!» replicò, assorto nella decisione tra un voul au vent ai fegatini di Diricawl e uno alla mousse di Horklump.
«No, non è quella. È diverso. Lo sento appena, ma…»
Codaliscia l’interruppe, piantandogli in mano una grossa fetta di torta di melassa.
«Goditi la serata, Remus. Non fare il Prefetto anche qui, non ce n’è bisogno» lo ammonì. «E vedi  di far compagnia alla Evans. L’hai piantata da sola con Trent Carew alle calcagna».
Il Corvonero aveva il potere di scatenare attacchi d’ira in chiunque, a causa della sua parlantina ossessiva e della pessima abitudine a mettere in risalto le mancanze altrui. Per quanto non lo facesse con cattiveria, a tutti risultava essere una compagnia alquanto indigesta.
«Dovrei dirle di James» mormorò Lupin, colpevole.
«Ci tieni a tornare a Grifondoro, stasera? Vivo, intendo».
«Ho capito. Dovrei star zitto e non farla arrabbiare, ma l’ho promesso a James!» obbiettò.
Spazientito, Peter posò i due piattini che teneva in mano e lo fissò dritto negli occhi.
«Senti, dammi retta almeno questa volta. Aspetta. Non è il momento. La festa è agli inizi, se le parli subito finirai col trascorrere il resto della serata a fare da tappezzeria mentre rimugini su quello che hai combinato. Devi saper aspettare il momento giusto, il segnale che lei è tranquilla e rilassata, che ha pensieri allegri che non le permettano di capire le tue intenzioni. Distraila, depistala. Non deve avere alcun modo di scoprire il piano. La Evans non è stupida, devi sapere quando muoverti a colpo sicuro. Diamine, Rem! Sei un…» e s’interruppe, abbassando bruscamente la voce. «Sei quello che sei. Un briciolo d’istinto lo conservi sempre, me l’hai detto un milione di volte! Non sprecarlo per i vassoi che vanno e vengono. Sfruttalo a tuo vantaggio».
Il Prefetto lo squadrò esitante.
«Quando parli così, mi dai i brividi».
«È la filosofia di mio padre. Dice che bisogna imparare a gestire e sfruttare le proprie capacità fino al limite, se si vuole ottenere qualcosa» disse scuotendo il capo e recuperando i piatti. «Ogni tanto arriva qualche cosa di buono, da un nemico dei… pelosi» scherzò allontanandosi.
Aveva tentato di parlare con James, per convincerlo di quanto fosse sciocca la trovata di Sirius, ma quello zuccone occhialuto era troppo innamorato e fiducioso nelle buone parole dell’amico per starlo a sentire. E Remus era troppo ligio alla parola data.
Il chiacchiericcio intorno non fece altro che ricordargli la marea di discorsi senza capo né coda fatti in quei giorni.
Mentre raggiungeva Gertrude, non poté fare a meno di confrontarla con altre ragazze presenti. Era una che saltava all’occhio più per i suoi atteggiamenti che per il suo aspetto. Era carina, ma nulla di spettacolare. Non avrebbe mai raggiunto i livelli di Fanny Stevenson, che occupava stabilmente i sogni della stragrande maggioranza della popolazione maschile dei dormitori di Hogwarts. Tuttavia, Peter la trovava una piacevole compagnia. Era intelligente e appassionata di molte materie, i suoi interessi extrascolastici erano svariati (era membro del club di Scacchi Magici, del neonato club di Letteratura, s’intendeva di arte e amava viaggiare). Certo, se avesse smesso di guardare tutti - lui per primo - come sfere di cristallo, ed avesse ricominciato a parlare in maniera comprensibile, forse avrebbe guadagnato qualche altro punto.
Sedette al suo fianco, avendo cura di posizionare i piattini fra di loro. Preferiva mantenere un composto distacco, almeno sul piano fisico. Non era solo una questione di etichetta: troppe volte, dopo un ricevimento, in molti avevano domandato ai loro genitori se fossero stati promessi e smentire diventava sempre più imbarazzante e complicato. Non ci teneva a farlo anche a scuola. Non con Sirius e la sua linguaccia stramaledetta in circolazione.
«Ti piacciono gli scritti di László Darnyi?» chiese ad un tratto.
«László Darnyi?» domandò perplessa Gertie e per poco il bicchiere non le sfuggì di mano.
Lui annuì, sorseggiando il succo di zucca al lampone che un cameriere aveva frettolosamente ficcato in mano ad entrambi.
«L’altro giorno hai detto che stavate recitando un passo del “Gyula Csongrái” al gruppo di Letteratura. Per dirla tutta, non sapevo nemmeno che ne avessimo uno…»
Gertrude sbatté le palpebre, piacevolmente sorpresa.
«Abbiamo fondato il gruppo solo quest’anno, siamo in cinque, oltre al professor Blackhood. Crede che impegnandosi in altre cose oltre all’insegnamento, la maledizione della cattedra di Difesa non lo prenderà di mira. Mi stupiva il fatto che me lo chiedessi. Non mi eri parso molto entusiasta e, per la verità, non sono in molti ad esserlo».
«A me non piace, per la verità. Ho letto qualche suo libro, ma li ho trovati troppo lenti, prolissi. Però se non vuoi parlarne, possiamo cambiare argomento».
«Al contrario!» esclamò Gertrude, il cui sorriso si allargò a dismisura. «Amo molto Darnyi, ma anche Csilla Babon e Tibor Pádár. Hai ragione, usava un linguaggio piuttosto farraginoso, zeppo di iperboli e metafore. Però, il suo “Gyula Csongrái” ha un che di… reale! So perfettamente che i draghi non parlano e nessuno sarebbe tanto pazzo da avvicinarsi a uno di loro – figuriamoci dargli retta -, tuttavia trovo che ci sia un grande insegnamento dietro quella storia».
«Davvero?» domandò Peter, cercando di mascherare l’improvviso interesse per l’incedere furtivo di un altro inserviente, che passava con fastidiosa frequenza alle loro spalle.
«I coraggiosi non sono coloro che compiono gesta eclatanti, che risuonano nella notte come campane d’oro. I veri coraggiosi sono coloro che seguono la propria via, incuranti del pensiero altrui. Possono intraprendere percorsi bui e incerti, perdersi nelle proprie convinzioni, ma quando riescono a raggiungere il loro obbiettivo, sanno che è valsa la pena di patire tanto».

Note finali:

Gudlög Adlersparre, Csilla Babon e Tibor Pádár sono scrittori maghi di mia invenzione, così come le loro opere.

IV - I guastafeste di Ely79



La festa di Natale si stava rivelando meno noiosa del previsto. Remus, dopo l’iniziale impasse, era riuscito a sfoderare quelle qualità per cui tutti lo apprezzavano. Sapeva scherzare con sagacia senza  mai eccedere; dissimulava con discreta abilità i momenti di tensione quando i discorsi si avvicinavano pericolosamente alla sua condizione; rivolgeva cenni garbati anche agli interlocutori più ingrati - come Trent Carew -; riusciva a raccordare i fili di temi apparentemente slegati tra loro, dimostrandosi un allievo molto più brillante di quanto Lumacorno avesse mai sospettato in quegli anni.
«Mia cara Lily, com’è possibile che non abbiamo mai compreso l’abilità del signor Lupin nel giocare a nascondino? È evidente che siamo di fronte ad un vero gentilmago sotto mentite spoglie» scherzò bonariamente il professore, lisciandosi compiaciuto i baffi.
Quello era un genere di scoperte che lo affascinava e inorgogliva molto. Forse il giovane Lupin non aveva avuto in sorte un nome blasonato, ma era sicuro che, al pari di Lily e di Severus Piton, possedesse i fantomatici assi nella manica per divenire qualcuno. Aveva solo bisogno di credere un po’ di più in sé stesso. E magari di essere presentato a qualcuno che contasse davvero, come Randall Farnsworth o Clayton Higgings, cui avrebbe fatto comodo un tipo schietto e riservato come lui.
La Evans rise, dicendo che, se non fosse stato per la scelta di Silente di nominarli entrambi Prefetti, probabilmente non l’avrebbe mai invitato e non avrebbero mai scoperto il trucco.
«Pare che a Lupin piaccia farsi passare per quello che non è» sibilò Piton, seduto alla destra del docente.
«Tu invece riesci benissimo a mostrarti per quel che sei» borbottò malignamente una vocina alle sue spalle.
«Chi ha parlato?» esclamò, voltandosi con tanta rapidità da rischiare di rovesciare il proprio bicchiere.
«Difficile scelta, Severus» rispose Remus, guardandosi attorno con aria seria. «Sarebbe meglio che tu domandassi chi è che sta in silenzio».
Lumacorno scoppiò a ridere tra un boccone d’ananas candito e l’altro.
«Che sagacia, signor Lupin! Mi complimento. Non è facile mettere in scacco il nostro Severus con tanta abilità. Davvero notevole. Ma dove sono? Dove si sono cacciati? Ragazzi?» chiamò Lumacorno.
«Chi cerca, professore?»
«Due camerieri speciali che la professoressa McGranitt è stata così premurosa da procurarmi per questa serata. Oh, eccovi lì!»
L’insegnante aveva adocchiato due divise bianche e nere che tentavano di svignarsela di soppiatto dietro ad una tenda.
«Su, giovanotti. Non siate timidi, venite avanti. Dopo tutto, partecipate anche voi a questa festa» li esortò.
Il Prefetto Evans sgranò gli occhi, come quasi tutti invitati. L’unico, oltre a Lumacorno, a non scomporsi, fu Severus Piton, che sogghignava compiaciuto.
«A volte liberarsi dei parassiti è quasi impossibile» mormorò Gertrude, squadrando in malo modo i camerieri che venivano avanti strascicando i piedi.
«Voi?!» esclamarono in coro gli amici, lì lì per soffocarsi con i rispettivi bocconi.
Sirius rispose con un mezzo ringhio particolarmente minaccioso. Era ancora furioso per la brusca perquisizione subita da Gazza prima e dagli incantesimi anti-sberleffo di Lumacorno poi, che lo avevano privato dei pochi “attrezzi del mestiere” che gli avrebbero consentito di animare quel mortorio. Inaspettatamente, James stava in silenzio, fissando la punta delle scarpe.
Remus e Peter si fecero avanti, sconcertati.
«Era… questa la punizione?»
Per giorni avevano cercato di estorcere loro quale fosse il castigo pensato dalla McGranitt, invano. Avevano sempre glissato, accampando scuse o presunte macchinazioni di cui li avrebbero messi al corrente una volta messa in atto la contro-condanna.
«Perché non ce l’avete detto?»
«Non sembrava essere un dettaglio tanto interessante» latrò seccato Sirius, ripetendo a Peter ciò che aveva detto giorni addietro.
I quattro, per la prima volta da che si conoscevano, si sentirono degli estranei. Che diamine era successo? Perché all’improvviso parlarsi era diventato difficile?
«Andiamo, miei cari» li canzonò il docente, dando vigorose pacche sulle spalle ad entrambi. «Direi che possiate definirvi fortunati. Non a tutti capita di trascorrere una serata in queste vesti, no?»
Se Lumacorno avesse tentato un’uscita sarcastica, al fine di sdrammatizzare la scena, rimase un mistero.
James, annuendo a malapena, avanzò di un passo verso le ragazze, porgendo il vassoio perché potessero prendere un dolce. Inizialmente, nessuna si mosse, ma spinta dal sorriso bonario del professore, la Prefetto Grifondoro allungò la mano.
Le dita della ragazza si fermarono a pochi millimetri dalla glassa di un bignè. Potter non la stava guardando.
In compenso Peter, riavutosi dall’iniziale sorpresa, si unì agli altri compagni che, ridendo sotto ai baffi o scuotendo la testa, avevano cominciato a servirsi. Sui vassoi che Potter e Black erano andati a prendere per evitare d’essere richiamati all’ordine, facevano bella mostra di sé i più golosi manicaretti mai visti in quei ritrovi.
«Che c’è, sorcio? Ti diverti?»
«Diciamo che questa mise ti dona» commentò, addentando il dolce che aveva scelto senza l’abituale ingordigia. «E io che credevo stessi cercando di fuggire da Hogwarts per non affrontare chissà quale castigo!»
La strizzatina d’occhi smosse l’istinto di rivalsa del Malandrino. Il vassoio descrisse  un basso arco, disseminando il contenuto per la stanza e sparendo con un clangore sotto un armadio.
«Non sono io quello che se la svigna e lascia sempre gli amici nelle grane. Se sono conciato così è anche colpa tua!» latrò.
«Mia?»
«L’ho appena detto. Tu non ci metti mai la faccia, non ti godi gli esiti di quel che facciamo!» lo accusò.
L’altro tacque, la gola improvvisamente secca. Il pasticcino pareva aver perso sapore.
«Che c’è? Fastidiosa, la verità?» sghignazzò, le mani sui fianchi per sottolineare una volta di più quanto gli fosse superiore.
Quella sera però, la sua controparte non aveva intenzione di essere la sua pezza da piedi. Era ora che la smettesse.
«Tu non sai nemmeno cos’è la verità, se non sei tu a decidere cosa è vero e cosa no. Devi sempre essere tu l’ago della bilancia, gli altri non contano niente. Quando ti deciderai a crescere?» replicò, incrociando le braccia.
«Il giorno in cui tu la smetterai di dilatarti» malignò, mimando il suo fisico.
«Non fai ridere».
«Certo, signor figlio del Wizengamot! Tu sei troppo per bene per farti due risate con i tuoi amici davanti a tutta questa bella gente. Perché non gli fai vedere come sei davvero? Un mascalzone impunito» lo stuzzicò.
«Questo è quello che sono! E adesso smettila di dare spettacolo, sei patetico».
Sirius finse di spaventarsi e nascose il volto dietro le mani guantate.
«Oh, aiuto! Il nanerottolo mi minaccia! Aiuto! Che mi farai se non ti accontento? Dirai a tuo padre di mandarmi ad Azkaban, visto che non lo sai fare da te?»
Codaliscia era ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
Attorno, tutti erano immobili e con le orecchie tese. Persino Lumacorno restava a guardare.
«Non ho detto niente che già non si sappia. Sei un incapace» sputò.
Cominciava a sentirsi meglio e poco importava se era l’indole dei Black a parlare. Peter non doveva permettersi di atteggiarsi a pomposo figlio di papà.
«Peter, non ci hai detto delle cose importanti di te» soggiunse James.
«Cosa vorresti dire?»
«Gli amici non dovrebbero avere segreti» osservò Remus.
«Proprio tu parli di segreti!» l’accusò, frenando la lingua appena in tempo. «Non vi rendete conto di cosa sta facendo?»
I volti degli amici erano distanti, come dall’altro lato di un crepaccio.
«Peter, sarà stato anche infantile, ma quel che ha detto è vero. Lo sai» rispose il licantropo.
Condivideva il suo senso di colpa: anche lui era scampato alle punizioni e spesso si era interrogato se ciò dipendesse dalla sua condizione di diverso.
Non credeva alla proprie orecchie: Remus gli stava dando contro. L’unico su cui faceva affidamento per tenere in riga gli altri due, l’aveva abbandonato.
«Ovvio che lo sa, per questo non risponde. Gli si è seccata la lingua» incalzò Sirius, maligno.
E detto ciò, afferrò un bicchiere lì vicino. Finse di gettarne il contenuto in faccia a Peter, ma piegò il polso all’ultimo secondo ed annaffiò la Prefetto di Corvonero. Presa alla sprovvista, la ragazza non reagì subito. Rimase a bocca aperta, le gocce di vino che si rincorrevano tra sui suoi capelli, sul viso e l’abito dentro al quale aveva fantasticato di quella serata.
«Gertie!» esclamò Minus.
«Tu… brutto… brutto…» tossicchiò lei, grondante.
«Guarda che quella brutta ora sei tu! Brutta e incomprensibile, come sempre!»
Quelle parole la colpirono come uno schiaffo.
«Usi tutti quei paroloni assurdi per farti passare per una persona interessante, ma la verità è che sei una noia peggio di queste feste e se non facessi tutte quelle scene, nemmeno ci accorgeremmo che sei qui. Si vede che voi figli del Wizengamot siete tutti quanti fatti allo stesso modo! Maschere su maschere per nascondere quanto siete insignificanti. Per non far vedere da che schifo di mondo siete venuti fuori. E tanti cari saluti a mammina e papino che vi hanno insegnato a fare questo bel giochetto con tutti».
Le labbra di Gertrude tremavano, incapaci di articolare suoni per la troppa rabbia.
«Chiedile scusa!» gli intimò Peter, offeso a morte.
Sirius rise, facendo schioccare le mascelle.
Gli altri invitati si aspettavano una rissa o che Minus chinasse il capo, buono e remissivo come sempre. Invece, Peter drizzò le spalle e fronteggiò l’amico senza mostrare alcuna paura. Per lunghi attimi, l’aria frizzò di tensione. Infine, Peter rassettò il bavero della veste e prese sottobraccio Gertrude, dirigendosi verso Lumacorno.
«Professore? Perdoni se ci accomiatiamo ora, ma riteniamo opportuno chiudere qui la serata. Grazie per la sua ospitalità, è un eccellente anfitrione. Passi delle buone feste» salutò.
La voce del ragazzo era tesa e nervosa, così come la sua espressione.
«Certo, certo, cari. Comprendo. Passate delle buone vacanze anche voi, ci rivedremo alla ripresa delle lezioni» replicò gentilmente, stringendo la mano che l’alunno gli porgeva.
Non altrettanto cortese fu lo sguardo che lanciò a Black, che se ne stava appoggiato al muro osservando distrattamente il proprio riflesso in un bottone.
«Peter, aspetta».
James lo afferrò per un gomito quando già stava lasciando la stanza.
«Io… non avrei voluto che… Peter cerca di capire. È Sirius. Lui… è questo» ma si rendeva conto che la sua giustificazione suonava blanda e forzata.
L’altro si limitò a scambiare con lui una lunga occhiata carica di delusione e frustrazione, prima di scortare fuori la Donachie.
James rimase accanto alla porta, fissando la schiena dell’amico che si allontanava.
Vide la Evans insieme a Remus. Questi fece un cenno impacciato e scivolò oltre l’uscio, lasciandoli soli. Lo sguardo della Prefetto era di rimprovero, come sempre, ma questa volta c’era dell’altro. Una sfumatura insolita, difficile da decifrare.
«Mi dispiace, Lily» mormorò.
«Come hai detto?»
Forse le avevano versato una pozione tossica nel bicchiere: Potter non poteva aver detto quelle parole! Non gliele aveva mai sentite pronunciare in sei anni!
«Ho detto che mi dispiace. Per la scenata di prima con gli altri, per… per come ho sbattuto la coppetta sul tavolo davanti a te per non farmi vedere. Per non avere impedito a Mocc… a Piton, di rivolgerti certe battute. Per non averti potuta accompagnare a questa serata».
«Senti, Potter, credo di avertelo già spiegato un miliardo di volte…»
«Ho visto che ti sei divertita con Remus. Mi fa piacere. È evidente che non meritavo di essere il tuo cavaliere. Mi dispiace» ripeté, atono.
Era la persona più avvilita che lei avesse mai visto. Sapeva che non gli avrebbe mai chiesto di accompagnarla, piuttosto di concedergli quell’opportunità si sarebbe barricata nel bagno vita natural durante, eppure, anche di fronte a quella situazione, lui si ostinava a vedersi come il suo uomo.
«Ti dispiace? Per una volta che ti vedo fare una cosa come si deve? Forse ti occorrerebbero più spesso questo genere di punizioni. Metteresti la testa a posto» lo canzonò, senza alcuna cattiveria. «Te la cavi bene come cameriere, potresti darti alla ristorazione, aprire un locale come si deve. Non ce ne sono di veramente buoni nel mondo magico. “Al Boccino d’Oro” di James Potter. Sarebbe carino» suggerì.
Un vago accenno di sorriso stirò le labbra del Cacciatore. Era la prima volta che Lily scherzava con lui a quel modo.
«E questo servirebbe a… farmi apprezzare un po’ da te?»
Non c’era malizia nella sua voce, solo un sottile filo di speranza.
«Forse. Ma solo se mi assicuri che mi servirà il cameriere che mi ha servito per tutta la serata» sorrise vaga. «Adesso, per favore, togliti quella faccia da derelitto. Mi stai facendo preoccupare sul serio. Anzi, fai una cosa. Lumacorno non se la prenderà per uno in meno» e preso il vassoio, scelse un pasticcino e glielo posò sul palmo.
Per la prima volta da che lo conosceva, il sorriso di James Potter era sincero e gentile. Un bel sorriso.

V - Il migliore di loro di Ely79

Camminava a testa alta, ma il suo sguardo non si staccava dal pavimento. Gertrude lo guidava per i corridoi silenziosi, tenendolo per mano. Dopo aver preso congedo dalla festa erano rimasti muti, ciascuno assorto nei propri pensieri.
«Gertie?» chiamò, quando si rese conto di essere ormai vicino alla scalinata per la torre di Corvonero.
La ragazza si fermò e sospirò.
«Sì, Peter?»
Sapeva che quanto stava per dirle non corrispondeva minimamente a ciò che pensava, tuttavia si sentiva in dovere di fare qualcosa nonostante di mezzo ci fosse quel cagnaccio insopportabile.
«Scusalo. Sa essere un vero idiota anche senza impegnarsi».
Lei s’incupì.
«Scusarlo? E perché dovrei?»
«Perché è un idiota» ribadì, sforzandosi di apparire conciliante. «E non ci si dovrebbe arrabbiare con chi, palesemente, non capisce niente».
«No, Peter. Ha mancato di rispetto non solo a me come Prefetto, ma soprattutto a me come persona. Non m’interessa se non gli sono simpatica, non doveva esternare i suoi pensieri a quel modo, mettendo di mezzo anche le nostre famiglie. Domani lo riferirò al professor Vitious. Vedremo cosa suggerirà, sempre che Lumacorno non sia più celere nel prendere in mano la situazione» avvertì.
Se l’aspettava e non sapeva darle torto.
«Hai ragione. Dopo tutto, la legge non ammette ignoranza. Sia quella scritta, che quella dettata dal vivere quotidiano e civile» disse, allungando la mano per raccogliere una goccia di vino che ruzzolava ancora tra i capelli della ragazza.
Per lunghi istanti, il silenzio strisciò fra di loro dalle pietre del pavimento. Entrambi si sentirono profondamente a disagio.
«Pensavo avresti insistito di più. Che mi avresti pregata di lasciar perdere, perché Black è tuo amico».
«Cosa posso dirti? Se lo merita. Anzi, credo che lui più di James abbia sempre meritato le punizioni che gli sono state comminate. James avrà pure le sue colpe, ma ha l’attenuante di cercare di attirare l’attenzione della Evans. Quando uno è innamorato perso, fa follie. Sirius invece… lui non ha considerazione per nessuno. Crea scompiglio per il gusto di farlo. Non importa se le sue parole o i suoi gesti possono ferire più di un Laceratore. E mi dispiace che stavolta ci sia finita in mezzo tu. Io sono abituato».
Gertrude sistemò un ricciolo appiccicoso di vino dietro l’orecchio, pensierosa.
«Non capirò mai perché hai voluto essere suo amico, Peter. Passi Lupin, che è una persona onesta e a modo. Vada Potter, che è un compagnone e un sentimentale, a modo suo. Ma, Peter, Sirius Black? Uno che parla solo perché ama sentire la sua voce?»
Peter si limitò a far spallucce, sbottonando il colletto della veste.
«Suppongo fosse parte del pacchetto. Tutti o nessuno, prendere o lasciare».
«A volte ho l’impressione che tu finga solamente di essere meno bravo di loro per poter restare nella loro ombra e, di conseguenza, al loro fianco. Eppure sei intelligente, studioso, capace. Non hai mai desiderato non essere parte di questo gruppo? Essere un Grifondoro e basta? O… un Corvonero?» azzardò arrossendo.
Il ragazzo ci pensò su, dondolandosi sui talloni.
«Ultimamente, sì. Vorrei essere qualcun altro» ammise. «Non faccio che domandarmi se qualche risata valga il dover sopportare certe umiliazioni, essere considerato perennemente la macchietta del gruppo. E, di solito, la risposta è che no, non ne vale la pena. Purtroppo loro sanno sempre come farmi cambiare idea a riguardo».
Un sorriso amaro tese le labbra del Malandrino, mentre ripensava a quante volte era stato sul punto di mandare al diavolo i suoi amici. Ogni volta la stessa scena: lui furioso, pronto ad incenerirli con lo sguardo; loro che ridevano. Poi bastava una parola, una mano che gli arruffava i capelli, un’altra che gli batteva sulla spalla ed un barattolo di Tutti i gusti + 1, ed era tutto come prima. O quasi. Ormai quei gesti non gli bastavano più.
«Peter, tu sei migliore di loro. Sei il migliore. Sei l’unico capace di fare una scelta impopolare, senza viverla come una condanna».
Peter la fissò a bocca aperta.
«Sul serio pensi questo di me?»
La ragazza annuì, sottolineando la certezza delle sue parole con un gran sorriso.
«Sei andato contro uno dei tuoi migliori amici e, cosa non da poco, hai spinto Potter e Lupin a prendere una posizione, anche se non era la tua. Li hai obbligati a riflettere su quello che stava succedendo. Diversamente, le cose sarebbero andate avanti alla stessa maniera di sempre. Ma tu li hai scossi, li hai obbligati a guardarsi allo specchio. Quanti sarebbero disposti a fare questo?»
Non ci aveva mai pensato.
«Io non credo che… insomma… Gertie, ero solo arrabbiato. Ero stanco della situazione. Non volevo aggredire nessuno» si giustificò.
«No, Peter. Sei troppo modesto. Tu sei in grado di fare cose che i tuoi amici neppure immaginano. Sei come Gyula: a differenza dei suoi compaesani, che ignoravano il drago quando volava sopra i loro tetti o chiudevano gli occhi quando questi sedeva nella piazza del villaggio, lui ha deciso di andargli incontro ed ascoltare quel che aveva da dire, che si trattasse di un poema o di una condanna. “Sono andato ad incontrarlo. Ho guardato negli occhi la creatura, in quelle sue pupille che danno sulla notte eterna, ed ho udito prorompere dalle sue fauci d’abisso le note della favella”» declamò.
«“Ordunque, genti minute, prestate orecchio allo sciogliersi della mia lingua. Il fato volge qui il suo sguardo ed il suo passo s’approssima. Di qual esito mi farò latore? Sonno d’eterno ghiaccio o infinito ridestarsi di primavere? Io porto meco il dilemma, a voi offrir l’ardua sentenza”» rispose, facendole un ampio inchino.
Gertrude sorrise e lo abbracciò di slancio, schioccandogli un bacio sulla guancia.
«Sei più in gamba di quel che pensi, Peter Minus. Sono certa che tu abbia un grande futuro davanti.  Potresti farla in barba a Black e a Potter e ai loro bei voti e quei due nemmeno se ne accorgerebbero!» gli sussurrò all’orecchio.

***
La moto piombò rombando dal cielo, disegnando un semicerchio nella polvere. Dopo la giornata di lutto, Sirius aveva cercato Remus, perché lo aiutasse a cercare Peter, ma il giovane era scomparso nel nulla. Peter doveva essersi cacciato in un brutto guaio se aveva vuotato il sacco, ma Sirius era sicuro che non fosse andata in quel modo. Aveva bisogno di lui per scoprire com’erano andate veramente le cose, chi poteva aver scoperto tutto, chi dell’Ordine poteva aver tradito. I Minus avevano gli agganci giusti per fare ricerche, Peter di certo sapeva come fare, quali persone contattare, quali pedine muovere. L’avrebbe convinto ad aiutarlo, come sempre. Peter non poteva dirgli di no. Davanti alla casa dei genitori di James – che per anni era stata la base delle loro scorribande estive -, c’era una figura rotondetta, immobile di fronte allo scempio che avveniva all’interno.
«Peter!» gridò Sirius.
L’amico si volse appena. Le risa sguaiate dei Mangiamorte all’interno della casa crearono una tetra cornice al loro incontro.
«Peter, vieni via di lì! Vieni via!» sbraitò, balzando di sella e cominciando a correre verso di lui, bacchetta alla mano.
Lui scosse il capo, rigido.
Un guizzo nella casa illuminò il volto sorridente.
Sirius rimase come petrificato da quell’immagine. Codaliscia gli era parso completamente sconvolto, il dolore doveva averlo accecato.
«Peter, no!»
Un lampo abbagliante.
Un boato assordante.
Sirius non vide più nulla.
La casa, la via, la cittadina scomparvero.
Non vide la smorfia sprezzante di Peter prima che si mutilasse la mano. Non vide il suo sogghigno dolorante sotto le lacrime mentre il dito cadeva a terra, poco lontano dalla soglia della casa. Non vide la sua espressione crudele mentre si trasformava e fuggiva nella notte, lasciandosi alle spalle indizi che inchiodavano Black come unico colpevole delle recenti tragedie.
Sirius non udì più nulla.
Non udì le risa svanire improvvisamente, insieme all’incantesimo che le aveva generate. Non udì il lamento trattenuto a stento dalle labbra dell’amico. Non udì la risata sommessa di Peter suonare come una maledizione. Non udì le fiamme divampare furiose nella casa, coprendo gli squittii di trionfo di un animale in fuga nell’ombra.
Peter era sempre stato più bravo, il migliore: si dileguava senza lasciar tracce. Non ci sarebbe stata alcuna punizione per lui, neppure questa volta.

***

Il sole splendeva, nonostante il freddo. L’erba lungo l’argine del rigagnolo si ostinava a restare di un pallido verde, quasi che la sconfitta del Signore Oscuro l’avesse spinta a lottare contro i rigori dell’imminente inverno il più a lungo possibile. Anche i campi intorno a Ottery St. Catchpole sembravano combattere una personale battaglia contro il grigio di quel novembre.
Il topo allungò il muso appuntito oltre il profilo della scatola.
«Vai, piccolo» lo invitò Gertie con un sorriso.
L’animaletto sembrava non decidersi a superare il muro di cartone che lo divideva dal prato e continuava a volgere la testolina grigia verso di lei. La ragazza si inginocchiò accanto alla scatola e prese in braccio il topo, ripensando alla lettera che aveva ricevuto.

Gertrude, mi rendo conto che da molto tempo non ci frequentiamo e che questa lettere ti giunge inaspettata. Come ben sai, il nostro mondo sta vivendo un momento terribile e ciascuno di noi deve fare la propria parte. Ho dei piani per il mio futuro, ho fatto delle scelte, ma ho bisogno del tuo aiuto. In questa scatola ti ho inviato quanto ho di più prezioso in questo momento. Ti prego di portarlo in un luogo sicuro e lì lasciarlo. Non mi rivolgerei a te, se non fosse una cosa della massima importanza. Sei l’unica persona di cui possa fidarmi in questo momento tanto difficile.
Grazie mille per ciò che farai,
Peter

Aveva appena fatto in tempo ad aprire il pacco che il gufo aveva portato insieme alla lettera, quando sua madre le aveva dato la tragica notizia della morte del Malandrino. Ucciso da Sirius Black, poche ore dopo la morte dei Potter.
«Peter doveva essere molto in ansia. Non mi ha scritto il tuo nome» disse, grattandogli il dorso.
Il roditore inarcò la schiena, beandosi del momento.
«Mi sarebbe piaciuto salutarti come si deve. Dovrò accontentarmi di dirti addio» bisbigliò sollevandolo.
Peter si stava domandando se Gertie avesse intuito qualcosa, se quella falange troncata di netto le avesse rivelato la sua identità. Tutti ormai sapevano che di Peter Minus era rimasto solo un dito, abbandonato fra le macerie della casa Potter. Aveva avuto la strana sensazione che lei sapesse, che l’avesse riconosciuto dietro la pelliccia rassettata con attenzione e i baffi lisciati dopo esser stati increspati dal calore dell’incendio. Lei lo fissava negli occhi, come se volesse attraversarli. Possibile che l’avesse riconosciuto anche in quella forma?
Avrebbe voluto tornare umano e domandarglielo. E chiederle se poteva perdonarlo per quell’inganno necessario alla sua salvezza.
«Sei un bugiardo, Peter» singhiozzò ad un tratto, facendogli drizzare la pelliccia. «Sei un bugiardo».
Sentì che Gertie lo stringeva a sé, con forza ma anche con attenzione.
«Se davvero fossi stata la persona di cui più si fidava, il tuo padrone non mi avrebbe chiesto di abbandonarti a questo modo» pianse cullandolo. «Mi avrebbe chiesto di tenerti con me, al sicuro! Perché non l’ha fatto? Perché mentire? Perché quella scusa?»
Posò appena le labbra fra le orecchie tonde, prima di deporre il topo nell’erba. Questi fece un paio di piccoli balzi avanti, per poi sollevarsi sui posteriori e tornare a guardare la giovane che si asciugava le guance.
Fu sollevato di quella costatazione: Gertrude non aveva capito. Dopo tutto, aveva l’aspetto di un animale da compagnia piuttosto ben tenuto. I topi erano tra gli animali più soggetti agli incidenti. Ed era stato ben attento a non lasciare alcun indizio, eccetto quelli che avrebbero inchiodato Sirius, ripagandolo per tutto il disprezzo che aveva saputo riversargli addosso. Inoltre, era un bene che Gertrude non sospettasse nulla: non l’amava, ma non avrebbe sopportato di metterla a parte di un segreto tanto gravoso. In fondo, era stata una delle poche persone a vedere del buono in lui. Meritava di ricordare un Peter diverso, un Peter eroico.
«Su, coraggio piccolo mangiaformaggio. Per te inizia una nuova vita oggi. Il tuo padrone ti ha ridato la libertà, sfrutta fino in fondo il suo dono. Vivi libero» suggerì singhiozzando, muovendo le mani per invogliarlo ad andarsene.
Lui indugiò un istante, annusando l’aria in cerca dell’ispirazione del caso. Poi sgattaiolò rapido fra i radi ciuffi d’erba, lasciandosi dietro solo una sottile linea serpeggiante ed una ragazza in lacrime per un amore mai nato.

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