C’è un angelo bruno nel mio letto. Lo osservo appoggiata allo stipite della porta. È lì, raggomitolato fra le coperte fingendo di dormire. Conosco il suo gioco, so cosa vuole. Sono sveglia già da una mezz’ora, sul tavolo sono pronte due tazze per la colazione e il latte si sta scaldando insieme al caffè.
Mi avvicino e mi stendo accanto a quel cumulo di lenzuola aggrovigliate. È un terremoto quando dorme, chissà mai da chi avrà preso. Allungo una mano e cerco di scoprire il mio tesoro. Un fondoschiena tondo mi punta irriverente, poggiato sopra due piedi rosei. Sembra di guardare un riccio. Batto leggermente con la mano su quelle rotondità, e il mio angioletto si scuote nervoso.
«Allora, ci vogliamo alzare?» domando, ma la testa fa segno di no. «Andiamo, non vorrai arrivare in ritardo? Cosa dirà la tua maestra?»
Niente, non cede. Okay, passiamo alle maniere forti.
«Devo mangiarmi questo bel culetto?» ridacchio tirando l’elastico delle mutandine a fiorellini.
Si contorce. Ride. Finalmente si gira. Due occhi verdi e furbi mi fissano. Mia figlia è incredibile.
«Io vojo mangiae culetto!» trilla abbracciandomi.
«A chi?» chiedo, facendole il solletico.
Lei scalcia, ride dimenandosi.
«A papà!»
«Papà rientra più tardi, per la pappa» rispondo sistemandole i capelli arruffati.
Mette il broncio, guardando il letto vuoto. Non le piace che Philip stia via. La mattina la aspetta sempre fingendo di dormire, per farla giocare un po’ mentre preparo la colazione.
«Non ci pensare, manca pochino pochino. Su, vieni. Il latte è pronto» dico sollevandola, ma non ho fatto i conti con le sue pretese.
«Nettie! Nettie! Vojo Nettie!» protesta allungandosi di slancio verso il letto, rischiando di farci cadere entrambe.
Recupero alla cieca il drago di peluche dall’intrico di lenzuola. Merito un bacio solo per il gesto atletico e, visto che c’è di mezzo il suo giocattolo preferito, Claire non lesina. Qualcuno ha mai visto un drago rosa con le babbucce di lana e gli orecchini? Io sì, il nostro li ha. Sono un’idea della sua padroncina. L’abbiamo comprato l’inverno scorso a Bunchrew House, sul lago di Lochness. Ho costretto il mio maritino a portarci là per il mio compleanno e quando Claire ha visto questo pupazzo (che voleva essere la riproduzione del famoso mostro) se n’è innamorata come solo una bimba di tre anni può fare: ostinatamente.
Philip ci ha anche portato a vederlo, il caro Nessie. Devo ammettere che è bruttino, tutto pieno di bozzi, calli e spuntoni. Lo immaginavo più aggraziato, un animale che avrebbe dovuto incutere timore e rispetto, più somigliante alla creatura che vedevo nei film che gli hanno dedicato. Invece era molto dimesso, svogliato, un’enorme iguana flaccida. Charlie, uno dei cognati di Hermione, è scoppiato a ridere come un pazzo la volta che gliel’ho raccontato. Temevo che Claire restasse male quando il guardiadraghi che ci accompagnava le ha spiegato che non poteva accarezzare quel bestione grigio-bluastro, che sguazzava nell’acqua melmosa ad una cinquantina di metri da noi. Invece lei ha argutamente osservato che, visto il colore, quello era certamente un maschietto. Le femminucce (come il suo giocattolo) hanno colori da femminucce. E soprattutto a lei non piace giocare con i maschietti.
Mia figlia ha una passione viscerale per i draghi, non so da chi l’abbia ereditata. Io ho sempre preferito gli unicorni. Certo è che tra qualche anno, ad Hogwarts, ci sarà una Cross. Già, mia figlia è una strega. E precoce, anche. È l’orgoglio di suo padre, che si vanta con tutti di come abbia fatto cambiare colore al mio cespuglio di rododendri, facendolo virare dal rosso scarlatto al verde pistacchio, dopo aver preso a prestito la sua bacchetta. Ho dovuto aspettare settimane perché Neville, il nipote di Alfie, lo rimettesse in sesto. Inutile dire che il giovane professore si è meritato la più profonda disapprovazione da parte di mia figlia, che preferiva una pianta tutta sui toni del verde.
«Papà mi potta ii eegalo?» domanda, guardando un biscotto a forma di pony prendere la rincorsa per tuffarsi nella tazza di latte caldo.
Il bordo è alto ed il frollino animato va in pezzi contro la ceramica. Lei ridacchia sadica, dandogli del cavallino-sciocchino.
«Regalo? Quale regalo?» chiedo, raccogliendo le briciole sparse attorno.
«Papà mi ha pomesso» risponde, con l’aria di chi la sa lunga.
Ah, magnifico, ci risiamo. “Papà mi ha promesso” nel novanta percento dei casi non è una bugia e io mi arrabbio con Philip perché non deve farsi perdonare ogni trasferta. Non lo fa per farci un dispetto, è il suo lavoro. E poi, non sono così frequenti le volte in cui si assenta per più di una giornata. In tre anni sarà capitato una decina di volte. Però lei ha capito l’antifona, e gli estorce doni con facilità disarmante. Ed ha solo tre anni. Cosa farò quando ne avrà sei?
Tengo d’occhio l’orologio mentre finiamo di mangiare e cominciamo a vestirci. Questi momenti sono sempre tragicomici a casa nostra. Per una cosa che trovi ne perdi altre dieci. Se provo a infilare la testa della piccola nella sua maglietta, dentro ci trovo il cuscino e lei se ne sta a giocare sul divano. Se prendo le chiavi di casa, il portatile rimane sul tavolo. Se riusciamo a raggiungere le scale, appena in fondo Agnes mi fa notare che ho ancora le ciabatte ai piedi. Con Philip è diverso, possiamo prendercela comoda, ma questa mattina dobbiamo aspettare il passaggio del Nottetempo.
Appena fuori del portoncino salutiamo i signori Higgins. Sam è sempre indaffarato con i suoi lavori di manutenzione e Agnes lo osserva, seduta nella veranda. È invecchiata in questi anni, ma la sua gentilezza è immutata. Claire ha deciso che la voleva come nonna supplementare.
In fondo al vialetto c’è una figura immobile che ci aspetta. Indossa un abito tempestato di narcisi di un bel giallo brillante. La mia bimba comincia a salutarla e le correndo incontro, liberandosi dalla mia mano. Se non ci fosse la siepe lungo il giardino non la lascerei andare con tanta tranquillità.
«Maetta! Maetta! Maetta!» grida lei abbracciandola.
«Buon giorno, Claire! Ma che bei codini hai questa mattina! Buon giorno, Jillian» sorride lei.
«Buon giorno, Lavanda. Scusa il ritardo, mi stavo dimenticando un paio di cose come al solito»
Lavanda Brown abita al piano terra, accanto ai proprietari dello stabile, ed è la maestra d’asilo di mia figlia. È una persona deliziosa, allegra, solare. Peccato che il mio capo non fosse dello stesso avviso tre anni fa, quando il Ministero decise di aiutare le madri che lavoravano negli uffici, creando un asilo all’interno della struttura. Furono assunte tre insegnanti e una di queste era Lavanda. Scoprii dopo un interrogatorio pressante che ce l’aveva con lei perché per qualche tempo era stata la ragazza di Ron. Mi veniva da ridere. Hermione era ancora gelosa, dopo tutti quegli anni! Aveva persino pensato di non iscrivere Rose e Hugo nelle nuove classi e di lasciarli con i nonni per non correre rischi. Credo temesse pessime influenze da parte della ex-compagna di scuola. Passati pochi mesi però, ha appurato che la sua vita familiare non correva alcun pericolo. Le altre madri erano entusiaste: i bambini volevano bene alle loro maestre, ma non sembravano essere soggetti ad alcun tipo di influenza negativa o di Imperius. Fuori della scuola, c’era solo la loro mamma. Fu una rassicurazione sufficiente. E per Ron valeva la stessa cosa: dentro al Ministero pensava al lavoro, fuori alla famiglia. Giuro che certe paranoie, da parte di Hermione, proprio non me le aspettavo. Però è una Natababbana. Qualcosa di noi comuni mortali doveva pur mantenerla, no?
«Bene, siamo pronte?»
«Tì!» esclama mia figlia.
Non appena la strega allunga la bacchetta sulla strada, il Nottetempo si materializza con un fragore assordante. La porta cigola aprendosi. Un ragazzotto basso e tarchiato ci sorride mentre paghiamo i biglietti. È Newton Jersey, detto New. Al volante c’è suo fratello Aaron, che guida il bus magico già da qualche anno.
Facciamo appena in tempo a sederci che ci troviamo proiettate nel traffico della periferia.
«Dovremo fare il giro un po’ largo, dai Docks» annuncia Mick, che riesce a restare in piedi nonostante le brusche sterzate. «C’è uno che c’ha fretta» e indica in fondo al mezzo un mago di mezza età piuttosto nervoso.
«Nessun problema» rispondo scivolando sulla seduta di legno.
Claire s’ginocchia accanto a me, il faccino spalmato sul vetro. Adora guardare fuori dal Nottetempo.
«Mamma, voliamo come Ateju con Faccol!» e comincia a soffiare, imitando il rumore del vento e allargando le braccia.
Faccio appena in tempo ad afferrarla, prima che rotoli via in una curva a gomito. L’abbiamo concepita durante l’ennesima visione de “La Storia Infinita”, augurandoci che fosse di buon auspicio per il suo futuro, e né io né suo padre, abbiamo saputo esimerci dal farle vedere quel film. Doveva sapere quanto amore e quanta magia c’erano dietro la sua nascita. Lo ha imparato a memoria.
«Oh, non so. Forse il Nottetempo è più veloce di Falcor» la punzecchio.
Preferisco chiamare alcuni personaggi con i nomi della pellicola. La versione originale mi lascia sempre un po’ perplessa. Fùcur, il vero nome del Fortunadrago, sembra un incantesimo venuto male o un medicinale. E non oso pensare a come lo storpierebbe una bimba di tre anni. Temo per i miei rododendri una fine ben peggiore della tinta pistacchio.
«No! Faccol è ddago! I ddaghi tono velocissimi!» obbietta risentita.
«Cosa? Un drago più veloce di noi? Stai scherzando!» interviene Mick, fingendosi arrabbiato. «Noi siamo stravelocissimi, più di qualunque bestiaccia squamosa!»
«Faccol è ddago, no bettiaccia! E tu tei lumaca!» strilla inviperita.
Mai offendere uno di quei lucertoloni davanti a mia figlia, potrebbe scatenarsi la Terza Guerra Mondiale.
Per chi non lo avesse notato, Claire omette la esse a piacimento, specialmente quando è arrabbiata. E pensare che ho impiegato mesi per fargliela articolare a dovere. La erre invece, proprio non la vuol pronunciare. Philip crede sia allergica a quella consonante.
«Drago o quel che è… noi siamo più veloci, vero Aaron?»
«Fficuhoo!» ciancica il fratello.
Ho preso poche volte il Nottetempo, ma quel ragazzo non l’ho mai visto con la bocca immobile. È sempre impegnato a masticare qualcosa. Panini, bacchette di liquirizia, zenzerotti, fish & chips, cioccorane, pizza, una volta persino un piatto di spaghetti! Mangia in continuazione. Avrà il verme solitario. Oppure ha praticato un Estensivo Irriconoscibile allo stomaco.
«Un giorno o l’altro devi raccontare questa storia ai tuoi compagni, Claire» s’intromette Lavanda, sistemandole un codino. «Col drago e…»
«Fottunaddago, si dice!» la corregge, agitando il ditino con fare saccente.
«Giusto, Fortunadrago, e… come si chiamano i due bambini? Atreiu e Bastian, giusto? Credo proprio non la conoscano. Tu invece conosci tantissime belle storie. Molte più di quante ne conosco io»
«Mamma acconta tempe le sttoje!» sorride, dimenticandosi del battibecco con il controllore.
Ogni sera, per farla addormentare, le leggo le favole di quando ero bambina. Biancaneve, Cenerentola, Cappuccetto Rosso, Il pesciolino d’oro, Il gatto con gli stivali,… Oppure io e Philip le inventiamo al momento. Spesso chiude gli occhi quando non siamo nemmeno a metà del racconto, ma tiene a mente ogni dettaglio e la sera successiva dobbiamo proseguire da dove avevamo interrotto, senza sbagliare. È molto attenta. Philip sostiene che non sarà una Tassorosso come lui, ma una Corvonero. Quella che, sempre secondo la mia dolce metà, sarei stata io se fossi nata strega.
Guardo Lavanda sistemare i capelli biondi. È davvero bella e spesso mi domando come sia possibile che ancora non abbia trovato un fidanzato. Eppure, più d’una volta, ho visto uomini guardarla con interesse. Maghi e non. Non credo a quella malalingua gelosa di Hermione, che insiste nel dire che l’unico che abbia mai amato sia Ron e che quindi stia a macerarsi nel suo ricordo. Al di là del fatto che se Ron sapesse di questa supposizione, con ogni probabilità morirebbe d’imbarazzo, non è tipo da vantarsene. Tornerebbe a lavorare con George per non dare adito a questo genere di congetture. Ogni tanto le vedo uno sguardo triste negli occhi, come se qualcosa in lei fosse malato. Accadeva con maggior frequenza nel periodo appena successivo al suo trasloco sotto di noi, col passare degli anni le capita più raramente. Ha gli occhi di Elizabeth Taylor: un blu così intenso e vibrante che sembrano dello stesso colore del fiore di cui porta il nome. Non dovrei, ma glieli invidio. Emanano magia.
«Ci siamo, donne!» esclama New, piroettando attorno ad un sostegno.
Scivoliamo in avanti sul sedile mentre fuori dai finestrini appare la sagoma del Ministero.
«New, non dovevamo passare dai Docks?» chiedo.
Non ricordo la fermata. Lui impallidisce lanciando uno sguardo in fondo al bus e tira un pugno in testa al fratello.
«Cervello di Billywig! Che strada hai fatto?!? Dovevi girare per Butcher Row!»
«Non l’ho fiffa… faffo afeenfo queffi...» e mostra un sacchetto vuoto e sconsolato di Scarafaggi a grappolo.
Scendiamo di soppiatto, lasciano i fratelli Jersey alle loro diatribe sul rapporto tra cibo e lavoro. Lavanda ci dà appuntamento nell’atrio e, in uno svolazzo di giunchiglie, svanisce tra la folla di turisti e impiegati. Noi entriamo nella cabina telefonica, verniciata di fresco. Claire infila il gettone e poi lascia che le guidi la mano a comporre il numero. La solita voce ci accoglie, domandando nome, ufficio e ruolo.
«Jillian Taylor, Ufficio Rapporti con le Creature Magiche, Responsabile. E figlia»
«Cle-e-el!» scandisce alla cornetta, dispiacendosi come sempre che la voce non la saluti.
Nella hall c’è un discreto via vai di dipendenti, a cui si mescola il vociare di alcuni bambini. Lavanda ne sta salutando alcuni che le tirano la gonna in cerca d’attenzione. Alcune mamme stanno avvisando la signorina Brown delle necessità dei figli per quella giornata. Hermione, in disparte, sembra impaziente di muoversi. Rido. Sa come la penso riguardo le sue ridicole piazzate.
Claire raggiunge Erin e Suzanne, due coetanee con cui gioca spesso. Ognuna porta in braccio il suo pupazzo prediletto. La prima ha una fenice ormai senza coda, la seconda un rospo che tiene a testa in giù. Poche hanno delle bambole come le avevo io. Mi chino a sistemare un’altra volta i codini della mia piccolina.
«Fai la brava, Claire. Io e papà veniamo a prenderti più tardi per la pappa, okay?»
«O-cche-ii» e, con la lingua fra i denti per l’impegno, chiude indice e pollice a cerchio.
È un gesto che sta copiano da Rose e Hugo, che a loro volta lo hanno ripreso dal padre.
«Un bacio portafortuna dalla mia Fortunadraghetta?» chiedo.
«Vai lontano anche tu? Anche la mia mamma» dice una voce seria vicino a noi.
È Rose, la figlia maggiore di Hermione. Ha cinque anni ed è la copia in piccolo della madre. Non fosse per quegli occhi azzurri, tipici della famiglia Weasley, rischierei di pensare che il mio superiore abbia bevuto una dose esagerata di Pozione Ringiovanente. Non che ne abbia bisogno, ma il risultato sarebbe pressappoco quello.
«Sì. Dobbiamo andare a nord, dove fa più freschino» sorrido.
«Tanto lontano? Come papà?»
La voce di Claire ha un brivido di paura. Nonostante sia in compagnia dei suoi amichetti e della sua maestra, vuole saperci vicini. Si agita appena sente parlare di spostamenti a cui non prende parte, costringendomi a tacere sulle nostre uscite di servizio, anche su quelle a Londra. Tutto per colpa di James Sirius Potter, che l’ha spaventata a morte. Un giorno le ha detto che quando i genitori tardano ad andare a prendere i figli, è perché stanno pensando di lasciarli per sempre all’asilo, che non li vogliono più. Risultato: Harry ha rischiato che gli facessi un occhio nero appena mi è capitato a tiro, e Claire ha dormito una settimana nel lettone. Io e Philip abbiamo dovuto persino anticipare l’uscita dal lavoro di dieci minuti per andare a prenderla in perfetto orario e dimostrarle che quelle di James erano solo bugie.
Le annodo il nastrino punteggiato di ciliegie attorno ai capelli.
«Sì, amore, ma non ti preoccupare. Te l’ho detto, torniamo per mangiare tutti insieme. E col tuo bacio non posso non riuscirci! Il tuo è un bacio magico! Lo sai, vero fatina?» la rassicuro
«Steghetta!» ribadisce baciandomi sulla fronte.
«Oh, sì, streghetta, giusto! Mi confondo sempre!» rido ricambiando.
La osservo mescolarsi al codazzo di frugoletti. Cammina impettita imitando Lavanda. È così buffa.
Hermione mi richiama all’ordine.
«Jill? È ora di andare»
Non prendiamo l’ascensore, ci dirigiamo ai camini. Ho le ginocchia molli e il respiro corto. Odio dover passare in quegli affari almeno quanto odio le Smaterializzazioni. Purtroppo non c’è altro mezzo per raggiungere Hogsmeade. O così o l’Espresso. Preferirei di gran lunga la seconda opzione, che però ci costringerebbe ad almeno tre giorni di assenza. Improponibile per due madri.
Nessuna di noi due indossa abiti da ufficio, li abbiamo nelle borse per cambiarci più tardi. Ci attende una lunga scampagnata e ieri ha piovuto lassù. Abbiamo indossato scarponi da montagna e pantaloni comodi. Si prospetta un incontro molto lungo.
Ci fermiamo davanti ad un caminetto. Mi porge una catena d’oro spessa due dita decorata con un ciondolo enorme e pacchiano tempestato di pietruzze colorate.
«Mi hai preso per una rapper?» le domando storcendo il naso.
«Dai, smettila» sghignazza infilandomela al collo.
«Il Magipass dell’altra volta era meno vistoso» mugugno, nascondendo il vistoso pendente nella maglia.
Grazie a quell’affare non sarò soggetta agli incantesimi che permeano la zona. In caso contrario non potrei metterci piede nemmeno se volessi. È un mezzo resosi necessario dopo l’assunzione di noi Babbani negli uffici del Ministero. Sarebbe impossibile penetrare negli ambiti protetti per effettuare i sopralluoghi, dato che gli incantesimi sono talmente numerosi e complessi che difficilmente si troverebbe qualcuno capace di creare un varco.
«Accontentati. Non sei la sola a cui serve e ce ne sono pochi. Sei pronta?» fa lei, indicando il focolare.
Ha la mano piena di Metropolvere, che scintilla smeraldina. Scuoto la testa, impallidendo.
«No, per niente» sospiro aggiustando la borsa sulla spalla.
«Bene. Tutto nella norma allora!»
Getta la polvere e un muro di fiamme verdi si leva in aria. Mi prende per mano e saltiamo dentro. Non la sento pronunciare la destinazione, sto trattenendo il respiro. Detesto passare nel Flusso di Scorrimento, è persino più insopportabile del Canale di Migrazione. Nel secondo ti senti schiacciare, nell’altro oltre alla compressione vieni tirato e sballottato come in un frullatore. Non so quanto tempo occorra per andare da un capo all’altro dell’Inghilterra. So solo che mi sembra infinito.
Quando riapro gli occhi, trovo un volto di bambino davanti a me. Capelli rossi, occhi azzurri e carnagione olivastra, privo di lentiggini.
«Salve, Fred» saluto, cercando di sorridere.
È uno dei nipoti di Ron, il figlio di George, quello del negozio di scherzi.
«Che straccio… vuoi?» e mi allunga una Cioccorana bianca.
Prendo un bel respiro e annuisco. Sono ancora bocconi sul pavimento, forse dovrei rimettermi in piedi. Due mani mi sostengono.
«Beh? Come ti senti?» chiede Hermione appena riapparsa con del the caldo.
«Come un frappé, ma posso sopravvivere»
Fino a qualche anno fa, un trasferimento del genere mi avrebbe quasi uccisa. La mia claustrofobia mi avrebbe colpita in maniera atroce. Invece, qualche mese dopo il concepimento di Clarie, mi sono accorta di risentire sempre un po’ meno dei miei attacchi. Philip mi ha portata al San Mungo, dove un guaritore ha decretato si trattasse di una sorta di trasferimento. La magia che pareva essere presente nel feto aveva agito in qualche modo su di me. Mi piace pensare che questo sia stato il suo primo incantesimo, anche se ciò non fa di me una strega o una maganò.
«Fred, si può sapere dov’è tuo padre? Doveva aspettarci qui» chiede versando il the.
Il ragazzino si dondola sui talloni, l’aria furba.
«Oh, si sta facendo perdonare dalla mamma. Si nella cameretta di là. Se ascolti bene li senti»
Quasi mi scappa di mano la tazza. Ha otto anni, non dovrebbe intuire cosa facciano i genitori di nascosto! Lo scruto da dietro la ceramica. No, certamente intende altro, che stanno discutendo, litigando… ma ha una faccia da “hai capito benissimo di cosa parlo” allarmante.
«Cos’ha combinato questa volta?» devia Hermione, rapidissima.
«Nieeeeeente»
Lei gli tira un’occhiataccia delle sue. Terribile e inquisitrice.
«Fred, sai che se racconti frottole puoi solo cacciarti nei guai…» lo redarguisce.
«Ma zia…»
«Niente ma. Cos’avete combinato, tu e tuo padre?»
«Perché noi due soli? E Roxanne?» protesta vivacemente.
«Tua sorella è da zio Bill per il compleanno di Dominique, ergo, non po’ aver preso parte ai vostri esperimenti. A proposito, hai fatto gli auguri a tua cugina?»
Logica inoppugnabile. Il piccolo Weasley deve cedere le armi e ammettere la verità. Angelina è incappata nelle Pazziglie, stoviglie incantate che non possono essere riempite perché il cibo le attraversa o si tramutano in “simpatici” animaletti quando vengono toccate. Di solito l’allenatrice in seconda delle Holyhead Harpies sa stare al gioco e si diverte, ma dopo una giornata no era meglio accoglierla con un mazzo di Rose Scintilline. Il povero George è stato costretto a dormire sul divano, insieme al figlio, esiliato dalla sua camera.