Nuovi giovani eroi (ad Hogwarts con la Next Gen) di Miss Granger
Con I Doni della Morte la saga è terminata... il mondo di Hogwarts, però, continua ad esistere.
Per questo ho desiderato ripartire dall'Epilogo per raccontarvi ciò che potrebbe accadere dopo... perchè, d'altronde, ciò che JKR ci ha lasciato non è una fine, bensì un nuovo inizio, nuovi personaggi e, sicuramente, nuove avventure: dopo ogni guerra, la vita continua.
Perciò, a tutti quelli che sono dispiaciuti dopo la fine della saga, e vorrebbero continuare a leggere del mondo di Hogwarts, vorrei regalare questa longfic senza pretese, per raccontarvi, dal mio punto di vista, le avventure hogwartsiane di Al, James, Rose, Scorpius, Teddy, Victoire e tutti gli altri ragazzi della Next - Gen!

Categoria: Post-DH Personaggi: Albus Severus Potter, Hugo Weasley, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Teddy Lupin, [+] Next-Gen, [+] Tutti
Era: Diciannove anni dopo (2017-)
Generi: Generale
Lunghezza: A Capitoli
Pairing: Altro, Arthur/Molly, Ginny/Harry, Hermione/Ron, Teddy/Victoire
Avvertimenti: Informazioni JKR, OC (Personaggio Originale)
Sfide: Nessuno
Series: Nessuno
Capitoli: 13 Completa: No Parole: 81643 Read: 109629 Pubblicata: 11/10/07 Aggiornata: 02/06/10
Note alla storia:
Come ho accennato, quello che ci è rimasto dall'Epilogo dell'ultimo libro, è lo squarcio di un nuovo inizio, di vite che continuano... ho adorato l'Epilogo, e l'idea di riprenderlo e svilupparlo è stata quasi immediata. E così eccomi qui, a presentarvi una longfic sulla Next Gen. Mi sono permessa di "inventare", almeno in parte, la nuova Hogwarts; se potrà farvi piacere, potrò scrivere alcune schede riassuntive sul forum... non dovrete fare altro che chiedere ^^
Per alcune cose (professori soprattutto, nuovi rampolli Weasley) mi sono tenuta fedele a ciò che ci è detto da JKR; per altre no; ho inserito infatti, alcuni personaggi originali (come presente negli Avvertimenti). Non mancherò di segnalarle quando le incontreremo ^^
Come protagonista, ho scelto il piccolo Al; ma intendo trattare anche dei nostri "vecchi" eroi: il Trio, gli Weasley, l'ormai adulto Teddy.
Spero questa long fic vi piaccia, e soprattutto, che non vi annoi troppo ^^

A VERYHERMY, amica speciale come pochi, per provare a rallegrarla quando si sentirà giù perchè la saga è terminata... con tutto il mio affetto.

Traduco: PUREBLOOD = Purosangue
HALFBLOOD = Mezzosangue
MUDBLOOD = Sanguesporco
MUGGLE - BORN = Nato Babbano

1. Prologo - Casa, dolce Casa...? di Miss Granger

2. Capitolo 1 - Primo giorno a Hogwarts di Miss Granger

3. Capitolo 2 - Arti Oscure e fratelli orgogliosi di Miss Granger

4. Capitolo 3 - Lettere di Miss Granger

5. Capitolo 4 - La Mappa di Miss Granger

6. Capitolo 5 - Ritorno a Grimmauld Place di Miss Granger

7. Capitolo 6 - Discussioni alla Tana di Miss Granger

8. Capitolo 7 - Idee confuse di Miss Granger

9. Capitolo 8 - Incontri di Miss Granger

10. Capitolo 9 - I Doni della Morte di Miss Granger

11. Capitolo 10 - Caro Teddy, ti scrivo... di Miss Granger

12. Capitolo 11 - Malandrini... si diventa di Miss Granger

13. Capitolo 12 - organizzazioni segrete di Miss Granger

Prologo - Casa, dolce Casa...? di Miss Granger
Note dell'autore:
Ho voluto iniziare non esattamente da dove si conclude l'Epilogo, bensì poco dopo; la sera dell'arrivo ad Hogwarts, a Smistamento avvenuto.
E allora, cerchiamo di immedesimarci in Al ed entriamo con lui (ed il suo pesante baule!) nella Sala Comune...
Prologo – Casa, dolce Casa...?

Hogwarts, 1 settembre 2017

Il baule era veramente pesante. Un ragazzino esile e di media statura lo trascinava con fatica per le scale che dalla Sala Comune portavano ai dormitori, sbuffando sottovoce, e chiedendosi cosa ci fosse dentro di così pesante.
Avrebbe voluto essere in grado di usare la magia per aiutarsi, ma purtroppo non conosceva ancora l’incantesimo che avrebbe potuto facilitargli il compito. In realtà, erano ben pochi gli incantesimi che conosceva, e solo perché li aveva sentiti dalle labbra dei suoi genitori.
Ma aveva molta voglia di imparare, e sapeva che la sua curiosità lo avrebbe aiutato; non vedeva l’ora che fosse il giorno dopo, per iniziare le lezioni e imparare qualcosa di nuovo. Suo fratello gli aveva parlato molto di Hogwarts, e aveva alimentato la sua impazienza di conoscere la scuola.
Suo fratello... al pensiero il ragazzino desiderò di averlo accanto, lì in Sala Comune, anche se di certo lo avrebbe deriso come sempre, e punzecchiato. E invece suo fratello era dall’altra parte del castello, in quel momento, probabilmente già sotto le coperte, al caldo, mentre lui era lì che cercava di trascinare il suo baule.
Dietro di sé sentiva le voci dei suoi compagni di Casa; si volse a guardarli, ancora riuniti in Sala Comune, e sorrise di un sorriso lieve ma sincero; sapeva di avere fatto una scelta importante, forse una delle più importanti della sua vita. E si sentiva pienamente soddisfatto, sebbene quel po’ di paura di aver sbagliato ancora lo attanagliava.
Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro; il ragazzo si scostò dalla fronte un ciuffo di capelli neri e, sbuffando, tirò con più forza il suo baule, desideroso di andare a dormire.
La mattina dopo, a colazione, avrebbe rivisto suo fratello e tutti i suoi cugini che già frequentavano Hogwarts; un po’ l’idea di essere in una Casa diversa da quelli di tutti quanti loro lo spaventava, lo faceva sentire fuori posto, isolato, diverso; ma in fondo era orgoglioso della propria scelta, anche se la solitudine sembrava già tendergli la mano, almeno per i primi tempi.
“Mi farò degli amici qui nella mia Casa”, si disse “Ne sono certo. E saranno bravi ragazzi! E mio fratello me li invidierà, e si complimenterà! E dovrà chiudere la bocca, per una volta nella vita!”
Ecco, era arrivato al dormitorio. Sorridendo soddisfatto, spalancò la porta con un colpo del piede, mentre ancora rileggeva la scritta sopra la porta, “I anno”, per accertarsi di essere nel posto giusto.
C’era: appena entrò, riconobbe due ragazzi che sapeva essere stati smistati assieme a lui solo un paio di ore prima; mentre avanzava trascinando il suo baule con evidente sforzo, sorrise loro.
“Ce la fai?” chiese uno dei due osservandolo. “Posso aiutarti?”
“Dovrei farcela, ma...” il ragazzino osservò il compagno avvicinarsi per dargli una mano. “Ma grazie mille! Non so proprio cosa ci abbia cacciato dentro mia madre.”
“Io ho proibito alla mia di prepararmi il baule!” ribatté l’altro con decisione mentre spingeva il bagaglio verso l’unico letto rimasto libero. “Altrimenti ci avrebbe messo dentro chissà cosa... a proposito, mi sa che tu devi stare qui, non c’è altro posto... ti va bene?”
Il ragazzino si strinse nelle spalle con un timido sorriso che gli aleggiava sulle labbra: “Ma certo.”
Detto questo, osservò meglio il letto che gli era stato assegnato dalla Sorte: era nell’angolo accanto alla finestra, e faceva angolo con la parete. La posizione gli piacque subito: da lì, stando sdraiato comodamente, avrebbe potuto guardare fuori prima di addormentarsi, ed inoltre godeva di una ottima visuale del resto della stanza; senza spostarsi avrebbe potuto vedere bene in faccia tutti i suoi compagni di dormitorio.
Accidenti se gli andava bene! Se anche non fosse arrivato per ultimo a causa del baule, avrebbe scelto quel letto ad occhi chiusi!
Il suo sguardo passò poi alla calda trapunta del letto, quindi alle tende del baldacchino: sì, quel letto gli piaceva decisamente, ed era di certo un perfetto sostituto di quello in cui aveva dormito per undici anni a casa propria; sentì che si sarebbe abituato in fretta a quella comodità, e si lasciò cadere sul letto fino a sprofondare, abbandonando il baule ai propri piedi.
Era stanco. Aveva sonno, avrebbe potuto dormire per un giorno intero, eppure sapeva che aveva ancora parecchie cose da fare prima di addormentarsi... come aprire il baule e tirarne fuori almeno lo stretto indispensabile per quella sera e la mattina dopo.
Si sollevò a sedere puntellandosi con le mani all’indietro, ed osservò i suoi quattro compagni di dormitorio: stavano chiacchierando tra loro, ma di tanto in tanto gli lanciavano delle occhiate curiose, come se fossero desiderosi di sapere qualcosa di lui.
Non aveva fatto alcuna nuova conoscenza durante il viaggio, poiché aveva condiviso lo scompartimento con suo fratello ed i suoi cugini, parlando quasi esclusivamente delle quattro Case di Hogwarts, argomento che gli stava a cuore da sempre; ed ora che, per sua stessa scelta, si ritrovava smistato in una Casa dove nessuno dei suoi familiari era mai stato, si accorgeva davvero di quanto fosse solo... e di quanto avrebbe desiderato avere accanto i suoi cugini.
Chissà come avrebbero reagito i suoi genitori alla notizia; aveva già mandato loro il proprio gufo, e sperava trepidante che la risposta sarebbe arrivata il prima possibile. Da una parte voleva dare l’idea di essere fiero di quel che aveva fatto, ed orgoglioso di associare il proprio cognome alla sua Casa; dall’altra, moriva di terrore all’idea che i suoi potessero non essere soddisfatti.
Cercando di scacciare i pensieri tetri, il ragazzino inclinò la testa su una spalla, come faceva fin da piccolo, e restò in silenzio a guardare i suoi compagni, altrettanto incuriosito, un lieve sorriso sulle labbra, il solito ciuffo scomposto di capelli neri sulla fronte, e giù fin quasi sugli occhi.
“E tu come ti chiami?” chiese uno dei suoi compagni, voltandosi verso di lui. “Non me lo ricordo più. Hai un nome un po’ strano, non è vero?”
“Io sono Al,” rispose però semplicemente lui, glissando sull’osservazione; non aveva nessuna intenzione di sbandierare al mondo lo strano nome impostogli dai suoi genitori. “E voi?”
Colui il quale gli aveva parlato sorrise; ripeté pensieroso “Al,” sussurrando. “Io mi chiamo Michael Sheridan, ma mi hanno sempre chiamato tutti Mike,” continuò poco dopo.
“Io sono Will Carrell,” aggiunse il ragazzino biondo che l’aveva aiutato con il baule.
“Sam Freeman, molto piacere!” squittì un terzo. “Ma ti piace davvero così poco il tuo nome?”
Al scosse la testa quasi infastidito: “A casa mi chiamano tutti Al; sono abituato a sentirmi chiamare con il diminutivo, per fortuna. Ho un nome troppo... importante,” ed abbassò la voce nel dirlo.
“Il nome del più grande preside di Hogwarts... o almeno, di colui che tale viene considerato.”
A parlare era stato il ragazzino nel letto accanto a quello di Al; aveva una voce bassa, sottile, e stava disfando un baule gigantesco.
Al lo osservò, trovando la forza di dire soltanto: “Sì, è vero,” poi tacque e rimase con gli occhi ben puntati sull’altro ragazzino. Era pallido e biondo, e sotto l’alta fronte candida brillavano due occhi chiari un po’ troppo grandi, che gli davano un’aria buffa.
“Un momento!” esclamò Al alzando una mano. “Aspetta... io so chi sei. Ti ho visto al binario 9 e ¾!” aggrottò la fronte cercando di ricordare.“Mio padre ha salutato il tuo...”
“Sì lo so,” rispose lentamente l’altro. “Mio padre e il tuo si conoscono. Sono stati a scuola insieme.”
Al annuì a sua volta, ma non rispose nulla; fu l’altro a continuare: “D’altronde, tutti sappiamo chi sei... sei famoso, anche solo per essere figlio di chi sei. Ma credevo.... cioè... non mi aspettavo, ecco... ” il ragazzino prese fiato profondamente. “Non avrei mai immaginato di averti compagno di Casa. Credevo che tuo padre lo avrebbe considerato un...” cercò la parola. “Un disonore.”
“Anche io,” rispose solamente Al in un soffio. Il suo compagno aveva parlato senza cattiveria, né sarcasmo; solo, con sincera sorpresa, senza alcun doppio fine nel tono. Eppure Al sentì lo stesso di essere diventato rosso, e per questo cercò di nascondere il viso. Da una parte andava orgoglioso della sua scelta, dall’altra, invece, continuava a sentirsi in colpa ed a temere quel che avrebbero detto i suoi cugini... e le derisioni di suo fratello, ovviamente. E la sua delusione.
Già, subito dopo lo Smistamento, suo fratello aveva fatto una faccia che non lasciava alcun dubbio: tutta una serie di emozioni gli si erano dipinte sul viso, che partivano con il divertimento, passando per la confusione, l’incredulità, il senso di trionfo ed il sarcasmo, fino a giungere alla delusione e quasi all’amarezza. Era ovvio che lo avrebbe voluto con sé a Grifonodoro, nonostante tutte le sue canzonature. E Al si era sentito un verme per la scelta che aveva fatto.
Per tutta la durata della cena, poi, suo fratello aveva finto di non vederlo, con la scusa che i tavoli delle loro rispettive Case erano lontani uno dall’altro; aveva chiacchierato tutto il tempo con i due loro cugini suoi compagni di casa, Freddy e Bessie, senza degnarlo di uno sguardo. E questa ad Al aveva fatto male... per fortuna che Rosie, dal tavolo di Corvonero, aveva cercato spesso di incrociare il suo sguardo, ed ogni volta aveva alzato le braccia stringendo le mani in segno di vittoria. Per lei, come per Al, lo Smistamento era stato una vittoria. Nessuno dei due era stato assegnato alla Casa di tutti e quattro i loro genitori, Grifondoro, ed entrambi ne erano contenti.
Ora, però, sentendo l’osservazione del suo compagno, Al si sentì in imbarazzo e quasi in colpa; se fosse stato assegnato a Grifondoro, la Casa di sua madre e suo padre, e di tutti i suoi zii materni, forse sarebbe stato in pace con sé stesso. Avrebbe rispettato le tradizioni di famiglia, e sarebbe stato sicuro di essere nel posto giusto; invece ora, consapevole di aver ascoltato la propria voglia di andare contro le regole, scritte o meno che fossero, e di distinguersi per quello che era, temeva di aver fatto la scelta sbagliata... lui, esile ragazzino di undici anni timido e schivo, come avrebbe mai potuto comprendere da solo che cosa fosse meglio per sé stesso? Forse aveva ragione suo fratello a dire che ad uscire dalla retta via si rischia sempre grosso...
“Avresti voluto andare a Grifondoro da tuo fratello?” chiese ancora il pallido ragazzo biondo.
“No!” rispose però prontamente Al, alzando gli occhi in un improvviso moto di orgoglio. “Sono stato io a scegliere dove essere smistato... sono stato io a voler venire qui.”
L’altro tacque; rimase ad osservare Al, mentre i loro occhi si incontravano, e nessuno parlava.
“Quindi quel ragazzo più grande di noi e coi capelli neri che ha fatto quella faccia orribile quando sei stato smistato è tuo fratello?” a spezzare il silenzio fu Mike.
Al annuì: “Mio fratello maggiore. Voleva che andassi a Grifondoro con lui, e con Freddy e Bessie, due dei nostri cugini.”
“A Grifondoro?! Puah!” esclamò Sam stringendosi nelle spalle. “E mi pare strano che tuo fratello sia a Grifondoro, e tu qui con noi...”
“Due mie cugine sono a Corvonero,” sorrise Al, ma pareva parlasse da solo. “E una a Tassorosso; e pensare che nonno Arthur avrebbe volutotutti quanti noi nipoti a Grifondoro,” Al scosse la testa nera e arruffata. “Mi dispiace che sia stato deluso... ma sono convinto che è stato meglio così... e cioè che siamo stati divisi in tutte e quattro le Case. Così la nostra famiglia non sarà un clan di puri Grifondoro.”
“Quindi vieni da una famiglia di soli Grifondoro?” domandò Will, ma senza astio.
“Esattamente. Con l’unica eccezione della mamma di Teddy... Teddy è il figlioccio di mio padre,” si affrettò a spiegare Al. “Che è stata alunna a Tassorosso. Ma tutto sommato lei non è mia parente di sangue,” si posò un dito sulle labbra, in gesto pensieroso. “Ed ora come ora non mi viene in mente nessun altro membro della famiglia che sia stato in un’altra Casa.”
Gli altri quattro ragazzi tacquero. Quello biondo e pallido, dal letto accanto, tornò a parlare: “Ma secondo me sei stato fortunato. Anzi, hai scelto bene. E sicuramente tuo padre sarà fiero della tua scelta. Credo che la nostra Casa abbia un mito da sfatare. Ah, comunque io mi chiamo...”
“Scorpius,” terminò Al. “Me lo ricordo. L’ho sentito dire a mio zio, sul binario.”
“Come vedi, non hai di che lamentarti del tuo nome. Il mio è peggio,” e Scorpius si strinse nelle spalle con un sorrisetto che voleva essere di autoderisione. “E poi, almeno il tuo si può abbreviare. Ed è pur sempre il nome di un grande mago.”
Al non poté fare altro che annuire, e ringraziare in silenzio sua madre, che si era sempre ostinata a chiamarlo solamente con il diminutivo. Il suo nome più che non piacergli, gli pareva troppo... troppo importante e austero per un ragazzino esile e timido quale lui era. Il diminutivo, invece, così corto, semplice, e perfino banale, era secondo lui assolutamente perfetto. Lo aiutava a confondersi tra la folla, cosa che spesso gli sarebbe piaciuto fare... anche se una parte nascosta di sé, invece, tendeva a spingerlo a distinguersi. Ed era la stessa parte che l’aveva convinto a chiedere al Cappello Parlante di non smistarlo a Grifondoro da suo fratello.
“Allora a casa ti chiamano con il nome intero?” chiese Sam appollaiandosi sul proprio letto; era buffo vederlo parlare con Scorpius, così pallido e così biondo, essendo lui un pasciuto ragazzino dai capelli bruni e il volto ancora abbronzato del sole dell’estate. Al suo confronto il giovane Malfoy sembrava malaticcio e fragile.
Sul volto diafano apparve un’ombra di sorriso, gli occhi grigi si illuminarono un poco, divertiti: “Il nome è stata un’idea di mio padre. È una tradizione di famiglia... dare nomi di stelle o costellazioni, è tipico della famiglia Black, anche se non sempre rispettato... ed ecco che mi ritrovo questo nome così poco comune... comunque, mio padre mi chiama col nome intero... mentre mia madre si diletta in tutta una serie di orrendi vezzeggiativi...”
“Allora dobbiamo chiamarti così con nome per intero?” chiese Will.
Scorpius annuì tristemente: “Finché un essere umano illuminato e geniale non mi troverà un decente diminutivo, temo proprio di sì,” e detto questo, anch’egli si sedette sul letto.
Dal proprio, Al ascoltava ed osservava ogni cosa in silenzio; ma in quel momento parve ricordarsi di colpo del baule da aprire e disfare in parte. Balzò sul tappeto in un attimo, ed armeggiò con il chiavistello. Di sicuro, ora aveva bisogno del sapone, del pettine, dell’asciugamano, del pigiama e delle pantofole; a tutto il resto avrebbe pensato il giorno dopo, con calma, a lezioni finite.
Cacciò la testolina nera e ormai spettinata all’interno, fino a farla scomparire alla vista dei suoi compagni, e iniziò a frugare freneticamente nella montagna di roba.
Fuori era buio da un pezzo; il tempo sembrava essersi volto al nuvolo, ed il termometro era sceso pericolosamente. Già a Londra l’autunno era arrivato in fretta; in Scozia li aveva accolti un clima non certo mite, e saggiamente, Al tirò fuori anche il mantello nero.
Non lo aveva comprato nuovo da Madame McClan; aveva insistito per avere quello di suo padre, che sapeva essere gelosamente e splendidamente conservato da Ginny in un grande armadio nel quale ai bambini era vietato mettere mano.
Per lui era importante portare con sé qualcosa che sapeva essere appartenuto a suo padre; se non poteva avere la scopa, che sarebbe andata sicuramente a James (il quale sembrava aver ereditato il talento dei genitori per il Quidditch), almeno il mantello.
Ora, però, ritrovandoselo tra le mani mentre lo posava sulla spalliera del letto, Al notò che aveva ancora cucito sopra lo stemma di Grifondoro; al pensiero che avrebbe dovuto farlo sostituire, il gusto amaro del senso di colpa gli salì alla bocca, quindi scese ad attorcigliargli lo stomaco.
“Quel mantello non è tuo,” gli giunse all’orecchio la voce sottile e pacata di Scorpius.
“No, era di mio padre. L’ho voluto a tutti i costi,” Al si alzò in piedi cercando di dare un calcio al baule, ma ovviamente questo non si mosse di un palmo; sospirando, il ragazzino agguantò tutto ciò che aveva preso e trotterellò verso il bagno.
Gli altri quattro ragazzi erano già sotto le coperte, pronti per la notte; Al si odiò per essersi un po’ attardato ad accompagnare i cugini nelle loro Sale Comuni prima di scendere nella propria. Non sapeva se a frenarlo da andare subito a letto fosse stato il desiderio di sentirsi il meno possibile solo, o il terrore di aver sbagliato a non chiedere di essere smistato con uno dei cugini.
Il risultato, comunque, non era stato molto meritevole; era stato l’ultimo del suo anno ad arrivare nei sotterranei, suscitando le ire di un Prefetto che aveva dovuto farlo entrare; era stato costretto a trascinare da solo il suo pesante baule; ed ora, che tutti i suoi compagni erano a letto al caldo, e già stavano scivolando nel sonno, ecco che lui ancora doveva prepararsi per la notte.
In realtà, dormire in un letto non suo con persone ancora sconosciute lo spaventava un po’; ma si disse che era la sorte che gli sarebbe capitata comunque... tra i suoi cugini del suo anno c’era solo Rose, e se anche fossero stati smistati nella stessa Casa, sarebbero stati divisi, in quanto maschio e femmina.
“Mi sto facendo troppi problemi,” si disse Al. “Se anche fossi a Grifondoro, non dormirei con Jamie perché lui è più grande di me. E poi cosa significa non essere nella stessa Casa dei miei genitori e di mio fratello?”
Aprì al massimo il rubinetto, come se cercasse di far tacere la voce che gli girava in testa, e si alzò sulle punte dei piedi per osservare il suo viso allo specchio. I suoi occhi verde smeraldo luccicarono di rimando nel vetro, e riconoscendovi gli stessi di suo padre, Al sorrise. Era l’unico ad aver preso da Harry gli occhi di Lily, e ne andava giustamente fiero; non erano gli occhi dei Potter, questo lo sapeva bene, e forse era proprio il particolare che gli piaceva di più...
In realtà, era anche contento di avere l’ottima vista di sua madre, e non dovere portare occhiali come Harry... sapeva che sgranando quei begli occhioni verdi poteva muovere a compassione anche un Gigante (o quasi), e stava cercando di convincersi che usare quel piccolo dono poteva essergli molto utile... e che sentirsi in colpa era davvero sciocco.
“Chissà se mamma e papà mi risponderanno presto,” pensò mentre stappava il tubetto del dentifricio con gesto automatico. Sentiva già la mancanza delle risate allegre della sua sorellina, che ogni sera quando lui si lavava i denti adorava andare a saltellargli intorno chiacchierando.
“E chissà se Jamie intende tenermi il broncio ancora per tanto,” questa volta lo mugugnò a bassa voce. “Come se non essere a Grifondoro fosse una colpa...”
Doveva smetterla di angosciarsi con quel pensiero... finché si fosse sentito in colpa, avrebbe dato l’impressione di essere una vittima, e James non lo avrebbe mai lasciato in pace. Doveva mostrarsi invece orgoglioso e ben sicuro della propria scelta... anche se purtroppo non lo era.
Quando tornò al suo letto, sentiva Sam, Will e Mike russare leggermente, o respirare pesantemente; li invidiò di tutto cuore, mentre si infilava in fretta sotto le coperte, al calduccio.
“Tuo padre sarà fiero di te ancora più che se fossi stato mandato a Grifondoro,” il silenzio fu rotto da un sussurro accanto al suo letto.
“Ne sei sicuro?” Al si girò su un fianco per poter intravedere la sagoma di Scorpius nel buio.
“Sì,” l’altro fece lo stesso, e Al quasi poteva vedere i suoi occhi grigi brillare nel buio. “Secondo me sei fatto per questa Casa. Conosci le caratteristiche che in origine erano richieste agli studenti?”
“No,” ammise sinceramente Al leggermente imbarazzato. “Credevo fosse solo una questione di... di purezza di sangue.”
“Non solo... questa è una questione a parte. Ogni Casa richiede certe caratteristiche ai suoi alunni; e per noi valgono determinazione, noncuranza delle regole, ingegnosità, astuzia... secondo me sono tutte qualità che tu possiedi. Oltre ad una buona dose di intelligenza, che non fa mai male.”
“L’intelligenza è di Corvonero...”
“Vero. Ma senza intelligenza non può esserci astuzia.”
“Quindi la questione della purezza del sangue...”
“Salazar Serpeverde era convinto che solo i maghi Purosangue meritassero di entrare a Hogwarts,” gli rispose prontamente Scorpius. “Ma si è visto che aveva torto. Abbiamo fin troppi esempi ben noti di maghi non Purosangue che hanno fatto grandi cose... e ti parlo da Purosangue.”
“Sì, so che la tua famiglia tiene alto lo stendardo dei Purosangue...” Al cercò di non apparire né sarcastico né offensivo, ma solo sincero.
“Ma anche tu sei Purosangue, no? Hai parenti Babbani?”
“Due bisnonni...” sussurrò Al. “Ma mi è stato detto che ormai non contano più... e che noi Potter ci possiamo considerare di nuovo Purosangue. È che ai miei non importa affatto...”
“In ogni caso... altro punto a tuo favore come Serpeverde.”
“Ma vengo da una famiglia di Grifondoro...”
“Questo non importa... non stai mica disonorando la famiglia!”
”Sirius non ha disonorato i Black quando è stato smistato a Grifondoro!”, sussurrò Al a fior di labbra; erano parole di suo padre... lo aveva detto a James l’anno prima, quando aveva affermato giubilante di essere contento di essere un Grifondoro e non aver disonorato il nome dei Potter.
“Oh, sì Sirius Black...” la voce di Scorpius cadde nel silenzio, ma solo per un attimo. “Un Black a Grifondoro... ho sentito molto parlare di lui. Un cugino di mia nonna.”
“Era il padrino di mio padre... un vero Grifondoro, mi hanno raccontato.”
“Mentre tutti i Black sono sempre stati a Serpeverde, che io sappia.”
“Sì, anche la nonna di Teddy,” Al parlava più con sé stesso che con Scorpius. “Che poi è la tua prozia, no? È la sorella di tua nonna...”
“Parli di zia Andromeda?” Scorpius sorrise appena, anche se Al non poteva vederlo.
“Sì, zia Andy, la nonna di Teddy... sai, Teddy è il figlioccio di mio padre, e per me è come un altro fratello maggiore... accidenti, io e te siamo quasi parenti!”
“Tutte le famiglie di Purosangue sono parenti,” Scorpius trattenne a stento un risolino. “Per un verso o per l’altro, io e te siamo imparentati.”
“Non mi dispiace l’idea, in realtà,” Al si girò supino, assaporando il tepore delle coperte, la morbidezza del cuscino, i leggeri rumori di sottofondo. Ora sì che sentiva di avere veramente molto sonno.
“Secondo me tuo fratello non ti terrà il broncio a lungo. Non ha nulla per cui farlo.”
“Oh sì che ce l’ha...” sussurrò Al, sentendo già le palpebre pesanti. “E si lamenterà con mamma e papà quando scriverà loro, dicendo che sono uno sciocco...”
Scorpius rise leggermente: “Sciocco? Coraggioso piuttosto, ad uscire dalla retta via...”
“No, no... non coraggioso,” Al aveva chiuso gli occhi, le mani sole oltre alla testa sbucavano dal copriletto. “Il coraggio è di Grifondoro... non lo sai? Grifondoro, dove dimorano i coraggiosi di cuore...”
“Gli scapestrati, vorrai dire,” ma l’altro lo disse allegramente. “Gli incoscienti e gli impulsivi...”
“I cavalieri... coraggiosi cavalieri con la spada in pugno! La loro audacia, il coraggio e la cavalleria distinguono i Grifondoro!” Their daring, nerve and chivalry set Gryffindors apart
“Perché hai voluto venire a Serpeverde se incensi così tanto Grifondoro?” anche stavolta il tono era divertito e non derisorio.
“E chi lo sa? Me lo sto chiedendo anche io...” la voce bassa di Al scivolò nel silenzio come l’ultima goccia di una fontana.
“Un Potter a Serpeverde!” sussurrò ancora il ragazzino, prima di sprofondare definitivamente nel sonno di cui aveva bisogno dopo una giornata così intensa e stancante.
“Hai ragione,” bisbigliò il giovane Malfoy dal letto accanto, ancora ignaro che il suo compagno si fosse addormentato di colpo. “Ma d’altronde, lo hai detto tu: se è potuto esistere un Black a Grifondoro, perché non un Potter a Serpeverde?”
Anche lui tacque, e lasciò che il silenzio avvolgesse la stanza; una cosa ormai era certa: qualcosa di nuovo stava soffiando sulla vecchia Hogwarts... che avesse il viso di Albus Potter, o questa fosse solo un’apparenza, poco importava.
Se Voldemort avesse vinto, non sarebbero esistite più le quattro Case, ma solamente Serpeverde; Voldemort era stato sconfitto, ed era giusto che le sue Case convivessero in armonia... senza più inimicizie, pregiudizi, ostilità: semplicemente, un modo come un altro per riconoscere e coltivare quel che di buono e speciale c’era negli alunni, in quattro modi differenti... una forma di rispetto per la bellezza della diversità.
Note finali:
- La loro audacia, il coraggio e la cavalleria distinguono i Grifondoro!” così ho tradotto ciò che si trova nei libri: "Their daring, nerve and chivalry set Gryffindors apart."
- Nel prossimo capitolo preciserò tutti i cugini di Al, specificando di chi sono figli e a quale Casa appartengono ^^
Trovo non ci siano particolari precisazioni, per ora; piuttosto, spero di avervi incuriosito ^^
Capitolo 1 - Primo giorno a Hogwarts di Miss Granger
Note dell'autore:
Ecco che facciamo conoscenza coi cugini di Al.
Per quanto ho potuto, mi sono attenuto non solo a quanto detto nell'Epilogo, ma anche a quanto rilasciato circa la progenie dei nostri eroi da JKR nelle interviste.
Purtroppo, non ci ha detto tutto, non ha nominato tutti i figli; ho quindi riempiti i buchi a modo mio, con dei personaggi originali. Spero che siano di vostro gradimento...
Per questo capitolo, ho scelto argomenti "tipici" per raccontare Hogwarts: il Quidditch, la questione delle Case, le lezioni... e l'amicizia ^^
Buona lettura, e... ricordatevi di imedesimarvi in Al!
Il primo giorno ad Hogwarts

Alla luce vivace di una mattina di sole, dopo un lungo sonno ristoratore, e venendo dai sotterranei bui e umidi, la Sala Grande faceva tutt’altro effetto che la sera prima; sulla porta, Al si fermò per guardarsi intorno, estasiato e rapito.
Il soffitto era in coordinato con il cielo fuori dalla finestra: qualche piccola nuvola candida qua e là, un bel sole autunnale, e la prospettiva di un tempo splendido; col naso all’insù e gli occhi sgranati, Al si disse che Hogwarts era veramente un posto splendido... e che adorava la Scozia.
Quando abbassò di nuovo lo sguardo, scoprì che i tavoli erano già quasi completamente occupati dai ragazzi, e che la colazione sarebbe stata servita di lì a momenti; il chiasso allegro e continuo era tutto tranne che i due di zio Charlie (che però vivono in Romania), e i due ffastidioso, ed il lungo tavolo degli insegnanti troneggiava con un che di rassicurante e protettivo. Da un lato di questo, dietro a una brocca spuntò il viso rotondo e rubicondo di Neville: i suoi grandi occhi si posarono affettuosamente su Al, quindi il professore gli sorrise e gli fece un cenno di saluto con la mano.
Era la prima volta che Al vedeva l’amico dei suoi genitori in veste di professore; rimase interdetto per un attimo, quindi ricambiò il saluto agitando appena una mano e sorridendo a sua volta; non c’era nulla di diverso in Neville, da che lui ricordasse, semplicemente gli faceva un certo effetto vederlo seduto al tavolo degli insegnanti.
Chissà quando avrebbe avuto Erbologia con Neville; Al ricordò all’improvviso che l’orario delle lezioni sarebbe stato distribuito di lì a poco, e al pensiero sorrise tra sé. Magari avrebbe condiviso qualche lezione con sua cugina Rose, e avrebbe potuto sedersi accanto a lei, come avevano deciso di fare tante volte durante il viaggio in treno.
Ma seduti scompostamente nel vagone, non avevano ancora fatto i conti con il Cappello Parlante, e con il sistema delle Case.
A questo pensiero, Al distolse lo sguardo dal tavolo degli insegnanti e lo lasciò vagare per la Sala, alla ricerca di suo fratello e dei suoi cugini, mentre allungava la strada che lo avrebbe dovuto portare al proprio tavolo. Sentiva il bisogno di essere riaccolto dalla sua famiglia, dopo una notte passata lontana da tutti loro.
Li cercò con gli occhi, uno ad uno; suo fratello, intento a parlare e ridere a squarciagola (come suo solito), seduto tra Fred e la biondissima Bessie, i quali lo ascoltavano divertiti: tutti e tre erano orgogliosi Grifondoro.
Victoire, bella quanto una stella, e sempre di più mano a mano che cresceva, calamitava senza volerlo fin troppi sguardi; era chinata su Rose per aggiustarle il nodo della cravatta nera e blu, anche se la ragazzina era voltata all’indietro, e sembrava strillare qualcosa di ben poco gentile all’indirizzo di James. Intelligenti, sagge e argute come le loro madri, lei e Victoire si erano guadagnate un meritato posto d’onore al tavolo di Corvonero.
Ed infine, Cathy, bionda, quieta e soddisfatta tra i suoi compagni Tassorosso, che rideva allegramente con una brunetta che le sedeva accanto.
Al sorrise di un sorriso immenso, mentre affrettava il passo verso il corridoio libero tra il tavolo dei Corvonero e quello dei Grifondoro; sentiva le voci dei cugini e del fratello, e questo bastava a farlo sentire di nuovo a casa, protetto da qualcosa di famigliare e confortante.
“Ne sei davvero sicuro, Jamie?” sentì la voce di Victoire mentre anche lei si girava indietro.
“Di cosa?”
“Di voler partecipare alle selezioni per la squadra di Quidditch.”
“Certo che lo sono!” James alzò orgogliosamente il volto, mostrando un paio di vivaci occhi marroni, gli stessi di sua madre. “Tenere altro l’onore della famiglia è mio sacrosanto dovere! Non sarò colui che infangherà la fama dei miei genitori di grandi giocatori! Se papà è stato uno dei più grandi Cercatori della storia di Hogwarts e mamma ha avuto una splendida carriera negli Holyhead Harpies, io non posso essere da meno di loro!”
Victoire sollevò un sopracciglio, scettica: “E chi dice che anche tu sia un buon giocatore?”
“Mi sembra di averlo dimostrato abbondantemente, quando giocavamo tutti insieme in giardino dai nonni, alla Tana!”
“Oh, sì!” rispose l’altra ironica. “Come quella volta che Teddy ti ha buttato giù dalla scopa dopo due minuti netti di gioco!” e rise sarcastica.
“Oh! Teddy!” James si illuminò di un maligno sorriso. “Il tuo Teddy... il fidanzato segreto della nostra Victoire! Nonostante tutto non riesci a trattenerti dal parlare di lui...”
“No, Jamie non ricominciare con questa storia!” Fred gli bloccò un braccio per impedirgli di alzarsi in piedi mentre si infervorava. “Pensa a mangiare piuttosto, ora che è arrivata la colazione!”
James, però, come unica risposta gli mostrò la lingua: “Non la smetterò di importunare Vic con questa storia finché lei non ammetterà la verità, e cioè che ha una storia clandestina con Teddy!”
“Fatti gli affari tuoi!” gracidò Victoire; per la collera il suo viso si era colorato dello stesso rosso fiamma dei suoi capelli.
“Quel che c’è tra Teddy e Victoire non c’entra niente col Quidditch!” esclamò Rose balzando in ginocchio sulla sedia. Anche lei, come la cugina e compagna di Casa, aveva ereditato dal padre i capelli di fuoco degli Weasley, ma mentre quelli di Victoire erano lisci e morbidi, i suoi erano un cespuglio informe (ovvia eredità materna), che tuttavia incorniciava splendidamente il suo visetto roseo, e gli conferiva una certa importanza, accentuando gli zigomi alti.
“No, è vero, ma è più interessante!” esclamò James lanciando uno sguardo trionfale a Victoire, le cui labbra tremavano per il dispetto. “E poi, noi abbiamo il diritto di sapere la verità!”
“Tappati la bocca col cibo, vermicolo!” ruggì Victoire sbattendo un pugno proprio sotto gli occhi di James. “Ed impara a farti i fatti tuoi! Non ti permetto di parlare di Teddy in mia presenza!”
“E in sua assenza!” commentò James con fare leggermente beffardo.
“Sei uno sciocco! Tu, che dovresti amare e rispettare Teddy come un fratello!”
“Ma Teddy è mio fratello... per me lo è! Il mio fratellone... passa più tempo lui a casa nostra di quanto faccia il mio vero fratello! Per questo vorrei sapere da te la verità...”
“Adesso dacci un taglio, Jamie!” lo zittì però Fred con le cattive, coprendogli la bocca con una mano. “E mangia. Hai già irritato abbastanza, stamattina.”
“Non si stava parlando di Quidditch?” tornò alla carica Rose, parlando a voce più alta.
“Sì”, borbottò James da dietro la mano di Fred.. “E allora?”
“Allora continuiamo a farlo, no?” Rose si strinse nelle spalle. “In che ruolo vorresti ti prendessero?” “Diciamo che sarà già un miracolo se lo prenderanno!” lo punzecchiò Bessie, parlando per la prima volta, ma intromettendosi nel discorso con saggia premeditazione, mentre si spalmava di burro un toast. Nel contempo, osservò i cugini dal basso in alto con aria divertita.
“Cercatore, ovviamente, come mamma e papà!” James la ignorò, ma posò lo sguardo sulla figurina che stava saltellando nella loro direzione. “Oh, ecco che arriva Cathy.”
“Cosa mi sono persa?” Cathy prese posto sul bordo della sedia di sua sorella Bessie. Entrambe erano bionde come Fleur, anche se Bessie aveva i capelli ondulati, ma gli occhi azzurrissimi di Arthur erano gli stessi. Passava un anno soltanto di differenza tra loro, ed avrebbero potuto essere credute facilmente gemelle, tanto palese era la loro somiglianza; somiglianza che invece non c’era tra loro e la sorella maggiore Victoire, che era, molto più di loro, una vera Weasley, a cominciare dall’adorabile spruzzata di lentiggini sul suo viso.
“Un litigio tra Vic e Jamie,” Fred scosse la testa. “Niente di originale, quindi.”
“E l’inizio smozzicato di una conversazione sul Quidditch,” aggiunse Rose. “Jamie vorrebbe essere preso come Cercatore nella squadra di Grifondoro per onorare la zia e lo zio.”
“Gli zii potrebbero tirarti il collo se infangassi la loro fama di Cercatori!” lo canzonò Bessie.
“Credete davvero che io sia così scarso a Quidditch?” protestò il ragazzino, incrociando le braccia sul petto. “Avete così poca fiducia in me? Papà ha promesso che mi darà la sua scopa se sarò preso nella Squadra, in qualunque ruolo... questo significa che crede in me, lui!”
“La scopa dello zio a te”, filosofeggiò divertito Fred. “E quella di zia Ginny ad Al...”
“Perché, credete che Al sarà un buon giocatore?” James aggrottò un sopracciglio. “E se anche fosse, sono certo che la mamma non gli darebbe mai la sua scopa... non perché questa faccia bella figura nella squadra di Quidditch di Serpeverde!”
“Ecco che ricomincia anche con quest’altra storia!” si lamentò Bessie. “Per Merlino, James, ne stai facendo un caso da Wizengamot!”
“Non è vero, dico solamente la verità... non mi va l’idea di dover giocare contro mio fratello!”
“Potrebbe succedere... e io trovo che sarebbe molto interessante!” sbollita la collera di poco prima, Vic rivolse al cugino uno sguardo da grande saggia. “Trovo immensamente giusto che Al segua la sua strada... a cominciare dalla Casa in cui è stato smistato.”
Immensamente giusto... che paroloni! Tsk!” borbottò James. “A cominciare dalla Casa... SERPEVERDE, Victoire, ma ti rendi conto? SERPEVERDE... lui, rampollo di una famiglia di Grifondoro! Riesci a nominare un solo membro delle nostre famiglie, uno soltanto, che non sia stato a Grifondoro?”
“La mamma di Teddy era a Tassorosso”, ribatté tranquilla Victoire. “E zia Andy a Serpeverde, come tutti i Black!”
“Loro sono parenti acquisiti, Victoire!” la corresse James con foga.
“E tu sei uno sciocco. Io sono orgogliosa di Al.”
“Mica tutti siamo marchiati a fuoco per essere mandati a Grifondoro da te!” protestò Rose, e mostrò con orgoglio la sua cravatta nera e blu.
“C’è una bella differenza tra gli assiomi “Non a Grifondoro” e “A Serpeverde”, Rosie! Non sono necessariamente uno il contrario dell’altro. Ma non è quello... è piuttosto: Al a Serpeverde, ma ve ne rendete conto? Al! Mio fratello Al, timido e sensibile com’è... a Serpeverde? Lui? No, no! Ha chiesto al Cappello Parlante di essere mandato a Serpeverde solamente per farmi un dispetto perché l’ho preso in giro da quando siamo partiti...”
“Ecco, appunto: prenditela con te stesso!” gli ringhiò Bessie all’orecchio. “La colpa è tutta tua, non lo hai lasciato in pace un momento, povero piccolo...”
“La volete smetterla di trattarlo come un bambolotto?” James si cacciò in bocca una forchettata di uova e pancetta, guardando inviperito le cugine.
“Non capisco perché te la prendi tanto, Jamie”, riprese Bessie. “Se Al è contento devi esserlo anche tu.”
“Ma Al è contento sul serio?” chiese però sottovoce Cathy.
“Perché non glielo chiediamo?” propose quietamente Fred, facendo cenno con capo ad un punto indefinito dietro la schiena di Victoire.
Tutti quanti si volsero a guardare in quella direzione; già da un po’ Al se ne stava in piedi zitto, nascosto dalla sedia di Victoire e la schiena di lei, ad ascoltare la conversazione. Non aveva mosso un muscolo né respirato appena più forte nemmeno quando il discorso era ricaduto su di lui, non voleva essere scoperto. Ma Fred lo aveva notato quando aveva scontrato appena lo spigolo del tavolo al suo fianco, rischiando di farsi male.
“Al, tesoro, che cosa ci facevi lì in silenzio?” chiese d’impeto Victoire; essendo la più grande tra tutti i rampolli degli Weasley, amava da sempre fare la parte della protettiva ed affettuosa “mammina” non solo alle sue due sorelline, ma anche al suo interminabile stuolo di cugini.
“Ma guarda, anche tu col nodo malfatto come Rosie! Vieni qua, e fatti sistemare”, detto questo, lo prese per le spalle dolcemente e lo avvicinò a sé, inginocchiandosi davanti a lui.
“Accidenti, dopo questo, Jamie, mi sa che Al ti terrà il broncio per i prossimi quattro mesi almeno... e ne avrà tutto il diritto!” esclamò Bessie.
“Come hai dormito stanotte, cucciolo?” cinguettò intanto Victoire mentre scioglieva il nodo della cravatta di Al per rifarlo da capo correttamente.
“Bene. Il letto è comodo,” ammise Al con disarmante semplicità. “E i miei compagni sono bravi.”
“Soprattutto il piccolo Malfoy, deve essere veramente uno zuccherino...” commentò sarcastico suo fratello, ma guardandosi bene dal guardare Al.
“Vieni a sederti qui con noi, Al,” propose Bessie.
Ma prima che Al potesse rispondere, Rose gli aveva già gettato le braccia al collo e lo stringeva in un abbraccio al quale lui era abituato.
“Mi sei mancato tanto... mi sa che mi mancherai ancora per un bel po’,” gli sussurrò la cuginetta. “Io sono fiera di te, sai? Orgogliosa che tu sia a Serpeverde. Secondo me sarai il miglior alunno che la Casa abbia mai conosciuto... ma mi spiace essere in una Casa diversa da te... tutto qui. Non sono abituata a fare cose tante cose senza di te, Al!”
Al e Rose erano nati a due mesi di distanza uno dall’altra; fin dal primo momento di vita, erano stati insieme; a Grimmauld Place dai Potter, o nell’appartamento degli Weasley, poco importava. Fin dal fasciatoio, i primi bagnetti e gli omogeneizzati, Ginny ed Hermione li avevano allevati insieme; ed i primi giochi sul tappeto del salotto a Grimmauld Place li avevano fatti insieme, perfino i primi passi erano per loro un’esperienza comune... una piccola gara nella cucina della Tana, sotto gli occhi estasiati dei loro genitori, con nonno Arthur che tendeva loro le braccia dalla porta che dava sul corridoio, e si asciugava le lacrime con la manica della giacca.
E poi loro due erano da sempre i cocchi di nonna Molly; tutte le domeniche li voleva a pranzo, e faceva loro trovare qualche dolce appena sfornato, ed una tazza di tè, o di cioccolata calda se si era in inverno; dopo pranzo, avevano il permesso di aiutare Molly nelle faccende, osservando rapiti i suoi incantesimi, e di accompagnarla se lei usciva per sbrigare delle commissioni. E c’erano poi domeniche speciali, durante le quali nonna Molly andava a Londra, ed allora passava a prenderli a casa e li portava a trovare zio George ai “Tiri Vispi Weasley”, e poi a casa, dalla zia e dai cugini, Fred e Roxane.
Quando era stato il momento di partire per Hogwarts, Rose e Al erano stati sicuri che sarebbero stati smistati nella stessa Casa, qualunque essa fosse; ma ora che il Capello Parlante li aveva divisi contro la loro volontà, si ritrovavano per la prima volta a fare molte cose separatamente.
“Magari avremo qualche materia insieme,” Al sorrise ottimista, senza sciogliere l’abbraccio della cuginetta. “E potremo sederci vicino.”
“Al, mangia qualcosa, non puoi vivere della bile alimentata da tuo fratello fino a pranzo!” li interruppe la voce di Bessie, mentre la ragazza gli porgeva un paio di toast spalmati di marmellata.
“Vieni, siediti qui,” lo invitò Victoire battendosi una mano sulle ginocchia.
“Ma siete sicuri che... che non ci dicano nulla?” chiese Al leggermente preoccupato. “Dovremmo stare ognuno al tavolo della propria Casa, no?”
“Sì, tesoro,” Victoire lo fece sedere sulle proprie gambe. “Ma è solo il primo giorno; nessuno verrà a rimproverarci. Tu e Rosie dovete ambientarvi; a pranzo, rimarrete nei vostri tavoli.”
“Ma Al si sentirà solo,” commentò Cathy. “Come mi sono sentita sola io lo scorso anno.”
“Sicuramente, si sentirà a disagio, finché James lo accuserà di essersi fatto mandare a Serpeverde per fargli dispetto,” esclamò Bessie, battagliera come sempre.
“Al, sei contento?” chiese Fred sorridendogli. “Mi sembrava fosse per questo che ci siamo accorti della tua presenza...”
“Intendi contento di essere a Serpeverde, Freddie?”
“Contento, orgoglioso, soddisfatto... possiamo definirlo in tanti modi.”
Al tacque. Non sapeva che cosa rispondere. Avrebbe voluto essere sincero, ma la sincerità non gli permetteva di parlare. In realtà, nemmeno lui sapeva se fosse felice o non lo fosse. Non lo aveva ancora capito... e non voleva ammettere che aspettava di sapere che cosa ne pensasse suo padre prima di deciderlo.
“Ammettilo che lo hai fatto solo per farmi dispetto,” lo incitò James a voce bassa, guardandolo di sotto in su dal suo piatto di uova.
“Non capisco perché per te sia un tale problema, Jamie...”
“Non è un problema per me, Al, lo è per te!” esclamò suo fratello. “Farai la fine di un agnellino in un branco di leoni!”
“Mi pensi davvero tanto fragile?” il viso di Al si oscurò, le labbra tremarono appena. “Mi credi solo un bambino sciocco e impaurito?”
“Non ho detto questo,” borbottò James a disagio. “Solo che ti avrei voluto a questo tavolo, con me, Bessie e Fred... e non in pasto ai leoni.”
“Alle serpi, James, alle serpi,” lo canzonò Bessie. “Non sbagliare animali.”
James la ignorò: “Non capisco come possa il Cappello Parlante aver deciso di mandarti laggiù! La sola soluzione è che sia stato tu a chiederglielo... e allora vorrei sapere perché!”
Al si strinse nelle spalle: “Non c’è niente di male a Serpeverde. Se ci fosse, la Casa non esisterebbe più, come tante cose che c’erano quando papà andava a scuola e ora non ci sono più.”
“Come i Dissennatori?” azzardò Cathy.
Al annuì, anche se sapeva solo vagamente di che cosa si trattasse: “Io penso che non ha senso questa inimicizia tra le Case. Hogwarts è una. Le Case sono quattro solo perché gli alunni non sono tutti uguali... ma sono una cosa in più. Zia Fleur dice che a Beauxbatons non esistono Case.”
“Chi ti ha messo in testa queste cose?” domandò tetro James.
“Mamma, papà, zia Fleur.”
James scosse la testa: “Quello che penso io, è che hai voluto farmi dispetto, e ora ci rimetti tu.”
“Non mi uccideranno, in una Casa diversa dalla tua!” esclamò Al con foga.
“La verità è che vuoi sempre fare tutto di testa tua, Albus!” ribatté il fratello con lo stesso tono. “E senza pensarci su!”
“Non è vero, io non sono impulsivo come te.”
“No, lo sei di più! Trovo che non sia giusto farti mandare a Serpeverde pensando di fare uno sgarbo a me, e poi doverci rimanere sette anni anche se non è la Casa giusta per te!”
“Non si può cambiare Casa, se è quello che vorresti farmi fare.”
“Appunto!” ma rendendosi conto che Al non lo avrebbe mai ascoltato, James batté un pugno sul tavolo, impugnò con forza la forchetta e tacque senza finire quel che voleva dire.
“Io credo tu stia facendo un gran chiasso per niente!” sentenziò Bessie. “Lascia che Al segua la sua strada, senza preoccuparti. Sa badare a sé stesso.”
James non rispose, piccato; ma mugugnò qualcosa di incomprensibile mentre si riempiva la bocca di cibo, nel vano tentativo di essere lasciato in pace.
“Quante la fate lunga,” si alzò finalmente la voce di Victoire, mentre questa quasi imboccava Al, preoccupata che mangiasse troppo poco. “Al è un ragazzo saggio, e secondo me è nel posto giusto per lui. Serpeverde ha bisogno di persone come lui, capaci di riscattare la sua brutta fama. Zio Harry e zia Ginny saranno orgogliosi di lui come lo sono io. E poi, James, lascialo stare; per lui è un giorno importante, il primo giorno ad Hogwarts. Non è giusto che glielo rovini.”
“Non voglio rovinarglielo! Voglio solo dire che non deve fare le cose per dispetto a me!”
“Sono sicuro che se così fosse davvero, sarebbe andata diversamente” gli rispose Fred. “Il Cappello Parlante non avrebbe mai accettato la sua proposta, e lo avrebbe mandato o a Corvonero o a Tassorosso.”
“Che fissa, la vostra, delle Case!” Rose si alzò in piedi, un po’ scocciata “Case, Case... cosa sono in fin dei conti? Niente di così tremendamente importante. Al è pur sempre Al. E continuerebbe ad essere il nostro Al in qualunque Casa fosse, e se anche andasse a Durmstrang... è Al, punto. Ed ora andiamo!” si piantò le mani sui fianchi in un gesto che la rese simile allo stesso tempo a sua madre e a sua nonna. “Stanno distribuendo l’orario, e devo ancora passare a prendere i libri. Al, hai mangiato?”
“No, Al rimane qui. Non ha mangiato quasi nulla!” si impuntò Victoire.
“Vado a prendere il tuo orario e i tuoi libri,” Rose depose un bacio sulla guancia del cugino, e saltellò via in un battere di ciglia verso il tavolo di Serpeverde.
La determinazione era quella di Hermione, non c’era possibilità di dubbio; Al la osservò mentre si allontanava, con un mezzo sorriso, mentre Victoire continuava a cercare di imboccarlo.
“Comunque, James, ascoltami!” esclamò un momento dopo Al rivolto al fratello, che continuava a fingere di ignorarlo. “Scorpius è un ragazzo molto simpatico!”
“Chi, Malfoy junior?” esclamò d’impeto James, la bocca ancora mezza piena.
“Esattamente lui!” ribatté orgoglioso Al. “Non conosco una persona così simpatica da molto.”
“Tu ti sei bevuto il cervello, Al,” sentenziò James ributtandosi sulle uova.
“No, glielo hanno mangiato i serpenti!” lo canzonò nuovamente Bessie.
“Sciocca,” sputò fuori James piccato. “Sciocca e incapace di tacere.”
Bessie gli mostrò la lingua: “Rinsavisci, Jamie, finché sei in tempo.”
“E ammettere che Al a Serpeverde ci sta bene? Nemmeno se mi supplicasse il Ministro della Magia in persona!” strillò James.
“E se te lo chiedesse zio Harry?” lo provocò Bessie.
“Non lo farà mai.”
“Basta che ne sia convinto tu...” si intromise Fred.
“Io ne sono perfettamente convinto!” strillo di nuovo James. “Papà si strapperà i capelli a suon di unghiate quando gli arriverà la notizia! Farà a pezzi gli occhiali saltandoci sopra, sbatterà la testa contro il muro, comincerà a lanciare piatti in giro per la casa, staccherà i ritratti dalle pareti! Non accetterà mai una disgrazia del genere!”
“Sei melodrammatico, James... mi fai venire mal di stomaco!” esclamò Bessie.
“No, sono solo allergico ai serpenti!” proclamato ciò, James si alzò di scatto acchiappando orario, borsa dei libri e mantello, e si dileguò in due passi.
“Ci vediamo a pranzo, Jamie...” lo rincorse però la voce di Victoire. “Ovvero, quando sarai ormai riconciliato con il mondo e con tuo fratello... altrimenti sta’ alla larga da me!”
Finito di parlare, si chinò affettuosamente su Al e gli sorrise materna: “Non ti terrà il broncio a lungo, non preoccuparti. E se proverà a farlo... lo sistemo io. Tanto, ho già un conto in sospeso con lui... sarà un piacere!”
“Un conto chiamato Ted Lupin?” le chiese divertita la più grande delle sorelle, evidentemente già guarita dal mal di stomaco.
“Infatti... deve stare attento,” Victoire fece scivolare gentilmente a terra Al e si alzò in piedi a sua volta. “Mai osare punzecchiarmi su qualcosa che mi sta a cuore!”
“Ah, ma allora lo ammetti...” cominciò Bessie; ma tacque ad un’occhiataccia della sorella.
“ELIZABETH!” ruggì Victoire. “NON...”
Ma non finì: Bessie le coprì la bocca con una mano, per evitare che tutta la Sala assistesse alla scena, richiamata dalle urla della ragazza.
“Non provarci mai più, Elizabeth!” esclamò Victoire inviperita, ma a voce bassa. “Quello che c’è tra me e Ted non è affare di Jamie come nemmeno tuo! Sono stata chiara?”
“Chiarissima, sorellona.”
La risposta di Victoire somigliava drammaticamente ad un grugnito, il che non donava affatto al suo bel viso e l’aura di fascino che irradiava. Si volse verso Al, che aspettava silenzioso e quieto al suo fianco, col volto corrucciato; ma appena i suoi occhi si posarono sul cuginetto, tornò a sorridere, chioccia e affettuosa: “Sta arrivando Rosie con le tue cose, Al.”
Al si volse; effettivamente, l’inconfondibile criniera rossa e cespugliosa di Rose stava correndo verso di lui. Sorrise alla cugina che era per lui una gemella, e quando lei lo raggiunse, avrebbe voluto prenderle le mani, come erano soliti; ma quelle di Rose era occupate, quindi Al si accontentò di prenderla dolcemente per i polsi.
“Subito dopo pranzo abbiamo un’ora di Difesa insieme, Al!” esclamò Rose; quando sorrise, ai lati delle labbra le si formarono due fossette, e le lentiggini risaltarono.
“Fantastico!” rispose di getto Al, stringendola più forte. “E prima?”
“Prima io ho lezione coi Tassorosso. Due ore di Erbologia, per cominciare...”
“Non male, direi, anzi!” le sorrise Victoire. “Due ore con Neville!”
“E tu, Al, due ore di Pozioni.”
“Niente male nemmeno questo,”esclamò Bessie. “Lumacorno è simpatico, dopotutto...”
“Preparati, Al; è un uomo che perde un sacco di tempo con gli alunni famosi,” sospirò Victoire.
“In che senso? Io non sono famoso!”
“E come no!” sorrise Bessie. “Sei il figlio del grande Harry Potter o no? Il nipote della sua alunna prediletta di tanto tempo fa, la fantastica pozionista Lily Evans!”
Al corrugò la fronte: “Questo non sarà divertente.”
“Per nulla... ma devi solo dire sempre di sì, sorridere e mostrarti contento... e lasciarlo parlare senza ascoltare!” consigliò Victoire “Non è difficile.”
“L’unico problema,” Bessie si versò un ultimo bicchiere di succo di zucca. “Sarà il fatto che fai parte della sua Casa, Al. Non lo sai? Lumacorno è il Capocasa di Serpeverde.”
“Quantomeno, lo zio Harry e zia Hermione non erano alunni della sua Casa,” le fece eco la sorella. “Questo significa che nemmeno io sarò salva!” gemette Rose. “Visto che nomini la mamma...”
“Almeno, nemmeno tu sei a Serpeverde,” la rincuorò Bessie.
“Be’, ci converrà andare, ora,” sospirò Rose. “Al, questo è il tuo orario, ed ecco i tuoi libri. Che dici, Vic? Ha mangiato a sufficienza? Resisterà fino a pranzo senza svenire?”
“Stai prendendomi in giro, Rosie?” ma Victoire sorrise nel dirlo.
Rose rise allegramente: “Esatto; dai, è ora. Sai dove devi andare, vero Al?”
“Nei sotterranei; non lontano dalla mia Sala Comune. Comunque seguirò i miei compagni,” Al si caricò sulle spalle la borsa dei libri, mentre Victoire si chinava a baciarlo sulla fronte.
“Non preoccuparti per quello che ha detto Jamie, mi raccomando,”gli disse prima di lasciarlo andare dai suoi compagni di Casa. “A pranzo gli sarà passata.”
Al annuì, sforzandosi di sorridere; salutò con la mano Bessie, abbracciò velocemente Rose, quindi fece una corsa fino al suo tavolo. Forse, il fatto che il piccolo Malfoy fosse ancora lì, sebbene la campanella fosse già suonata, non era esattamente un caso fortuito.
Forse stava aspettando proprio lui; Al sorrise, stavolta sinceramente, e raggiunse il ragazzino aggiustandosi la cravatta verde e argento: “Andiamo?” disse solo.
Scorpius annuì e, senza una parola, i due ragazzi si avviarono fianco a fianco verso i sotterranei.

“Non mi aspetto nulla di buono da quest’uomo,” osservò Scorpius mentre si sedeva nel banco accanto a quello in cui aveva preso posto Al, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. “Lo hanno avuto come insegnante sia mio padre sia il tuo, e per di più è...”
“Il nostro Capocasa, purtroppo,” sospirò Al. “E quando si renderà conto di me, un Potter smistato a Serpeverde...” sospirò, senza continuare.
“Oh, si,” borbottò stancamente l’altro, come se davvero ci soffrisse alla sola idea. “Inizierà senza dubbio con la storia che tutta la tua famiglia è sempre stata a Grifondoro.”
“Credo che mio fratello potrebbe andarci molto d’accordo, allora,” ribatté sarcastico Al.
Scorpius si volse indietro; avevano lezione di Pozione insieme ai Grifondoro.
“E purtroppo per te, quando se ne verrà fuori con questa storia, i tuoi mancati compagni di Casa non staranno di certo zitti.”
Al sospirò, ma non disse nulla. Sapeva che Scorpius aveva ragione. Si era ormai già dimenticato che i suoi genitori avevano sempre parlato non certo bene del padre di Scorpius, e che se lui avesse legato col compagno, probabilmente non ne sarebbero stato contenti.
Non era nella sua indole soffermarsi su certe cose. Era di natura troppo predisposto all’affetto e all’amicizia sincera, nonostante l’innata timidezza, per starsi a fare troppe domande.
Se una persona gli piaceva, non c’era ma che tenesse. E poi, era convinto di aver bisogno di farsi degli amici, o almeno dei compagni per passare il tempo. Non avrebbe mica sempre potuto aspettare di riunirsi ai suoi cugini, per smettere di stare solo con sé stesso. Soprattutto, se James (cosa che credeva molto probabile) intendeva continuare a tenergli il broncio.
“Come va con tuo fratello, piuttosto?”
Ma... forse che Scorpius era anche capace a leggergli nel pensiero?!
Sgranando gli occhi, Al si volse a guardarlo; risolse con un timido sorriso: “Così e così.”
“Lo capirà se non è stupido,” rispose tranquillo Scorpius stringendosi appena nelle spalle. “E non credo proprio lo sia, sai?”
Al non disse nulla. Tenne lo sguardo basso sul libro di Pozioni, sempre il solito da anni ed anni, per Lumacorno; il suo non era nuovo, bensì era quello di Ginny. In realtà, i genitori erano dell’idea che lui e James dovessero avere libri nuovi di zecca, ogni anno: un lusso che Harry aveva sempre potuto permettersi, mentre Ginny lo aveva solo potuto sognare. Ed ora poteva soddisfarlo con i suoi figli.
Ad Al, però, niente di questo importava. Le novità lo eccitavano, ma lo spaventavano anche; e ad Hogwarts aveva voluto portarsi dietro qualcosa dei genitori, ad ogni costo, per affrontare meglio quella grande avventura.
Se la divisa di Harry, ormai logorata dal tempo, era troppo, troppo grande per lui, Al aveva chiesto con insistenza, e ben soddisfatto, il mantello, ancora semi nuovo; e se la scopa del padre sarebbe andata a James, nel caso egli fosse stato preso nella squadra di Quidditch, e quella di Ginny era intoccabile da sempre, il ragazzino si era tranquillamente accontentato dei libri di testo.
Non tutti erano di Ginny, anzi, solamente quello di Pozione lo era; gli altri erano un po’ di Harry ed un po’ di Hermione. Ron, come era facile immaginare, aveva dato fuoco ai propri non appena era riuscito a dare privatamente gli esami per ottenere i M.A.G.O.
Per Al era importante avere con sé qualcosa dei suoi più stretti familiari che avevano frequentato Hogwarts anni addietro; lo faceva sentire protetto, e gli ricordava che lasciare l’intimo calore della loro comoda casa di Grimmauld Place per essere catapultato nell’immenso castello, a confrontarsi con tante, troppe cose nuove, non era una punizione toccata a lui solo; ma che non era per nulla una punizione, e che prima o poi era un’esperienza di tutti... e anche che, se i suoi genitori, zii e nonni erano diventati i grandi maghi che erano, il merito era anche dell’educazione di Hogwarts.
“Malfoy!” esclamò la voce di Lumcorno.
Intento a sfogliare lentamente il libro, fitto di appunti che recavano la scrittura a lui ben nota della madre, Al si lasciò cogliere di soprassalto dal richiamo.
Alzò la testa di scatto, volgendosi verso Scorpius, il quale guardava fisso il professore.
“Figlio del Draco Malfoy che è stato mio alunno per un anno?” squittì Lumacorno.
Scorpius non rispose a voce; si limitò ad annuire convinto.
Al alzò gli occhi sull’uomo grasso, piccolino e coi baffi che aveva parlato, e storse appena il naso; all’apparenza, Lumacorno non era certo un uomo che impressionava. Anzi.
“Oh! Ricordo molto bene tuo padre, caro... com’è che ti chiami? Ah sì, Scorpius! E vedo che anche tu come lui sei nella mia Casa, caro... una tradizione di famiglia!” terminò compiaciuto “Come nelle migliori famiglie Purosangue, d’altronde...”
Al ebbe come un brivido; arrivato al suo nome, Lumacorno non lo avrebbe di sicuro lasciato in pace, anzi... e che storie avrebbe fatto sulla sua cravatta...
Al pensiero, Al cacciò la testa dentro il libro, aspirando a pieni polmoni il lieve, piacevole odore di carta leggermente ingiallita dal tempo, e di inchiostro. Chiuse gli occhi e sperò con tutto il cuore di essere l’ultimo della lista, e che il suo nome arrivasse il più tardi possibile... ma purtroppo, la P non era l’ultima lettera né dell’alfabeto, né di quell’appello.
“Poterr, Albus Severus...” lesse ad alta voce e scandendo bene Lumacorno, in un crescendo di stupore di fronte a quel nome così pomposo. E chissà chi si credeva di trovarsi sotto gli occhi, quando li alzò e li puntò istintivamente sul lato dell’aula dove sedevano i Grifondoro. Forse un ragazzone alto e robusto, all’apparenza più grande dei suoi undici anni.
Ovviamente, non solo non trovò nulla nel gruppetto dei Grifondoro, ma dovette spostare la sua attenzione su quel braccino levato dall’altra parte della stanza, e rendersi miseramente conto che a quel nome così altisonante rispondeva un bambino magrolino ed esile, quasi gracile, non certo di alta statura, che sembrava scomparire nella divisa scura, e che gli puntava addosso un paio di occhi di smeraldo che, su quel visino magro e pallido e appena spruzzato di lentiggini, parevano enormi.
A differenza di suo padre, Al non aveva mai portato occhiali, perché aveva una vista da aquila come Ginny; e questo contribuiva a far apparire ancora più grandi quei suoi occhioni sgranati.
“Potter... figlio di Harry, e nipote di James, suppongo!”
“Ora ti fa tutto l’albero genealogico,” sussurrò Scorpius. Al trattenne una risata, e si mantenne serio, nello sforzo di apparire tranquillo.
“Sì, professore...”
“Ma è splendido!” quasi urlò Lumacorno, e si alzò in piedi con tanta foga che quasi rovesciò la cattedra, e spaventò gli alunni. “Il figlio di Harry Potter! Il nipotino della mia Evans!”
“Ora per l’emozione gli viene un infarto!” rise Scorpius sottovoce.
Ancora una volta Al si trattenne dal ridere a sua volta.
“Alzati, piccolo Potter così posso vederti meglio...” squittì Lumacorno.
Al detestava essere chiamato piccolo Potter; sentì l’impulso di prendere a schiaffi quell’impertinente, che purtroppo era un suo insegnante; ma rimase impassibile e tranquillo, alzandosi in piedi. Si sentì basso e magrolino, mentre le sue guance si imporporavano di vergogna.
“Ma... ma piccolo Potter...”
Lumacorno lo guardò strabiliato, sembrava davvero sull’orlo di un infarto, ma non certo per l’emozione, bensì per la sorpresa: “Piccolo Potter, sei... sei...”
“Sono a Serpeverde. È così tremendo?” esclamò Al in un impeto di orgoglio e di nervosismo. “Lo so, provengo da una famiglia di Grifondoro. Ma di sicuro, i miei saranno felici lo stesso.”
Lumacorno tacque, perplesso; ma poi sorrise placido: “Hai perfettamente ragione! E poi, sia tuo padre sia tua nonna sono stati dei Pozionisti meravigliosamente capaci e dotati... sono sicuro che anche tu avrai ereditato questa loro innata capacità! Ma... ma caro, rammendami... chi è tua madre? È una strega? È stata mia alunna? Perché non mi ricordo proprio con chi si sia sposato tuo padre...”
“Sicuramente, questo lo avrà già chiesto a tuo fratello,” sibilò Scorpius.
“Certo che è stata sua alunna,” rispose leggermente seccato Al. Ormai l’avversione per quell’uomo che gli piaceva così poco aveva preso completamente il sopravvento sulla timidezza.
“Mia madre è Ginevra Weasley... la minore dei sette figli Weasley.”
“I ragazzi Weasley... ma sì, certo, come potrei dimenticarmi di loro!” squittì Lumacorno “Sette ragazzi, così diversi... non li ho avuti tutti quanti come mie alunni, ad essere sincero... credo di essermene persi un paio nel mio periodo di ritiro... o forse di più... ma tua madre la ricordo bene, l’unica femmina della cucciolata, un caratterino affatto facile, il tipo di alunno che adoro! E poi, una splendida giocatrice di Quidditch... oh sì, al suo quinto anno stracciò i Corvonero nella finalissima giocando come Cercatrice al posto di tuo padre... si, ricordo, lui era in punizione, ce lo aveva messo Severus... ma... ma piccolo Potter, tu porti il nome di Piton!”
“Sì, professore. Mio padre dice che ha voluto darmi i nomi degli ultimi due presidi della scuola...”
“Vero, vero, verissimo!” esclamò Lumacorno in un crescendo di tono e di volume. “Porti il nome del più grande preside che Hogwarts abbia mai avuto, e poi del più misterioso...”
“Hogwarts presenta: il professor Horace Lumacorno in una conferenza sui presidi della scuola... con una splendida sezione monografica sul misterioso personaggio di Severus Piton!” sussurrò Scorpius fingendo di affondare la faccia nel libro.
Questa volta Al rischiò seriamente di scoppiare a ridere di gusto in faccia a Lumacorno; riuscì a trattenersi solo mordendosi con forza le labbra, e strizzando gli occhi per un po’.
“Che nome importante, hai, piccolo Potter! E come devo chiamarti, ragazzo?”
“Come... cosa vuol dire come deve chiamarmi?” ora Al si scompose. “Potter, suppongo...”
“Oh no, caro! Io sono solito chiamare i miei alunni per nome, soprattutto i più ragguardevoli... e come potrei chiamarti solamente Potter? Chiamo tuo fratello James, ma d’altronde è un nome semplice... lo stesso del vostro nonno! Ma il tuo, di nome, non lo è, e la ragione per cui ti è stato dato è così importante...”
Al aggrottò le sopracciglia, allo stesso tempo perplesso e infastidito: “Spero non le dispiaccia, ma io rispondo solo se mi si chiama semplicemente Al,” sussurrò, sentendosi arrossire di nuovo.
“Come? Non ti fai chiamare col tuo splendido nome per intero?!”
“Il mio nome è troppo importante per me,” bisbigliò nuovamente Al. “Preferisco il diminutivo.”
“E ti spiace se invece io ti chiamerò Albus? Mi sembra troppo confidenziale scendere fino al diminutivo, ragazzo...”
“Come preferisce,” rispose tra i denti Al, deluso ed irritato.
“Bene, Albus... siediti ora, siediti pure... io devo continuare l’appello.”
Al tirò un sospiro di sollievo. Odiava essere chiamato col nome intero, era la cosa che più al mondo detestava. Si volse verso Scorpius, col volto accigliato e la fronte aggrottata: “Devo trovarti un diminutivo. Se per te essere chiamato per nome è tremendo almeno la metà di quanto lo è per me, devo assolutamente trovarti un diminutivo decente, se vogliamo continuare a parlarci!”
Scorpius alzò le sopracciglia, stupito: “Ci tieni così tanto a non ferire le persone in nessun modo?”
“Sì,” ammise candidamente Al con un mezzo sorriso. “Se non ti dispiace.”
“Dispiacermi? Sono undici anni che cerco un diminutivo per il mio orribile nome!” “Non ti garantisco di riuscirci, eh!” esclamò Al leggermente imbarazzato. “Però mi piacerebbe provarci. È tanto che nessuno mi chiama col mio nome intero. Ed è una cosa che non sopporto. Penso sia lo stesso anche per te. Io almeno ho un soprannome.”
“Come ti dicevo ieri sera,” Scorpius incrociò le braccia con un sorrisetto. “Se mi trovi un bel diminutivo, te ne sarò grato per il resto della vita.”
Al arrossì: “Ora non esagerare!” e per distrarsi abbassò gli occhi sulle righe vergate dalla grafia chiara ed elegante di Ginny.
“Senti un po’, piuttosto,” Scorpius gli parlò mentre voltava la testa sull’altro lato dell’aula. “Per caso tu conosci qualcuno dei nostri compagni Grifondoro?”
“No, nessuno. Gli unici Grifondoro che conosco, sono mio fratello e due miei cugini; però Jamie è al secondo anno, mentre Fred e Bessie sono al terzo.”
“Ma si può sapere quanti cugini hai?”
“Be’, in tutto sono nove... e poi ci sono mio fratello e mia sorella.”
“Nove cugini?!”
“Sì; le tre figlie di zio Bill, i due di zio George, le due figlie di zio Percy, e i due figli di zio Ron.”
“Accidenti, anche in quanto a zii tu non scherzi.”
“Be’, nella famiglia di mamma erano sette figli... ora sei, uno è morto. E lei è la sola femmina. Ma zio Percy non ha figli. Papà invece, è figlio unico.”
“Io cugini diretti non ne ho... in quanto a secondi cugini, be’, c’è il figlioccio di tuo padre. Com’è che si chiama?”
“Teddy!” esclamò gioioso Al.
“Sì, lui... be’ in casa non ne parliamo molto, sai, sua nonna è stata diseredata per aver sposato quel Nato Babbano... non è un argomento molto gettonato dai miei.”
“Oh, be’, capisco... secondo questa visione, Teddy ha ben più di un motivo per essere escluso dai discorsi... nonna Andy diseredata per il suo matrimonio, bisnonni Babbani, madre Auror, padre Lupo Mannaro...” elencò Al con convinzione.
“Sai proprio tutto su di lui!”
“Ho passato tanti pomeriggi, da piccolo, a casa di zia Andy. E lei non faceva che parlarmi della mamma di Teddy.”
Scorpius annuì, senza dire nulla, rimanendo a riflettere per un momento: “Sono convinto che noi due abbiamo davvero tante cose da dirci, Al.”
“Lo penso anche io. Ma a Jamie non farà piacere.”
“Pazienza,” l’altro rise sottovoce. “D’altronde siamo nella stessa Casa, e se giocheremo a Quidditch saremo nella stessa squadra. E poi mi sei simpatico. Non ho motivo per disprezzarti. Che tuo fratello faccia un po’ quello che vuole.”
Al sorrise imbarazzato: “Ma tu ne sai qualcosa di questa materia?”
I due alzarono gli occhi su Lumacorno che continuava a squittire, finito l’appello, e nel frattempo col gesso tracciava una cascata di parole sulla lavagna.
“Assolutamente no,” ammise candidamente il compagno. “Mio padre ha fatto un repulisti totale nella memoria degli anni di scuola.”
“Mah, i miei un po’ meno, però... non mi hanno insegnato molto di magia prima d’ora. La maggior parte delle cose le ho imparate dal nonno Artie, ma si tratta di cose sul mondo dei Babbani!”
Scorpius sorrise: “Oh, è vero... Arthur Weasley, l’amante dei Babbani!”
“Anche tu sai tante cose sulle nostre famiglie,” sussurrò Al.
“Abbastanza. Ma non voglio usarle contro di te.”
“Oh... grazie,” per distrarsi, Al sollevò il suo calderone e lo posò sul banco, in mezzo tra lui ed il compagno. “Mi sa che ci farà lavorare fin da subito.”
“Ebbene, lavoreremo. Che cosa abbiamo dopo Pozioni?”
“Incantesimi,” Al aggrottò appena la fronte leggendo l’orario. “Con Vitiuos, il Capocasa di Corvonero. Mia mamma dice che è un omino simpatico... e poi, dopo pranzo, c’è Difesa con i Corvonero... cioè con Rosie!” e si illuminò di un immenso sorriso.
“E poi Storia della Magia, purtroppo... una materia insopportabile,” sospirò il compagno.
“Coraggio!” esclamò sottovoce Al con allegria ed entusiasmo. “Non sarà tutto difficile e noioso, qui! E io non vedo l’ora di avere lezione di volo!”
“Anche tu patito di Quidditch?”
“Figlio di grandi Cercatori!”
“E allora speriamo di essere entrambi in squadra, il prossimo anno... a me piacerebbe molto giocare come Cacciatore. Non credo litigheremo per il posto.”
“Più che altro, avrò da piangere quando giocheremo coi Grifondoro. Mio fratello è nato a cavallo di una scopa, ed è ben deciso ad essere preso come Cercatore.”
“Credo che un po’ di sana rivalità non guasti mai. Ci sarà da divertirsi alle partite,” dettò ciò, Scorpius trotterellò dove indicato da Lumacorno, per prendere gli ingredienti richiesti; il professore voleva farli iniziare con una semplice pozione, per prendere un po’ di confidenza con la materia.
“E poi,” ritornò al banco. “E poi se entrambi volete giocare da Cercatori, di posti per entrambi non ce n’è nella stessa squadra. Meglio così. Ah, Al, credi di riuscire a tagliare decentemente queste cose? Non so nemmeno cosa siano. So solo che dobbiamo tagliarle, e che io con i coltelli sono da sempre un perfetto incapace.”
Al acchiappò quelle che sembravano essere strane radici: “L’unica cosa che nonna Molly mi permette di fare per aiutarla in cucina è tagliare le verdure. Senza magia, ovvio. Comunque... be’, credo che potremo allenarci insieme a Quidditch, no? Il prossimo anno è lontano, ma non vorrei prendessero qualcun altro al mio posto. Sarebbe orribile se mio fratello diventasse Cercatore e io no! Ce l’abbiamo nel sangue tutti e due.”
“Fantastico allora,” Scorpius si lasciò andare al suo più bel sorriso. “Sia per le radici sia per il Quidditch, ovviamente...”
Al sorrise a sua volta, mentre tagliava con precisione e in fretta.
D’altronde, se anche James gli avesse tenuto il broncio, non era poi così grave. Lui e Scorpius avevano tante, ma tante, cose da dirsi...
Note finali:
Dividere i vari rampolli Weasley tra le quarto Case è stato molto divertente... averli tutti a Grifondoro sarebbe stato veramente noiso, no? ^^
Nel caso faceste fatica ad orientarvi tra figli e professori, rilancio l'idea di una scheda riassuntiva sul Forum :)
Un'ultima cosa: solo oggi ho scopero che sul suo sito JKR ha messo un albero genealogico con tutti i figli Weasley. Ho quindi aggiunto le due figlie di Percy, inventando - per non essere costretta a stravolgermi ogni cosa - che non abbiamo ancora l'età per Hogwarts. Inoltre, ho scoperto il sesso ed il nome della seconda figlia di George, oltre all'identità di sua moglie, cioè Angelina Johnson. Infine: ho scoperto - PURTROPPO - che Victoire non ha in realtà due sorelle, bensì due fratelli. Non me la sento di cambiare questa storia che è già scritta per diversi capitoli, trasformando Elizabeth e Catherine in Dominique e Loius; ma per correttezza vi avverto di questo piccolo OOC (le informazioni extra libro sono da considerarsi IC? Mah, io ho i miei dubbi...) così da dirvi che sono informata, ma purtroppo, troppo tardi.
Spero che la storia vi piacerà lo stesso ^^
Capitolo 2 - Arti Oscure e fratelli orgogliosi di Miss Granger
Note dell'autore:
Prima lezione di Difesa contro le Arti Oscure... sono consapevole che la scelta del professore non è delle migliori ^^, ma d'altronde zia Jo nei post - DH non ha certo brillato per la fantasia o la coerenza nel riempire i posti vacanti, e questo mi rallegra...
Ogni riferimento a Lupi Mannari, Dissennatori e interessati lezioni di DADA è puramente casuale, e non vuole in alcun modo esere un memoriam per Remus J. Lupin... :D
Arti Oscure e fratelli orgogliosi

“Ho come l’impressione che questa sera gli spetterà una lavata di testa di quelle che si ricordano”, cinguettò Rose lasciandosi cadere con grazia sulla sedia.
“Da Vic?”
“Esattamente. È sempre in collera per la questione di Teddy... e rifiutandosi di rivolgerti la parola, Jamie non ha fatto che peggiorare la situazione. Comunque, credo che non la smetterà di fare queste stupide scenette finché non arriverà la risposta di zio Harry alla notizia dello Smistamento,” rispose Rose tutto di un fiato.
“Che spero arrivi presto,” osservò Al. “Anche io sono un po’ in ansia.”
“E così, il fratellone ti tiene ancora il broncio?” chiese Scorpius, seduto dietro ad Al.
“A pranzo non mi ha rivolto la parola. Be’, non che fosse molto difficile farlo... ma non ha mosso un muscolo dal suo tavolo, mentre tutti sono venuti a parlarmi. Ah, a proposito... lei è Rose, la mia cugina preferita. Rose, lui è Scorpius Malfoy, mio compagno di Casa e vicino di letto.”
Scorpius tese subito la mano, con un mezzo sorriso di incoraggiamento; Rose, invece, memore delle parole di suo padre a King’s Cross il giorno prima, esitò.
“Giuro che non ti morde, Rosie,” le sussurrò all’orecchio Al. “E se lo fa, lo fatturo!”
“Ma se non ne sei capace!” rispose a fior di labbra lei. Ma un momento dopo, aveva stretto la mano di Scorpius, anche se solo per qualche secondo: “Rose Weasley, piacere.”
“Mio, Rose.”
“Comunque, Vic è davvero sul piede di guerra. Seriamente. Tremendamente. E sappiamo bene che quando si arrabbia Vic...”
“Ce n’è davvero per tutti,” concluse sorridendo Al. Era una massima che il signor Weasley amava ripetere da sempre. D’altronde, il signor Weasley aveva una frase del genere per ognuno dei suoi dodici nipotini. E Al e Rose, che da bambini avevano passato così tanto tempo alla Tana, ormai le conoscevano tutte a memoria.
“Victoire è la maggiore di tutti noi cugini,” spiegò Al volandosi a guardare Scorpius. “La figlia più grande di zio Bill e zia Fleur. E a tutti noi fa un po’ da mamma. E sgrida.”
“E ora è davvero in collerissima con James,” continuò Rose placidamente. “Lui l’ha già fatta innervosire a colazione, e a pranzo le ha servito il resto.”
Scorpius sorrise lievemente: “Vedo che nemmeno tu sei stata smistata a Grifondoro come vuole la tradizione di famiglia,” si permise di osservare.
L’occhiata che gli lanciò Rose gli fece temere una rispostaccia, o quantomeno un secco: “Fatti gli affari tuoi!”. Ma non accade nulla di tutto ciò. La ragazza aggrottò le sopracciglia, corrugò la fronte, in un’espressione che la rese similissima a sua madre, quindi rispose tranquilla: “Sì... immagino che l’infarto prenderà a mio padre. Ma d’altronde se l’è voluta. Si vanta sempre tanto dicendo che sono intelligente come mia madre... staremo a vedere!”
Rose nel dirlo arrossì, anche se avrebbe voluto nasconderlo. Quindi si girò per non farsi vedere.
Era una delle cose che aveva ereditato da Ron; oltre ai capelli rossi, alle lentiggini e all’alta statura, anche quella tremenda sfortuna di arrossire per un nonnulla fino alla punta delle orecchie.
“Non volevo farmi gli affari tuoi,” si affrettò a precisare Scorpius con una certa apprensione. “Solo, visto che ad Al sta creando tanti problemi questo Smistamento fuori dalle aspettative...”
Rose riuscì a sorridere: “Non ti preoccupare. E poi, io sono orgogliosa di Al a Serpeverde.”
“Anche io,” rispose semplicemente Scorpius con un sorrisetto. “Penso non sia timido quando sembra, in realtà.”
Al arrossì violentemente; anche lui questo lo aveva preso da Ron, come sua cugina: “Ma dai...” provò debolmente a protestare. “Io sono un pasticcione timido ed incapace.”
“Tu sei il nostro Al!” esclamò con decisione Rose, sbattendo una mano sul grosso tomo. “E basta.”
“Credo a tuo padre non farebbe piacere che io e te facessimo amicizia,” sussurrò Scorpius.
Si era rivolto a Rose; la ragazzina sgranò gli occhi, grandi e scuri come quelli di sua madre: “Be’, sì lo so. Ma non ne vedo il problema. Lui non ti conosce. Solo, ha conosciuto tuo padre.”
Scorpius annuì distrattamente: “Ma è stato tanto tempo fa. Ormai le cose sono diverse.”
“Mio padre ha odiato il tuo più di quanto abbia fatto zio Ron,” ammise candidamente Al. “Ma tu mi sei simpatico, e non intendo smettere di parlarti.”
Scorpius sorrise, questa volta anche lui era evidentemente in imbarazzo; il lieve rossore sulle sue guance sembrava d’un rosso vivo sull’incarnato così pallido, e sembrava che avesse pianto. Forse ne era consapevole, perché si volse per non essere visto.
“Buongiorno ragazzi!” ad interromperli una voce maschile, giovane e squillante.
I tre ragazzini, come tutti i loro compagni, alzarono gli occhi alla cattedra; come dal nulla, dietro questa era comparso un uomo che poteva avere l’età di Harry; vestiva in abiti da Babbani con molta disinvoltura, ma sopra a questi indossava un lungo mantello verde, intonato alla camicia che si intravedeva sotto il gilet di lana scura.
Portava i capelli pettinati di lato, acconciati con cura, lasciando libera la fronte liscia, il che contribuiva a dargli un’aria giovanile. Gli occhi grandi brillavano allegri mentre sorrideva, posando sulla cattedra un gran numero di libri.
Sulla classe era sceso uno stupito silenzio; dalla parte opposta al gruppo di giovani alunni, il professore, chinato sulla sua pila, stava consultando il registro con l’appello, in silenzio, ma senza smettere di sorridere.
“Vediamo, vediamo... ho con me i Serpeverde ed i Corvonero, primo anno. Ebbene ragazzi, io sono, come già saprete, il vostro insegnante di Difesa contro le Arti Oscure; una materia non facile, complessa e articolata ma, credetemi, molto affascinante. Il mio nome è Ernie MacMillan, mi sono diplomato qui diciannove anni fa, e la mia Casa era Tassorosso. Insegno qui soltanto da un paio d’anni, e ne sono molto contento; ovviamente, il mio intento sarà interessarvi alla materia, perché posso garantirvi che sapersi difendere dalle Arti Oscure è moto importante, ancora oggi... ora però, bisognerà fare conoscenza! Vediamo se conosco qualcuno di voi dai vostri cognomi... allora...”
Iniziò a scorrere con un dito la lista del nomi; si fermò poco dopo, per rivolgersi ad una ragazzina di Corvonero, della quale conosceva il padre per aver lavorato con lui qualche tempo al Ministero.
Seguì un ricciuto Serpeverde, la cui madre aveva frequentato scuola insieme all’insegnante, ed una biondina della stessa Casa, per un motivo simile; e poi, inevitabilmente, toccò a Scorpius.
Ernie MacMillan non aveva certo dimenticato coloro che erano stati suoi compagni ad Hogwarts, e soprattutto quelli del suo stesso anno, come Draco Malfoy. Tuttavia, non perse molto tempo con il biondo erede dei Malfoy: proseguì in fretta, perché altri due nomi avevano attirato la sua attenzione con maggior forza. Ovviamente, Al e Rose.
“Potter e Weasley! Be’, i vostri cognomi si commentano da soli!” MacMillan alzò gli occhi sue due ragazzi, seduti vicini al secondo banco, e fermò lo sguardo su Rose. “E credo di non avere dubbi su quale Weasley sia tuo padre, Rose... Ron, sicuramente, visto la tua somiglianza con tua madre!”
Rose arrossì violentemente, sforzandosi di annuire; sotto il banco, Al le prese una mano e la strinse forte, come facevano fin da piccoli.
“Ed accanto a te, il figlio di Harry... ho insegnato già un anno a tuo fratello maggiore James. Ma la tua somiglianza con vostro padre è ancora più impressionante della sua... a guardarti così, non hai proprio nulla di Ginny!”
Anche Al arrossì, ma riuscì a sorridere: “Lo so, mi dicono tutti che somiglio a mio padre.”
“Scusami la forse troppa attenzione, Albus, ma sei pur sempre il figlio del famoso Harry Potter... in banco nientemeno che con la figlioletta di Ron Weasley e Hermione Granger... e... be’, e con la cravatta verde ed argento di Serpeverde!” MacMillan aggiunse questo con evidente stupore.
“Io sono sicura che zio Harry e zia Ginny saranno contenti lo stesso,” proclamò Rose in mezzo al silenzio che aveva seguito quelle parole. “Sono le nostre scelte a dire chi siamo: Al è stato molto coraggioso, abbandonando la rassicurante tradizione della famiglia.”
MacMillan guardò la ragazza sciogliendosi in un immenso sorriso: “Tale e quale mamma Hermione vedo, Rose!” e le strizzò un occhio.
Rose arrossì di nuovo, ma stavolta rimase immobile, senza abbassare lo sguardo.
“Professore?” chiese Al alzando con foga una mano.
“Che cosa, Albus?” MacMillan si volse a guardarlo con fare sornione.
“Professore, Lei chiama gli alunni per nome?”
“Sì, di solito, sì, perché?”
“Perché Le dovrei chiedere un immenso favore... potrebbe chiamarmi Al? Detesto essere chiamato col mio nome per intero...” provò a spiegare Al. La timidezza gli rendeva molto difficile quella richiesta, ma il ribrezzo per il suo nome completo era maggiore di tutto.
MacMillan rimase un attimo perplesso, ancora per metà chino sul registro, appoggiato con le braccia tese alla cattedra, e tenendo gli occhi sul Al.
“Ma certo, Al, come vuoi...” e gli sorrise gentilmente.
“Grazie,” sussurrò il ragazzino, abbassando gli occhi. “Grazie mille.”
“Molto bene,” Ernie MacMillan si alzò in piedi con fare orgoglioso, rivolgendo alla classe un sorriso soddisfatto. “Come accennavo, la materia non è per nulla semplice; ma comunque, tuttora indispensabile. Quanto sapete voi della Magia Oscura? Nel senso... sapete di che cosa si tratta?”
Alcune mani scattarono in aria; MacMillan rivolse un sorrisetto a Rose, forse avrebbe voluto fare qualche altro commento sulla sua somiglianza con Hermione anche in quello, tuttavia si trattenne e fece cenno di parlare a Mike, il compagno di Casa di Al.
“La Magia Oscura è quella usata dai Maghi Oscuri... si tratta di magia molto pericolosa, che i maghi perbene non userebbero mai!”
“Si tratta di quel ramo della magia in cui incantesimi, pozioni, fatture, creature, sono usati con scopi malvagi,” aggiunse Al a media voce, sebbene fosse ben sicuro di quel che diceva. Suo padre era il Capo del Dipartimento Auror al Ministero della Magia da dieci anni, su certe cose sapeva molto più che tanti suoi coetanei, sapeva in cosa consistesse il lavoro di Harry, almeno a grandi linee.
“Molto bene, entrambi! Ma si tratta anche di cose difficili... ovviamente, cominceremo da quelle più facili, fino a salire a quelle più difficili a mano a mano che crescerete, diventerete più esperti ed abili con la magia, e conoscerete più cose... ora a me interessa darvi i fondamenti, fino a che sarete capaci a padroneggiare incantesimi e fatture protettivi contro le Arti Oscure.”
“Le Arti Oscure nascono dai peggiori sentimenti umani,” disse Rose quando Ernie le diede la parola con un cenno gentile della testa. “Come l’odio, la gelosia, l’invidia, la rabbia.”
“Esattamente... bene, vedo che siete molto più preparati al proposito di quanto lo fossimo io ed i miei compagni alla vostra età... sia chiaro che con queste lezioni nessuno vuole fare di voi degli Auror... sapete che cosa sono gli Auror?”
Silenzio. Un momento dopo, le mani di praticamente ogni ragazzo nell’aula si levarono.
“Un momento, un momento... quanti di voi hanno parenti stretti Auror?” chiese MacMillan.
Molte mani si abbassarono; quelle che rimasero levate, appartenevano quasi tutte a ragazzi di Corvonero, come Rose; le uniche eccezioni furono Al e Mike.
Ernie MacMillan annuì: “Questo mi sembra un ottimo punto di partenza. Per chi non lo sapesse, gli Auror sono maghi che dedicano la loro vita a fermare coloro che fanno uso di Magia Oscura, visto che l’uso delle Arti Oscure è proibito dalle leggi del Ministero.”
Fece una pausa, poi: “Conoscete, anche solo di nome, delle Creature considerate Oscure?”
Ancora un iniziale silenzio, poi molte mani alzate.
“Parlate uno per volta, a turno, senza che vi chiami; voglio sentirvi tutti.”
“I Kappa!” esclamò qualcuno.
“I Vampiri!”
“I folletti della Cornovaglia!”
“I Cappucci Rossi!”
“Programma del terzo anno, in generale,” sorrise Ernie MacMillan.
“I Lupi Mannari,” disse qualcuno. Ma a seguirlo non fu un altro alunno nominante un’altra creatura, bensì la voce di Al, questa volta forte e chiara, perfino quasi aggressiva: “I Lupi Mannari non sono sempre malvagi! Per tanti è una condanna, e non possono farci nulla!”
A seguirlo fu un attimo di cupo silenzio. Tutti si volsero verso Al, sconcertati; tutti tranne Rose.
“Quello che dici è vero, Al,” disse solo MacMillan. “Il miglior insegnante di Difesa contro le Arti Oscure che abbia avuto era un Lupo Mannaro. E so che è la stessa persona a cui accenna Al. Ma d’altronde, ora ve lo accenno solo, tutte quelle creature considerate Oscure, che sono in parte umane, come i Lupi Mannari ed i Vampiri, non sono a priori malvagie... proprio perché parzialmente umane. Quando sono trasformate, non possono che seguire un istinto. Ma quando sono nelle loro sembianze umane, non è detto che siamo maghi oscuri, anzi. Ora continuate pure.”
I ragazzi ripresero ad elencare nomi che spesso avevano sentito solo di sfuggita; ma il loro fiume di conoscenza si esaurì presto. D’altronde, erano solo al primo anno, e ben poco sapevano della materia. Ernie MacMillan, però, era soddisfatto. Lui, alla sua età, sapeva a malapena metà di ciò che sapevano i suoi piccoli alunni. Forse, rifletté, perché quando lui aveva iniziato Hogwarts, si era ancora convinti che Voldemort fosse scomparso, e non se ne voleva parlare... di lui come della Magia Oscura, per paura, per scaramanzia, per terrore che potesse tornare.
Ora, invece, Voldemort era morto definitivamente, e molte cose erano cambiate nel mondo magico, in meglio. Non c’era più tutta quella paura a parlare del Signore Oscuro e delle Arti Oscure; molti ragazzi erano figli o stretti parenti di Auror, e le vicende della Seconda Guerra erano state loro raccontate fin da piccoli, come favole o come leggende.
Ripensava alle esercitazioni dell’ES, mentre sorrideva a guardava ad uno ad uno i volti rosei e freschi dei ragazzini che gli stavano davanti; la voce calma di Rose lo prese quasi di sorpresa: “I Dissennatori, signore.”
“Come hai detto, Rose?”
“I Dissennatori, signore. Gli antichi guardiano di Azkaban.”
“Sì, Rose. È vero. Però mi stupisce un po’ che una ragazza del primo anno sappia che cosa sono i Dissennatori... per di più, ora che non sono più i guardiani di Azkaban...”
“Ne ho sentito parlare tante volte ai miei, signore.”
Avrebbe voluto aggiungere qualcosa che suonava come: “Sono le conseguenze di avere per genitori i migliori amici di Harry Potter!” ma non parlò. Rimase ad osservare la faccia orgogliosamente stupita di MacMillan, tranquilla e senza sorridere.
Il professore riprese a parlare, ma stavolta Al e Rose smisero di ascoltarlo.
“Secondo te ci insegnerà lo stesso ad evocare un Patronus?” chiese sottovoce Al alla cugina.
“Io spero di sì! Ma è programma del sesto anno, lo sai?”
“Sì, purtroppo.”
“Be’, se non ce lo insegnerà lui, chiederemo a qualcuno dei nostri di farlo.”
“Se non ce lo insegneranno a scuola, figurati se lo faranno mamma o papà, o gli zii...”
“E allora chiederemo a Teddy. Se sta studiando all’Addestramento Auror, sarà di sicuro capace di evocare un Patronus. Sono cose che un Auror deve assolutamente saper fare!”
Al annuì convinto: “D’altronde so che papà ha imparato ben prima del sesto anno.”
Rose gli sorrise: “Intendi darti anche tu all’Addestramento Auror?”
“Non ne ho idea!” Al arrossì.
Sua cugina posò una mano sulla sua, senza dire nulla, volgendosi per ascoltare il professore.
Nemmeno lei aveva alcuna idea di che piega dare alla sua vita; eppure, sebbene avesse soltanto undici anni, cominciava già a pensarci. Di sicuro, sapeva che non avrebbe voluto diventare un avvocato come sua madre; e nemmeno un Auror, come suo padre. Le Arti Oscure la interessavano, così come tante altre materie, ma sapeva che questo non avrebbe fatto di lei l’ennesimo Auror della famiglia.
Crescere in una famiglia come la sua e quella di Al, e di tutti i loro cugini, significava per forza non essere una normale ragazzina di undici anni. Anche soltanto guardando le foto che tappezzavano le pareti di Grimmauld Place numero dodici, Rose sapeva a memoria i nomi di almeno tre quarti dei componenti del secondo Ordine della Fenice, e così suo fratello ed i suoi cugini.
Per non parlare poi di tutte le cose spettacolari che raccontava Andromeda ogni volta che qualcuno dei ragazzi la andava a trovare; diceva sempre di stare bene da sola, anche quando Teddy non si faceva vedere da mattina a sera, perché era sballottato tra le lunghe ore dell’Addestramento e le visite a casa di Harry... ma in realtà lei odiava non avere nessuno per casa, e poter passare il tempo solo vivendo dei suoi ricordi. E se qualcuno dei ragazzi andava a trovarla, allora preparava il tè coi biscotti e si sedeva in salotto a raccontare.
Rose si ricordò che aveva promesso ad Andromeda di scriverle; e rifletté che l’avrebbe fatto di certo, e presto. Non appena avesse ricevuto risposta dai suoi genitori sull’esito dello Smistamento.
Perché Rose ed Al sapevano bene che le cose che i genitori si rifiutavano di dire loro sul loro passato, bollandoli come “troppo piccoli”, quelle al cui solo accenno Molly sembrava essere presa dalle convulsioni, le potevano sapere da Andromeda con un sorriso implorante.
Rose e Al non sapevano, però, che Andromeda non aveva mai fatto parte della loro famiglia finché sua figlia non era morta, lasciandole da crescere Teddy, e rendendo inevitabili strette relazioni tra lei ed Harry, il padrino.
Da quando erano nati, Andromeda era sempre stata una di famiglia; cresceva Teddy nella casa che aveva abitato con il marito e la figlia, ma era spesso a Grimmauld Place insieme al nipote, ed era per i ragazzi la splendida depositaria di storie interessanti e avvincenti.
“Al, scriviamo a zia Andy, nei prossimi giorni?” sussurrò Rose.
“Certo!” esclamò entusiasta il cugino. “E anche a Teddy, ti va?”
Rose annuì con sicurezza, chiudendo il libro con un tonfo. La campanella era suonata.

Al sapeva che avrebbe dovuto abituarsi. E per consolarsi, provò a pensare che per suo padre, forse, era stato anche peggio.
Lui era additato da tutti perché era il figlio di Harry Potter; gli insegnanti notavano subito il suo nome sul registro, e se poi nei corridoi lo incontravano con Rose, se ne venivano sempre fuori con la solita storia: Potter e la Weasley, tali e quali i loro genitori, i figlioletti di quel quartetto così carino e così affiatato, ma chi l’avrebbe mai detto poi che quei quattro si sarebbero sposati! Ed ecco il risultato, quei due bei ragazzini... e Al così somigliante a suo padre, e Rose, sua madre convertita al rosso degli Weasley!
Al sapeva che certi commenti, già frequenti dopo il primo giorno, avrebbero accompagnato lui e Rose per tutti i sette anni che avrebbero passato ad Hogwarts; quello che lo deludeva era vedere quanto lo perseguitassero. Prima di prendere l’Espresso aveva creduto, si era illuso, che suo fratello gli avrebbe fatto da scudo. Era James il primo dei rampolli Potter, e anche lui somigliava molto ad Harry (anche se non quanto Al). Aveva pensato che tutti avrebbero continuato ad additare James, e lui sarebbe passato un po’ in secondo piano.
Ma non aveva fatto i conti col pomposo (e odioso!) nome che gli avevano dato i suoi.
Un James Potter ci stava; portava il nome del nonno, e lo ricordava così tanto, quel nonno paterno scapestrato e combinaguai, perché era tale e quale... il Quinto Malandrino, lo chiamava spesso Harry ridendo. Per non parlare di George, che per canzonarlo lo apostrofava Ramoso, proprio come il nonno.
Un Albus Severus Potter, invece, era ben altra questione! Al non ricordava più chi gli avesse detto che suo padre era stato definito “l’alunno di Silente”, anni prima; ma era sicuro di averlo saputo e di non esserselo inventato. E quindi, un Albus Potter da solo faceva già un po’ ridere, perché Harry non aveva tradito sé stesso, ed aveva dato al figlioletto il nome (così desueto e demodé!) del suo protettore di un tempo.
Ma Albus Severus Potter era veramente troppo... Harry gli aveva promesso che gli avrebbe raccontato ogni cosa, e i dettagli del perché di quel nome assurdo, un giorno; ma quel giorno non arrivava mai, e Al cominciava a dubitare che sarebbe mai esistito.
Era così semplice per sua fratello e sua sorella! Portavano i nomi dei nonni, loro, di quei nonni che erano entrati nella storia per il loro coraggio e il loro sacrificio. E anche per Rose e Hugo era facile, non portavano il nome di alcun parente, e loro, almeno loro, erano davvero liberi da ogni confronto, almeno “nominale”. Lui no. Lui, con quei due nomi pomposi e decisamente inappropriati, non sarebbe mai passato inosservato, purtroppo.
Farsi chiamare Al risolveva la questione solo in parte. Aver convinto Molly a ricamare soltanto la A tralasciando la S sui famosi maglioni Weasley (dodici nipoti erano di certo meglio di sette figli, aveva scoperto la signora Weasley, se non altro perché le iniziali dei nomi erano davvero varie, e perciò si divertiva ancor più di prima), lo stesso. Celare il suo vero nome al mondo era impossibile.
Suo padre forse si era sentito peggio, perché era pur sempre il Ragazzo Sopravvissuto; ma lui, almeno, aveva un nome normale... anzi, dei nomi normali. Harry James in confronto a Albus Severus era la fiera della banalità!
Come si poteva non aspettarsi grandi cose da un ragazzino con un nome tale? Al sapeva che James aveva ragione: era stato lui a chiedere al Cappello Parlante di essere smistato a Serpeverde. Voleva provare a suo fratello e a tutti, che aveva il coraggio di fare di testa sua senza paura. E che come sarebbe riuscito, prima o poi, a portare quel nome così pesante (di questo era sicuro), avrebbe anche potuto passare sette anni a Serpeverde, e fare onore alla Casa. E magari, dopo i M.A.G.O., come ciliegina sulla torta, iscriversi all’Addestramento Auror come Teddy. Un Serpeverde Auror. E nessuno avrebbe più parlato male di quella che era stata la Casa del Signore Oscuro.
Il problema era che, sì, il Cappello Parlante lo aveva spedito ad indossare la cravatta verde e argento come aveva chiesto, però lui aveva paura lo stesso, anzi, ancora più di quanto avesse creduto. Paura che suo fratello gli tenesse il broncio a lungo, paura che i suoi genitori si mostrassero delusi, o che il signor Weasley accogliesse male la notizia... paura che non poter passare tutto il tempo insieme come erano abituati, avrebbe fatto male al suo legame con Rose.
Pensieri, pensieri. Pensieri e sogni. Al sognava troppo ad occhi aperti, e lo sapeva. Ma non ci poteva fare nulla. Era così fin da quando era piccolissimo, e nonostante tutti gli ammonimenti di Ginny (“Se continuerai così, finirai per non vedere quello che ti sta sotto gli occhi...”), non riusciva a farne a meno.
Questa volta a riscuoterlo fu una gomitata. Non dolorosa, ma fastidiosa di certo. Si volse di scatto, una sola persona al mondo richiamava la sua attenzione in quel modo, di tanto in tanto...
“Intendi andare a sbattere contro il muro?” lo investì una voce rauca e sottile.
“Hai mal di gola?”
“Sì, e sono pure giù di voce... maledetto tempo scozzese, mi è successo anche l’ano scorso! Ma questo cosa c’entra con la tua testa tra le nuvole?”
“Niente,” Al abbassò gli occhi per un momento, ma poi li rialzò con orgoglio. “Tu che cosa ci fai qui, Jamie?”
James si strinse nelle spalle: “Niente. Passavo di là e ti ho visto, e ho pensato che fosse mio dovere impedire al mio unico fratello di fracassarsi la scatola cranica contro i muri in pietra del castello.”
“Sei sempre così poetico, Jamie!” lo canzonò Al, sistemandosi meglio sulle spalle la borsa dei libri, con un gesto goffo ma adorabile.
“La cena sarà servita tra pochissimo.”
“Sì, lo so. Vado a posare i libri in Sala Comune, sono pesanti.”
“Ma tu guarda se per andare in Sala Comune dovete seguire i topi!” commentò James.
“C’è chi sale e chi scende, Jamie,” Al proseguì giù per le scale verso i sotterranei, senza scomporsi troppo, ormai era abituato alla sfrontatezza del fratello. “Ma sai, proprio oggi pensavo che c’era davvero bisogno di un Potter a Serpeverde! Una volta zio Ron mi ha raccontato che allo Smistamento, il Cappello Parlante era indeciso sia con papà sia con zia Hermione. Voleva mandare papà a Serpeverde e la zia a Corvonero... esattamente dove siamo finiti io e Rosie! Era Destino!”
“Dici? Ma allora perché non io a Serpeverde? Sono il figlio primogenito, il primo Potter!”
Al abbozzò un sorriso voltandosi, ormai era davanti all’entrata della Sala Comune: “Be’, Jamie, mi sembra chiaro... come potrebbe un Malandrino non stare a Grifondoro?” e gli strizzò un occhio.
James parve voler sorridere, ma si trattenne: “Al, non cantare vittoria, guarda che io ce l’ho ancora con te!”
“Perché? Perché non sono a Grifondoro?”
“No! Perché ti sei fatto mettere a Serpeverde!”
“Sarebbe stato orribile passare sette anni nella tua ombra, Jamie.”
“Nella mia ombra? Ma Al, sei matto?”
“Se fossi stato smistato a Grifondoro con te, sarebbe successo. Sarei semplicemente stato per tutti il minore dei Potter. Quantomeno sarò il Potter a Serpeverde, che mi sembra un po’ meglio.”
“Stupidate. Tu in mezzo a quegli ambiziosi non c’entri nulla.” “Sì, forse. Ma lo so bene che in tanti mi avreste messo volentieri a Tassorosso, perché mi considerate uno sciocco timidone. Ma non è vero!”
“Non sei uno sciocco timidone, Al. Sei un adorabile timidone, piuttosto.”
“Parli proprio tu che mi prendi sempre in giro! E poi... non sono le nostre qualità a dire chi siamo, Jamie; ma le nostre scelte.”
“Ohmmerlino, e questa perla di saggezza dove te la sei presa?” James sgranò gli occhi.
“Parole del mio omonimo!” ribatté allegramente Al, quindi sventolò una mano in segno di saluto. “Vai su a mangiare, fratellone. Io poso i libri e fra un momento sono su.”
“Ti aspetto in cima alle scale,” disse l’altro cercando di sembrare seccato e spiccio.
“Come vuoi,” la voce di Al morì un attimo dopo, mentre James lo vide sgattaiolare dentro alla Sala Comune. Un paio di Prefetti Serpeverde, vedendo la sua cravatta rossa ed oro, lo guardarono male, e gli intimarono di girare sui tacchi e salire alla sua torre.
Senza rispondere, James volse loro le spalle e salì le scale cacciandosi le mani nelle tasche.
Al, per fortuna, fece in fretta. Un paio di minuti dopo eccolo già lì, senza borsa e senza mantello, con i capelli spettinati, che correva verso il fratello.
“Lo sai vero, che ti aspetta una sgridata colossale di Vic?”
James lo guardò in tralice: “E perché mai, di grazia?”
“Perché ce l’hai con me!” esclamò Al con un sorriso sornione. Stava scherzando.
“Ma sentilo, il bimbo abituato ad essere protetto! Be’, approfitta delle gonne di Victoire finché puoi, allora, ancora quest’anno ed il prossimo...”
“E dopo Victoire, ci sarà Bessie!” esclamò cantilenando Al.
“Sì, sì, tu contaci,” borbottò James dandogli le spalle mentre salivano le scale. “Ragazzino viziato. Ma poi te la farò passare io la voglia di nasconderti nelle gonne delle cugine.”
“Non sono viziato!” esclamò però con foga Al. “Non lo sono neanche un po’.”
“Sì, si...” fu James stavolta a cantilenare, ironico, rivolgendo un sorrisetto serafico al fratellino.
Al gli fece una linguaccia: “Il fatto che sia più piccolo di te non significa che sia viziato. Ecco, vedi perché non ho voluto essere con te a Grifondoro? Perché sennò sarei stato soltanto il fratellino viziato del popolare James Potter!”
“Resto dell’idea che hai passato troppo tempo con zia Andy, da bambino. Qualcosa dei Black si è insinuato in te, fratellino.”
“Be’, non sarebbe una brutta cosa!” esclamò Al. “Papà ne sarebbe contento.”
“Dipende poi cosa dei Black, Al,” sogghignò James. “Non sono stati una famiglia molto in voga per la simpatia o la lealtà all’Ordine della Fenice, sai?”
“Che... che cosa vuoi dire?” balbettò Al, preso alla sprovvista e spaventato.
James fece per rispondere, ma la sua voce si perse, quando si mischiarono a tanti altri alunni; marciarono verso la Sala Grande, senza parlare, non si sarebbero sentiti, se non a costo di stare molto vicini. E Al lo sapeva che, quando era anche un poco arrabbiato, James non voleva essere toccato fisicamente.
Perciò gli si teneva un po’ a distanza. Non gli era ancora passata del tutto, forse ci sarebbe voluto ancora qualche giorno perché sbollisse completamente. Ma tanto, prima o poi, avrebbe dovuto abituarsi, perché lui a Serpeverde ci sarebbe rimasto sette anni, e James non avrebbe potuto farci proprio niente, se non rassegnarsi.
Gli altri, ovviamente, li stavano aspettando. Nessuno si era ancora seduto a tavola, e il gruppetto degli Weasley era riunito lì, compatto e unito come sempre, poco distante dal tavolo dei Tassorosso, che parlava e rideva.
“Eccovi, finalmente!” esclamò Bessie coi suoi modi spicci.
“Tanto è ancora presto,” sorrise Fred con disinvoltura. “Allora Al, com’è stato il primo giorno?”
Al si ritrovò gettato nella piccola mischia da una lieve spinta del fratello, e sorrise per stemprare l’imbarazzo che, ogni tanto, lo coglieva anche tra i cugini. Sentì Rose sgusciargli accanto, e prenderlo silenziosamente a braccetto. Infine gli posò il mento su una spalla, senza dire niente.
Non aveva bisogno di girarsi per sapere con certezza che era Rose. Riconosceva il suo profumo, e i suoi capelli crespi e ribelli. Sorrise con più convinzione: “Pesante, ma meno terribile di quanto temessi, sai?”
Victoire lo abbracciò: “Il nostro piccolo Al! Non deve essere facile sentirsi apostrofare ovunque come il piccolo Potter...”
“Più che altro come il Potter col nome assurdo,” borbottò il ragazzino.
“A voi come è andato? Le nuove materie?” Rose si volse a Bessie e Fred, che avevano iniziato il terzo anno e le materie a scelta.
“Ovviamente ci siamo tenuti ben lontani da Divinazione,” rise Fred. “E per quanto mi riguarda anche da Aritmanzia... la matematica non fa per me!”
“Però la professoressa di Babbanologia è simpatica; e sembra preparata sul mondo babbano,” gli fece eco Bessie. “Mi ha fatto una buona impressione. La prima cosa che ha chiesto è stato quanti di noi avevano parenti o conoscenti Babbani.”
“A noi quello di Difesa ha chiesto chi aveva parenti Auror,” rifletté Rose.
“Proprio a te e ad Al lo vengono a chiedere!” rise Cathy.
“Infatti. Be’ ma sapeva benissimo di chi siamo figli.”
“Sì, certo... ve lo ha detto? Quando ha frequentato Hogwarts, era nello stesso anno di zio Harry, zio Ron e zia Hermione,” spigò Fred. “Solo che a Tassorosso.”
“Quindi è il Capocasa?”
“Oh no,” Cathy si lasciò scappare un sorrisetto, parlando della sua Casa. “Hagrid ha avuto questo onore. Credo sia stato honoris causa.”
“Oh,” dissero solo Al e Rose in coro.
“A proposito, Hagrid vi vuole venerdì per il tè, ve ne siete ricordati?” li avvisò Victoire.
“Certo. Venerdì dopo le lezioni, vero Al?” cinguettò Rose.
Al annuì soltanto, voltato a guardare i suoi compagni di Casa che prendevano posto al loro tavolo; seguì con gli occhi Scorpius che si toglieva il mantello e lo usava per coprire una sedia accanto a sé, come fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Su, è ora di cenare, ragazzi,” esclamò gentilmente Victoire. “Ognuno al proprio tavolo... Rosie, vieni, hai di nuovo la cravatta fuori posto. Ci rivediamo dopo?”
“No, io sono impegnato in Sala Comune coi miei amici,” disertò James mentre già si allontanava verso i ragazzi in questione, che stavano tenendogli un posto al tavolo.
“Ma come?! Io e te dobbiamo fare un discorsetto, James Potter!”
“Un’altra volta, eh, Vic...” e si dileguò senza darle il tempo di rispondere.
“Per me e Fred è lo stesso,” aggiunse Bessie.
“E io...” fece Cathy, ma sua sorella la fermò: “Ho capito, ho capito. Vorrà dire che ne approfitterò per fare i compiti,” prese Rose per mano e si allontanò verso il loro tavolo.
“Tu hai compiti da fare, Rosie?” chiese Al rincorrendola.
“Purtroppo sì, di già,” sospirò la ragazzina. “Al, ti va se ci vediamo in biblioteca, dopo cena?”
“Ma certo,” rispose Al, ma con aria assente, mentre ancora teneva gli occhi fissi sul tavolo della sua Casa, e su quella sedia coperta dal mantello di Scorpius.
“Allora ci vediamo dopo là,” Rose gli baciò una guancia inondandogli il viso con la sua massa informe di capelli rossi, quindi scomparve, saltellando come uno scoiattolo.
“Ciao,” disse solo Al, dopo aver fatto una decina di passi ed aver raggiunto il tavolo dei Serpeverde, rivolgendosi a Scorpius.
“Ciao! Sei arrivato in tempo, i piatti iniziano a riempirsi ora,” Scorpius abbozzò un sorriso mentre toglieva il mantello dalla sedia accanto a sé con gesto veloce.
“Hai tenuto il posto per me?”
“Sì, certo, perché?” il ragazzino gettò il mantello sulla spalliera della propria sedia.
“Niente. Mi fa piacere, tutto qui,” Al sorrise del suo sorriso timido.
“Come va con tuo fratello?” buttò lì il giovane Malfoy, allungandosi per acchiappare una coscia di pollo. Al alzò gli occhi verso il tavolo dei Grifondoro: James sedeva cincischiando e ridendo in mezzo ad un gruppetto di compagni di Casa, che sembravano guardarlo come fosse un idolo. Al sapeva bene che suo fratello aveva un carisma senza pari... e lo invidiava.
“Meglio, fino ad un minuto fa mi parlava. È già qualcosa,” sorrise appena.
“Dai, mangia ora,” Scorpius gli allungò il piatto che aveva appena riempito. “Senza farti troppi problemi inutili... con tuo fratello si risolverà tutto.”
“Tu hai fratelli o sorelle?”
“No sono figlio unico.”
“Cugini? Ah no, mi avevi già detto che non ne hai...”
“Stai cercando di dirmi gentilmente che non posso capire?” ridacchiò Scorpius.
“No, che sei fortunato,” Al gli sorrise.
“Quello può anche essere. Ma di sicuro sono fortunato ma solo. Non pensi?”
“Be’, se vuoi ti presto mia sorella per un po’!” Al gli strizzò un occhio. “Ce la vedo, a casa che si dispera perché io e Jamie siamo partiti, che si strappa i capelli...”
Scorpius rise piano, riempiendo anche il proprio piatto: “Certamente essere in tanti ha i suoi pro e i suoi contro. Ma io penso che tu non te la debba prendere troppo. A tuo fratello passerà!”
Al sorrise appena: “Spero che i miei la prendano bene.”
“Be’... sicuramente la prenderà bene mio padre!” rise Scorpius. “Magari è la volta buona che mio padre ed il tuo riusciranno a fare un discorso civile senza insultarsi... che ne dici?”
Risero entrambi, e ad Al tornarono in mente le parole di Ron al binario nove e tre quarti, e rise più forte ancora, e si volse a guardare Rose, gli venne istintivo.
Victoire doveva averle aggiustato la cravatta, che ora era perfettamente annodata e sistemata; si era raccolta in parte i capelli con una molletta, ma questi sembravamo ribellarsi e minacciare di farla saltare da un momento all’altro... gli stessi capelli crespi, ribelli ed indomabili di Hermione, e per giunta di quel rosso fiamma che risaltava la sua carnagione chiara. Al sapeva che non si poteva dire che Rose fosse bella, anche se lui lo avrebbe ammesso sempre e comunque. Bella era un aggettivo che andava bene per Victoire, o per le sue sorelle, ma non per la piccola Rose.
Però, era adorabile.
Quando sentì lo sguardo del cugino addosso, Rose alzò gli occhi. Grandi e scuri come quelli di sua madre, espressivi e mai fermi, quelli sì che erano davvero belli... li fissò su Al, e gli rivolse il più bel sorriso di cui fosse capace, agitando appena una mano nella sua direzione.
“A lei sei davvero legato, vero?” chiese Scorpius.
“Sì, siamo cresciuti insieme, come fossimo gemelli... abbiamo solo due mesi di differenza, e mia mamma e la sua sono amiche per la pelle...”
“Beato tu che non sei mai stato solo.”
“Dai, non ti compatire. Vedi che non è sempre così bello avere una famiglia come la mia. Ti va di venire in biblioteca con me, dopo? Così facciamo quel temino di Pozioni.”
“Ma certo... se ti fa piacere. Se non hai da fare coi tuoi cugini.”
“Oh, ognuno ha qualcosa da fare. Ci sarà solo Rosie. O chissà, forse Vic. Cioè, spero ci sarà Vic, che è al settimo anno e almeno ci aiuta.”
Scorpius non rispose. Sorrise appena, affondando la forchetta nell’insalata.
“Sono sicuro che domani i tuoi ti risponderanno...” disse poco dopo.
“Lo spero... e spero vada tutto bene,” Al fissò il piatto sconcertato. “Sai, James si diverte sempre a spaventarmi, dice che sono un fifone, mi racconta cose tremende, e ovviamente false, solo per il divertimento di vedermi impaurito. Ma ora che ce l’ha con me, mi parla solo per deridermi, un po’ le sue frottole mi mancano. Mamma dice che quando vede le nostre scenette – Jamie che cerca di spaventarmi e io che ci casco – gli ricordo tremendamente zio Ron.”
“Che sarebbe il padre di Rose?”
“Esatto. Ma non so se lo dice per canzonarmi o per incoraggiarmi. Secondo me a volte si diverte più di James, anche se non lo vuole ammettere.”
“Ma dai! È tua mamma. Sarà di certo imparziale.”
“Io però sono un buon a nulla in ogni caso.”
“I buona a nulla non finiscono a Serpeverde nemmeno se lo chiedono espressamente, Al,” sorrise Scorpius spingendogli più vicino il piatto per incitarlo a mangiare, visto che se ne stava lì a fissare il cibo con aria assente senza toccare le posate.
“Tu dici?”
“Non dico, è così. Finisco difilati a Tassorosso.”
“Cathy però non è una buona a nulla.”
“Non sto dicendo che vale il contrario. Dire che tutti i buoni a nulla vanno a Tassorosso, non vuole dire automaticamente che tutti i Tassorosso sono dei buoni a nulla.”
“Ma magari a Tassorosso sarei stato meglio.”
“Tu stai bene dove sei, Al. E mangia qualcosa, o non starai bene davvero, ma perché avrai un collasso e dovremo portarti in infermeria!”
Al sorrise riconoscente, Scorpius stava ancora sventolandogli sotto il naso il piatto pieno e ancora intatto, con insistenza.
“Mi sembri Vic, anche lei se non mangio non mi molla più!” e rise. “Ma Vic ha sempre avuto la mania di fare la mammina a tutti... l’unico a cui non lo ha mai fatto è Teddy, ma solo perché lui è più grande.”
“Tu mangia invece di cianciare,” tagliò corto Scorpius ma sorridendo. “Che fino a domattina non si tocca cibo! Sennò poi in biblioteca crolli sul tavolo.”
Al ubbidì, affondando le posate nel piatto, seppure senza troppa convinzione: “Io ho nostalgia di casa. Sono un disastro, vero?”
“No, non troppo... ce l’ho anche io. Stanotte ho fatto fatica a dormire.”
“Bene, ora mi sento meglio. Non sono l’unico!”
Scropius si strinse leggermente nelle spalle: “Coraggio, è solo l’inizio, ci dobbiamo abituare. Ma di cose belle ne passeremo tante, insieme.”
Al sorrise del suo sorriso tenero: “Oh, sì!”
I suoi pensieri furono sommersi dal chiasso della Sala Grande, e per una volta lo lasciarono in pace, erano troppo confusi perché potesse afferrarli e guardarli nitidamente in faccia. Scoprì di avere appetito, con grande gioia del suo compagno, e si buttò sul piatto.
Al Giorno del Giudizio mancava ancora tutta la notte. Doveva approfittarne per risposare, era stata una giornata lunga e faticosa.
Note finali:
ERRATA CORRIGE: Mi sono accorta di aver sbaglito i calcoli: Victoire è al settimo anno, non al sesto. Ho corretto in fretta, scusatemi ^^
Capitolo 3 - Lettere di Miss Granger
Note dell'autore:
Spero con tutto il cuore di essere riuscita a mettere il vero carattere dei nostri personaggi "adulti" dentro le loro lettere, e che non risultino OOC... mi raccomando, sappiatemi dire ^^
Lettere

“Buongiorno tesoro!
Come è passato il tuo primo giorno a scuola? Non vediamo l’ora che tu ci scriva raccontandoci ogni cosa: i compagni, i professori, le lezioni... hai già avuto modo di parlare con la Preside? Con Neville?
Qui, ovviamente, va tutto bene. Lily si lamenta della vostra assenza, dice che si annoia e non sa che cosa fare senza di voi, anche già dopo due giorni soltanto. Per distrarla, oggi papà ha deciso di portarla con sé al lavoro; sai quanto le piace trotterellare per i corridoi del Ministero, e soprattutto per quello del Dipartimento Auror. Inoltre, credo che nonno Arthur la porterà a fare un giretto a Diagon Alley, visto che oggi lavora solo mezza giornata; perché devi sapere che la tua sorellina ha proclamato che vuole anche lei quaderni e calamai (come se in casa non ce ne fossero abbastanza), e imparare anche qualche incantesimo.
Inutile aggiungere che, quando le abbiamo detto di non pensarci finché è in tempo, ha ribattuto decisa che si rivolgerà a zia Hermione il prima possibile.
Ah, e l’ultima trovata della piccola, è stata riunire (non so come abbia fatto in mezz’ora che l’ho lasciata sola) la famiglia al completo ieri sera qui in salotto per “sottoporla alla questione dell’esito dello Smistamento”... o almeno queste sono state le sue parole.
Immagino già Rosie piegata sul tavolo dal ridere. Ebbene, abbiamo riso anche noi; ma dopotutto la conversazione è riuscita allegra e divertente, abbiamo parlato di tante cose, e qui gli zii fanno a gara a proporsi come consiglieri per te e Rosie, di qualunque cosa abbiate bisogno!
Ovviamente, zia Hermione si propone di aiutarvi coi compiti e le lezioni; zio George dice che, nel caso vogliate darvi agli scherzi (NON ascoltatelo, per Merlino!), lui sarà disponibile, e via così...
Credo sia tempo però che veniamo al punto che, lo so, ti preme tanto, tesoro. Lo Smistamento.
Non ci è piaciuto per niente venire a sapere che tuo fratello è in collera per la cravatta che indossi; ma lo avrai già scoperto da te, se solo avrai dato un’occhiata al suo tavolo...”


Al interruppe la lettura della lettera dei suoi genitori, e seguì il consiglio di Ginny, sporgendosi per poter guardare il tavolo dei Grifondoro.
Non aveva fatto caso se anche a suo fratello fosse arrivata la posta; quando aveva riconosciuto il suo gufo, Popsy, tra la folla di pennuti , non si era curato più di nulla e di nessuno.
Ma ora, facendo il possibile per guardare laggiù, si rese conto che accanto al fratello stava il suo gufo, e che James teneva in mano nientemeno che... no, non era possibile!
Una Strillettera!
“Ops...” si lasciò sfuggire Al. “Mamma deve essersi proprio arrabbiata...”
Vide Victoire dividere lo sguardo tra il tavolo dei Serpeverde e quello dei Grifondoro, costernata e divertita allo stesso tempo. Quella era una trovata assolutamente credibile di Ginny!
“Questo non è per nulla uno sviluppo positivo...” borbottò Al davanti all’immenso punto di domanda che aleggiava sul volto di Scorpius, che si era voltato a guardarlo. “Mia madre se l’è presa sapendo che mio fratello mi tiene il broncio per lo Smistamento, e gli ha mandato una Strillettera...”
“Be’, almeno tuo fratello saprà come la pensano i tuoi, no?”
Al scosse la testa: “Se c’era speranza che gli passasse presto, adesso è ormai sparita... non mi parlerà per i prossimi sette anni... o per l’eternità, nel caso io mi rifiutassi di fare domanda per entrare all’Addestramento Auror.”
“Perché, a casa ti vogliono Auror?”
“No, no. Ma credo che Jamie sogni di diventarlo, come nostro padre e nostro zio.”
“Be’, effettivamente una Strillettera è un po’ esagerata, a pensarci.”
“Decisamente, anche perché Jamie ieri già era più tranquillo.”
“Che ci vuoi fare, i genitori sono così. Fanno sempre di testa loro!”
Al si alzò in piedi; era così piccolino che nessuno se ne sarebbe accorto, e sgattaiolò fino al tavolo dei Corvonero, vicino a Victoire e Rose. Non poteva assolutamente perdersi le urla di Ginny che avrebbero investito suo fratello...
“Per Merlino, zia Ginny l’ha presa male!” esclamò Rose in un sussurro, afferrando la mano di Al. Nell’altra, notò il cugino, teneva anche lei una lettera. Sicuramente, Ron ed Hermione le avevano risposto, così come Ginny e Harry avevano risposto a lui.
“Credo sia la cosa migliore per ridimensionare un po’ quel ciarlatano di tuo fratello, piccolo,” fu invece il deciso commento di Victoire.
“UNA SOLA COSA INTENDO DIRTI, JAMES, E CHE TI ENTRI BENE IN TESTA!” tuonò, ma stranamente senza urlare, la voce di Ginny. “LASCIA STARE TUO FRATELLO, E DACCI UN TAGLIO CON QUESTA QUESTIONE DELLE CASE! FORSE CHE TUO FRATELLO è IL PIMO A NON ESSERE A GRIFONDORO? PENSA A IMPEGNARTI STUDIARE, INVECE CHE PERDERE TEMPO CON CERTE SCIOCCHEZZE... NON VOGLIO MAI PIù VENIRE A SAPERE CHE CE L’HAI CON LUI PER IDIOZIE DEL GENERE... MI SONO SPIEGATA? VI MANDIAMO A SCUOLA PER IMPARARE, E NON PER LITIGARE... NON LO DIMENTICARE!”
La lettera si disintegrò un momento dopo, mentre ancora James la fissava strabiliato, confuso e un po’ seccato; diventò un mucchietto di coriandoli porpora davanti al ragazzo, e nella Sala tutto fu silenzio per qualche secondo, finché il chiacchiericcio non riprese.
“Ma... Al, che cosa stai facendo?” esclamò Victoire. Al si era nascosto sotto il tavolo, tra le sue gambe e quelle di Rose, e sembrava aver paura di essere visto.
“Non voglio che James mi veda ora! Mi salterebbe alla gola!” così dicendo, il ragazzino sgusciò fuori da sotto il tavolo, dalla parte opposta, e corse mezzo chinato fino al suo tavolo.
“Ma Al, mica è colpa tua! E poi zia Ginny ha fatto benissimo,” lo rincorse la voce di Rose.
“Sì, ma questo a James non importerà nulla! Se la prenderà con me senza farsi problemi!” pensò Al, mentre ritornava a prendere furtivamente posto sulla sua sedia.
“Vedo che tua madre sa quando è il momento di urlare e quando no,” sorrise Scorpius.
Al non rispose nulla. Posò gli occhi sulla lettera dei suoi ancora aperta sul piatto, e dopo aver dato un’ultima sbirciata a suo fratello (il quale era leggermente scosso per il rimprovero ma nemmeno più di tanto), la riprese tra le mani.

“(...) Non ci è piaciuto per niente venire a sapere che tuo fratello è in collera per la cravatta che indossi; ma lo avrai già scoperto da te, se solo avrai dato un’occhiata al suo tavolo... sai che non amo sgridarvi per il puro piacere di farlo, ma non mi va che James faccia cavilli su cose simili.
E ora che ci siamo, vorrei dirti, mio piccolo Al, che io sono ORGOGLIOSA di te.
A me non è mai importato in quale Casa saresti stato smistato; e continua a non importarmi. Non so se sei stato assegnato a Serpeverde perché davvero lo meriti, o perché lo hai chiesto; ma d’altronde non fa poi molta differenza. Le tue capacità emergeranno in qualunque Casa sei, e resterai sempre e comunque il nostro piccolo. Non farti problemi, non ascoltare tuo fratello.
Sai che è capace soltanto a parlare, parlare e parlare. E poi era ora che qualcuno rompesse la tradizione di famiglia! Cathy, Vic e Rosie lo hanno fatto prima di te. Io sono veramente contenta, e non vedo l’ora di sapere che cosa mi combinerai di bello... qualunque cosa sceglierai, Al, sarà sempre la migliore, se la vorrai davvero.
Ti voglio bene, piccolo mio, e mi manchi.
Ti abbraccio forte e ti mando un bacio,
la tua mamma.


Ciao, mio piccolo Al,
come stai? Sicuramente qui sopra mamma ti avrà già riempito di domande, e ti avrà già detto come abbiamo preso la notizia dello Smistamento. Ti avrà parlato della Strillettera per tua fratello (l’idea gliel’ha data zio Ron, senza volere), e dei capricci di tua sorella.
Quel che vorrei dirti io, è COMPLIMENTI, PICCOLO. Sì, complimenti per il tuo coraggio.
Quando sono stato smistato io, il Cappello Parlante voleva assegnarmi a Serpeverde; sono stato io a supplicarlo di non farlo, perché zio Ron mi aveva parlato malissimo di quella Casa, aggiungendo che la migliore secondo lui era sicuramente Grifondoro. Un po’ quel che ha fatto James con te... mi è capitato più volte di dubitare di aver fatto la scelta giusta... avevo paura, proprio come te, tesoro, di essere finito nella Casa sbagliata. Tu sai che cosa mi rispose Silente quando provai a spiegare le mie paure.
Hai fatto una scelta, Al, e sono certo che non l’hai fatta a caso. Essere a Serpeverde non significa essere per forza un cattivo mago, o un mago malvagio. Ci sono stati tanti maghi malvagi che ad Hogwarts erano appartenuti ad altre Case, perfino Grifondoro. Proprio perché noi siamo quello che scegliamo di essere. Qualunque sia quel che abbiamo vissuto, siamo noi a decidere se essere buoni o cattivi.
E poi, gli uomini non sono divisi in Auror e Mangiamorte, Al! Non esistono solo onestà e disonestà, né solo bene e male. Prendi la questione delle Case come un gioco. Hai avuto i tuoi buoni motivi per scegliere la Casa cui essere assegnato... io e mamma ci fidiamo di te, davvero.
Anche tu devi fidarti di te stesso, a questo punto, tesoro. Lascia parlare James finché non gli si seccherà la lingua. Quando vuole sa essere davvero noioso.
Serpeverde ha fatto un ottimo acquisto; sarai il migliore della sua nuova scuderia, piccolo, non lo dimenticare. E poi... non trovi che la cravatta si intoni a meraviglia coi tuoi occhi?
Raccontaci presto quello che fai, e come ti trovi, mi raccomando.
Con tutto il mio affetto, ti abbraccio forte,
il tuo papà.


Al sospirò; ripiegò la lettera, la voce di suo padre, che aveva immaginato mentre leggeva, ancora gli risuonava dolcemente in testa. Era piacevole, e sarebbe stato felice, se solo il pensiero di suo fratello non lo avesse frenato.
In effetti, a guardare bene, James sembrava averla presa abbastanza male... si era alzato con fare altezzoso dal tavolo, la camicia fuori dai pantaloni e la cravatta storta, e con lui avevano lasciato il tavolo anche un nugolo di amichetti.
Quando si accorse che James puntava dritto verso il suo tavolo, Al inorridì: istintivamente, afferrò la mano di Scorpius che gli era più vicina, e la strinse fino a stritolarla.
“Ecco, ora... ora ce l’ha con me!” piagnucolò con fare infantile.
“Non che prima non fosse così, eh...” osservò il compagno quietamente.
“Ma ora è peggio!” genette Al. “Ora Jamie mi odia!”
“Che parola grossa...” lo corresse senza turbarsi Scorpius.
Al però, sembrava sinceramente spaventato, mentre il fratello gli si avvicinava con fare ben poco amichevole.
“Cosa vuoi che osi farti, in Sala Grande all’ora di colazione?” provò a sussurrargli Scorpius. “Al massimo ti urlerà qualcosa, ma non credo vostra cugina gliela lascerà passare franca!”
Al non rispose. Teneva gli occhi fissi sul fratello, sgranati fino a sembrare enormi, e sembrava pietrificato, da tanto restava immobile.
“Al,” disse solo James quando gli fu accanto. “Tu mi hai preso sul serio vero?”
Al non rispose.
“Cioè, ti sono sembrato serio, vero, quando ti dicevo che non voglio accettare che tu sia stato smistato a Serpeverde?”
Al annuì, sforzandosi di sostenere lo sguardo del fratello. Mai James gli era sembrato così grande e minaccioso, nei suoi undici anni di vita.
“Be’, è vero,” ora ad essere imbarazzato era James; guardava a terra, e aveva le mani in tasca.
“Ho fatto un po’ di scena... è che mi dispiace. Mi dispiace che l’hai presa male, io volevo solo dirti che non mi piace che tu faccia le cose sperando di far dispetto a me.”
“Mamma ha esagerato,” sussurrò Al così piano che James lo sentì a malapena.
“Sì, certo. Ma mi spiace se l’hai presa tanto male.”
Al, sconcertato, si alzò in piedi, come se non credesse alle sue orecchie: era la prima volta, da che lui ricordasse, che James gli chiedeva scusa per qualcosa, soprattutto dopo che i genitori lo avevano rimproverato per essersi comportato male col fratellino...
“Senti, facciamo che stai dove sei e io faccio finta che non l’hai fatto per indispettirmi, eh?”
“Non l’ho fatto per indispettirti, l’ho fatto per non vivere nella tua ombra.”
James si ammutolì. Quella rivelazione sembrava piacergli sempre meno.
“Qualunque motivo sia, non importa” James aveva abbassato la voce, sembrava non voler essere sentito da chi stava loro intorno. “Se sei contento, lo sono anche io.”
Al non sapeva che cosa rispondere. Non si sarebbe mai aspettato una Strillettera, quando lui e suo fratello litigavano, solitamente i genitori distribuivano le colpe tra entrambi, e li mettevano a tacere tutti e due senza troppe distinzioni. Cos’era successo stavolta? Perché se l’erano presa tanto con James consolando lui? Lo credevano davvero un bimbetto così indifeso e smarrito da avere sempre bisogno di nascondersi nelle gonne della mamma...?
“Senti, Jamie, non sono stato io a chiedere alla mamma di mandarti una Strillettera...”
James si strinse distrattamente nelle spalle: “Pazienza... papà me l’aveva detto che si sarebbero arrabbiati se non l’avessi fatta finita,” giocherellò nervosamente con un piede, fissandolo, come se si vergognasse di guardare in faccia il fratellino.
“Mamma e papà ti hanno scritto altro?” chiese piano Al.
“Sì, c’è una lettera di papà.”
“Ce l’hai con me, ora?”
“No, perché?”
“Be’, pensavo... la Strillettera... mamma ce l’avrà con te per un po’...”
“Pazienza le passerà... non vedendomi le passerà presto.”
Al sospirò: “Mi dispiace.”
“Lascia stare. Dispiace a me. E poi papà ha ragione. Quella cravatta si intona ai tuoi occhi.”
Per Merlino... Ginny gli aveva mandato la Strillettera, ma anche Harry doveva avergli dato una bella strigliata nella sua lettera, almeno a giudicare dal comportamento remissivo di James.
Ad Al un po’ dispiaceva sul serio. E poi, non gli piaceva essere difeso così spudoratamente dai suoi genitori, a discapito del fratello o della sorella, o di un cugino. Lo faceva sentire in colpa.
“Ci vediamo a pranzo, Al,” concluse James salutandolo con un insolito, affettuoso buffetto sulla testa, scompigliandogli i capelli.
“A pranzo,” rispose solo il ragazzino, alzando appena una mano, quindi, rimase ad osservare il fratello che si allontanava, in silenzio.
“Visto?” gli sussurrò all’orecchio Scorpius. “Visto che è andata bene?”
“Per Merlino, mai in vita mia, mio fratello si è scusato con me... deve veramente avergliene dette di tutti i colori nostro padre, in quella lettera...”
“Anche tua madre non scherza,” solo in quel momento Al si accorse che il compagno, come lui, aveva una lettera in mano.
“Anche a te hanno scritto i tuoi?” chiese.
“Sì... pare che oggi sia la giornata delle lettere. Tutti i tuoi cugini ne hanno una in mano.”
Al si volse, e constatò che Scorpius aveva ragione: Victoire, Cathy, Bessie, Fred, Rose... tutti quanti avevano dei fogli di pergamena, e leggevano avidamente, a volte sorridendo, altre ridendo.
“Chissà che ha scritto zio Ron a Rosie..” sussurrò alzandosi in piedi istintivamente.
Scorpius, che sembrava essersi già abituato alle idee repentine del compagno, sorrise appena, limitandosi a ributtarsi nella lettera dei suoi, che ancora non aveva terminato.
“Anche tu lettere da casa, Rosie?”
“Oh, sì,” dal sorriso soddisfatto della ragazzina, il cuginetto capì che le notizie erano buone.
“Che dicono gli zii dello Smistamento?” si informò curioso.
“Mamma è contentissima, dice che era convinta che sarebbe finita così, perché è il posto giusto per me, e che di Grifondoro in famiglia ce ne sono già troppi, che prima o poi lo stemma di Hogwarts che c’è in casa avemmo dovuto modificarlo, cancellando i simboli delle altre Case...” rispose Rose come un fiume in piena, mangiandosi le parole, eccitata.
Al sorrise: “Mamma e papà mi hanno scritto che sono orgogliosi.”
“E hanno fatto lo shampoo a Jamie,” concluse Rose con un sorrisetto. “Ho notato che è venuto a scusarsi... come mai? Gli hanno dato una padellata in testa? È stato colpito da un Confundus tramite Strillettera?” e rise appena.
“Non lo so, non so spiegarmelo,” Al si avvicinò di più a Rose, fino ad appoggiare la testa alla sua.
Lo facevano da sempre. Ad Al piaceva appoggiare le tempie al cespuglio crespo rosso fiamma che erano i capelli della cugina, e poter quasi contare le sue lentiggini; era una sensazione che lo faceva tornare bambino, e gli ricordava gli assolati pomeriggi d’estate alla Tana, ad aspettare che nonno Arthur tornasse dal lavoro e mostrasse loro qualche interessante marchingegno babbano, oppure raccontasse loro una delle sue splendide storie su quella specie di Società Segreta, l’Ordine della Fenice...
“Be’, meglio così, no?” rise appena, la stessa risatina di Hermione. “Credo che andrà meglio ora.”
“Io invece ho paura che ce l’abbia ancora di più con me, adesso, perché mamma lo ha sgridato per difendere me.”
“Non penso. Non sarebbe da lui, no?” rise di nuovo, appena. “Credo che la strigliata di zia Ginny e zio Harry sia servita per un po’,” e senza aggiungere altro, allungò ad Al la lettera che aveva in mano. Recava la bella scrittura chiara e fluente di Hermione.
Al la scorse velocemente, con un lieve sorriso, come cercando qualcosa che gli interessasse... finchè lo trovò, e capì perché Rose gli avesse dato la lettera.

(...) Per quel che riguarda il nostro Al, sono egualmente contenta e soddisfatta. So bene che Jamie non l’ha presa bene, e ad essere sincera anche papà all’inizio ha fatto una smorfia. Ma io sono felice. Sono passati, e lo sapete, i tempi in cui la rivalità tra le Case era qualcosa che quasi si poteva toccare. Sono finiti i tempi delle guerre contro il Signore Oscuro, quando Serpeverde era solo un covo di presuntuosi Purosangue con la puzza sotto il naso, che andavano orgogliosi di aver avuto Ton Ridde tra le proprie file... ormai Hogwarts è tornata ad essere semplicemente una scuola divisa in quattro Case, per rispettare al meglio le scelte e le abilità dei suoi studenti.
Tu, piccola, mi hai scritto che Al ti ha detto di aver chiesto espressamente di essere mandato a Serpeverde, per fare dispetto a Jamie. Ma io penso che, al di là di questo sgambetto (sono sempre i soliti!), Al meritasse in ogni caso di separarsi da Jamie.
Sette anni a Grifondoro con Jamie avrebbero significato per Al vivere nella sua ombra. Essere solo “il fratellino di James Potter.”
Un po’ come papà con zio George e zio Fred, quando andavamo a scuola noi. Essere, non solo in un’altra Casa, bensì addirittura a Serpeverde, per leggenda il nemico giurato di Grifondoro (tesoro, promettimi solennemente che non ti farai MAI, MAI contagiare da questa visione delle Case, è qualcosa di aberrante!), sicuramente farà sì che Al sia conosciuto per quel che è davvero, e che non sia per forza associato a Jamie, o almeno, lo sia per le differenze tra loro.
Credo che questo ad Al piacerà molto, e soprattutto, gli farà bene. Fagli leggere queste righe: qualcosa mi dice che gli piaceranno!
E non posso che complimentarmi con te, che hai saputo vedere l’accaduto positivamente, e che ne sei contenta come lo siamo io, zio Harry, zia Ginny...
In quanto a nonna Molly... inutile dire che era troppo occupata a piangere e singhiozzare e lamentarsi che i suoi “piccolini” ormai se ne sono andati per commentare... dopodiché è sparita, dicendo che andava da zia Andy...


“Vedi, anche la mamma è tutta dalla tua!”
Al sorrise, ripiegando il foglio di pergamena: “Zia Hermione è un mito, l’ho sempre detto.”
Di nuovo, Rose rise appena: “Sì. La lettera di papà non l’ho ancora letta, però. Ma mamma mi ha assicurato che domani o dopodomani al massimo ci arriveranno le lettere dei nonni.”
Al batté le mani in gesto infantile: “Fantastico!”
“Jamie è sparito,” osservò Victoire, gettando uno sguardo ai cuginetti. “Non ci crederò mai che è già andato a lezione. Non è ancora ora... sarà andato a combinare guai?”
“O forse a cercare di elaborare un modo per farsi perdonare da zio Harry!” rise Fred da dietro di lei. “Se l’è presa molto?”
“Pare di sì, ma la lettera non l’ho letta.”
“Be’, per essere andato da Al a scusarsi...” commentò Bessie in modo un po’ perfido. “Credo non lo abbia mai fatto in vita sua! E lo sappiamo, che zia Ginny si innervosisce spesso e volentieri, ma zio Harry... pare che questa questione delle Case proprio non la sopporti. Chissà poi perché!”
Al sapeva la risposta, almeno in parte. Ma tacque, limitandosi ad abbassare il capo. Erano cose tra lui e suo padre, che nemmeno Rose conosceva, nemmeno James. C’era sempre stato un rapporto speciale tra Al ed Harry, ed il ragazzino ne era consapevole.
James, lo scapestrato figlio maggiore, adorava i genitori, ma era molto indipendente, voleva sempre andare per la sua strada, si sentiva grande, credeva di non aver più bisogno dei gesti di affetto, ormai... anche se poi voleva che i suoi gli scrivessero tre volte a settimana.
Lily, invece, la piccolina, l’unica femmina, era coccolata e viziata, più che di genitori, dagli zii e dai nonni, e quando voleva ottenere qualcosa sapeva bene come sgranare gli occhioni scuri... che erano in grado di conquistare allo stesso modo sia l’arrendevolezza di Ginny sia quella di Harry.
Ma Lily e James avevano in comune un carattere d’acciaio, una volontà impiegabile, che mostravano entrambi senza alcuna vergogna. Al, invece, era emotivo e sensibile esattamente come Harry, ed incapace di nasconderlo; e forse era proprio questo che lo legava al padre in modo così speciale, e che li faceva sentire tanto vicini... perché non si somigliavano in modo impressionante solo nell’aspetto, ma anche, e soprattutto, nel carattere.
Era vero che Al, rispetto al padre, era più dolce ed affettuoso; ma troppe volte Harry rivedeva sé stesso nell’insicuro e timido figlio minore, per questo Al sapeva di lui molte più cose di quante ne sapessero Lily e James messi insieme.
Sapeva di essere privilegiato, e ne andava orgoglioso. Oltre ad esserne geloso. Lasciò Bessie ai propri dubbi, senza nemmeno pensare di aiutarla. Essere consapevole di conoscere cose che i suoi cugini nemmeno immaginavano, gli dava un piacere che non avrebbe saputo definire, ma che gli scaldava il cuore.
Sapeva che i genitori non avevano mai fatto preferenze tra loro tre; non esisteva un figlio prediletto per nessuno di loro, tutti erano rimproverati o lodati allo stesso modo e per gli stessi motivi. Però un legame particolare era quasi ovvio. Al lo vedeva anche al di fuori della sua famiglia: come Victoire era la sola tra le sue sorelle ad essere perfettamente bilingue, oppure come Ginny aveva un rapporto speciale con suo padre, così Al sentiva che quel che lo legava a Harry era un piccolo privilegio non concesso a suo fratello e sua sorella.
“A volte rompere una tradizione è solo positivo!” esclamò Fred convinto. La sua voce riscosse Al, che come al solito aveva la testa altrove. Ormai tutti ci erano abituati in famiglia, tanto da ripetere sorridendo: “Il favoloso mondo privato di Al”, quando non riuscivano ad attirare la sua attenzione.
“Andiamo, è tardi,” disse solo Victoire alzandosi in piedi e afferrando la borsa dei libri che le giaceva ai piedi. “Rosie, Al, siete pronti?”
I due interpellati scattarono come piccoli soldatini, senza una parola.
“Perfetto, allora iniziate ad avviarvi, la campanella è suonata. E voi non state troppo lì a cianciare inutilmente!” ammonì gentilmente Bessie e Fred, sorridendo appena. “Vado a salutare Cathy.”
In un frullo di capelli di fiamma, Victoire scomparve, mentre Al avanzava a lunghi passi verso il suo tavolo, seguito da Rose. Avevano Difesa insieme, quella mattina.
“I tuoi che dicono?”chiese cantilenando Al appena raggiunse Scorpius.
“Che sono contenti... mio padre ha saputo che sei in Casa con me,” l’altro sorrise divertito. “Si è stupito, e mi ha chiesto qualcosa di te. Chissà come reagirà... gli ho scritto che sei simpatico, che abbiamo legato e che dormi accanto a me.”
“Lo hai fatto apposta!” esclamò Rose con un immenso sorriso, comparendo da dietro la spalla del cugino.
“Ovviamente sì. Tanto prima o poi Al farà lo stesso con suo padre. Nevvero?”
“Risponderò stasera ai miei,” Al sorrise timidamente. “E sicuramente parlerò di te.”
Scorpius rise appena: “Dai che scherzavo. Che cosa abbiamo?” ma un momento dopo posò gli occhi su Rose. “Difesa contro le Arti Oscure... visto che stai venendo con noi!”
Rose annuì, abbastanza seria. Chissà a che cosa stava pensando.
“Al, hai idea di quando abbiamo Erbologia? Oggi mi pare, ma forse...” disse tranquillamente Scorpius mentre i tre si avviavano, borse in spalla, verso l’aula.
“Oggi pomeriggio, è l’ultima lezione della giornata. Rosie, tu hai già avuto Neville, vero?”
“Sì, ieri. Ma non ha fatto nessuna grande scenata quando ha letto il mio nome sul registro! Almeno lui... mi ha sorriso di un sorriso speciale, ma nient’altro. Niente prediche su chi sono mamma e papà o, peggio ancora, su zio Harry...”
“Allora forse ci salviamo, Al,” Scorpius lo disse e scoppiò a ridere allegramente.
“Tra tutte e tre, sembriamo dei condannati,” commentò Al con un sospiro. “Ed è tutta colpa dei cognomi che portiamo.”
“E delle nostre facce, non te lo dimenticare!” lo corresse Rose. “Perché non dobbiamo dimenticarci i tuoi capelli neri e i tuoi occhi verdi, né tantomeno l’orribile cespuglio sulla mia testa...”
“Oppure la mia superba criniera platinata,” aggiunse con disprezzo Scorpius, tirandosi una ciocca di capelli, disgustato. “O la mia pelle bianca come un lenzuolo... sono l’immagine di mio padre, lo so fin troppo bene... ed è pesante, a volte.”
“Be’, qui, in mezzo a gente che ha conosciuto – e cresciuto! – i nostri genitori, è pesante sì,” rifletté Rose portandosi un dito alle labbra in gesto pensoso.
“Se dici così mi fai sentire un intruso!” rise di cuore Scorpius. “Voi, i figli del famoso Trio... e io, l’infiltrato molesto!”
“Non dirlo nemmeno per scherzo!” l’ammoni però Al, con un faccino serio che non gli si addiceva. “Che dicano quel che vogliono, sono tutti dei pettegoli. A me non importa un fico se mio padre ed il tuo hanno passato la vita a litigare.”
“C’è qualcosa di più grosso, dietro, Al,” disse solo l’altro. “Ma mio padre non vuole dirmelo.” “Questo però non è il momento!” li interruppe saggiamente Rose, facendo loro segno verso la porta spalancata dell’aula. “Andiamo!” e sorrise allegra.
Uno dopo l’altro, i tre ragazzi entrarono, in silenzio ma sorridenti, chiudendosi la porta alle spalle.

Caro papà, cara mamma,
io sto davvero benissimo. Chi sta un po’ meno bene è Jamie! Papà, che cosa gli hai scritto in quella lettera? Perché appena l’ha letta è corso da me per scusarsi, poi è sparito. A pranzo l’ho visto di sfuggita, a cena lo stesso, e poi è scomparso ancora, e non so dove sia, ma a cena aveva una faccia da funerale che metteva paura!
Vic dice che gli sta bene, però a me dispiace. Che stia male per colpa mia, intendo. È vero, se l’era presa tanto per lo Smistamento, ma lo sapete che per queste cose se la prende sempre. E poi io non cambio di certo idea, anzi. Sono contento di stare dove sono.
I miei compagni di casa sono simpatici, anche se James non ci crede. Lui dice che i ragazzi che vengono smistati a Serpeverde non possono essere simpatici... che idiozia.
Sapete, Scorpius, il figlio di quel signore che papà ha salutato appena a King’s Cross, è veramente un ragazzo splendido! Rose dice che non sarete contenti leggendo questo, ma non capisco perchè. Scorpius è un mito.
Quando gli insegnanti iniziano con la solita lagna (“Potter... ma Potter figlio di Harry? Ma sei davvero il figlio di Harry? E com’è che ti chiami? Oh, ma che nome importante... accidenti il nome di Silente, il più grande preside di Hogwarts... ma perché hai anche il nome di Piton? E tua madre chi è? È stata mia alunna? Non ricordo con chi si è sposato Harry... ah ma lei allora è la tua cuginetta! Ma tu guarda, il figlio di Harry Potter e la figlia della Granger e del piccolo degli Weasley... era proprio Destino!) lui mi fa ridere con le sue battute. È molto divertente, riesce a strapparmi un sorriso anche quando sono in imbarazzo.
James dice che ho fatto amicizia con della gentaglia. Sempre il solito.
È che io, Rosie e Scorpius abbiamo la stessa sfortuna, ovvero i nostri cognomi. Gli insegnati additano a tutti e tre, qui, e così anche alcuni ragazzi. Ovvio, più a me e a Rosi che a Scorpius; ma quando mi vedono seduto in banco con lui, iniziano subito con la stessa predica...
L’unico che non è stato noioso e non ha iniziato a fare grandi discorsi sui nostri cognomi è stato Neville. Ha sorriso a me e Rosie in modo speciale, e se lo incontriamo fuori dall’ora di lezione si ferma volentieri a chiacchierare un po’, e ci chiede di voi e di Lily, e di Hugo, ma nient’altro.
Almeno lui, ci tratta come degli studenti normali.
Il professor Lumacorno, invece, è davvero noiosissimo. Con lui ho avuto la mia prima lezione, la primissima di tutta la mia carriera di maghetto, e non sono state due ore molto piacevoli.
Sono sicuro che è un uomo simpatico e divertente, ma mi ha messo un po’ troppo al centro della attenzione... sua e di tutti, certo.
Quella mania che ha di iniziare parlando dei cognomi famosi o conosciuti che legge sull’appello!
Con me non voleva smetterla più. E poi chissà che si aspettava leggendo il mio nome. Certo non quello scricciolo pelle e ossa tutto occhi che sono.
Papà, tu hai un nome normale! Io no. E faccio ridere, non pensi, secco secco come sono, piccino e palliduccio con un nome così importante!
Per non parlare di cosa cominciano a sputare fuori gli insegnanti quando vedono la mia cravatta. Mamma, papà, sono condannato tutta la vita per il mio cognome?
Anche il professore di Difesa... è stato vostro compagno, si chiama McMillan. I ragazzi grandi dicono che ha fatto parte dell’Esercito di Silente con voi e ha combattuto la Battaglia di Hogwarts. Lui però queste cose non le ha detto, e io certo non gliele chiedo.
Il professore di Incantesimi, invece, sembra essere innamorato di Rosie. Dice che la figlia di zia Hermione, per di più col cravattino della sua Casa, sarà sicuramente un genio in Incantesimi.
Per quanto riguarda la Preside, no, mammina, non le ho parlato. Ha fatto il suo discorso la sera che siamo arrivati, ma poi non è avvicinabile. Però quando io e Rosie siamo stati Smistati, era molto attenta, e quando io sono stato mandato a Serpeverde, ha fatto una faccia strana.
Victoire dice che avremo occasione di parlarle, io e Rosie. Devo dire che la si vede spesso girare per i corridoi e chiacchierare con i ragazzi. Non è una preside antipatica che sta sempre chiusa nel suo ufficio a farsi venire i capelli bianchi su carte ammuffite, come dice zio Ron.
Ah, sapete che Jamie sta facendo il diavolo a quattro perché dice che vuole fare i provini per la squadra di Quidditch? Mi sa che quando sparisce va a imboscarsi da qualche parte per fare un po’ di allenamento. Credo che il fatto che tu gli hai promesso la tua scopa se entra nella squadra, papà, gli ha fatto venire una voglia matta di riuscirci.
Io per ora, mi accontento del tuo mantello. Vic è intervenuta con un colpetto di bacchetta per cambiare lo stemma, e io ora ne sono orgoglioso. Non pretendo la scopa di mamma se mai farò parte della squadra, non mi interessa come interessa a Jamie. Mi basta meno.
Però anche a me piacerebbe allenarmi un po’ a Quidditch e penso lo farò con Scorpius. Anche a lui piace tanto. Chiederemo a Freddie di venire con noi, e a Bessie. Almeno sarà divertente.
Passando a voi. Mi spiace tanto per Lil, poverina. Ma si dovrà abituare. E poi, tra due anni anche lei verrà a scuola e non ne potrà presto più di averci sempre tra i piedi .
Potete mettervi d’accordo con zia Hermione, e portare Lil e Hugo da zia Andy, quando siete al lavoro. Loro due giocheranno insieme, e la zia non si sentirà sola visto che Teddy non c’è mai, no? E i nonni piuttosto, come stanno? Sentono la nostra mancanza?
Zia Hermione ha scritto a Rosie che presto ci arriveranno le loro lettere.
Be’, lo spero, ovviamente... forse nonna Molly si sentirà un po’ sola senza me e Rosie, ma se davvero Lil si annoia tanto, potrebbe farle visita spesso con Hugo, e farsi preparare qualche torta di quelle deliziose, così la nonna si lamenterà un po’ meno!
Voi mi mancate tanto, però. Non è poi così difficile, qui, perché ci sono tutti i ragazzi, e ci vediamo spesso anche se siamo in Case diverse. Però non è facile pensare che non potrò vedervi fino a Natale.
A Natale voglio tornare a casa, ve lo dico già ora.
Sarà bellissimo rivedervi dopo quasi quattro mesi! Non ho idea di che cosa vogliano fare Jamie e gli altri; e non mi interessa. Quest’anno, voglio tornare a casa e passare due lunghe settimane con voi; poi si vedrà.
Spero che mi scriverete presto e spesso; Jamie potrà dir quel che vuole che sono un bambinetto e che ho nostalgia di casa. Ho deciso che non voglio più dargli retta quando mi annoia così.
Vi abbraccio forte, forte anche io; vi mando un bacio, uno per ognuno. Pensate a me come io penso a voi... mi mancate tanto e vi voglio bene.
Il vostro, sempre,
Al


Al posò la piuma e mise da parte il calamaio ormai mezzo vuoto, rimanendo a gambe incrociate sul letto a fissare la lettera con sguardo perso.
Riscuotendosi, alzò la testa e si guardò intorno: i suoi compagni di dormitorio erano tutti sotto le coperte: Mike si era già addormentato, Will e Sam leggevano libri pieni zeppi di figure, mentre Scorpius, dal letto accanto, frugava nel baule alla ricerca di qualcosa; o almeno così sembrava.
“Che cosa hai perso?”chiese Al a mezza voce.
“La mia felpa preferita. Sono strasicuro di averla portata, ma non la trovo. Voglio metterla sabato.”
Al non rispose; rimase solamente fermo ad osservare il compagno, che indossava ancora la divisa.
Lui, invece, era già in pigiama e pronto per la notte; sapeva che presto si sarebbe imboscato sotto le coperte al calduccio, e si sarebbe addormentato in un nanosecondo. Si sentiva stanchissimo, la giornata era stata pesante, e scrivere a letto non lo aveva certo aiutato a riposarsi.
“Hai scritto ai tuoi?” chiese la voce di Scorpius da dentro il baule, echeggiando appena.
“Sì,” Al lo disse quasi distrattamente.
“Con tuo fratello poi come va?”
“Pare bene. Oggi l’ho visto pochissimo. Credo si stia allenando per i provini di Quidditch.”
“Avrà paura di fare una figuraccia...figlio di due giocatori del genere!”
“Anche tuo padre giocava a Quidditch?”
“Sì, come Cercatore... ma non è mai stato un gran campione, pare!” Scorpius rise. “In confronto a tuo padre che ha fatto vincere la squadra per quattro anni di seguito, poi....”
“Sì, è vero.”
“Nemmeno io mi considero un gran campione, anzi; però il Quidditch mi piace, tutto qui.”
“Anche a me, ma il campione è mio fratello. O almeno, lui è convinto di esserlo.”
“Saranno i risultati delle partite a dirlo. Ammesso che sia preso nella squadra. Non so se davvero la squadra di Grifondoro abbia bisogno di un nuovo Cercatore.”
“Nemmeno io. Ma se non lo dovessero prendere, sentiranno le sue urla a Southampton.”
Scorpius rise di nuovo, alzandosi finalmente in piedi con una semplice felpa blu navy tra le mani: “Da quel che mi hai detto di lui, non stento a crederlo.”
“C’è in gioco la scopa che è stata di mio padre.”
“Oh, allora in caso di rifiuto perderà davvero la testa! E a te? Cosa toccherebbe a te se anche tu fossi preso nella squadra?”
“Per logica la scopa di mia madre. Ma dubito che lei me la darà. È sempre stato un gioiello che nessuno di noi ha mai potuto nemmeno sfiorare. Quindi... direi, al massimo, una scopa nuova di zecca ultimo modello.”
“Anche quello non farebbe schifo...” sogghignò Scorpius.
“Infatti,” Al sorrise di un sorriso obliquo, mentre si rannicchiava sotto le coperte.
“Oh, sì, ora vado a letto anche io. Adesso che ho trovato la felpa, mi sono messo il cuore in pace,” e la appoggiò sulla spalliera del letto.
Gli occhi di Al, che spuntavano appena dalla linea delle coperte, lo scrutarono, ma il ragazzino non disse nulla.
Scorpius sparì in bagno per tornarne in pigiama e pronto per la notte; cacciando all’indietro i capelli biondissimi, che di solito non amava pettinare ma lasciare indomiti, balzò anche lui sul letto e da qui al caldo sotto le coperte.
“Be’, allora buonanotte,” sussurrò a tutti e ad Al in particolare, spegnendo con un soffio la candela sul comodino. I loro compagni sembravano essersi già addormentati.
“Buonanotte anche a te...” rispose in un pigolio la vocina di Al. Poiché questi dava le spalle alla finestra, un lieve chiarore proveniente dall’esterno ne illuminò per un momento il faccino pallido ed esile, appena spruzzato di lentiggini, così che Scorpius poté guardarlo in viso mentre chiudeva gli occhi, all’apparenza già pronto a scivolare nel mondo dei sogni.
Sulla stanza calò il silenzio. Anche Scorpius chiuse gli occhi, affondando la testa nel cuscino ed assaporando l’ovattato silenzio che lo circondava... ben diverso da quello spesso lugubre ed un po’ inquietante che regnava a casa sua. Anche il lieve chiarore oltre la schiena di Al si spense, ed il dormitorio calò in un buio così fitto che quasi lo si poteva toccare. Gli unici lievi rumori, i respiri dei quattro ragazzi intorno a lui.
Ma, all’improvviso, ad interrompere il silenzio, un sussurro, proprio più oltre del suo naso: “Sei ancora sveglio?”
Era la vocina di Al.
Scorpius aprì un occhio: “Sì... dimmi.”
Al sembrò prendere fiato, i suoi occhi di smeraldo che quasi rilucevano nell’oscurità: “Forse ce l’ho fatta,” sorrise appena. “Forse ci sono riuscito.”
“A fare cosa?!” Scorpius spalancò gli occhi, anche se l’altro non poteva vederlo.
“Ti piace se ti chiamo... Cory? non è proprio attinente al tuo nome, ma almeno non è ridicolo, no?”
Scorpius rimase un momento interdetto, con quella parolina che gli balzava in testa; sembrava ne volesse saggiare il suono. “Cory,” ripeté sottovoce una, due, cinque volte.
Infine, alzò lo sguardo su Al come poteva: “Ma è bellissimo! Al come... come hai fatto?”
“Fantasia... solo fantasia,” si schermì l’altro. Scorpius era sicuro che stava arrossendo e gli sorrise, ricordandosi troppo tardi che erano al buio.
“Be, allora... buonanotte Cory!” esclamò allegro e pimpante un momento dopo.
“Buonanotte Al... ti adorerò per questo!”
“Figurati, per così poco.... buonanotte...” sussurrò l’altro ancora una volta, e la testa gli crollò piano sul bordo del cuscino.
“’Notte, Al... e grazie...” anche la testa di Scorpius crollò dolcemente in avanti.
Un paio di minuti dopo, i respiri di tutti e cinque i ragazzini erano quelli delicati d’un sonno tranquillo.
Note finali:
Che ne pensate del diminutivo per Scorpius? Anche a me c'è voluto il lavoro forzato e gli straordinari non pagati dei cricetini nel mio cervellino per arrivarci :D Spero di aver fatto un lavore decente!
Capitolo 4 - La Mappa di Miss Granger
Note dell'autore:
Hogwarts, si sa, non esiste senza Hagrid. E allora, il nostro adorato (spero anche per voi) Mezzogigante bisognava pur inserirlo. Non c'è inizio ad Hogwarts senza tè con Hagrid, non è forse così?
Per la seconda parte... spero non avreste preferito che il castello fosse raso al suolo dall'ira del nostro maghetto in erba... :)
Buona lettura!
La Mappa

Nei giorni che seguirono l’arrivo delle lettere da casa, e della Strillettera di Ginny, James parve aver capito la lezione; riprese a chiacchierare con Al senza più tirare in ballo il fatto che il fratellino fosse a Serpeverde, pur senza smettere di punzecchiarlo, e cercare di spaventarlo come aveva sempre fatto.
Tuttavia, il tempo che i due potevano trascorrere insieme era davvero scarso; James aveva la sua cerchia di amici e compagni di guai, tutti Gifondoro del suo anno o più grandi, tra cui anche il cugino Fred. Non potendo incontrarsi in Sala Comune, appartenendo a due Case diverse, si vedevano solo ai pasti o fuori dalle lezioni, quasi sempre per caso e di corsa, quando James stava per iniziare – o aveva appena finito – uno degli allenamenti di Quidditch che si era autoimposto.
Questo impediva ad Al di capire se per davvero suo fratello avesse capito di aver reagito in modo sbagliato, o se stesse solo fingendo per evitare che lui scrivesse di nuovo ai genitori.
Questo pensiero era in grado di attorcigliargli lo stomaco quasi a fargli venire la nausea: la sola idea che James potesse considerarlo un bamboccio viziato che correva a fare la spia coi genitori per ogni piccolo battibecco lo terrorizzava e disgustava al tempo stesso, tanto da fargli venire le lacrime agli occhi.
Al provò a chiedere scusa al fratello più di una volta, quando lo incontrava di sfuggita, spesso sudato e ansante dopo che si era allenato per ore. Ed ogni volta, James reagiva ridendo: “Ancora con questa storia? Dai, smettila, va tutto bene!” e con una mano guantata gli scompigliava i capelli, poi scompariva.
Purtroppo, le sue parole non riuscivano a far stare meglio Al, anche se il venerdì mattina a colazione salutò finalmente il fratello con un sorrisone, aspettandosi di non vederlo che di sfuggita quel giorno; la mattina seguente, di buon’ora, infatti, si sarebbero svolti i provini per la squadra di Quidditch di Grifondoro, e sicuramente James si sarebbe allenato da mattina a sera.
Ma Al quel giorno non avrebbe sentito il peso della solitudine, come gli accadeva spesso quando si ritirava in Sala Comune, faceva in fretta i compiti e rimaneva a guardare Scorpius che rileggeva la lezione, come un bravo scolaretto. Quel pomeriggio alle cinque, sarebbe andato a prendere il tè da Hagrid insieme a Rose e a quasi tutti i loro cugini.
E si sarebbe sentito a casa.
A lungo, quella mattina, ragionò se portare o meno con sé Scorpius; ma poi pensò che forse era ancora troppo presto per coinvolgere così tanto l’amichetto nella sua vita. A lui personalmente avrebbe fatto piacere, ma temeva gli sguardi stupiti e un po’ seccati che avrebbe scoccato Hagrid quando avrebbe saputo di chi era figlio Scorpius.
Forse era meglio evitare, per ora. Il pensiero del tè da Hagrid, però, riuscì a rallegrargli tutta la giornata, anche se era molto pesante. Le due ore di fila di Pozioni con un Lumacorno che proprio non accennava a lasciarlo, in pace, poi, erano veramente infinite.
Quando la campanella annunciò la fine delle lezioni, Al schizzò fuori dall’aula nei sotterranei correndo e scansando come poteva i compagni. Aveva salutato in fretta Scorpius, dicendogli che si sarebbero incontrati a cena, ed ora pensava solo che doveva incontrare Rose e gli altri all’entrata del castello.
Sapeva che James non ci sarebbe stato, e neppure Bessie; quest’ultima era membro effettivo della squadra di Quidditch, e per lei, l’indomani pomeriggio, ci sarebbero stati gli allenamenti generali, una volta finite le selezioni.
Gli altri, invece, c’erano tutti: Rose, Cathy, Victoire, Fred.
“Com’è andata la lezione di volo, Al?” chiese Fred quando Al comparì il mezzo a loro. La borsa quasi più grande di lui gli dava un’aria ancora più indifesa, sebbene il sorriso radioso con cui rispose illuminò il suo visetto pallido: “Oh, benissimo! Ero convinto che tutti sarebbero stati più bravi di me, e invece tanti non erano mai saliti su una scopa... c’è una ragazza di Grifondoro, si chiama Theresa Trumbull, è caduta credo cinque volte di fila. L’ultima si è fatta male...”
“Essere figlio di due campioni di Quidditch a qualcosa servirà,” rise Cathy.
“A proposito di Quidditch... Jamie e Bessie sono ad allenarsi, vero?” chiese Victoire.
Fred annuì. La sua pelle mulatta, i capelli ricci e neri e gli occhi di pece rendevano difficile credere che fosse cugino degli altri quattro ragazzi, tutti dalla pelle chiarissima, ed Al, Victoire e Rose con una spruzzata di lentiggini.
“Pregate che domani prendano Jaime come Cercatore,” sospirò Victoire. “Anche se mi pare che la squadra di Grifondoro non abbia da lamentarsi di MacKinnon.”
“Però le selezioni parlavano chiaro,” le rispose Fred. “Sono per avere un nuovo Battitore, ora che Aston ha dato i M.A.G.O., per un Cacciatore, perché Milly Dell non vuole più giocare dopo che si è infortunata lo scorso anno... e per il Cercatore. MacKinnon ha avuto un sacco di pessimi voti agli esami di giugno, e pare che i suoi gli abbiano, per punizione, vietato categoricamente di giocare, perché la considerano una distrazione ed una inutile perdita di tempo.”
“Allora qualche speranza c’è,” sussurrò Al. Non voleva nemmeno pensare alla reazione di suo fratello se fosse stato rifiutato alle selezioni.
“E farebbe bene anche Jamie a studiare un po’ di più, invece di giocare a Quidditch. Rincorrere Boccini non rimedierà i voti mediocri che ha presentato a zio Harry... neanche essendo figlio di ottimi Cercatori!” sentenziò Victoire.
“Dice che gli piacciono le cose pratiche, più che lo studio,” osservò Cathy. “O almeno, questo ha detto a papà quando è venuto a farci visita quest’estate.”
“A zia Ginny non piacerà saperlo,” sospirò Fred. “E poi... è vero che le selezioni sono anche per un nuovo Cercatore, ma... dopo MacKinnon, la squadra sicuramente desidera uno alla sua altezza. Accetteranno un ragazzino del secondo anno solo nel caso questi sia un fenomeno. Personalmente, non ho mai visto Jamie giocare, e non posso giudicare. Magari è un campione innato come suo padre e suo nonno prima di lui...”
“O magari un ragazzo normale con doti normali,” sospirò Victoire.
“Ma una furia per nulla normale, se lo scarteranno,” aggiunse saggiamente Cathy.
Al ascoltava in silenzio. Procedeva a fianco a Fred, mano nella mano con Rose come era abituato; lei non aveva ancora aperto bocca. Aveva le mani caldissime, e sembrava assorta in pensieri lontani. Aveva raccolti i capelli in una sorta di crocchia scomposta, ma molti ciuffi fuggivano, ribelli e indomabili.
Al sapeva che per James era questione di vita o di morte entrare nella squadra di Quidditch. Non avrebbe mai accettato un rifiuto, neanche pensando di ripresentarsi l’anno successivo. Non era tipo da saper fronteggiare delusioni o affronti. Già la Strillettera di Ginny era stata un colpo pesante, contro il quale lui era totalmente impotente. Essere rifiutato alle selezioni... avrebbe ridotto la Sala Comune di Grifondoro in poltiglia! Per non parlare della sua furia al pensiero di non avere la scopa di Harry...
Cathy, Fred e Victoire avevano continuato a parlare, anche se né Rose né Al li ascoltavano da un po’. Quando arrivarono a casa di Hagrid, Al quasi inciampò nei gradini, tanto era perso altrove; Rose lo tenne per una spalla con la mano libera, sorridendogli: “Attento, ti farai male!”
Al ricambiò il sorrise ringraziando; un attimo dopo, Thor gli era quasi saltato addosso leccandogli la faccia senza pietà. Nel frattempo, scodinzolando furiosamente con l’enorme coda, aveva costretto Cathy e Victoire ad allontanarsi.
“Thor, cagnaccio maledetto, codardo da tre soldi, lascia stare Al!” esclamò il vocione di Hagrid dalla porta. Al, adesso disteso per terra, però, non si lamentava, anzi; sapeva che non ci sarebbe stata sua madre a rimproverarlo per gli abiti sporchi, e non si diede pena di evitare di rotolare nella polvere insieme al cagnone, ridendo divertito.
“Su, ragazzi, entrate!” esclamò Hagrid. “Thor, fila subito via! Al, piccolo, vieni dentro pure te, che c’è bisogno che ti pulisco, che sei tutto sudicio. E c’è bisogno pure che ti pigli una tazza di tè, che fa freddo qua fuori.”
Al sorrise, alzando gli occhi sul ben noto volto di Hagrid. Sempre lo stesso, soltanto la barba ed i capelli erano chiazzati di grigio. Si alzò in piedi, senza badare agli abiti sporchi, accarezzando Thor che continuava a saltargli intorno festoso, sordo ai richiami di Hagrid.
Entrando nella capanna, si sentì a casa... una sensazione che non provava da tanto. Sapeva che era quel che avrebbe sentito. Si fermò sulla soglia, guardandosi intorno, estasiato. Un altro avrebbe storto il naso davanti alla rozza e mal arredata casupola del guardiacaccia; lui, invece, si sentiva felice, e gli pareva il posto più bello del mondo.
Ogni cosa, in quella capanna di legno, scricchiolava; sotto i passi di Hagrid che trotterellava dal lavello al grande tavolo, il pavimento sembrava urlare proteste. Attorno al tavolo, Cathy, Fred, Rose e Victoire già sedevano con le enormi tazze sotto al naso, un grosso piatto di biscotti in mezzo tra loro, e continuavano a chiacchierare. Tutti, tranne Rose, che osservava Al sorridendo, aspettando che andasse a sedersi accanto a lei.
“Allora, ragazzi? Com’è che sono andati questi primi giorni a Hogwarts?” chiese Hagrid a Rose ed Al.
Al scivolò silenzioso fino alla sedia che la cugina aveva spostato accanto a sé. Sorrideva, mentre raccontava di come i professori gli facessero l’interrogatorio ogni volta che leggevano il suo cognome, di come si divertissero a vederlo sempre con Rose, di come fossero costretti a raccogliere da terra le proprie mascelle dopo aver visto la sua cravatta.
“Infatti,” borbottò Hagrid con uno sbuffo difficilmente decifrabile. “Serpeverde...
“No, Hagrid, TI PREGO!” esclamò Victoire con tono imperioso, pur conservando la cortesia. “Non incominciare anche tu! Ne ho abbastanza di sentire parlare di Case!”
“Va bene, va bene,” mugugnò Hagrid mente versava il tè anche ad Al. “Però sapete come la penso.”
“Esattamente come tutti, suppongo,” tagliò corto Victoire lanciando un’occhiata ad Al, come per assicurarsi che lui non intendesse parlare. “Piuttosto, tu che cosa ci racconti?”
“Che volete che vi racconti? La vita qui è tranquilla. Sono passati i tempi dei guai, delle fughe, del Ministero contro...” anche Hagrid si sedette, finalmente. “Rosie, Al, ve li siete fatti degli amici, voi? Lo so che è presto, ma... la prima volta che è venuto qui, tuo padre, Al, mi ci ha portato pure il tuo, Rosie... e quando l’ho invitata cinque anni fa, Vic si è portata dietro una ragazzina...”
Victoire sorrise dietro la grande tazza: “L’idea era stata di Teddy, non mia...” e arrossì. Aveva pur sempre parlato del suo ragazzo... o meglio: Teddy era davvero il suo ragazzo?
Al abbassò gli occhi smettendo di fissare la cugina, e ci rifletté. Ripensò alla gioia di Lily qualche giorno prima a King’s Cross, quando James aveva urlato la notizia. E poi, ripensò solo a Lily, la sua sorellina dai capelli rossi, rivide il suo faccino sorridente, i suoi occhi castani che brillavano, la sua vocina squillante. Lily gli mancava.
“In realtà volevo portare Scorpius,” Al disse a media voce riscuotendosi. “Però non ero sicuro che ti avrebbe fatto piacere, così, per questa volta, ho preferito non cambiare i programmi...”
“E questo con un nome del genere chi sarebbe?” quasi tuonò Hagrid.
“Il figlio di Malfoy,” rispose quietamente Fred.
“COSA?” strillò Hagrid, e la sua voce rimbombò nella capanna; Thor guaì inquieto, agitando la coda contro la gamba della sedia di Cathy, rischiando di farla cadere.
“A me è sembrato un ragazzo simpatico,” continuò Fred.
“Lo è. È molto simpatico. Non ha la puzza sotto il naso dei Purosangue Antibabbani!” gli fece eco Rose con decisione. “Gli ho parlato un paio di volte e mi ha fatto una discreta impressione.”
“Il figlio di Malfoy?” si lamentò però Hagrid. “Ma Al, ma ti rendi conto di con che genere di ragazzo hai a che fare?”
“Scorpius è un ragazzo bravissimo e mi ha preso in simpatia,” ribatté Al. Ma lo sguardo sconsolato alla faccia costernata e insieme riluttante di Hagrid illuminò una cosa per niente piacevole nella sua testa: era chiaro ormai, che la maggior parte della sua famiglia e dei suoi amici, avrebbero fatto molta fatica ad accettare molte cose della sua vita a Hogwarts. La sua Casa, i suoi amici... non sarebbe stato facile. Sospirò, e si chiese e suo padre non gli avesse trasmesso una qualche maledizione... anche lui sarebbe stato perseguitato per sette anni come Harry?
“Penso che prima o poi la Preside cercherà un... ehm, pretesto per conoscerti, Al,” disse Hagrid, ora calmo. Victoire gli aveva lanciato un’occhiata eloquente: ne aveva abbastanza di sentir criticare lo Smistamento di Al.
“E anche te, Rosie.”
“Davvero?” la ragazza fu più veloce a chiedere del cuginetto. “E perché?”
“Come perché? Perché siete i figli dei tre alunni che ricorda meglio... quattro alunni, a dirla tutta... e perché è pur sempre rimasta un’ottima amica della vostra famiglia, e un membro portante dell’Ordine della Fenice...”
Rose ed Al sorseggiarono il loro tè, pensosi.
“A me piacerebbe tanto andare nell’ufficio della Preside per vedere il ritratto di Silente,” mugugnò Al senza alzare lo sguardo dalla tazza. “E magari parlargli...”
“Mi sembra comprensibile,” rispose saggiamente Victoire con un sorriso dolce.
“Oh, Silente era un grande uomo... il più grande... il migliore uomo che abbia mai incontrato in tutta la mia vita,” singhiozzò Hagrid; dalla tasca estrasse un immenso fazzoletto a fiori, nel quale si soffiò il naso con tanto rumore, che parve che un tuono si fosse abbattuto sulla capanna.
I ragazzi trasalirono, ma fu un attimo. Fred rivolse un immenso sorriso al guardiacaccia: “Sappiamo quanto gli eri legato, Hagrid.”
“E tu, Hagrid? Tu vai mai a parlare con il ritratto di Silente?” chiese Al curioso. Anche Rose pareva profondamente interessata.
“Oh, si!” lacrime grandi quanto un bicchiere d’acqua crollavano dalle guance del Mezzogigante, per andare a posarsi sul fazzoletto. “Sì, Minerva mi dà il permesso, quanto mi sento triste e sento la sua mancanza... Silente mi ha sempre protetto, Silente è sempre stato così buono con me...”
Di nuovo soffiò forte il naso, riempiendo la capanna di quel rumore assordante. Al e Rose si scambiarono un’occhiata, e lo stesso Fred e Victoire. L’unica a parlare, stranamente, fu Cathy: “Deve essere stato davvero tremendo per te perderlo.”
“Oh si!” singhiozzò Hagrid. “Per me come per tutti, d’altronde... anche se poi tutti si sono divertiti come scemi a ricamarci di tutto, su quello che non sapevano della sua giovinezza...”
“Be’, a me questo non interessa...” esclamò Al convinto. “Vorrei solo vedere che volto aveva l’uomo di cui ho il nome, e parlargli, visto che è possibile... e vedere coi miei occhi quanti era speciale... così speciale da impedire a mio padre di chiamarmi Sirius per darmi il suo nome!”
Tutti sorrisero: “Perché sei così convinto che ti avrebbero chiamato Sirius?”
“Perché Sirius Black è stata la persona più importante per papà dopo i suoi genitori... ed infatti Jamie e Lily portano i loro nomi... ma evidentemente, papà ha pensato che Silente meritasse in modo particolare questo onore...”
“Silente... e Piton,” osservò Victoire passando il polpastrello sul bordo della tazza.
“Silente e Piton,” ripeté Al con un sospiro.
“Puha, Piton!” esclamò con foga Hagrid facendo l’atto di scacciare una mosca.
“Papà non la pensa come te, a quanto pare.”
“Zio Harry avrà avuto di sicuro le sue buone ragioni...” esclamò con decisione Rose.
“Certo... ma come vorrei che anche a me, come a Teddy, regalasse ricordi!” sospirò Al. “E mi facesse vedere qualcuna delle tante cose che non so.”
“Tipo come si fa a far funzionare quella strana pergamena che Jamie ha rubato dalla scrivania di zio Harry l’anno scorso prima di venire qui?” rise allegramente Fred.
Al sorrise divertito: “Anche... o anche cose più serie...”
“Eppure io sono certo che qualcun altro oltre zio Harry sappia come funziona quella roba!” dichiarò Fred. “Ne sono convinto. Ma dovrebbe essere lui a informarsi...”
“Come siamo passati a parlare di quella pergamena che Jamie ha rubato di nascosto... se stavamo parlando della Preside?” chiese Victoire con una buffa espressione stupita.
“Be’, si chiama libera associazione di idee, Vic!” esclamò Fred e scoppiò a ridere.
“Comunque,” Victoire divenne più seria. “Se zio Harry teneva quella pergamena nascosta nella sua scrivania nel suo studio, forse un motivo ci sarà...”
“Come il fatto che si tratti di un pericolosissimo esemplare di Magia Oscura?” ironizzò Rose cercando di rimanere il più seria possibile, ma con difficoltà.
Victoire, nonostante tutto, sorrise: “Ma no... semplicemente, potrebbe trattarsi di qualcosa a cui è particolarmente legato... oppure con cui è facile fare danni se non si sa precisamente come usarla al meglio... non so. Zio Harry non è solito nascondere le cose per divertimento.”
“Però si è sicuramente accorto che quella pergamena non è più al suo posto,” obbiettò Fred. “E sono certo che ha capito che è stato James a prenderla. Ma non ha fatto nulla, proprio nulla, per riaverla. Forse non è così dispiaciuto o irritato da fare qualunque cosa per riaverla indietro...”
“Questo è vero... ma è vero anche che James è un pasticcione, lo sappiamo tutti. E non vorrei che facesse qualche disastro. Soprattutto poiché non è ancora riuscito, dopo quasi un anno, a scoprire come funzioni e a cosa serva esattamente... so che le ha provate tutte, tutti gli incantesimi che conosce, senza cavarne un ragno dal buco... e non vorrei facesse sciocchezze per scoprire il segreto di una pergamena ingiallita che è sempre stata gelosamente custodita da zio Harry...”
“Io sono pronta a scommettere che non si tratti di nulla di pericoloso,” disse Rose. “Zio Harry non lascerebbe mai nulla di pericoloso alla portata delle mani di James... o peggio, di Lily.”
Tutti sghignazzarono a quell’osservazione.
“Però, ora che mi ricordo... una volta ho visto quella pergamena in mano a Teddy, anni fa,” disse Victoire con tono pensoso. “Era dispiegata del tutto e lui la stava osservando con cura... sono certa che lui sappia come usarla!”
“Dici che bisognerebbe chiederglielo?” domandò Fred indagatore e incuriosito.
“Secondo me non ce lo direbbe,” osservò Rose saggiamente. “Sappiamo che Teddy è alleato con zio Harry!” e rise allegramente. “Ma sbaglio, o sei particolarmente interessato a servirtene, Fred?”
“Ma no figurati...” cercò di schermirsi Fred, ma invano. “La mia è solo curiosità...”
Tutti risero, ma Al non partecipò alla loro ilarità; guardava la sua tazza con attenzione, riflettendo; i suoi cugini avevano ragione. E la sua curiosità circa quel rotolo di pergamena era veramente forte.
Non quanto quella del fratello, che era arrivato a rubarla di nascosto al padre, ma quasi...
Ma se Teddy era in grado di usarla, perché sapeva a che cosa serviva, significava che era per davvero qualcosa del passato di Harry... di quel passato che lui era solito condividere con Teddy, ma molto meno coi suoi figli.
E se Harry condivideva un qualcosa che custodiva tanto gelosamente solo e soltanto col figlioccio, allora non poteva che significare...
I Malandrini!” esclamò Al illuminandosi. “Sicuramente, quella pergamena ha qualcosa a che vedere con loro! È l’unico motivo per cui Teddy davvero ne è a conoscenza... Teddy e papà... cioè gli eredi dei Malandrini!”
“Potrebbe essere, però...” Victoire era dubbiosa. “Però zio Harry dice sempre che anche James è un Malandrino... perché non dirlo anche a lui?”
“Forse perché Jamie è un combinaguai scatenato,” rispose Fred. “Perché è incosciente e si caccia volentieri nei guai, cosa ben lungi da Teddy...”
“Forse...” sospirarono Rose e Victoire all’unisono.
“Ma se davvero si tratta di qualcosa che riguarda i Malandrini, allora ci sono molti modi di venire a saperne qualcosa...” commentò Fred. “Conosciamo tante persone che hanno a loro volta conosciuto i Malandrini.”
“Secondo me,” Hagrid parlò solo ora, dopo averli ascoltati attentamente. “James avrebbe dovuto lasciare quella pergamena al suo posto... come sembrava essere l’intento di Harry!”
“Ma non lo ha fatto,” gli rispose Fred filosoficamente. “E ora non rimane che andare fino in fondo alla faccenda... piuttosto! Non è che tu ne sai qualcosa?”
“Io?!” esclamò Hagrid balzando in piedi e sgranando gli occhi. “Come... ma come... come vi viene in mente? IO?!”
“Ok, ok lasciamo stare...” sorrise Fred divertito. “Però io sono curioso di sapere che cosa sia quella pergamena!”
“Non solo tu!” rise Rosie. “Sono certa che lo siamo tutti, però...”
“O magari, papà l’ha chiusa nella sua scrivania, ma volutamente in modo che James potesse metterci le mani sopra, proprio perché voleva farci usare il cervello...” commentò Al pensoso. “Forse era combattuto tra mostrarcela o meno, e alla fine si è deciso per fingere di nasconderla... e sa benissimo che è in mano a mio fratello, e ora se la ride pensando che ci spacchiamo la testa per capire come usarla.”
“Mi sembra un pensiero troppo complicato,” scosse la testa Victoire.
“Oh, ma quanti discorsi assurdi che fate!” esclamò Hagrid alzandosi in piedi con foga; il pavimento sotto ai piedi dei ragazzi tremò per qualche secondo, quindi si riassestò.
Nessuno dei ragazzi si scompose. Ma nemmeno terminarono il discorso.
“Se davvero Teddy sa come si usa quella pergamena”, osservò Fred. “Allora non vedo perché esitare a chiederglielo.”
“Perché se zio Harry gli ha detto di non dirlo, non lo farà nemmeno sotto tortura,” osservò saggiamente Cathy. “Confermi, Vic?”
“Perché proprio io?” Victoire si confuse e arrossì, cercando inutilmente di nascondersi dietro la tazza ormai vuota. “Comunque sì… Teddy non tradirebbe mai il volere di zio Harry.”
“Ma noi potremmo sempre estorcergli informazioni a tradimento!” esclamò Fred.
“A Teddy?” Victoire aggrottò le sopracciglia. “Non è il tipo. Sembra sbadato, ma su alcune cose è più tremendo di nonna Molly.”
“Alcune cose, come ad esempio quel che riguarda solo lui e zio Harry?” rise allegramente Rose.
“Infatti,” Victoire rispose più seriamente. “Teddy è geloso del rapporto speciale che ha con lo zio.”
“Be’, d’altronde è un rapporto speciale anche ufficialmente; è orfano ed è stato cresciuto dalla nonna e dal padrino,” rispose Fred, un biscotto in bocca. “La situazione di Teddy è speciale, e lo è anche il compito che ha zio Harry verso di lui.”
“Stiamo ricadendo di nuovo nella filosofia,” decretò Victoire con un tono quasi tagliente che voleva dire che per quel che la riguardava, il discorso sarebbe terminato lì. “Tutto questo non c’entra con quello di cui stavamo parlando prima.”
“La pergamena di zio Harry?”
“No, Silente.”
“E il fatto che ad Al piacerebbe che zio Harry regalasse ricordi anche a lui,” aggiunse Rose con tono dolce, posando sul cugino prediletto uno sguardo carezzevole.
“E a chi non piacerebbe,” sospirò Fred.
“A me no,” sentenziò Victoire, ma stavolta più dolcemente. “Quello che so del passato della nostra famiglia mi basta. Non mi andrebbe di sapere particolari difficili da accettare.”
“Come ad esempio?”
“Battaglie, duelli, morti, litigi,” elencò la ragazza con sguardo leggermente pensoso. “Discussioni, incomprensioni. Tutto ciò che non è positivo. Mi piace immaginare che, a parte la guerra contro Voldemort, la nostra famiglia abbia avuto solo tante gioie. Anche se so bene che non è vero.”
“A me invece piacerebbe vedere in volto tante persone di cui ho sempre sentito soltanto parlare da mamma, papà, i nonni,” sospirò Rose.
“Comunque, la morale di tutto questo discorso assurdo,” sentenziò Hagrid avvicinandosi con passo pesante ai suoi ospiti. “È che cercherò di trovare un modo per farti andare nell’ufficio della preside, Al. Così potrai vedere il ritratto di Silente,” e il Mezzogigante si asciugò furtivamente una lacrima.
“Significa che ci sbatti fuori casa senza volerlo dire, Hagrid?” rise Fred.
“Ma… ma che stai dicendo?” tuonò il guardiacaccia. “Fred, sei tale e quale allo zio di cui ti hanno dato il nome! Chi ti dice che voglio che ve ne andiate? Anzi… muovetemi di lì e vi uccido!”
I ragazzi risero tutti in coro.
“Ma Hagrid, tra un po’ ci converrà andare… a parte gli scherzi”, spiegò Victoire.
“E lasciarmi qui da solo? Non se ne parla neanche, signorina! Non fare da tua zia Hermione, né la saggia,” Hagrid incrociò le braccia al petto.
Victoire rise di gusto, ed i suoi cugini con lei: “Hagrid, non dirmi che ti senti solo! Comunque, se ti fa piacere, rimarremo un po’ di più… a patto che poi con Gazza ci parli tu!”
“Come se non lo avessi mai fatto, fin dai tempi in cui qui c’erano i vostri genitori…”
Victoire gli posò una mano sul braccio: “Però stavolta l’argomento lo introduci tu, così poi non ti potrai lamentare!” e rise della sua risata argentina.
Hagrid non rispose nulla; le diede la schiena e riempì altri due piatti di biscotti.
Di tempo ne avevano ancora, finché non fosse stata ora di cena.

“Al, che cosa stai facendo?”
“Incrocio le dita.”
Scorpius si guardò intorno; era sabato mattina tardi, e lui ed Al si erano rifugiati in biblioteca per fare i compiti per la settimana a venire. Tanto, non avevano nulla di meglio da fare; pioveva da quella notte, e di uscire nel parco non se ne parlava; inoltre, si erano svegliati più presto di quanto immaginassero, e mancava ancora poco meno di un’ora per scendere a pranzo.
Intorno a loro, era silenzio. Ma i due ragazzini avevano parlato piano, e nessuno aveva girato la testa per guardarli.
“Be’, sì, quello lo vedo,” Scorpius aggrottò le sopracciglia, mentre piegava la testa per osservare meglio le mani del compagno. “Ma per quale motivo?”
“Perché a quest’ora ormai le selezioni di Quidditch dovrebbero essere terminate!” piagnucolò Al, ma senza staccare gli occhi dal figlio di pergamena sul quale aveva scritto metà tema. “Sai che mio fratello ha fatto i provini per diventare Cercatore… e se non lo hanno preso, sarà la fine!”
“Ma glielo dicono subito, se lo prendono?”
“Credo di sì,” Al si strinse nelle spalle. Sul suo visetto pallido, gli occhi di smeraldo di suo padre sembravano enormi. “E se dovesse essere rifiutato, credo sarebbe capace di gesti orribili.”
“Come buttarsi giù dalla Torre di Astronomia? O darsi volontariamente in pasto a qualche strana bestia del guardiacaccia?” rise Scorpius allontanando da sé il pesante tomo di Erbologia.
“Credo sarebbe più credibile che facesse del male agli altri, piuttosto che a sé stesso,” sospirò Al. “Oltre a scappare di casa per la vergogna di non essere all’altezza dei nostri genitori.”
“Ah, sì, è vero, sono stati campioni di Quidditch.”
“Entrambi Cercatori, purtroppo. Il che significa che se anche Jamie fosse preso, ma per un ruolo diverso a quello di Cercatore, per lui sarebbe ancora peggio che essere stato rifiutato. Sarebbe una umiliazione tremenda.”
“Mah, secondo me tuo fratello è decisamente esagerato. Non può prendersela così tanto solo per il Quidditch.”
“Bessie aveva promesso che avrebbe messo una buona parola per Jamie col capitano della squadra, ma sinceramente non ho idea di quanto mio fratello sia bravo o meno a Quidditch. E se non è un piccolo fenomeno, essendo solo al secondo anno… lo considereranno niente più che un pivello arrogante e presuntuoso.”
“Su questo sono pienamente d’accordo,” Scorpius sorrise bonario.”Comunque, andiamo avanti col tema, Al. Sono sicuro che qualunque sia stato l’esito delle selezioni, a breve lo saprai di corsa.”
Al gettò un’occhiata fuori dalla finestra più vicina, ma da dove affacciavano le finestre della biblioteca, non poteva vedere nemmeno lontanamente il campo di Quidditch. Quindi si arrese all’idea che la soluzione di Scorpius fosse l’unica sensata. Posò la fronte ad una mano, tornando a piegarsi sul tema di Erbologia.
“Però sei preoccupato,” osservò Scorpius sottovoce poco dopo. “Non parli.”
Al sorrise, arrossendo: “Ma no, sto pensando.”
“Sì, a tuo fratello ed al Quidditch.”
“Oh, Cory, sei noioso quando fai così!” sbuffò Al, ma sorrideva; e anche Scorpius sorrideva di un sorriso divertito, e gli diede una leggera gomitata. L’altro rise, e questa volta mezza sala si volse per guardarli male. I due si nascosero dietro alla pila di libri che avevano davanti, e finsero di gettarsi a capofitto nei loro compiti come se non fosse successo nulla.
“Il colmo sarebbe che ora entrasse Paciock e ci beccasse a spaccarci la testa per il suo tema!” sussurrò Scorpius divertito.
Al ridacchiò sottovoce.
“Ecco è lui!” esclamò con tono fintamente allarmato Scorpius, quando sentirono dietro di loro la porta aprirsi dall’altra parte della biblioteca.
Al rise più forte, cercò di contenersi ma non ci riuscì, e tutto ciò che riuscì a fare fu nascondere ancora di più la testa dietro la pila di libri. Ancora una volta, tutti si volsero a guardarli, quindi si divisero tra loro due e la porta spalancata… e quest’ultima si rivelò ben presto uno spettacolo ben più interessante dei due schiamazzanti primini.
“AL SEI QUI?” strillò (o forse ruggì?) una voce.
Al, stralunato, guardò Scorpius invece di voltarsi verso la porta; nemmeno si volse, soltanto chiese in silenzio aiuto all’amico. Quest’ultimo, con senso pratico ed un mezzo sorriso, lo prese per la spalla e gli fece segno di volgersi verso la porta.
“ALBUS SEVERUS, RISPONDI!” la voce era eccitata, senza rimprovero; per un attimo Al non vide altro che un lungo mantello cremisi ed una scopa che veniva agitata in aria a pochi passi da lui; ci mise qualche momento a realizzare, o forse solo indovinare, la sagoma di suo fratello.
“Per Merlino, avevi ragione!” sussurrò Scorpius.
“Jamie,” fu tutto ciò che Al riuscì a balbettare; si era voltato, e diede uno strattone alla sedia per scostarla dal tavolo, seppur non sapendo nemmeno lui se per un istintivo desiderio di fuga, oppure in gesto di accoglienza per James.
“AL MI HANNO PRESO!” fu l’urlo quasi spaventevole che cacciò James prima di crollare addosso al mingherlino fratello minore con tutto il proprio peso, scopa compresa. “Solo per miracolo!” lo rincorse una voce; guardando come poteva dietro la schiena di James, Al riconobbe Bessie, anche lei ancora avvolta nella divisa da Quidditch porpora di Grifondoro, i capelli raccolti strettamente, la scopa in mano ed un sorrisetto beffardo sulle labbra.
“Sì, Al, hanno preso tuo fratello soltanto perché ha avuto una sfacciata fortuna col Boccino,” continuò prima che James potesse sollevarsi e ribattere “Gli è volato sotto il naso dopo pochi minuti di prova, ed è rimasto immobile quanto sarebbe bastato perché lo acchiappasse perfino l’ultimo dei Babbani… accecato e mezzo addormentato, ovviamente.”
Scorpius non poté fare a meno di scoppiare in una sonora risata, mentre Al si sforzò per limitarsi a sorridere, per non scatenare l’ira del fratello, che ancora giaceva a pancia in giù, avvinghiato a lui e mezzo voltato verso la cugina.
Ci volle qualche momento perché James si sollevasse, pronto ad inveire contro Bessie; ma Al lo tenne per un braccio: “E non mi lasci nemmeno farti i complimenti?”
“Al sai che cosa significa il fatto che mi abbiano preso?” esclamò James ignorando la sua domanda, gli occhi stralunati, un sorrisetto nervoso sulle labbra.
“Sì, certo che lo so, Jamie… la scopa di papà,” Al sorrise, ma c’era una vena triste in quel sorriso. Questo significava che lui non aveva alcuna speranza di averla, perché sarebbe già andata a suo fratello.
“Me lo ha promesso… devo scriverglielo subito! Ma tu, Al, tu sei contento per me?”
“E me lo chiedi?” chiese smarrito Al. “Ovvio che sono contento!”
“Al è contento per un motivo pratico, James!” si intromise Bessie quasi svogliatamente. “Perché sa fin troppo bene che se non ti avessero preso, avresti demolito il castello dalla rabbia!”
Ancora una volta, James fece per avventarsi su Bessie, e ancora Al lo trattenne per il braccio.
“Ma la senti?!” quasi urlò James. “Mi faccio il mazzo con gli allenamenti da un sacco, sono sfinito, mi hanno finalmente preso, e lei non riesce a fare altro che criticarmi! È possibile? Possibile che abbia sempre qualcosa da dire contro di me, che non le vada mai bene nulla di quello che faccio?”
“Sbaglio o stai per farne una tragedia, James?” ribatté acida Bessie.
“Dai, Bessie, lascia perdere. A te non ha tolto niente,” ribatté conciliante Al.
“No, no, ovvio, semplicemente dico quello che penso.”
“Ogni tanto potresti tenertelo per te, quello che pensi!” abbaiò James. “Penso di essermi meritato di essere preso! Ci tenevo così tanto, darei qualunque cosa per la scopa di papà, finalmente ce l’ho fatta, e sinceramente tu che mi sminuisci gratuitamente sei di troppo!”
“Purtroppo dovrai abituarti ad avermi in squadra per almeno i prossimi quattro anni, James.”
“Appunto, non intendo fare questa vita!” sbraitò lui, sollevandosi del tutto e liberando finalmente Al dalla sua incombente presenza.
Bessie aprì la bocca, ma tacque prima di dire qualunque cosa, mossa dall’espressione implorante di Al dietro la spalla di James.
“Va be’, io vado a fare una doccia, finalmente, riposarmi un po’ e poi di filato a mangiare, che muoio di fame… ci si vede a tavola,” concluse Bessie come se nulla fosse, e caricandosi in spalla la scopa, si allontanò fischiettando come fosse stata un ragazzo.
“Mi hai salvato, Al,” ammise James lasciandosi cadere pesantemente sulla sedia del fratello. “Ah, scusami per il disturbo… e perché non mi ricordo già più il tuo nome, anche se mio fratello me lo ha ripetuto qualche migliaio di volte,” James alzò gli occhi un po’ arrossati dalla fatica su Scorpius, e gli porse una mano. “E anche perché ho la mano un po’ sudata…”
Scorpius non commentò nulla; sorrise appena, amichevolmente, e strinse la mano di James senza mostrare il minimo segno di fastidio o di irritazione.
“Mi chiamo Scorpius… piacere di conoscerti, James,” disse infine con tranquillità.
“Piacere mio… dobbiamo esserti sembrati dei pazzi furiosi…”
“Oh, no… credo sia normale in una famiglia così numerosa… non potete immaginare quanto vi invidio,” ammise con un sorriso. “Io sono figlio unico, e mi pesa.”
“Mah, non che sia meno pesante avere uno stuolo di cugini lungo così…”
Scorpius rise: “E un fratello tranquillo e pacifico come Al?”
“Più che altro, un fratello timido e insicuro come Al… oltre ad una sorella scapestrata come quella che ci ritroviamo ma questo, almeno fino alle vacanze di Natale, sarà un problema dei miei genitori e non più mio!”
Scorpius rise un po’ più forte: “Mi piacerebbe vederla questa sorellina combina guai!”
“Lily? Una peste immatricolata. Capelli di fuoco degli Weasley, occhi scuri di mamma e nonna, lentiggini ovunque, e la furbizia di una volpe…”
“Com’è che così in pochi tra voi hanno preso i capelli rossi, visto che sembra una caratteristica molto forte?” chiese interessato Scorpius, afferrando con una mano la sedia e portandosela più vicina in modo da sedersi e ascoltare comodamente.
“I capelli rossi sono la principale caratteristica della famiglia di mia madre… e dei padri di tutti i miei cugini,” spiegò James, entusiasta di parlarne. “Mia madre è l’unica femmina di sei figli. Ma tra noi, solo in pochi hanno i capelli rossi… fammi pensare: Lily, Rose Vic, Lucy… e basta.”
“Pochi… strano.”
“Sì; vedi, io e Al abbiamo i capelli di nostro padre; Bessie e Cathy sono bionde come zia Fleur, Molly è castana come sua madre, e così Hugo, e Fred e Roxane hanno i capelli scuri di zia Angelina.”
“Però deve essere bello essere così tanti.”
“A volte sì, a volte no… quando sono tutti tuoi parenti spesso è pesante. Per Teddy, per esempio, è più facile. Lui è il figlioccio di mio padre, figlio di grandi amici dei miei, membri dell’Ordine della Fenice caduti valorosamente in battaglia… l’unico vero parente di sangue che gli sia rimasto al mondo è sua nonna, zia Andromeda. Tutti noi siamo per lui parenti sono di nome; ma lui sì che sostiene di essere fortunato come nessuno a vivere in una famiglia del genere.”
“Be’, io vivo solo coi miei genitori, e a volte vado dai nonni… tutto qui. Mi sento spesso solo.”
“Be’, vorrà dire che verrai da noi. Abiti a Londra?” chiese James come fosse la cosa più ovvia del mondo in quel momento.
“Sì, un po’ fuori città in realtà; ma con la Metropolvere il problema scompare.”
“O a casa nostra o a casa di zia Hermione, sarai sempre il benvenuto, per quel che mi riguarda!” esclamò James con un sorrisone. “Visto che ad Al farà molto piacere! E poi, se non ho ragionato male, zia Andy è anche tua zia, quindi… ci si potrebbe vedere a casa sua, anche. Non so cosa ne pensi tua nonna, visti i trascorsi, ma ci gioco la scopa di mio padre – e presto mia! – che zia Andy sarà felicissima di conoscerti.”
Scorpius rimase un momento senza parole; poi sorrise, ma sembrava palesemente in imbarazzo, anche se felice di ciò che aveva udito: “Sei troppo gentile. Per me sarebbe splendido poter vedere Al durante le vacanze di Natale…”
“E allora dov’è il problema? Certo, bisognerà vedere che cosa ne pensano i tuoi, ma…” James sembrava essere completamente preda dell’entusiasmo; parlava a raffica, le parole uscivano dalle sue labbra come un fiume in piena, quasi non le pensasse nemmeno prima di pronunciarle.
Scorpius rise di nuovo, e si volse a guardare Al, come a chiedergli che cosa ne pensasse lui; anche Al aveva un’espressione stupita in volto, ma un mezzo sorriso, e aveva scritto in fronte che stava pensando a quanto sarebbe stato splendido poter vedere il compagne nelle vacanze.
“Stai esagerano, Jamie,” disse però, tutto serio, con un’espressione risoluta che sembrava così inappropriata sul suo viso gentile. “Stai correndo troppo. La scuola è appena iniziata, mancano più di tre mesi alle vacanze, e poi… e poi non so se i genitori di Cory sarebbero d’accordo.”
“Ma noi cosa c’entriamo con le ruggini dei nostri genitori?” esclamò con foga James.
“Nulla, ma i nostri genitori decidono.”
“Però mi piacerebbe per una volta non vederti passare le vacanze di Natale rincantucciato in un angolo con Rose oppure arrampicato su uno sgabello nella cucina della Tana a spignattare con la nonna per riuscire a dare da mangiare a tutti.”
Al sorrise divertito: “Non dico che non mi piacerebbe avere Cory con noi nelle vacanze, anzi!”
“Forse ha ragione Al, c’è tempo per parlarne…” aggiunse Scorpius.
“Comunque, sapete come la penso!” esclamò James alzandosi in piedi di scatto. “E se permettete, carissimi, vado a lavarmi anche io, non intendo scendere a pranzo lasciando dietro di me una scia di puzza di sudore e di terra umida… quindi, vi libero immediatamente dalla mia puzzolente presenza; ci si vede a tavola, sperando che Elizabeth si sia data una calmata… altrimenti stavolta la strangolo veramente!”
Detto questo, la scopa saldamente in una mano e il mantello che volteggiava ancora, James uscì, voltandosi più volte a dispensare cenni di saluto ai due ragazzini.
Al e Scorpius si guardarono per un lungo momento, poi si diedero un’occhiata intorno e si resero conto con sgomento, che la biblioteca si era completamente svuotata.
“Che dici, continuiamo il tema di Erbologia? Ti va?” propose Scorpius sorridendo divertito.
“E se invece parlassimo di come sarebbe bello passare le vacanze insieme?” Al sgranò gli occhi in un gesto automatico, e poi sorrise.
Scorpius non rispose subito; semplicemente, chiuse tutti i libri, fece sparire la pergamena del tema, e si sedette: “Mi sembra un’idea fantastica!”
Note finali:
Ce lo ha detto JKR che la Mappa del Malandrino è scomparsa dalla scrivania di Harry poco prima che James iniziasse a frequentare Hogwarts. Come si poteva accantonare una chicca del genere? :) Spero di non essere caduta nel banale...
E che ne dite di questo James Cercatore che fa il simpaticone con il nostro Cory??
Capitolo 5 - Ritorno a Grimmauld Place di Miss Granger
Note dell'autore:
Chiudete gli occhi, e provate ad immaginare cosa può esserne stato di Grimmauld Place numero 12, ormai da tempo prorprietà di Harry.
La casa sarà abitata? Kreacher ancora vivo? ed il ritratto di Walburga Black? E, poi... Teddy? Immaginate...
Fatto? Ebbene, ora riaprite gli occhi, e... leggete cosa ho immaginato io... sperando che vi piaccia!
Ritorno a Grimmauld Place

Gufi, di nuovo. Altre lettere: una, due... sette grosse buste.
I ragazzi avevano già risposto.
I gufi planarono placidamente da una finestra semiaperta nella cucina di Grimmauld Place numero dodici, atterrando sul grande tavolo di legno scuro, sempre lo stesso dalla prima volta che Harry Potter, suo attuale padrone, vi aveva messo piede, oltre vent’anni prima.
Solo quello, insieme al grande focolare, tuttavia, era rimasto tale e quale: la cucina, il medesimo vano lungo e stretto dei tempi dei Black, non era più claustrofobica ed ingombra come un tempo, bensì si era trasformata in una stanza luminosa, arieggiata, con fiori al davanzale, allegri quadri e coloratissimi disegni di bambini alle pareti, mobili di legno chiaro ridotti al minimo indispensabile, ed una collezione di magneti babbani sulla porta del frigorifero.
In piedi nella stanza c’erano due donne, in quel momento in silenzio; una era appoggiata con la schiena ad una delle finestre, e teneva le mani sul davanzale interno, rivolgendo il viso all’altra figura, di fronte a lei, leggermente china sul tavolo, sopra ad un foglio di pergamena.
“Guarda, sono arrivati dei gufi!” esclamò la donna alla finestra, indicando i sette grossi rapaci posati impazienti sul lato opposto del tavolo.
“Questi sono di certo i ragazzi! Prendi tu le lettere, per favore...” le chiese l’altra, senza sollevare lo sguardo dalla pergamena. Sembrava particolarmente concentrata.
Senza una parola, ma solo con un cenno del capo, l’altra eseguì serenamente. Indossava un paio di classici pantaloni neri ed un leggero maglione violaceo dai grandi bottoni tondi. Uscendo per le strade di Londra, avrebbe potuto essere scambiata per una Babbana qualunque.
L’altra, invece, aveva un aspetto decisamente meno ordinario: vestiva un completo d’un vivace verde smeraldo dal taglio femminile, scarpe basse dello stesso colore e, legato sotto la gola, un mantello celeste che le scendeva fino alle ginocchia. I colori allegri dei suoi abiti, uniti al rosso fiammante dei cappelli legati solo in parte sulla nuca, non potevano farla passare inosservata, ed erano un netto contrasto con la semplicità del vestiario dell’altra donna.
“Secondo te cos’è meglio? Si è trattato di un duro colpo per la squadra di casa, oppure: La squadra di casa ha dovuto affrontare questo duro colpo?” chiese con voce leggermente nervosa, di nuovo senza alzare gli occhi dal foglio.
“Mm... direi la seconda... la trovo più neutrale!” fu la risposta. Un frullo d’ali annunciò che i gufi, ora liberati dalle lettere, stavano dirigendosi verso le scale che conducevano fuori dalla cucina.
“Kreacher! Kreacher, stai attento ai pennuti, per favore; devono restare qui finché non rispondiamo alle lettere... mandali nella gabbia!” chiamò d’improvviso una voce maschile dal salotto.
“Certo padrone, Kreacher ubbidisce subito!” esclamò la vocina sottile dell’elfo domestico da in cima alle scale.
“Che ore sono?” domandò la donna in completo verde, riunendo in fretta i fogli e gettandoli dentro una cartellina, che abbandonò in un cassetto della credenza.
“Siamo in tempo, Ginny, stai tranquilla. Siamo in perfetto orario.”
“Non voglio arrivare in ritardo perché non riuscivo a scrivere queste due ultime righe...”
“Ron dovrebbe arrivare ora; chiama Lily... sperando che Harry sia pronto...”
“Prendi le lettere, piuttosto, per favore... sei veramente la mia salvezza stamattina! Ho fatto tutto di corsa... avrei dovuto finire questo articolo ieri sera, invece di crollare sul divano addormentata...”
“Facciamo che ci salviamo un po’ a testa!” sorrise l’altra radunando le buste e facendole sparire nella capiente borsa di pelle scura che teneva su una spalla. “Per fortuna non stiamo andando al lavoro... almeno la domenica, un po’ di tranquillità!”
“Non so quanta tranquillità ci possa attendere a casa dei miei, Hermione!” rise Ginny aggiustandosi il mantello sulle spalle. “Vieni, andiamo su; ci staranno aspettando.”
“Non credo Molly ed Arthur se ne avranno a male per un leggero ritardo... anzi!” sorrise allegra Hermione, seguendo la cognata. “Conoscendo la puntualità di tua madre...”
La cosa che mi spaventa in realtà,” sospirò Ginny, avvicinandosi alla porta, “È che riesco a ridurmi a fare tutto in fretta e furia persino la domenica mattina...”
“Non sentirti in colpa. C’è sempre così tanto da fare...” Hermione scrollò la testa. “Nessuna delle due ha mai tregua col lavoro, abbiamo due mariti che al Dipartimento Auror fanno più ore degli orologi... è brutto da dire, ma ora che Rosie non c’è, tiro un sospiro di sollievo. Ed immagino tu più di me ancora... ne hai persi due in un colpo solo!” e rise allegramente.
“Esattamente! Qualcuno in meno da piazzare, anche se... Lil fa per quattro...”
Hermione annuì: “Piuttosto, come ci siamo organizzati con i mezzi? Lo sai?” acchiappò un mantello da una sedia, ma il suo era semplice, e di colore scuro.
“Sì. Lily vuole stare con Hugo, quindi noi saremo in macchina con loro e Ron, lasciando un posto per Andromeda; Harry, invece, viene in moto, e porterà Teddy.”
Hermione annuì: “Quindi in auto saremo in sei. Mi propongo di stare dietro coi ragazzi, così Andy potrà salire davanti con te e Ron.”
“Direi che è perfetto”, entrando nel grande atrio a semicerchio, Ginny cercò con gli occhi l’elfo domestico, che avrebbe già dovuto essere di ritorno. “Kreacher?” chiamò a mezza voce.
Da quando la Seconda Guerra era terminata, il vecchio elfo sembrava essere ringiovanito, oltre che rinvigorito. Non si trascinava più stancamente per casa come un tempo, borbottando, imprecando e nascondendo oggetti nel suo lurido giaciglio. Ora, fedelissimo e affezionatissimo ad Harry, aveva chiesto di servirlo, chiedendo soltanto se fosse possibile rimanere nella grande casa che era stata dei suoi antichi padroni.
Harry, ben deciso a non lasciare Grimmauld Place ad una delle poche famiglie Purosangue che ancora si potessero considerare completamente tali, e potessero vantare stretti legami di sangue con i Black (ormai estinti nella loro linea maschile), aveva accettato con foga. Dopo il matrimonio, si era trasferito nella casa ereditata dal padrino insieme a Ginny, e l’elfo domestico mai era tornato ad essere quello di un tempo.
Sembrava essersi innamorato dei nuovi padroni; ubbidiva parimenti ad entrambi, e adorava i tre bambini. Non stava mai fermo, girava sempre indaffarato ed attivo per la casa dei suoi antichi padroni che ormai era irriconoscibile, così luminosa, arieggiata e tranquilla.
Preparava i pasti, non senza l’aiuto di Ginny, faceva ogni lavoro, stava dietro ai ragazzi, e quasi impazziva di gioia ogni volta che Andromeda andava a trovarli; per non dire quanto fosse legato a Teddy – ormai un aitante giovanotto che si avvicinava al suo ventesimo compleanno – sebbene in passato avesse disprezzato profondamente (oltre che offeso spesso e volentieri) i suoi genitori.
“Kreacher?” chiamò di nuovo Ginny leggermente più forte, ma senza guardarsi intorno, mentre frugava nella borsetta.
Anche l’atrio non era più lo stesso: il ritratto di Walburga Black era sparito (dopo immensi sforzi, erano riusciti a staccarlo dal muro e gettarlo nell’oblio), così come le teste di elfi domestici lungo le scale, ogni cosa che recasse a simbolo un serpente, gli antichi ritratti, e quel vecchio portaombrelli che Tonks rovesciava ogni volta che metteva piede nella casa in cui era cresciuta sua madre; la parete di fondo era ora tappezzata di foto incorniciate di vecchi membri dell’Ordine della Fenice, mentre lungo le altre pareti, sopra a piccoli tavolini e mobiletti a scomparti, le foto ritraevano i nuovi padroni di casa ed i loro tre figli.
A rispondere a Ginny, però, fu ben altra voce che quella sottile e rauca dell’elfo: era una vocina squillante e allegra, corredata da un paio di braccine forti anche se esili, che le si attaccarono con tenacia ad una gamba: “Mamma, ho visto che sono arrivati dei gufi! Sono loro, sono i ragazzi, hanno scritto, dove hai messo le lettere?” esclamò tutto d’un fiato Lily, i capelli davanti agli occhi.
“Le lettere le ha zia Hermione,” rispose Ginny senza spostare il naso dalla borsetta. “Non è ancora il momento di leggerle. Hai idea di dove sia finito Kreacher?”
“Kreacher è qui padrona,” rispose la vocetta desiderata dalla porta del salotto. “Padrona comanda, Kreacher eseguisce. Kreacher era di sopra ad occuparsi dei gufi.”
“Benissimo... volevo solo dirti che noi usciremo tra cinque minuti. Tu sai cosa devi fare, vero? Come al solito, né più né meno. Torneremo solo stasera, credo in tempo per cena. In caso restassimo dai miei fino a sera inoltrata, ti avviseremo.”
“Come sempre, padrona, Kreacher sa bene cosa fare. Padrona non si deve preoccupare.”
Ginny annuì solo, estraendo qualcosa dalla borsetta, finalmente, e cercando di staccarsi la figlia dalla gamba con dolcezza: “Papà è pronto, Lil?”
“Sì, sì, sì!” esclamò la bambina saltellando, perché aveva sentito un clacson suonare subito fuori dalla porta; Ron e suo figlio erano arrivati.
“Corri in macchina, allora, che c’è Hugo,” la esortò pazientemente Hermione, scambiando un sorriso complice con la cognata. “Andiamo a chiamare Harry, noi.”
“Sono qui, sono qui,” si alzò la voce di Harry dal fondo della sala a semicerchio, mentre la sua alta figura si avvicinava. “Buongiorno Hermione... è tutto pronto; voi salite pure in auto, io vado a prendere la moto e resto dietro di voi. Ci ritroveremo sotto casa di Andy.”
In quasi vent’anni, Harry era cambiato ben poco: i suoi capelli continuavano a rifiutarsi di ubbidire al pettine, benché ora che li portasse un po’ più corti si notasse meno; gli occhi risaltavano di più dietro ad una montatura di occhiali che gli donava, e smorzava l’incarnato pallido. Il fisico era più armonioso di quand’era ragazzo, e sembrava essersi alzato ancora. Come continuavano a ripetergli i più vecchi membri dell’Ordine, era la copia fedele di James.
Avvicinandosi, si chinò a baciare la moglie sulle labbra. Quando però notò il piccolo plico di buste bianche che spuntava appena dalla borsa di Hermione, si fermò: “E quelle? Sono le lettere dei ragazzi? Quelle arrivate con quello stormo di gufi?”
“Esattamente, hanno già risposto tutti,” il sorriso di Hermione era radioso.
“Ma ovviamente le leggeremo comodamente spaparanzati sul divano a casa dei miei, ed in loro presenza!” esclamò Ginny come per ammonirlo di non allungare le mani sulle lettere, non ancora.
“Oh, certo... ma vedo che Ron è un po’ impaziente... vi consiglio di andare, o soffocherà i ragazzi, che ovviamente gli stanno rivoltando l’auto,” Harry si ritrasse dalla finestra dalla quale guardava fuori sulla strada e rise di gusto, giocherellando con un piccolo mazzo di chiavi.
“Allora sotto casa di Andy tra poco,” sorrise Ginny spalancando la porta, i lunghi capelli di fiamma che svolazzavano.
“Sotto casa di Andy,” ripeté Hermione strizzando un occhio e seguendo la cognata.
Harry alzò solo una mano in segno di assenso; quindi afferrò al volo un grosso casco posato poco distante, dal quale caddero un paio di occhialini da moto. Se li cacciò distrattamente in tasca ed indossò il casco, controllando che il suo mantello grigio perla fosse ben allacciato sotto la gola.
“A stasera, Kreacher!” esclamò, lanciando un’occhiata ad una vecchia foto dei suoi genitori che spuntava in mezzo a quelle dell’Ordine. Ormai era un’abitudine che difficilmente avrebbe perso.
Non rimase ad aspettare la risposta dell’elfo domestico: uscì, sorridendo al pensiero di passare a prendere Teddy.
Tra Harry ed il suo figlioccio c’era un rapporto speciale, secondo soltanto a quello che lo legava ad Al. A crescere Teddy erano stati in molti, in realtà: Andromeda, gli Weasley al gran completo più tutte le mogli, e membri dell’Ordine sopravvissuti alla guerra... ma Harry era il suo padrino, e aveva sempre preso molto sul serio quell’onore. Voleva essere per Teddy quel che Sirius aveva potuto essere per lui solo per un paio di anni: un padre, un amico, un confidente, un appiglio sicuro.
Ed anzi, meglio di Sirius, il quale era stato un padrino un po’ incosciente, amante del rischio sempre e comunque. Il dubbio che vent’anni prima aveva assalito Harry a casa di Bill e Fleur, cioè di diventare per Teddy un padrino incosciente quanto Sirius lo era stato con lui, non si era mai avverato: Harry era sempre stato un padrino semplicemente ideale.
Sapeva che Teddy aveva meno bisogno di lui di quanto egli stesso ne avesse avuto di Sirius; Teddy era circondato di persone che lo amavano e lo crescevano nel suo mondo, ovvero il mondo della magia. Questo non aveva però impedito che tra lui ed il padrino nascesse e si sviluppasse un legame tutto speciale, basato su affetto e complicità.
Harry aveva raccontato a Teddy praticamente tutto sulle guerre contro Voldemort, l’Ordine della Fenice, i suoi genitori, mentre ai figli aveva accennato solo le cose che suonavano più fiabesche ed interessanti.
Ed ora che Teddy aveva scelto la strada di sua madre come propria, e frequentava il secondo anno dell’Addestramento Auror, Harry non poteva che essere pienamente orgoglioso di lui.
Non erano soltanto padrino e figlioccio: erano anche, e soprattutto, gli unici eredi dei Malandrini, i nuovi Malandrini. E mentre saltava in sella alla moto che era stata di Sirius, Harry sorrise a quel pensiero. Forse era proprio per quel motivo che sia lui sua Teddy amavano così tanto quella moto: perché, insieme alla Mappa (la quale però era misteriosamente scomparsa poco prima che James iniziasse a frequentare Hogwarts...) era l’unica cosa che rimaneva loro materialmente dei Malandrini.
Il motore rombò; il signor Weasley aveva fatto uno splendido lavoro anni prima, con quella moto: l’aveva fatta tornare praticamente nuova. Ed Harry sapeva di doverle molto: due volte era scappato da Voldemort grazie ad essa; e non se lo dimenticava nemmeno ora che era tutto finito.
Con un ultimo pensiero al figlioccio che lo stava aspettando a casa dei Tonks, Harry partì, mentre Kreacher ancora lo osservava dalla finestra che dava sulla strada.

Ted Lupin aveva compiuto in aprile diciannove anni; era un uomo fatto, e bastava guardarlo per rendersene conto, anche se quell’espressione spensierata e quel sorriso radioso che mai abbandonavano il suo bel volto avevano un che di piacevolmente infantile.
Era di alta statura, e poteva vantare un fisico snello nonostante la sua innata allergia per ogni forma di attività fisica (Quidditch al primo posto); il viso a cuore era esattamente quello di sua madre, così come la tonalità delle iridi, il cui colore naturale era un affascinante marrone scuro; i capelli, invece, erano dello stesso castano chiaro di quelli di suo padre.
L’incarnato era chiaro, appena rosato, le guance si coloravano spesso quando si emozionava, ma senza che arrossisse nel vero senso della parola; aveva lineamenti gentili ed armoniosi, che solo nel naso erano un po’ più decisi e gli donavano, di tanto in tanto, una certa aria decisa che ben si adattava al suo carattere, dolce e forte assieme.
A prima vista, si sarebbe detto che somigliasse quasi esclusivamente a Tonks, per via della sua contagiosa allegria, e dei suoi tratti; in realtà, però, osservandolo meglio, si poteva notare che, sul suo volto e nei suoi modi di fare, aleggiava qualcosa della rassegnata tranquillità di Remus, e soprattutto in fondo al suo sguardo, nella dolcezza con cui guardava le persone, nel suo sorriso gentile quando si parlava di emozioni.
Sapeva essere ilare e solare come sua madre (e questo era il lato di lui che la maggior parte delle persone conoscevano), o comprensivo, pacato e dolce, ma anche, purtroppo, facile ai sensi di colpa come suo padre. Era la cosa che più Harry amava in lui: possedeva allo stesso tempo l’allegria di Tonks e la serena malinconia di Remus.
Teddy era l’ultimo dono che loro avevano fatto a lui e a tutti quelli che li avevano amati.
Proprio perché era il suo lato più solare ed allegro a prendere più spesso il sopravvento in lui, da tempo egli aveva imparato a fare buon uso della sua dote di Metamorfomagus, per cose serie come per divertimento, tanto che era abbastanza raro vedere i suoi capelli ed i suoi occhi del loro colore naturale. Lo trovava, da sempre, un passatempo unico; amava divertire sé stesso e tutti coloro che gli stavano intorno (Andromeda ed i Potter per primi), come sua madre prima di lui. Ai tempi di Hogwarts, era famoso per la sua innata generosità nel fare ridere gli altri con buffe trasformazioni così come coi suoi movimenti maldestri.
A scuola, però, non era stato conosciuto solo per la sua sbadataggine e la sua voglia di divertire; per tutti i sette anni di studi, era stato uno studente brillante, sulla scia di suo padre; Smistato a Grifondoro, era diventato Prefetto e Caposcuola, e, pur non essendo proprio da prendere a modello per quel che riguardava la disciplina, si era sempre distinto nel profitto.
Ed ora che si era diplomato, aveva scelto l’Addestramento Auror con decisione e senza dubbi; voleva continuare la strada che era stata di entrambi i genitori, voleva combattere i maghi Oscuri, come quelli che lo avevano reso orfano. Con grande orgoglio di Harry.
Ma, se all’Addestramento Auror era riuscito ad essere ammesso, e proseguiva con ottimi risultati, Teddy lo doveva in gran parte al suo carattere tenace, ed ad una vita passata in mezzo a decine e decine di persone che lo avevano sempre amato profondamente e incoraggiato senza sosta.
Era vero che era rimasto orfano a pochissimi mesi di vita; non era però rimasto solo, anzi.
A crescerlo erano stati in molti, fin troppi! E lui, diventato adulto sempre sballottato tra le braccia di decine di persone che si prendevano cura di lui, case diverse e famiglie in cui era accolto come un figlio, era aperto a tutto e tutti con animo sereno; non aveva mai chiamato nessuno mamma o papà, né designato un posto come casa, ma senza mai soffrirne, anzi, trovandone sempre e solo il lato positivo: amava definirsi uno spirito cosmopolita, oltre che un ragazzo particolarmente fortunato. Quand’era ancora bambino, aveva sbalordito sua nonna esclamando: “Chi è più felice di me al mondo, nonnina? Io non sono figlio di nessuno e non ho una casa... sono figlio di decine di genitori e centinaia di nonni, e ho mille e mille case... non è bellissimo?”
Questo aveva poi anche sviluppato in lui, fin da piccolissimo, uno spiccato senso di adattamento non comune, e non da tutti, che si era rivelato utilissimo all’Addestramento Auror: era l’unico a non essersi mai lamentato delle due prove, accettandole semplicemente come venivano imposte, motivato da un desiderio più forte di tutto, da una tenacia che aveva nel sangue, e che aveva imparato ad usare nel migliore dei modi.
E per quanto riguardava poi i suoi genitori, quei genitori che non aveva mai potuto conoscere, di loro sapeva tutto quello che c’era da sapere: chiunque gliene aveva parlato fin da quando era piccolo, e lui sentiva di conoscere coloro che gli avevano dato la vita come se li avesse potuti vivere su di sé; la sua camera era tappezzata di loro fotografie, e l’unica ancora esistente che lo ritraesse appena nato in braccio a Tonks, con Lupin che li abbracciava entrambi, era il suo tesoro più prezioso, e dimorava in una splendida cornice d’argento cesellato sul suo comodino.
Sapeva cosa aveva ereditato da ognuno dei genitori, e ne faceva motivo di orgoglio; adorava essere maldestro e pasticcione, semplicemente perché da che avesse memoria, tutti gli avevano sempre ripetuto che “sei proprio come tua madre!”; non si era mai vergognato di essere uno studente modello, non solo perché il suo carattere allegro e trascinatore aveva sempre conquistato i compagni, ma anche e soprattutto perché aveva scoperto che prima di lui lo era stato anche suo padre.
E poi c’erano i Ricordi.
Teddy non sapeva né come, né dove né quando; ma Harry era entrato in possesso – da sempre, da che lui ricordasse – di un Pensatoio, di poco dissimile da quello di Silente. Lo teneva in quella che anni ed anni prima era stata la stanza di Hermione e Ginny, al primo piano, accanto al salotto, e che lui aveva trasformato in una piccola, confortevole biblioteca; non aveva mai permesso ai suoi figli di avvicinarsi ad esso... ma Teddy sì, lui lo aveva visto ed usato molte volte.
Era iniziato tutto quando Teddy aveva compiuto undici anni. Un’età importante: Hogwarts, la fine dell’infanzia dorata passata istruiti in casa, le prime vere magie...
Poco prima del giorno del suo compleanno, Harry lo aveva preso da parte, anticipandogli un dono davvero speciale; e Teddy, ansioso e curiosissimo, aveva passato due notti di seguito in bianco, a cercare di indovinare di che cosa avrebbe potuto trattarsi.
Ma di magia poco sapeva, allora; e mai, neanche nella sua più sfrenata fantasia, avrebbe mai potuto arrivare a capire, o anche solo immaginare, quale sarebbe stato il regalo del padrino.
Nulla di costoso nel senso materiale del termine; ma per Teddy, era iniziata una nuova vita.
Il giorno fatidico, Harry lo aveva portato per mano nella biblioteca, e fino al Pensatoio; teneva con sé un barattolo trasparente, pieno di una specie di fumo denso, argentato, dal quale Teddy non riusciva a staccare gli occhi. Il suo padrino, sorridendo, aveva rovesciato il contenuto dentro al Pensatoio, intimandogli dolcemente di avvicinarsi.
“È una cosa che desideravo fare da tanto tempo... tanto,” aveva sorriso Harry, accarezzando la testa spettinata del figlioccio che adorava. “Mi è capitata un’esperienza del genere, una volta, ma per sbaglio, non ne avevo avuto il permesso. Ma per me è stato davvero molto importante. Avrei tanto voluto, ripensandoci ora, che qualcuno facesse qualcosa del genere per me... sono sicuro che ti piacerà molto più di abiti nuovi o che altro.”
Erano ricordi. Ricordi di Harry, nei quali Teddy si era ritrovato immerso, spettatore reale ed invisibile. Ricordi che riguardavano i suoi genitori. E Teddy li aveva potuti vedere: ricordi brevi, ma finalmente aveva guardato i suoi in volto, e sentito le loro voci, osservato le loro espressioni.
Come se fossero stati ancora vivi.
Da quel giorno, Harry non aveva mai interrotto quella tradizione; per ogni compleanno ed ogni Natale, e a volte per occasioni o meriti speciali, dal suo padrino Teddy riceveva in dono ricordi riguardanti i suoi genitori. E quei ricordi crescevano con lui: a mano a mano che diventava grande, essi diventavano più lunghi, più elaborati, più pesanti emotivamente, e lo toccavano nel profondo.
All’inizio si trattava solo di ricordi di Harry; poi, proprio lui, volendo continuare una scalata che andava di pari passo con la crescita di Teddy, aveva iniziato a chiederli ad altri che avevano conosciuto Remus e Tonks, e avevano assistito a scene ed eventi ai quali lui non era presente, come ad esempio il loro matrimonio.
La scena più difficile da accettare, il litigio tra Harry e Remus a Grimmauld Place, Teddy lo aveva avuto quando aveva portato a casa una lista infinita di M.A.G.O. con splendidi voti, ed aveva annunciato con decisione di voler diventare un Auror.
Era stato un duro colpo, ma Teddy era stato contento di sapere la verità; e si era sentito, ancora più che mai, riconoscente ad Harry, e sapere che anche suo padre aveva avuto dei difetti, dei momenti di crisi, era servito solo a farglielo amare ancora di più, perché ai suoi occhi era apparso umano nel bene e nel male.
Ed ora, Teddy amava dire di sé di essere, insieme ad Harry, l’unico erede dei Malandrini; erano padrino e figlioccio, ed erano i veri nuovi Malandrini. La foto che un tempo era stata nella stanza di Sirius a Grimmauld Place, faceva bella mostra di sé ora in camera di Teddy a casa di sua nonna.
E quando quel giorno, uscendo di casa al suono del clacson di Ron, vide Harry che lo aspettava in sella alla moto di Sirius, poco ci mancò che gettasse un urlo di gioia.
Saltellò verso il padrino come fosse stato un bambino: “Fantastico, la moto!”esclamò.
Harry gli sorrise, porgendogli gli occhialini che si era cacciato in tasca distrattamente: “Sapevo che ti avrebbe fatto piacere! Salta su; ci faremo aspettare.”
Teddy non se lo fece ripetere due volte; un secondo più tardi era già a cavalcioni della moto, il suo miglior sorriso sotto la linea degli occhialini.
“Avremo di che divertirci alla Tana,” gli disse Harry prima di partire. “I ragazzi hanno risposto alle nostre lettere; sono arrivate prima che uscissimo... Ginny vuole leggerle quando saremo tutti insieme!”
Teddy rise, immaginandosi già la scena: Hermione che leggeva ad alta voce le lettere, Ron che, al suo fianco, rispondeva a grugniti, sua nonna che ascoltava commossa, la signora Weasley che piangeva, il signor Weasley che borbottava, Lily che strillava cercando di sobillare anche Hugo...
Si chiese se ci sarebbero stati anche Bill e Fleur e George e Angelina alla Tana; probabilmente sì, visto che Ginny progettava di dedicare buona parte del pomeriggio a leggere lettere...
Chiudendo un momento gli occhi, sperò con tutto il cuore che Victoire avesse scritto qualcosa anche per lui; poi Harry partì, e Teddy si impose di godersi il viaggio.
Note finali:
Ebbene, che cosa ve ne pare? Tanto diverso da quello che avevate immaginato voi? Fatemi sapere mi raccomando! ^^
Capitolo 6 - Discussioni alla Tana di Miss Granger
Note dell'autore:
Ed eccovi una domenica di... discussioni alla Tana. Per lo Smistamento ovviamente... ma non solo ^^
Buona lettura!
Discussioni alla Tana

“Io continuo a non capacitarmene...” sospirò il signor Weasley, affondato in una poltrona.
“Oh insomma, papà!” esclamò spazientita Ginny. “Pensavo che ci fosse una certa differenza tra una caratteristica di famiglia ed un marchio di fabbrica!”
“No, è che...” ribatté poco convinto il signor Weasley. “Non ce la faccio, non riesco proprio ad accettarlo... sarà che sono vecchio e legato alle tradizioni...”
“Eh, forse è così, Gin,” commentò sarcastico George rivolto alla sorella. “Una questione di marchio di famiglia... dipende se si ereditano o meno i nostri capelli rossi!”
“Oh, smettetela!” li redarguì agitandosi il signor Weasley. “Non dico questo, è solo... che è un brutto colpo per un povero vecchio come me!”
“Ma insomma, papà, ti rendi conto di quanto la stai facendo lunga?” ritornò alla carica Ginny. “Pare che una tremenda catastrofe si sia abbattuta sulla nostra famiglia!”
“Be’, più o meno!”
“Oh, papà!” esclamò esasperata Ginny. “Che cosa sarà mai uno Smistamento? Che cosa sarà mai accaduto di così apocalittico? Semplicemente, Al, il mio Al, è stato mandato a Serpeverde... e allora? Parli come se un immenso drago si stesse abbattendo su di noi...”
“Drago, serpente... alla fine, la differenza sta solo nelle ali!” ribatté con foga la signora Weasley, senza smettere di trotterellare tutt’intorno alla famiglia riunita, un piumino in mano. Non si rese conto di aver detto qualcosa di buffo: a giudicare dalla sua espressione, parve essersi presa molto sul serio.
“Oh, certo, mamma!” ironizzò però subito George. “Moriremo tutti per mano di Al!”
“Ah, comunque, la tua teoria dei capelli non regge, Georgie!” gli fece eco Ginny, altrettanto ironica. “Perché Jamie ha i capelli di Harry, e tuttavia è a Grifondoro... non c’è altro da dire, Al è proprio la pecora nera della famiglia!”
“Ma la volete piantare di fare gli insolenti? Come vi permettete di rivolgervi così ai vostri anziani genitori?” abbaiò la signora Weasley, piantandosi le mani sui fianchi con fare minaccioso.
Teneva ancora tra le mani il piumino, e da quando erano arrivati gli ospiti, non era ancora riuscita a stare ferma per un paio di secondi di fila.
Da anni ed anni, e cioè da quando la guerra contro Voldemort era terminata, e loro si erano sistemati al meglio, i suoi figli si erano sempre proposti di regalarle un elfo domestico, come lei aveva sempre desiderato. Eppure, di fronte alla possibilità concreta, aveva sempre rifiutato.
E così continuava a trotterellare per casa, mai ferma, mai stanca, borbottando e lamentandosi, tra mugugni e frasi smozzicate... sempre la solita.
“Mamma, non dirai sul serio, spero!” la redarguì però George. “Cioè, ti rendi conto che stiamo parlando di Al? Di Al, capisci?! Il piccolo dolce Al... per la prima volta in undici anni ha preso in mano la sua vita e scelto qualcosa di sua spontanea volontà! Dovreste fare la ola al pensiero che questa volta non si è lasciato traviare da James, e invece... siete incontentabili!”
“Lasciato traviare?!” ribatté sua madre, a metà tra l’incredulo e l’irritato. “Parli come se Al fosse da sempre una povera vittima della tirannia di suo fratello!”
“Non che sia molto lontani dalla realtà...” ribatté con foga George.
Sedeva, o meglio, giaceva semisprofondato in una poltrona, accarezzando distrattamente ma con immensa tenerezza la testa nera e ricciuta di sua figlia minore, Roxane, che sedeva quietamente sul bordo, le labbra leggermente increspate.
Roxane aveva otto anni ed un carattere insolitamente tranquillo, giudicando di chi era figlia; invece di raggiungere i cugini Lily e Hugo che giocavano a rincorrersi in mezzo alle poltrone – rimediando colpetti in testa del piumino della nonna, che cercava inutilmente di calmarli – preferiva sedere zitta e buona accanto al padre. Eppure, nei suoi grandi occhi scuri, brillava un lampo di furbizia e di intelligenza che era lo stesso di suo padre.
“Smettila di dire idiozie!” si indignò sua madre, facendo piombare senza troppa grazia il piumino sui capelli scuri di Hugo. “Questa è una questione di... di tradizione! E del fatto che Serpeverde è sempre stata la Casa con la peggiore reputazione ad Hogwarts! E non accetto, proprio non ce la faccio, che il mio Al, il mio dolce Al abbia deciso di finire in mezzo a quella gentaglia...”
“Secondo me sai esagerando coi paroloni, mamma!” continuò George.
“Vorrei tanto sapere che cosa è saltato in testa a mio nipote!” esclamò il signor Weasley.
“Si dà il caso, papà mio carissimo, che tuo nipote sia prima di tutto mio figlio... e se io non mi do pena per la Casa in cui è stato Smistato, non dovresti farlo nemmeno tu!” esclamò Ginny schizzando in piedi.
“Ma Ginny, ragiona!” suo padre sgranò gli occhi. “A Serpeverde! Al meritava di stare in ben altra Casa... e sai che io avrei voluto tutti i miei nipotini a Grifondoro...”
“Oh, quello allora deve essere un sogno infranto da anni, papà!” ironizzò George. “Visto gli esiti degli Smistamenti... direi che con la seconda prole non hai seminato bene...”
“O forze siete stati voi a razzolare male, che ne dici?” lo rimbeccò la signora Weasley.
“La nostra non poteva rimanere una famiglia di soli Grifondoro a vita... sarebbe stato davvero tristissimo! Una noia mortale!”
“Perché, trovi divertente un nipote a Serpeverde?!” ruggì sua madre.
“Come no?!” esclamò George. “Sarà semplicemente splendido vedere James e Al che si litigheranno sulle Case!”
“Tu li vuoi mettere uno contro l’altro!” urlò la signora Weasley.
“Lo sono già, mamma, dal giorno in cui Al è venuto al mondo!”
“Vorrei tanto sapere chi ha messo in testa ad Al un’idea del genere, così... assurda!” riprese la signora Weasley con voce piangevole.
“Suvvia, mamma, senza un po’ di rivalità la nostra famiglia sarebbe una vera noia...” nel dirlo, George fece come il gesto di scacciare una mosca.
“Finirà che a Natale regalerò ad Al la grande bandiera verde e argento che un tempo era appesa in camera di Regulus!” Harry si intromise in un attimo di silenzio, prendendo la questione in ridere. “Ecco, Arthur, Molly: vedete, è colpa mia, l’ho condannato a questo ingrato destino Serpeverde facendolo dormire in quella stessa stanza...”
Ma i signori Weasley non si calmarono; e tantomeno, lo fecero Ginny e George. Anzi: nel giro di una frazione di secondo la discussione riprese, più animata ancora di prima – se possibile – tanto che i quattro abbandonarono ogni sarcasmo ed ogni scherzo, alzandosi in piedi con fare minaccioso e iniziando ad urlare.
“Sono impazziti!” esclamò costernata Hermione una decina di minuti dopo, quando si rese conto che il litigio, invece di finire così come era iniziato, proseguiva.
“Ma perché? Secondo me era ovvio...” le rispose Ron, dondolando appena la testa.
Hermione sedeva su una sedia accanto al focolare ancora spento, e teneva in grembo le lettere dei ragazzi, che aveva appena finito di leggere ad alta voce. Rivolse al marito un’occhiataccia: “E perché, di grazia?”
“Be’, perchè non è una questione da poco, insomma!”
Hermione aggrottò le sopracciglia assumendo un’espressione minacciosa: “Stai cercando di dirmi che stai dalla parte dei tuoi?”
“No, cioè... insomma, non è una questione da poco...”
“Ron, spero tu non stia pensando quello che credo!” sibilò. “Ginny e George stanno facendo di certo troppo chiasso, ma hanno ragione! Chi se ne importa in che Casa sono smistati i ragazzi, purché siano contenti... e studino! Perché sappiamo bene che James, benché sia un Grifondoro e i tuoi ne vadano così orgogliosi, non ha nessuna voglia di impegnarsi anche un minimo, e ha fatto perdere la testa a Ginny l’hanno scorso, coi risultati appena sufficienti degli esami!”
“Ma adesso cosa c’entrano i voti con le Case?” borbottò Ron. “Sei sempre la solita. Mica che la scuola è solo i voti...”
“Non capisci niente. Sei il solito!” decretò Hermione, incrociando le braccia, indignata.
“Ed anzi, sai che ti dico? Va’ pure a prendere le parti dei tuoi genitori, se ci tieni. Non capite nulla, nessuno dei tre.”
Detto questo, si alzò di scatto, istintiva com’era da sempre, e andò dritta la parte opposta del salotto. Non c’era niente da fare: Ron avrebbe davvero dato una mano ai signori Weasley, e lei non poteva fare altro che scrollare la testa. Sapeva di essere la sola lì dentro, assieme ad Harry e Ginny, alla quale non importasse veramente nulla di dove i loro figli fossero stati Smistati. Per quel che la riguardava personalmente, Rose avrebbe anche potuto essere nella Casa di Ranagialla, e a lei sarebbe importato tanto quanto in quel momento.
Ma, nel sedersi su un posto libero accanto alla moglie di Gorge, si rese conto che lei, Ginny ed Harry non erano i soli ad infischiarsene totalmente della questione delle Case: si ritrovò al fianco di Fleur senza quasi accorgersene, e le sovvenne che la cognata acquisita non era ancora riuscita a capirci molto nel funzionamento delle Case.
E forse era proprio per questo che aveva tre figlie, ognuna delle quali in una Casa differente, ma se ne dimenticava puntualmente, e non riusciva proprio a capire perché la sera prima di dormire non potessero farsi una chiacchierata tutte insieme davanti al focolare.
“Che idiozia,” decretò Hermione, lasciandosi sprofondare nel divano, corrucciata.
“Questa storia delle Case e di Al?” chiese Fleur con un sorriso.
“Esattamente.”
“Oh. Non l’ho ancora capito, non capirò mai!” sentenziò Fleur. “Per me è scioltanto una gran perdita di tompo! Non credi?”
“Sì, infatti. Non mi interessa in che Casa sia mia figlia... tanto più che anche io avrei dovuto andare a Corvonero...e Grifondoro proprio non fa per lei!”
“Mah... voi, gli animali e i colori... a Beauxbatons Case non ne avevamo, se non quella che ci aspettava alle vacanse di Natale, e andava tutto bone...”
“Sì, è una tradizione tipicamente inglese, capisco... però i suoceri la stanno facendo troppo lunga!”
“Secondo me George ha rascione a dire che Al fa sompre quollo che vuole suo fratello... e sono contonta che per una volta abbia fatto come voleva lui.”
“Perdono tempo, sprecano fiato e rovinano la giornata.”
“Se ci ponsi, però, era gia troppo tempo che non litigavano seriamonte.”
“Ma ti pare un litigio serio, questo?” Hermione fece un balzo sul divano, agitandosi.
“No, certo che no.”
“Appunto! Ma guarda! Pure mio marito ci si è messo adesso! Vi vergogno solo a guardarlo...”
“Disci? Eppure io sci avrei giurato che difendeva i genitori...”
“Secondo me gli brucia che Rosie non è a Grifondoro...” commentò Hermione, ma questa volta a voce più bassa, incrociando con forza le braccia al petto e dondolando un piede. Sembrava una bambina incerta.
Fleur le rivolse il suo più bel sorriso: “E che cosa dovrei dire io?” rise, “Io che ho tre bambine e tutte e tre in una Casa divorsa?”
Anche Hermione sorrise ora: “Vorrei sapere perché è la prima volta che i suoceri fanno tanto chiasso per uno Smistamento.”
“Be’, perché nessuno prima di Al era finito a Serpeverde...”
“Secondo me non ha senso. Le Case non esistono per alimentare l’odio, bensì per assecondare i diversi modi di essere di ognuno di noi... anche se, sinceramente, non avrei mai detto che Al si sarebbe ritrovato a Serpeverde...”
“In ogni caso, una cosa è ciorta”, sostenne Fleur con decisione. “La stanno fascendo troppo lunga.”
“Oh, certo! Una perdita di tempo...”
“Che cose inutili... Case? Puha!”
“Su, non prendetevela... sono sicuro che mamma e papà avevano solo voglia di discutere un po’ per dimostrare che, nonostante tutto, sono ancora loro ad avere in mano l’autorità nella famiglia...” si intromise Bill con un sorriso. “Non è una tragedia. Smetteranno tra poco.”
“Sì, ma il comportamento di Ron è irritante!” obbiettò Hermione.
“Sì, ma si calmeranno in fretta...fra un po’ verrà fame a tutti quanti, e tanti saluti discussione!”
Fleur non poté fare a meno di sorridere, Hermione accennò una sorta di sorriso.
“L’importante è lasciarli parlare, e prenderla come una cosa passeggera... come fa Harry,” ed accennò al cognato, che sedeva tranquillo poco distante dalla porta chiacchierando col figlioccio.
“Non si staranno scaldando troppo?” chiese Teddy al padrino, alzando gli occhi per guardarlo.
“No...” Harry si strinse nelle spalle con un sorriso, proprio come Bill qualche metro più in là. “Mi dispiace solo pensare che è una discussione perfettamente inutile. Gli unici che potrebbero avere qualcosa da ridire saremmo io e Ginny, e il nostro parere non lo ascolta nessuno.”
“Parlano come se Serpeverde fosse l’Inferno,” Teddy abbassò gli occhi nel dirlo. “E pensare che è stata la Casa della nonna...”
Harry non rispose; ma le parole del figlioccio risvegliarono in lui qualcosa che aveva sempre saputo, ma di cui si era inconsciamente dimenticato.
Alzò lo sguardo, e lo lasciò vagare sulla stanza, fino a che non trovò Andromeda. Anche se si trovava praticamente in mezzo ai cinque litiganti, e questi le urlavano nelle orecchie senza nemmeno accorgersi di lei, sembrava il ritratto della tranquillità.
Sedeva comoda sul divano, accanto alla moglie di George, le mani posate sul bracciolo quasi con noncuranza, le gambe accavallate ed un piede che dondolava appena.
I vent’anni trascorsi dalla prima volta che Harry l’aveva vista le avevano portato striature di sale e pepe nei capelli castani, ed un viso non più giovane; tuttavia, Andromeda rimaneva ancora la bella donna che era sempre stata, nonostante l’età, e qualcosa della sua educazione rigida e del suo sangue puro era rimasto nella regalità del suo portamento, e nella grazia dei suoi movimenti.
Aveva perso il marito e l’unica figlia, e la fine della guerra e delle tensioni non era stato sufficiente a riavvicinarla alla sorella minore, l’unica persona che ancora le rimanesse della sua famiglia.
Eppure, tutto questo non era stato in grado di abbatterla; aveva Teddy per ricominciare, e non aveva sprecato l’occasione: si era lasciata alle spalle il passato e l’immenso dolore che l’aveva scavata dentro, ed aveva costruito la sua nuova vita intorno al nipotino da crescere e da amare.
La sua famiglia era diventata la famiglia di Teddy; erano Harry e Ginny, Ron ed Hermione, e gli Weasley sempre più numerosi; piuttosto che vivere cullandosi nell’amarezza dei ricordi (cosa che sarebbe stata perfettamente ovvia), aveva preferito relegarli in una parte nascosta di sé, per riportarli alla luce solo per raccontare storie fiabesche ai ragazzi.
Durante tutti quegli anni, poi, si era consolata anche stringendo in fretta un’affettuosa amicizia con la signora Weasley, con la quale era solita ormai da parecchio, trascorrere molto tempo.
Era un’amicizia strana, la loro; strana agli occhi di chi le conosceva. Erano così profondamente, tremendamente diverse; ed entrambe ne erano ben consapevoli. Eppure, e forse proprio per questo, avevano scoperto di andare d’accordo e comprendersi alla perfezione su molte cose...
Perché Andromeda non serbava alcun rancore alla signora Weasley per l’uccisione di sua sorella.
Anzi.
Bellatrix era stata sua sorella, era vero, sangue del suo sangue; ma aveva ucciso suo cugino, l’unico vero amico della sua infanzia, e sua figlia, la sua unica figlia; due volte ci aveva provato, e la seconda ci era riuscita. Che fosse sua sorella, ad Andromeda non importava più: ormai, dentro di sé, era solamente la donna che le aveva rovinato l’esistenza.
La signora Weasley l’aveva uccisa per salvare Ginny, la sua unica figlia; nessuno al mondo quanto Andromeda poteva capirla, e giustificarla. Lo avrebbe fatto lei stessa, se fosse stata presente in quel momento, per vendicare la sua Dora. Non era stato così, e a farlo era stata la signora Weasley. Ma di questo, Andromeda non poteva che esserle grata.
E l’affettuoso rapporto che si era instaurato tra lei e la signora Weasley era quello di due madri che avevano perso dei figli, e conoscevano una l’incolmabile dolore dell’altra; ma a differenza di Andromeda, la signora Weasley conservava ancora una famiglia numerosa ed unita, e quel senso di protezione tutto materno di chi è abituato a vivere in mezzo a molti figli.
Andromeda era stata accolta a braccia aperte, come una consanguinea, da tutti; dai genitori, i figli ed i nipoti con lo stesso entusiasmo e lo stesso sincero affetto.
Ed ora, seduta a gambe accavallate sul divano, con un’eleganza tutta sua che le era connaturale da sempre, le braccia gentilmente abbandonate sul bracciolo, osservava la discussione con un accenno di sorriso; i suoi occhi, grandi e dolci come erano sempre stati, si spostavano da uno all’altro dei contendenti, senza che il suo sorriso mutasse.
“Scusate,” disse solo, a media voce; parve aspettarsi di non essere udita, ed aveva ragione, visto che i cinque litiganti ora stavano davvero urlando. Ed invece, tutti si zittirono di colpo al suono della sua voce, e si volsero a guardarla.
Andromeda si stupì, ma non perse il sorriso: “Io non riesco a capire... Molly, io sono stata accolta splendida tra di voi, come un’ospite di riguardo, anzi, come una di famiglia...”
Il suo commento colse tutti di sorpresa. La signora Weasley la fissò per qualche momento come intontita, cercando di sollevare da terra la propria mascella. Era da tropo che si occupava soltanto di urlare e di berciare su Case e Smistamenti. L’uscita di Andromda la fulminò e la confuse.
“Ma... ma certo che lo sei! Sai che ti adoriamo!” riuscì a balbettare confusa quando fu in grado di articolare suoni comprensibili, sgranando gli occhi e lasciando scivolare a terra lo spolverino.
“Appunto. E non capisco...” Andromeda si interruppe un attimo, come a cercare le parole più adatte. “Non riesco a capirvi...”
“Ma... ma che cosa dici, Andy?” esclamò il signor Weasley d’impeto, non appena parve realizzare appieno la piega che aveva preso la conversazione. “Tu sei una di noi, fai parte della nostra famiglia, e sarà così per sempre! Ti amiamo come avessi il nostro sangue, e te ne abbiamo dato prova!”
“Infatti, Arthur... e non capisco. Perché anche io sono stata smistata a Serpeverde.”
“Ma tu sei stata costretta a farlo... costretta dalla tua famiglia!” esclamò d’istinto Ron. “Loro non ti avrebbero mai permesso di essere diversa...”
“No,” Andromeda sorrise. “Non è andata così. Il Cappello Parlante voleva mandarmi a Corvonero. Avrei potuto accettare e invece... invece sono stata io a chiedere espressamente di essere mandata a Serpeverde, perché volevo stare con le mie sorelle. Io non ho avuto il coraggio di Sirius, non ho saputo mostrare la mia diversità. Nonostante questo, sono sicura che non nutriate alcun dubbio su dove vada la mia lealtà... mi pare che le mie scelte di vita lo abbiamo dimostrato abbondantemente. Ebbene, allora perché crucciarsi tanto per Al? Ha fatto la sua scelta. E secondo me, è un ragazzo così dotato e capace, che porterà gloria alla sua Casa, anche se questa è Serpeverde. E voi state solo sprecando fiato.”
Non aveva smesso di sorridere di un sorriso dolce e gentile, che anzi si fece sempre più ampio, ed il suo tono non aveva mai avuto la benché minima inflessione accusatoria. Eppure dopo le sue parole, il silenzio sulla stanza non si ruppe.
Adesso non era solo la signora Weasley a tentare si alzare da terra la propria mandibola, ma tutti i presenti nella sala, o quasi; alcuni si scambiavano sguardi strabiliati, altri (e fu il caso di Ron e di suo padre) abbassarono la testa come se si vergognassero, altri sorrisero solo.
“Hai ragione,” sussurrò la signora Weasley dopo un tempo che parve infinito, un silenzio glaciale e senza soluzione che era come una colata d’acqua gelida lungo la schiena di tutti. “Hai ragione, è solo che... è strano, ed è difficile accettare...”
Sicuramente, voleva dire qualcos’altro ad Andromeda che la ascoltava attentamente, ancora con quel suo dolce sorriso di ammonimento; ma, improvvisamente, un tonfo sordo, come un rombo, fece sobbalzare e voltare tutti quanti verso la porta che si apriva sul corridoio.
Il rumore assordante di qualcosa di molto pesante che veniva rovesciato; una voce maschile che imprecava a voce bassa, anche se non abbastanza da non essere udita, accompagnata da una esclamazione di dolore; poi, qualcosa di più leggero che rotolava via, lontano dalla porta, ed ancora il primo oggetto caduto che rimbalzava pesantemente, e quasi faceva tremare il pavimento...
Il portaombrelli di legno rovesciato... e tutti gli ombrelli sparsi senza alcun ordine.
“TONKS!” l’urlo in coro del signore e la signora Weasley, Hermione, Ginny, George e Ron fu istintivo; il “Dora!” di Andromeda si udì solo perché ritardò l’altro di un attimo.
Ma, ovviamente, in piedi sulla porta, un ginocchio sbucciato tra le mani, in bilico su una gamba sola, non c’era Tonks... bensì, c’era Teddy.
Tutti gli occhi si posarono su di lui ed il ragazzo, in un attimo, divenne del colore delle ciliegie mature: le sue guance si fecero porpora e, appena più lentamente, la stessa sorte toccò anche ai capelli, spettinati e in disordine.
“Oh, caro!” la signora Weasley si portò una mano alla bocca non appena si accorse di quel che aveva detto, ed arrossì anche lei. “Perdonami caro, mi è venuto spontaneo, non volevo...”
“Ma no, Molly... perdonami tu piuttosto...” balbettò il ragazzo in risposta incontrando lo sguardo della donna; mentre lo faceva, si passò una mano tra i capelli con gesto goffo e nervoso. “Io... è colpa mia, solo mia, sono sempre il solito... non volevo, davvero... mi dispiace...”
“Ma caro, ma non fa nulla!” esclamò l’interpellata quando si riprese dallo stupore. “Va tutto bene, non ti preoccupare, era solo un portaombrelli...”
“Ma è tutto sparso.. guarda che disastro... non muoverti metto tutto a posto io...” fece per muoversi ma, in bilico su una sola gamba, incespicò, e dovette tenersi allo stipite della porta, raddoppiando la figuraccia. Se possibile, i suoi capelli si fecero di un rosso ormai cremisi.
“Sì, cioè... aspetta... ora faccio io... sono un disastro Molly, non sai quanto mi dispiace...”
“Teddy, per favore... era davvero solo un portaombrelli non è una tragedia!”
Ma nel dirlo, la donna ricordò nitidamente quando il portaombrelli di Grimmauld Place aveva fatto più o meno la stessa fine, ad opera di Tonks, oltre vent’anni prima. Al ricordo, le parve quasi di vederla, la giovane Auror; anche lei aveva i capelli rosso fiamma per la vergogna, esattamente come le guance, ed anche i suoi erano corti ed incorniciavano un bel viso a cuore.
La signora Weasley sentì le lacrime agli occhi, mentre guardava Teddy che annaspava goffamente alla ricerca della bacchetta con la sinistra, poiché la destra era ancora occupata a sostenere il ginocchio ferito e dolorante.
Adorabile. Ecco cos’era Teddy. Un adorabile pasticcione.
Si ritrovò a sorridere commossa e ad abbracciare l’impacciato ragazzone: alto, robusto e adulto, ma in imbarazzo e rosso in viso come un bambino colto con le dita nella marmellata.
Andromeda, intanto, fissava il nipote con gli occhi che brillavano di commozione; accantonato il ricordo della figlia, per non farsi del male, ora era concentrata su Teddy.
Adorava il suo essere maldestro e pasticcione. Se con la figlia aveva sempre cercato di trovare una soluzione, si era spazientita, innervosita e irritata innumerevoli volte, con Teddy non era mai stato così. Anzi. Questo lo rendeva tanto simile alla madre, da scaldarle il cuore; e da sempre, guardava le buffe figure del nipote con gioia, commossa, e mai si era permessa di rimproverarlo o cercare di renderlo meno goffo e sbadato. Vederlo così le faceva bene al cuore, e sperava che rimanesse esattamente com’era.
Nessuno nella stanza osò ridere della figuraccia di Teddy, anzi. Non appena il ragazzo ebbe messo tutto a posto come promesso, con un colpo di bacchetta, e si avvicinò al centro del salotto, tutti gli sorrisero dolcemente, come se nulla fosse successo; Andromeda si spostò per fargli spazio accanto a sé sul divano, accogliendolo a braccia aperte.
Tutto intorno a loro, le acque si erano come per miracolo calmate. I cinque litiganti avevano smesso di urlare ed avevano preso ognuno il suo posto: Ron su uno sgabello, la signora Weasley accanto al marito, Ginny al fianco di Harry, George comodamente sprofondato nella sua poltrona, con la figlia minore quietamente accoccolata sul bracciolo e la moglie al fianco.
Solamente Hermione rimase accanto a Fleur, ma ora chiacchierava tranquillamente con Angelina, evidentemente di qualcosa di divertente, a giudicare dai loro sorrisi tranquilli.
Niente più urla e nemmeno voci alte; anzi, solo risate, battute allegre, sorrisi. Teddy era poco meno che sconcertato. Si guardò attorno per un po’, rendendosi contro che tutti si comportavano come se non ci fosse mai stato alcun litigio, quindi posò la mano sul braccio di Andromeda: “Nonna... che è successo? Perché si sono calmati tutti? Non ci credo, se mi dici che è bastata la tua osservazione, e la mia figura da idiota...”
Andromeda sorrideva ancora, questa volta di un sorriso più radioso: “Parrebbe di sì... anche Fleur e Hermione si sono tranquillizzate, e questa la dice lunga... per non parlare di Molly che sembra essersi trasformata in un budino alla vaniglia!” e rise.
Teddy sorrise, anche se era ancora stupito, continuando a lasciar vagare lo sguardo per la sala; ormai tutti sembravano essersi dimenticati dello Smistamento, della discussione.
Solamente, alcuni avevano afferrato le lettere che Hermione aveva abbandonato sulla sedia su cui sedeva prima; tra questi, Bill e Fleur.
Teddy si volse a guardarli, mentre stavano rileggendo la lettera di una delle loro figlie; anche da lontano, il ragazzo riusciva a riconoscere la calligrafia di Victoire.
Non c’erano state lettere per lui; lei aveva scritto solo quella lettera indirizzata ai genitori. Ma Teddy non riusciva a capire esattamente perché... forse, semplicemente, la ragazza era conscia del fatto che allegare un’altra lettera, solo per Teddy, avrebbe destato la curiosità dei familiari, i quali avrebbero ficcanasato... oppure, ancora più semplicemente, non aveva nulla da dirgli, o almeno non abbastanza da riempire una lettera.
Questo Teddy, però, non voleva neanche pensarlo... sarebbe stato tremendo.
Lui aveva così tante cose da dirle, così tante, che avrebbe potuto riempire non una, ma dieci lettere, tutte lunghissime. C’erano così tante cose che voleva dirle, sull’Addestramento, le prove, lo studio impegnativo, le domeniche passate alla Tana, le serate con Andromeda, i pranzi a casa di Harry e Ginny, le discussioni in famiglia...
Forse aveva sbagliato. Forse avrebbe dovuto aspettare... forse aveva bruciato i tempi, e avrebbe dovuto concederle ancora un po’ di tempo, non raggiungerla al binario nove e tre quarti qualche giorno prima, non baciarla...
Ma aspettare cosa, poi? Le vacanze di Natale? No. Teddy sapeva che non avrebbe potuto resistere quasi quattro mesi senza lasciarle un segno inequivocabile di quello che provava per lei. Aveva troppa paura che lei finisse per non pensare più a lui, o anche solo pensargli troppo poco... e una volta tornata per Natale – sempre se fosse tornata – sarebbe stato così difficile riprendere il discorso da dove lo avevano lasciato.
E poi lei sembrava averlo voluto quanto lui... ma allora perché ora non gli scriveva? Davvero non aveva nulla da dirgli, dopo quel bacio? Non che Teddy si aspettasse di sentirle urlare: “Ti amo!” davanti a tutta la famiglia schierata per le vacanze di Natale, certo che no. Però...
Allungò un poco il collo, per vedere meglio la lettera tra le belle mani di Fleur; ma era troppo lontano per capirne le parole. L’aveva appena sentita, letta ad alta voce da Hermione, era vero, ma avrebbe dato qualunque cosa pur di rileggerla per conto proprio.
Ormai le acque nella stanza si era acquietate; tutti intorno a Teddy ridevano a chiacchieravano con tranquillità. E lui si sentiva agitato. Un po’ per i postumi della figuraccia di un momento prima col portaombrelli, un po’ per il pensiero di Victoire.
Scosso, si alzò in piedi, prima che sua nonna potesse rendersi conto che c’era qualcosa di strano in lui e fargli domande che lo avrebbero inchiodato con le spalle al muro, come sempre; si alzò in fretta, e si diresse spedito e convinto verso la porta.
“Teddy!” lo fermò però una voce, poco prima che riuscisse ad uscire, ed una mano gli afferrò con gentilezza il braccio, impedendogli di proseguire.
Teddy si volse, ed incontrò gli occhi verdi del padrino: “Teddy, c’è qualcosa che non va?”
“No, no tutto bene,” mentì, cercando di sfoderare il suo sorriso migliore.
“Dovresti medicarti il ginocchio... ti fa male?”
“No, no, è solo una sbucciatura, è tutto a posto.”
“Dovresti comunque medicarlo. Vieni, andiamo di là; intanto bisogna fermare Lily e Hugo, prima che si rompano l’osso del collo... a giudicare dai rumori che fanno, ne stanno combinando una delle loro.”
Teddy non se la sentì di rifiutare, o di ribattere; seguì il padrino in silenzio fuori dal salotto, e si richiuse la porta alle spalle.
Harry aveva avuto ragione: Lily era seduta cavalcioni sul corrimano della scala che conduceva alle camere da letto, i capelli di fuoco degli Weasley, sciolti, che svolazzavano tutto intorno, pronta a lasciarsi scivolare giù. Hugo la aspettava in fondo, anche lui cavalcioni, la schiena appoggiata al grande pomo di legno, le braccia spalancate, come a volerle attutire lo schianto una volta che lei gli fosse rovinata addosso.
Esattamente come Al e Rose, anche Lily e Hugo erano inseparabili, anche se, a differenza dei fratelli, non erano cresciuti in simbiosi; un po’ perché Lily aveva un anno – anzi, undici mesi per la precisione – più di suo cugino, ed un po’ perché, al tempo della nascita di Hugo, ad Hermione era passata l’ansia del primo bebè.
Si dice che il primogenito sia una sorta di palestra per non ripetere alcuni errori ed alcune comuni ansie con i successivi figli... Hermione ne era stata la prova.
Quando era nata Rose, colta dal terrore di non essere una madre abbastanza preparata, aveva approfittato del fatto che anche Al fosse venuto al mondo da pochissimo, per chiedere aiuto alla cognata che, avendo James che già camminava, le sembrava il ritratto della saggezza materna; per questo i due bambini erano cresciuti come fossero stati gemelli.
Quando era nato Hugo, invece, le cose erano cambiate; non solo Lily era già abbastanza grande da iniziare a muovere i primi passi, ma Hermione non era più del tutto dipendente dall’esperienza materna di Ginny, ed anzi, era in grado di cavarsela meravigliosamente da sola.
Nonostante ciò, Lily ed Hugo, forse ad imitazione dei fratelli maggiori, erano diventati inseparabili; ma, al contrario di Al e Rose, famosi in famiglia per essere tranquilli e di carattere gentile (per quanto entrambi irriducibilmente testardi e determinati), i due più piccoli sembravano gli eredi di Fred e George: scapestrati, incapaci di stare fermi, turbolenti e vivacissimi. Il loro unico passatempo era cacciarsi costantemente nei guai, o giocare a giochi particolarmente pericolosi.
Tra i due, nemmeno a dirlo, il leader era Lily; dal carattere d’acciaio proprio come sua madre, sapeva come convincere le persone dalla propria, e soprattutto il cuginetto.
Quando Harry ed il figlioccio si avvicinarono alla scala, Lily, con un urlo che perforò i timpani di Teddy, si lasciò andare giù per il corrimano, sollevando le braccia come si fa sulle montagne russe, e chiudendo gli occhi, emozionata.
Ma, prima ancora di arrivare in fondo, non furono le braccia del cugino che incontrò bensì, pur senza saperlo, quelle robuste e veloci del padre. Harry la acchiappò in fretta, prima che lei potesse rendersi conto di nulla, e la sollevò, mettendola velocemente a terra.
Sconcertata e disorientata, la bambina scosse la testa, quasi perse l’equilibrio, ed aprì i grandi occhi scuri: “Ma... ma cosa...?” balbettò.
Sbatté le lunghe ciglia una volta, due, cinque, finché non parve mettere al fuoco il viso del padre, e riconoscerlo: “Pa... papà?!” chiese stupita.
“Sì proprio io, signorina! Ebbene, che cosa stavate facendo?”
“Stavamo giocando, papà!” rispose Lily come fosse la cosa più ovvia del mondo, sgranando di nuovo gli occhi e sostenendo senza paura lo sguardo irato di suo padre.
“Lily Luna Potter!” quasi urlò Harry con foga. “Forse non ti sei resa conto di quanto fosse PERICOLOSO il giochino che tu e tuo cugino stavate facendo! Potevate farvi molto male!”
“Male? Ma papà lo sai che io ed Hugo non ci facciamo mai male, e...”
“Oh, certo!” ribatté sarcastico Harry. “Come ad esempio quella volta che siete rotolati giù dalle scale della cucina a casa nostra... oppure quando siete finiti a sbattere negli spigoli della scrivania di zio Ron... o magari quando vi siete piantati contro un albero andando in slittino?”
“Quelle sono state sciocchezze! E non era colpa nostra...”
“Oh, infatti... colpa di qualche strano spiritello, visto che eravate completamente soli... possibile che farvi capire che rischiate di rompervi l’osso del collo sia così difficile? E comunque il rimprovero vale anche per te, Hugo!” Harry si volse verso il nipote con sguardo di fuoco. “Scendi da quella scala, IMMEDIATAMENTE!”
Hugo, per quanto caparbio e cocciuto, scese senza farselo ripetere; tenne però la testa bassa, aveva la fronte corrucciata, i capelli castani gli ricadevano, tremendamente arruffati, da ogni lato del viso nel più completo disordine.
“Corri immediatamente di là dai tuoi, Hugo!” riprese Harry senza addolcirsi. “E che non ti veda più qui in giro, oggi, né tantomeno in compagnia di Lily!”
Hugo non rispose, ma borbottò tra i denti qualcosa che né Harry né Teddy poterono capire; era tipico del bambino, protestare tra sé e sé, e mostrare nient’altro che l’umiliazione e la rabbia dipinte sul faccino solitamente roseo e paffuto.
Impettito e con la coda tra le gambe, marciò come un soldatino vero la porta del salotto; Teddy non poté fare a meno di riconoscere che la scena aveva un che di sinceramente buffo, ed avrebbe riso, se l’espressione di Harry non gli avesse fatto cambiare idea.
“Ma stavamo solo giocando!” insistette ancora Lily, una volta che il cugino fu sparito in salotto.
“Rischiare di rompersi la testa per voi si chiama giocare?”
“Lo sai che io e Hugo non ci facciamo mai male, papà!”
“Io so solo che siete due scapestrati, e che vi siete già fatti male troppe volte negli ultimi anni; e visto che non ho nessuna intenzione di concludere la domenica con voi due al San Mungo con qualcosa di rotto, farai bene a piantarla qui, e SUBITO!”
“Ma se non possiamo nemmeno giocare...” la voce di Lily si era fatta un pigolio, ora.
“Ci sono milioni di modi più innocenti e tranquilli di giocare, Lily! Tanto, per adesso, di giocare per voi non se ne parla nemmeno! Anzi, ora in salotto ci corri pure tu, e bada di stare seduta immobile, e non provare a sobillare Roxane!”
“Ma io mi annoio a stare seduta ad ascoltare i vostri discorsi!”
“Non mi interessa. Se avessi fatto un gioco meno pericoloso, nessuno vi avrebbe disturbati. Ora di là, di corsa! E appena la nonna andrà in cucina a iniziare a preparare, esigo che tu e Hugo andiate ad aiutarla. Almeno avrete da fare e non potrete dire di annoiarvi.”
Lily provò di nuovo a ribattere, ma il padre le lanciò un’occhiata tale che la bambina desistette, e, mani dietro la schiena e testa bassa, marciò a sua volta verso il salotto.
“Più passa il tempo, peggio è,” commentò sospirando Harry una volta che la porta fu di nuovo chiusa. “E uno che spera di passare almeno la domenica in pace...”
Teddy gli sorrise: “Sono ragazzini, Harry... se non si calmeranno prima di andare a Hogwarts, ci penseranno le punizioni e la Preside a dare loro una regolata...”
Harry, ora più tranquillo sorrise: “Ma noi eravamo qui per medicare il tuo ginocchio... e per parlare di quello che ti turba.”
“Ma... oh! Io... non c’è niente, Harry, io...” balbettò Teddy confondendosi e arrossendo di nuovo. “Seriamente Teddy... davvero qualcosa di turba?”
Teddy abbassò il viso, e in quel momento ad Harry ricordò terribilmente suo padre: “Sì.”
“Si tratta di Victoire, vero?”
Teddy parve non riuscire a respirare: “Sì...”
“Vuoi... vuoi che ne parliamo? Hai bisogno di parlarne? Perché se ti va...” fece una pausa. “Ti capisco, Teddy. Sai? La storia tra me e Ginny è stata molto più complicata di quanto voi possiate immaginare...”
“Davvero?” Teddy rialzò il volto, sgranando i grandi occhi scuri.
“Davvero. E sei hai bisogno di parlare,” fece un piccolo gesto col braccio in direzione della porta davanti a loro, “per adesso, la cucina è libera.”
Teddy sorrise di un sorriso radioso; non rispose nulla, semplicemente, seguì il padrino.
Un confidente prezioso, sempre e comunque; un appoggio sicuro, un padre, un amico, un fratello; quello che Sirius era stato per Harry, anche se per troppo poco tempo.
Quello che Harry aveva scelto di essere per Teddy; da sempre, e per sempre.
Note finali:
Mi sono divertita IMMENSAMENTE a trascivere il modo di parlare di Fleur... spero appreziate l'idea dell'amicizia Molly/Meda. Mi è sembrata... naturale. E chissà, magari piacerebbe anche a JKR ^^
Allora che cosa ne dite? Sono così affezionata a questo capitolo...
Capitolo 7 - Idee confuse di Miss Granger
Note dell'autore:
Forse Al vi farà tenerezza: mi è sembrato molto me stessa mentre scrivevo, me stessa alla sua età. Eppure è venuto fuori da solo, senza che lo programmassi. E' questa la magia dello scrivere, dopotutto, no?
Idee confuse

“Abbiamo perso Vic, ragazzi,” annunziò a pranzo Bessie, dividendo lo sguardo tra Fred e James.
“Ma… ma non stava mangiando un nanosecondo fa?” esclamò Fred sbigottito, quando, guardando accanto a Rose, vide solo una sedia vuota.
“Avrà avuto qualcosa da fare,” tagliò corto James, al quale ben poco interessava degli affari della cugina, a meno che non fossero in relazione con l’argomento “Ted Remus Lupin”.
“Qualcosa… cosa? Non aveva compiti,” rispose però Bessie testarda. “Cioè, li aveva fatti tutti.”
“Se ne sarà dimenticata qualcuno… oh, che cosa vuoi che sia? Ha mangiato in fretta e se ne è andata, tutto qui,” James lo disse con noncuranza, troppo impegnato a rimuginare qualcuno dei suoi poco raccomandabili affari.
“Il fatto che tu, mio caro Jamie, sia maestro nel non fare i compiti e fregartene, e sia abituato a sentirti dire che questo è un comportamento anormale, non ha come diretta conseguenza il fatto che il resto dell’umanità passi la sua vita sui libri!” rispose con foga Bessie. “E poi è già da ieri che mia sorella è strana. Ogni volta che provo a vedere cosa combina, la trovo seduta da qualche parte, tutta rannicchiata su un qualche pezzo di pergamena, che smangiucchia penne d’oca con una smorfia di nervosismo che fa paura…”
“Mi piacerebbe proprio vederla, sai, questa smorfia di nervosismo che fa paura”, commentò con sarcasmo James. “Sarebbe uno scoop vedere il perfetto viso della splendida Victoire Weasley deturpato da nulla di più sciocco che i suoi brutti pensieri!”
“Quanto sei stupido, James!” gracchiò Bessie spazientita, affondandogli cinque lunghe unghie affilate nel braccio in parte scoperto. “Io sono preoccupata e tu fai dell’ironia!”
L’unica risposta di James fu un urlo, quando Bessie lasciò le impronte delle proprie unghie nella sua carne; oltre a quello, sono un severo strattone ed uno sguardo umiliato.
“Ehi! Non mi sembra il caso di azzuffarsi come animali!” abbaiò Fred afferrando il polso di Bessie. “James è un idiota incredibile!” si giustificò lei con voce stridula.
“E tu sei una noia mortale!” strillò l’altro in rimando. “Oltre che un’oca!”
Bessie stava per rispondere, ma Fred fu più veloce: “Possibile che ogni occasione per voi sia perfetta per insultarvi e mettervi le mani addosso? Ma siete abbastanza grandi da studiare magia, o avete la metà dei vostri anni?”
“Che questa sciocca ringrazi solo che avevo altro che la magia per la testa, un attimo fa, o sennò l’affatturavo… e vedrai che le passa la voglia di prendermi a unghiate!”
“Siete così ridicoli, monotoni e irritanti, che mi fate venire la nausea!” esclamò Fred stizzito, e si alzò in piedi, anche se il suo piatto era ancora pieno per metà. “Così tanta nausea, che non ho nemmeno più fame.”
“Ecco, bravo, vai a cercare Victoire e scopri che cosa sta minacciando la sua leggendaria bellezza!” ridacchiò James, massaggiandosi il braccio. “Così Miss Elizabeth si metterà il cuore in pace.”
“Bambini,” commentò Fred, allontanandosi prima di poter sentire la risposta di Bessie.
La ragazza aveva ragione, aveva notato anche lui che c’era qualcosa di strano in Victoire dal giorno prima, e ne avrebbe volentieri parlato, se solo quei due non avessero iniziato a litigare come solito.
Mentre si allontanava, si volse e cercò con gli occhi gli altri cugini che, sedendo in tavoli diversi, si erano persi il battibecco.
Al tavolo di Tassorosso, Cathy stava chiacchierando fitto fitto con la solita amichetta bruna e rosea, tutta un boccolo; davanti a lei, di spalle, Rose svuotava il piatto senza fretta ma con appetito.
Victoire l’aveva lasciata sola, ma accanto a lei erano sedute due bambine che sembravano gradire la sua compagnia.
Ed infine, laggiù in fondo, c’era Al. Sedeva ancora una volta accanto a quello strano ragazzino pallido e biondissimo, quasi diafano nell’uniforme nera e sobria.
Insieme, sembravano essere perfettamente a loro agio. Al stava riempiendosi il piatto di pollo e contorno, allungando il collo in avanti, che sembrava così ancora più esile.
Accanto a lui, il rampollo dei Malfoy mangiava ai quattro palmenti ma senza abbuffarsi, e andava dicendo qualcosa che, per quanto Fred potesse vedere, sembrava divertire molto Al.
“Chissà dove è andata a cacciarsi Vic,” pensò spostando lo sguardo verso l’uscita, e lasciando i cugini alle loro faccende. Forse era nella sua Sala Comune, ed in quel caso, Fred non avrebbe potuto raggiungerla in nessun modo.
Ma, se invece fosse andata in biblioteca, sarebbe stato semplice raggiungerla. Durante l’ora di pranzo, quando tutti pensavano solo a riempirsi lo stomaco, la biblioteca, ancora più di molti altri luoghi del castello, era deserta e silenziosa. Se davvero Victoire stava cercando di scrivere qualcosa, come sosteneva Bessie, non ci sarebbe stato posto migliore.
“Possibile che si sia messa in testa di capire qual è il segreto della misteriosa pergamena di zio Harry?” si chiese il ragazzo mentre si avviava a passi spediti verso la biblioteca, ripensando al discorso di diversi giorni prima da Hagrid. “Non è da lei. E poi non avrebbe potuto in nessun modo prenderla a James. Nemmeno se ci fosse di mezzo Al.”
In ogni caso, intendeva trovarla.
Fred sgusciò lungo le scale deserte in fretta, come se fosse in ritardo per qualcosa. In realtà, aveva paura di perdere tempo prezioso, e visto che non mancava molto alla fine del pranzo, c’era il rischio che trovasse Victoire già pronta per tornare a lezione.
Si intrufolò in biblioteca senza fare rumore, facendo lo slalom tra gli scaffali in punta di piedi; non gli sarebbe piaciuto che Victoire lo sentisse arrivare pesantemente e si spaventasse sentendosi seguita o spiata.
Anche lui, come Bessie, era preoccupato; ma al contrario della ragazza, era ben deciso ad affrontare la cosa con diplomazia. Con lui, Victoire avrebbe parlato, ne era certo. Se c’era qualcosa che la turbava, se aveva davvero qualche problema, se qualcosa non andava, con lui si sarebbe confidata.
Sapeva bene che Fred era affidabile, serio e giudizioso, nonostante il suo carattere allegro, scanzonato, incline alla risata, gli scherzi e le facezie. Sapeva di potersi fidare di lui, e lo aveva dimostrato più volte. Non aveva mai trovato un problema il fatto che lui fosse più piccolo e meno maturo di lei, ed anzi, lo considerava da sempre un ottimo confidente e amico.
E Fred lo sapeva. Per questo voleva essere lui a chiedere a Victoire che cosa non andasse – sempre che davvero qualcosa di sbagliato ci fosse – prima che arrivassero James e Bessie a fare chiasso.
Davanti ai loro schiamazzi, sinceramente preoccupati o no che fossero, Victoire si sarebbe di sicuro chiusa a riccio, sentendosi derisa e non compresa. E questa doveva essere evitato.
Era la più grande di loro, la più matura e la più materna, quella giudiziosa e dotata di senso pratico, e con la pazienza necessaria ad occuparsi delle sue sorelle e dei suoi cugini come una mammina, senza che le pesasse; ma era anche una ragazza sensibile e piena di dubbi, e quando era lontana da sua madre, la sua migliore confidente, sembrava faticare a cavarsela da sola.
Era incredibile quanto potesse essere diversa, quando risolveva velocemente e senza affanno i piccoli problemucci di sorelle e cugini, e sembrava una fonte di saggezza inesauribile, e quando invece tornava a immergersi nella sua vita di sedicenne, dove a lei nessuno faceva da mammina, e sembrava annegare nei piccoli o grandi pensieri quotidiani.
Fred cercò di immaginarsi Victoire china su una pergamena e con una piuma in mano, come aveva detto Bessie, intenta a scrivere chissà cosa che, però, si rifiutava di uscire dalla penna.
Forse, aveva problemi con un compito particolare. O forse le era successo qualcosa e avrebbe voluto scriverlo su un diario ma non ci riusciva.
“Mi sto facendo problemi inutili… mi sto facendo la testa senza essermela rotta!” si disse Fred con severità, per calmare il turbinio di pensieri.
“Adesso vado da Vic, le chiedo che cos’ha, e vengo a sapere che è una sciocchezza!”
Detto questo aggirò lo scaffale dei libri di Pozioni, e sbirciò oltre, verso i tavoli; e finalmente, nel deserto della biblioteca, la scorse, la testa rossa e ben pettinata di Victoire.
Sedeva a gambe accavallate, la sedia leggermente scostata per stare più comoda, chinata così tanto sul tavolo che sembrava volesse appoggiare la fronte al legno; davanti a lei stava un foglio di pergamena completamente bianco, in mano aveva una piuma, e con la mano libera si sosteneva a malapena la testa. Sembrava profondamente preoccupata mentre fissava quel foglio immacolato che sembrava sfidarla.
Fred si fermò, rattristato. Non era quella la Victoire che conosceva lui, quella che, in mezzo alla folla della famiglia, sembrava sapere sempre che cosa fare.
La Victoire incerta e sensibile che era oltre le mura di casa, ed al di là della cerchia dei cugini, gli era sempre sembrata qualcosa di lontano, che non gli apparteneva, e di cui si dimenticava spesso.
E invece eccola qui, l’altra Victoire, che forse era semplicemente quella vera e sincera.
“Vic!” esclamò piano Fred, facendo altri due passi verso di lei, ma senza fretta.
La ragazza, colta alla sprovvista, alzò di scatto la testa, sorpresa, e sgranò gli occhi; quando riconobbe il cugino, però, i suoi tratti si distesero in un sorriso sollevato: “Freddie, che cosa ci fai qua? Hai bisogno di qualcosa?”
“No… semplicemente, mi sono accorto che sei strana, ultimamente e… e volevo vedere come stai, ecco,” rispose un po’ incerto i ragazzi, sedendosi su una sedia accanto a lei, anche se con fare incerto e quasi circospetto, come se avesse paura che lei lo cacciasse via.
Ma Victoire, ostentando tranquillità, si mise a sedere dritta, senza smettere di sorridere, e posò la piuma, arrendendosi: “In che senso sono strana?”
Fred si strinse nelle spalle: “Strana. Sfuggente. Sembra… ecco, sì, insomma, è come se ci stessi nascondendo qualcosa, e hai sempre una espressione preoccupata che ci fa stare in pensiero.”
“Oh… mi dispiace!” esclamò lei mentre il sorriso svaniva lentamente dal suo viso. “Non volevo che vi preoccupaste… in realtà non c’è nulla… sciocchezze!”
“Sciocchezze?” ripeté Fred incalzante. “Posso saperle, queste sciocchezze?”
Victoire per un momento tacque; serrò le labbra, come fosse sul punto di dire che non lo avrebbe mai fatto; infine, tentò di sviare il discorso: “Perché parli al plurale? Chi altri oltre a te è preoccupato?”
“Be’, Bessie, parecchio… così tanto che ne ha approfittato per prendere di nuovo Jamie a pesci in faccia”, sorrise Fred divertito. “E ad essere sincero, anche Al e Rosie mi hanno chiesto se c’è qualcosa che ti preoccupa. Rosie è rimasta alquanto basita vedendoti scomparire all’improvviso dal tavolo senza dirle niente, per due volte di seguito.”
“Ehm, è vero… poverina,” Victoire abbassò la testa sul tavolo, giocherellando con la piuma d’oca. “In realtà devo semplicemente scrivere una lettera, ma non ci riesco.”
“Una lettera?” Fred inclinò la testa, aggrottando le sopracciglia pensieroso. “Non hai ancora risposto alle lettere da casa?”
“No, no, quello l’ho fatto subito tre giorni fa, per carità. Soltanto…” si fermò, finse di impegnarsi a scrostare con l’unghia un’inesistente macchia sul tavolo. “Soltanto, c’è una lettera in più che vorrei scrivere, ma non ce la faccio. Non so che cosa scrivere. O meglio, non so cosa sia bene scrivere.”
Fred la guardò senza parlare, cercando di capire; Victoire sembrava imbarazzata, ed era un atteggiamento non abituale in lei, non davanti ai suoi famigliari, almeno.
“Vorresti scrivere a Teddy…?” azzardò dopo un po’, leggermente titubante.
“Ecco, sì… infatti,” sospirò Victoire tristemente, arrossendo. “Avrei voluto scrivergli già prima, in realtà. Il punto è che non avevo idea di che cosa scrivere, e non vorrei che ci fosse rimasto male, sai, gli avevo promesso che gli avrei scritto, e invece…”
“Be’, ma piuttosto di scrivere delle sciocchezze…”
“Sì, ma mi sa che c’è rimasto male…” Victoire incrociò le braccia sul tavolo, e vi lasciò crollare sconsolata la testa. “Il punto è che non so che cosa scrivere… cosa sia bene scrivere…”
“Dipende da…” Fred si bloccò. “Da come sono i rapporti tra voi, ecco…” concluse titubante.
“Ti riferisci allo starnazzare assurdo e eccessivo di James a King’s Cross, vero?” chiese Victoire di getto, accigliandosi e aggrottando le sopracciglia. Nella sua voce c’era una nota di astio verso l’irriverenza e l’istintività del cugino impiccione.
“Sì, più o meno…” Fred si guardò le mani. “Non che mi interessi saperlo, eh…”
“Sì, sì…” rispose stancamente Victoire, distendendo l’espressione e affondando di più il capo tra le braccia. “Il punto è che di preciso non lo so nemmeno io.”
“Questo, effettivamente, mi sembra un grosso problema.”
“Eccome…” piagnucolò sconsolata la ragazza, e il suo viso scomparve nel maglione.
Quella non era Victoire. Fred la guardava, e non la riconosceva. Sembrava una bambina, anzi, sembrava Al quando era in preda ai suoi attacchi di sconforto e sfiducia. Proprio lei, lei che da sempre consolava Al, lo aiutava, lo rialzava, lo spronava ad andare avanti!
“Il punto allora, se ho capito, non è tanto che cosa scrivere nella lettera,” osservò Fred con tatto. “Bensì, che cosa c’è esattamente tra te e Teddy.”
“Ecco, sì, infatti,” borbottò la voce di Victoire.
“Mm, temo di non poterti proprio essere utile, in questo…” sospirò Fred.
Lei scosse soltanto la testa.
“Però, se è solo una questione di cosa scrivere nella lettera, credo sia questione di istinto. Non ci devi pensare troppo.”
“Sono tre giorni che non penso ad altro,” sospirò lei.
“Appunto. Lascia stare… se hai qualcosa da dirgli, arriverà da sé.”
“Mm…”
“Mi preoccupa di più il fatto che non hai mangiato nulla!”
“Non è vero, ho mangiato un po’ di carne e l’insalata.”
“Proprio tu lo dici, tu che rompi sempre le scatole a tutti se mangiano troppo poco!” esclamò Fred alzandosi in piedi, anche se sorrideva. “Pensi forse di riuscire ad arrivare a cena con così poco nello stomaco?”
“Ormai il pranzo sarà già finito da un pezzo,” la ragazza si sollevò a sedere composta.
“Perfettamente vero. Ma il modo di sottrarre cibo dalle cucine è un trucco vecchio, Vic. Sempre che tu te la senta di fare una cosa così scorretta e contro le regole,” le strizzò un occhio, porgendole una mano.
“Mi parli come se fossi zia Hermione!” si ribellò Victoire, ma sorrise alzandosi in piedi. “E va bene, hai vinto. Ho già fame… però rimarrà un segreto tra me e te, d’accordo?”
“Perfettamente d’accordo. Io prometto che nessuno lo saprà, se tu mi prometti che smetterai di pensare a cosa scrivere nella lettera per Teddy. Affare fatto?”
“Affare fatto,” Victoire gli strinse la mano, sorrideva divertita, e sembrava essersi ripresa bene.
“Allora, avanti le signore,” sorrise a sua volta Fred abbozzando un mezzo inchino in direzione della porta, con fare galante. “La Sala Grande ormai sarà vuota. Ah, ti consiglio di evitare Bessie più che puoi. Non solo è isterica con James, ma è anche terrorizzata per te. Pensa che tu stia vivendo chissà quale tremenda e irrimediabile tragedia interiore.”
Il sorriso di Victoire si allargò: “D’accordo, seguirò il consiglio… ed eviterò anche James, già che ci sono. Sai com’è, non si sa mai…”
Fred rise appena, mentre la lasciava passare: “Vedrai che andare a rompere le uova nel paniere agli elfi domestici è divertente, Vic… d’altronde, il mio nome non può essere a caso, no?”

“Sei incoerente! Ipocrita! Voltagabbana!”
“Ma perché?”
“Perché dici una cosa e ne fai un’altra!” s’infervorò Al gesticolando in modo confuso. “Perché prima mi fai una testa così, sostenendo una cosa, convinto che la tua idea sia la migliore, e poi… e poi fai la figura del fratellone simpaticone, disponibile, allegro, socievole, e che ne so!”
“Al mi sembra che tu stia facendo una tragedia!”
“Certo che faccio una tragedia, ti sembra un modo coerente di comportarsi?!”
“Ma che ci sarà di male se ho cambiato idea?!”
“Ma come puoi cambiare idea da un momento all’altro, dopo avermi insultato e fatto sentire uno scemo, credendoti chissà chi per giudicare?!” rispose Al tutto di un fiato.
“Albus, ma lo sai che c’è chi pagherebbe fior fiore di Galeoni per avere un fratello come me, così socievole e allegro che prende subito in simpatia gli amici del fratellino timidone?!”
“Non mi interessa cosa farebbero gli altri, perché io invece ti pagherei anche dieci Galeoni perché la smettessi di fare l’ipocrita! Hai passato due settimane a rompermi le scatole senza sosta, sostenendo che Cory di sicuro è un ragazzo odioso, che sarà degno figlio di suo padre, che infatti è Serpeverde, e ovviamente che io sono stupido, ingenuo, che non capisco niente, che con certa gente non devo avere a che fare… mi prendevi in giro, dicendo che papà me ne avrebbe detto delle belle… e poi, appena ti capita l’occasione, ecco che sei lì a fare il simpaticone, e a proporre perfino di invitarlo da noi per le vacanze di Natale!” urlò Al tutto di un fiato, senza riprendere respiro neppure per un attimo, in quel modo che alla Tana era ormai da anni affettuosamente chiamato “parlare come Hermione.”
Dalla foga, il suo visetto di solito pallido, quasi come se non stesse bene, era diventato paonazzo, ed era così strano vederlo tutto rosso, con gli occhioni sgranati.
James avrebbe riso, se solo quella collera non fosse stata rivolta verso di lui; e questo particolare da solo bastava a farlo infuriare invece che divertire.
“Be’, e non sei contento che ho cambiato idea e che il tuo amichetto mi piace?” sbuffò, cercando di trattenersi dall’alzare la voce. Si fermò nel bel mezzo del corridoio, la borsa che penzolava inerte da una spalla, incrociando con forza le braccia al petto in gesto di chiusura, il viso accigliato, battendo impazientemente un piede sul pavimento.
Anche Al fu costretto a fermarsi per poter continuare la discussione; la borsa sembrava più grande di lui, troppo piena di libri, e minacciava di ridurlo con una spalla più bassa dell’altra. L’uniforme lo faceva apparire più mingherlino e più pallido ancora di quanto fosse, ed in quel momento l’unica cosa che si notava veramente in lui erano gli occhi, da grandi diventati enormi.
“No che non lo sono!” sbraitò il ragazzino, chiedendosi per primo dove avesse trovato il coraggio di prendersela così tanto col fratello, e di tenergli testa. “Mi fai venire una rabbia…! Per te sembra essere tutto così facile, cambi idea come ti gira, Cory adesso ti sembra simpaticissimo solo perché gli hai parlato quando eri euforico perché ti hanno preso nella squadra di Quidditch… non sopporto che il giorno prima tu mi prenda per uno stupidello incapace e quello dopo ti vanti di grande simpatia coi miei amici!”
“Oh, insomma, non mi dirai che sei geloso!” sbuffò ad alta voce James alzando gli occhi al soffitto. “Geloso?” Al ripeté la parola quasi come se non l’avesse mai sentita prima, scandalizzato. “Io non sono affatto geloso, James, né di Cory né tantomeno di te!” concluse quasi schifato. “Solo, mi fa vomitare la tua ipocrisia!”
“Ma si potrà sapere che cosa c’è di male a cambiare idea? Solo gli stupidi non lo fanno mai!”
“E solo gli stupidissimi lo fanno dieci volte al giorno!” strillò Al rimettendosi a camminare, anzi a marciare, in direzione dei sotterranei, con l’intenzione di andare in Sala Comune a posare quella tortura che era la borsa ricolma.
“Senti, signorino, dovresti solo che essere contento che mi piace il tuo amichetto anemico e albino, visto da che famiglia viene!” s’infervorò James inseguendo il fratellino. “Mamma e papà non saranno contenti che tu sia amico del figlio di Malfoy, oh no che non saranno contenti! Ma magari, visto che è un ragazzino così tranquillo e di buon carattere, potrei anche metterci una parola buona, e magari…”
“Magari, magari!” gli fece il verso Al con sarcasmo. “Cosa vuoi fare ora, il buon sammaritano? Non ho bisogno che tu mi venga in aiuto per salvarmi dal giudizio di mamma e papà, sai, grande salvatore?”
“E invece sì che ne avresti bisogno, perché da quando sei arrivato, non ne hai fatta ancora una giusta! Chiedere di essere mandato a Serpeverde, fare amicizia col rampollo dei Malfoy, rispondere poco gentilmente a Lumacorno, chiedere di essere chiamato Al dai professori…”
“Ti sembrano errori, questi?”
Sono errori, piccolo sciocco! E sono stato contento di scoprire che quel tuo amichetto Malfoy è almeno simpatico e non se la tira come tutta la sua famiglia… è l’unica cosa positiva a tuo favore! Possibile che io voglia aiutarti, darti dei consigli e tutto quello che sai fare in cambio è strillarmi in faccia e accusarmi?”
“Ma io non voglio che tu mi aiuti, perché non è vero che quello che dici tu è sempre giusto!” urlò Al alzando il tono di diverse ottave, tanto che chiunque altro si trovasse per il corridoio in quel momento, si volse a guardarlo, trasalendo dallo spavento.
“Ma è sicuramente più giusto di quello che dici tu, che sei più piccolo, ingenuo e inesperto!”
“Lo vedi che mi offendi sempre? Ti sembra il modo?”
“Non ti offendo, dico le cose come stanno, sciocchino! E che male c’è se trovo anche io simpatico il tuo amico? Tanto meglio, anche io farò pressione su mamma e papà per averlo nelle vacanze di Natale a casa, almeno qualche volta, e avrai molte possibilità in più di vederti concesso questo divertimento!”
“E dagli, a dire che sei il mio salvatore! James, io non voglio che tu parli a mamma e papà di cose che riguardano me! Anche perché mamma e papà non avranno niente in contrario, e ne sono sicuro!”
“Io non lo sono proprio!” continuò James facendogli il verso.
“Se ne riparlerà a Natale, magari!” si spazientì Al. “Il punto, adesso, è che non sopporto quando fai l’ipocrita! Quando si tratta di offendermi, canzonarmi, darmi dello stupido, criticarmi, allora qualunque scusa è ottima, poi davanti agli altri devi sempre farti bello, fare la parte del simpaticone, dell’amicone… tanto, non so a cosa possa essere servito fare il cordiale con Cory dopo che lo hai lasciato assistere a quella fantastica scenetta di amore fraterno con Bessie!”
“Chi è che sta insultando e criticando, adesso?” fece James arrossendo e piantandosi le mani sui fianchi nel modo di fare che era da sempre di Molly.
“Ti sto solo rendendo pan per focaccia, ma tanto non la smetterai mai!”
“Chi sta esagerando sei tu, adesso, che vuoi litigare a tutti i costi!” James allungò il passo per stare dietro al fratellino che quasi correva.
“Certo che sì, perché ti odio quando fai così!”
“Oh, che parola grossa! Stai delirando, fratellino.”
“Sì, certo, io deliro, come sempre. Mai credere alle mie parole, mi raccomando,” rispose sarcastico Al, ma con tono arrabbiato e ferito allo stesso tempo. Alzò una mano di scatto e se la portò alla parte alta del viso, sfregando in fretta; James avrebbe giurato che si stesse asciugando gli occhi.
“Che fai, ora, ti metti pure a piagnucolare?”
“Vattene!” fu tutto quello che rispose Al, dandogli ostinatamente le spalle. “Vattene, tornatene alla tua Sala Comune e lasciami in pace!” aggiunse con un tono di voce stridulo che suo fratello gli aveva sentito solo quando piangeva.
“Dai, Al, non fare così,” si addolcì all’improvviso James, scattando il avanti e posando a forza una mano sulla spalla del ragazzino. La spalla di Al era così esile che al confronto la mano del fratello sembrava enorme.
“Lasciami!” provò a scrollarsi, ma senza troppa convinzione, e col risultato che James aumentò la stretta, fino a costringerlo a fermarsi.
“Smettila, James, mi fai male!” piagnucolò Al ostinandosi a non mostrare il viso.
“Tu girati e piantala di frignare. Sei sempre il solito esagerato.”
“Io non sono esagerato!” il coraggio di Al era scemato, e ormai non restavo altro che una resistenza infantile e testarda.
“Sì, che lo sei. Urli, strepiti, piagnucoli, e tutto per una sciocchezza.”
“Non è una sciocchezza, e poi tu e Bessie fate ben di peggio!”
“Uffa, non continuare a tirare fuori quell’acida virago!” James alzò gli occhi al soffitto sbuffando, spazientito. “Per Merlino, ogni volta che la nomini mi fai venire il prurito alle mani.”
“E poi dici a me che me la prendo troppo!”
“Non dirmi che io con te sono come Bessie è con me, perché questa, mio carissimo Al, sarebbe veramente l’idiozia più grande che sia mai stata detta entro le mura di Hogwarts!”
Al aggrottò la fronte accigliandosi; aveva voltato il viso verso il fratello, finalmente, e il suo faccino corrucciato faceva ridere più che commuovere. E faceva anche tanta tenerezza. James non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere allegramente: “Sei fantastico quando fai quella faccia depressa!”
“Non è depressa!” si accalorò subito Al. “È indignata!”
“Certo, certo…” James rideva ancora. “Dai, vedi di darci un taglio. Che ne hai ricavato? Un bel mal di gola a forza di urlare, la faccia tutta rossa che sembri un clown, gli occhi lucidi e un labbro che sanguina. E hai fatto tanto chiasso per una sciocchezza. Lascia stare, ti conviene.”
“Quando fai il superiore e il superfigo ti odio, James!” pigolò Al cercando di darsi un tono, ma palesemente invano.
“Mi odi un po’ troppo spesso, mi pare,” commentò sarcastico l’altro, ma il sorriso era divertito.
“Ti fai odiare!” rispose Al con foga, tirando su col naso.
“Su, su, diamoci un taglio con queste bambinate!” esclamò James. “Sono ancora troppo sulle nuvole per essere stato preso in squadra perché gli strilli di un fratellino orgoglioso e sciocchino possa farmi arrabbiare,” e sfilò quasi dal nulla dalla tasca laterale un immacolato fazzoletto candido di carta, che sembrava essere rimasto per tutto il tempo nella sua divisa semplicemente in attesa di finire sul palmo della mano di Al.
“Ricomponiti, dai, e poi vai a posare la rovina della tua spina dorsale!”
“Smettila di trattarmi così,” protestò debolmente Al. “Non sono stupido come pensi tu.”
“Ma certo, piccolo,” rispose sarcastico James, e gli diede una piccola spinta nella parte alta della schiena. “Dai, vai a posare quella roba, che lo sai che non posso venire giù con te… ci sono dei tuoi simpaticissimi compagni di Casa che già mi stanno guardando malissimo.”
Al gli lanciò un’occhiataccia: “Chi ti dice che ti voglio vedere? Ho da fare i compiti.”
“Su, non vorrai lasciarmi così, in balia della noia!”
“Vai anche tu a fare i compiti!” lo redarguì Al.
“Oh, con quel tono sembri Victoire!” sbuffò James facendo il gesto di scacciare una mosca.
“A proposito, dove è sparita?” chiese Al ricomponendosi all’improvviso. “È tutto il giorno che non la vedo… a pranzo non ha mangiato nulla.”
“Sì, ce ne eravamo accorti anche noi… Bessie ne ha ovviamente approfittato per insultarmi… in ogni modo, Freddie era andato a cercarla, e dato che non ho più visto nemmeno lui, suppongo che l’abbia trovata.”
“Ah,” Al si strinse appena nelle spalle. “Sono curioso di sapere come sta.”
“Allora spicciati con quella maledetta borsa, che andiamo a cercarli.”
“Ma devo fare i compiti, te l’ho già detto!”
“Compiti, compiti, compiti… sembri un incrocio tra la mamma e zia Hermione!” James alzò per l’ennesima volta gli occhi al cielo, spazientito. “Insomma, puoi farli anche dopo, i compiti, o anche non farli proprio, cosa ti importa? Tanto sei al primo anno, non ti diranno nulla… e poi con quegli occhioni che ti ritrovi, basta che fai il faccino dispiaciuto, ed ecco che è tutto a posto…”
“La fai sempre troppo facile, tu,” borbottò Al. “Poi la senti mamma quando porti tutte quelle T a casa!”
“Quello non dipende da me… è che gli insegnanti si aspettano troppo, e io non ne ho voglia!”
“E mamma ti tira le orecchie… vado a fare i compiti con Cory e prendere il tè con lui come eravamo d’accordo, ci vediamo a cena,” concluse Al con decisione e aria sbarazzina, voltando nuovamente le spalle al fratello. “E se vedi Vic, dille che sono in pensiero, mi raccomando!” e sventolando la mano in gesto di saluto, sparì nella sua Sala Comune.
“E mi lasci qui da solo, ingrato?” tentò di sbraitargli dietro James, ma Al non lo sentì, o forse fece finta di non sentirlo; scomparve inghiottito dalla parete, e James si ritrovò veramente da solo nel bel mezzo del corridoio, con almeno una dozzina di paia di occhi di Serpeverde piantati addosso senza molta cordialità.
“Manco avessi fatto irruzione nella trincea nemica… per Merlino!” borbottò guardando male a sua volta i giovani Serpeverde che sembravano sul punto di prenderlo a sassate pur di mandarlo via in fretta. Possibile che il suo tenero e timido fratellino fosse finito in quel covo di serpi (nel senso letterale del termine)?
Scrollando energicamente la testa e maledicendo a media voce la casa di Serpeverde, James si allontanò fischiettando, con l’intenzione di farsi un bel giretto prima di tornare in Sala Comune.

“Voi lo avete fatto il tema di Erbologia? So che abbiamo lo stesso da fare…”
“Sì, dobbiamo solo rileggerlo,” sorrise Al cacciandosi le mani in tasca.
Rose annuì pensosa, portandosi un dito alle labbra: “Anche io, ma mi manca una cosa per finirlo; volevo chiedere a Vic, ma è sparita tutto il giorno.”
Al annuì con l’aria di chi la sa lunga: “ Freddie dice che sono questioni da adolescenti.”
“E cosa vorrebbe dire?” chiese Scorpius ridendo allegramente.
“Be’, che Vic ha altri problemi rispetto a noi, perché è più grande… credo,” rispose Al, ma con una punta di dubbio nel tono.
“Ah,” anche Scorpius si cacciò le mani in tasca, osservando il pavimento. “Credo sia perché in verità non vuole dirvi che cos’ha vostra cugina.”
“Credo sia qualcosa che riguarda Teddy,” sapendo che non avrebbe dovuto toccare quell’argomento tabù, Rose cominciò ad agitare un piede, le mani dietro la schiena. “Aveva detto che gli avrebbe scritto, e invece a casa ha mandato solo la lettera per zio Bill e zia Fleur.”
“E noi non abbiamo ancora scritto a zia Andy!” esclamò Al cercando di sviare il discorso che imbarazzava sia lei sia la cugina.
Rose annuì, ma non aveva voglia di parlarne: “Al, secondo te Teddy e Vic sono innamorati?”
Al sgranò gli occhioni: “Che domanda è, Rosie?!”
“Una domanda, Al. Secondo te lo sono? No, perché sai, io me lo chiedo da quando siamo partiti, da quando tuo fratello si è messo a cantilenare che si stavano baciando, e ancora adesso non la smette mai con quel ritornello. Mi ci fa pensare spesso, e visto che mi piacerebbe tanto…”
Al si strinse nelle spalle, arrossendo al solo pensiero: “Non ne ho idea. So solo che a mamma non piace che Jamie si faccia gli affari loro.”
“Ma non ci pensi mai?”
“Be’, ogni tanto, ma in fondo, che cosa cambierebbe? Teddy è già parte della nostra famiglia, è il mio fratello maggiore, e lo resterebbe anche se sposasse una Babbana sconosciuta.”
“Questo è vero, però se sposasse Vic diventerebbe ancora di più nostro parente. Diventerebbe anche mio cugino, per davvero.”
“Forse è un po’ azzardato parlare già di matrimonio, no?” si intromise Scorpius con delicatezza, spostando lo sguardo da Al a Rose. “Insomma, se davvero è solo un ritornello di James, e visto che sono due ragazzi, forse non lo sanno nemmeno loro, e pensarli già sposati è troppo affrettato.”
Al annuì con convinzione: “Questo è vero. E poi, Rosie, Teddy è un Malandrino, come dice sempre papà, e quando vuole qualcosa sa come averla. Se vuole Vic come fidanzata, la avrà, e sono sicuro che zia Fleur ne sarebbe contenta. Parlava sempre benissimo dei genitori di Teddy.”
“Che discorso sciocco stiamo facendo!” scoppiò a ridere Rose d’improvviso, gettando la testolina rossa ed arruffata all’indietro. “Saranno ben affari loro, in fondo!”
“Esatto, si potrebbe parlare di cose più serie!” esclamò Al, gesticolando con fare divertente.
“Per esempio?” chiese Scorpius, appoggiandosi allo schienale della seggiola. Essendo di due Case diverse, i tre ragazzi non si potevano incontrare in Sala Comune, così la sera, dopo cena, si vedevano in corridoio, oppure in un’aula vuota, come in quel momento.
“Per esempio, di quella misteriosa pergamena in possesso di mio fratello. Te ne ricordi, Rosie?”
“Oh, no, non di nuovo quella pergamena, Al!” rise di gusto Rose, appoggiandosi ad un banco. “Non ne ricaverai niente, lo sai? È solo una vecchia pergamena vuota… e se anche nasconde qualche segreto, non lo scopriremo mai, a meno che zio Harry non ce lo sveli!”

“Di che cosa state parlando?” chiese Scorpius curioso, sporgendosi in avanti per vedere meglio i suoi due compagni.
“Di una pergamena, una semplice pergamena vuota e ripiegata, che per anni ed anni è stata gelosamente custodita da zio Harry in un cassetto nascosto della sua scrivania, a casa,” iniziò a spiegare Rose con tono avvincente. “Peccato, però, che il suo figlio maggiore abbia la mania di mettere il naso (e le mani) in ogni posto possibile, soprattutto quelli proibiti. Così, poco prima di iniziare Hogwarts, a sentire lui sollecitato da amici a trovare qualcosa di spettacolare appartenuto al grande Harry Potter, ha approfittato dell’orario di lavoro dello zio per andare a mettere mano nella sua scrivania… cosa che, devi sapere, è vietatissimamente vietata da qualunque regola esistente a Grimmauld’s Place… non si sa come sia riuscito ad eludere ogni sorveglianza possibile (zia Ginny, Kreacher, Teddy, ecc.), ma alla fine c’è riuscito, e la sera dopo, quando eravamo tutti al Cottage di zia Fleur, ci ha mostrato in gran segreto quel tesoro.”
“Ma… ma se è una pergamena vuota, quale tesoro potrà mai essere?” chiese Scorpius sorpreso, sgranando gli occhi.
“Ecco, appunto,” si infervorò Rosie. “Nessuno tesoro! O meglio, sicuramente un tesoro lo è, o zio Harry non lo avrebbe custodito così gelosamente. Però, non ha fatto parola di averla smarrita, e di sicuro se ne è accorto. Secondo me, sapeva perfettamente che James l’avrebbe presa in qualche modo, ma sa anche che non riusciremo mai a trovare il modo di aprirla.”
“Il punto è,” la interruppe Al, “che per usarla, ci vuole sicuramente un incantesimo, ma purtroppo nessuno conosce quale. E finché non sapremo con certezza se c’è qualcuno, e in questo caso chi, oltre a zio Harry in grado di usarla, non possiamo farci nulla.”
“Ma Al, James e Fred sono particolarmente curiosi!” concluse Rose divertita.
“Secondo me, Teddy sa benissimo come usarla.” Osservò Al.
“Ma come ti ho già detto, non lo dirà mai a noi. Lui è alleato con zio Harry!”
“Eh, sì. Tra Malandrini…” sospirò Al.
“Be’, se tuo padre non ha detto nulla, essendosi accorto che la pergamena non è più al suo posto, vuol dire che in fondo non è dispiaciuto che voi la abbiate presa… e magari, che vuole pure che vi spacchiate la testa per usarla, no?” osservò Scorpius.
“Questo è quel che dico anche io,” rispose Al. “Ma da dove possiamo cominciare? Non abbiamo la benché minima idea di che cosa sia quella pergamena, a cosa possa servire, come si possa usare…”
Scorpius annuì pensieroso: “Questo è vero. Ma magari potrebbe essere una cosa utile.”
“In fondo, anche io sono curiosa,” confessò Rose, lasciando dondolare le gambe. “Però non avendo la più pallida idea del da dove cominciare a cercare di capire, mi passa perfino la voglia…”
“Se devo essere sincero, avete incuriosito anche me,” ammise Scorpius con un mezzo sorriso. “Anche se si tratta di vostre questioni di famiglia… ho l’impressione che, in un certo senso, tuo padre volesse che trovaste la pergamena,” si rivolse ad Al. “O quantomeno, se non voleva, almeno sapeva che sarebbe successo e, in fondo, non ha tanto in contrario. No?”
“Come penso io,” Al appoggiò i gomiti sulle ginocchia e affondò il mento nelle mani a coppa, guardando un indefinito punto lontano mentre pensava. “Ma se davvero si tratta di qualcosa che riguarda i Malandrini come suppongo, abbiamo ben poche possibilità di risolvere il mistero.”
“Ehm… i Malandrini?”
“Il nonno di Al, il padre di Teddy e altri due loro amici,” spiegò Rose pacatamente. “Inseparabili, combina guai e scapestrati. Si erano ribattezzati Malandrini, e sotto questo nome combinavano di tutto e di più a zonzo per il castello. Teddy e zio Harry, gli unici figli, ne sono gli eredi, ed in un certo senso zio Harry ritiene che ciò che riguarda i Malandrini debba rimanere tra lui e Teddy.”
“Quindi le uniche persone che ci potrebbero aiutare per la pergamena sarebbero i Malandrini, ma sono tutti morti,” le fece eco Al, contando sulle dita delle mani. “E poi papà, ma non possiamo andare a dirgli che abbiamo la pergamena, perché se anche sta facendo finta di niente, non significa che non ci sgriderebbe… e Teddy, che è fedelmente alleato con papà e non lo direbbe mai.”
“Siamo sicuri che non ci sia nessun altro?” chiese Rose, anch’ella il mento sulla mano.
“Nessun altro che abbia conosciuto abbastanza bene i Malandrini, purtroppo,” sospirò Al; solo la mamma di Teddy, anche lei morta. Zia Andy non sa nulla di tutto ciò. E sicuramente, neanche i vecchi membri dell’Ordine della Fenice… che tanto, poi, sono tutti quanti adulti, e quindi figurati se ci aiutano.”
“Ma se zio Harry usava quella pergamena quando veniva a scuola, sicuramente mamma e papà sanno benissimo di che cosa si tratta!” esclamò Rose, come colta da una illuminazione.
“Zio Ron ci direbbe che non sono cose da ragazzini, e che non dovremmo mettere le mani nelle cose di papà… e poi glielo andrebbe a dire,” sospirò Al. “E non parliamo di zia Hermione…”
“Uhm,” commentò borbottando Rose, pensierosa. Suo cugino aveva perfettamente ragione.
“La storia della vostra famiglia sembra davvero interessante!” esclamò ammirato Scorpius, gli occhi azzurri che brillavano. “Mica quella sfilza di nomi altisonanti sull’arazzo in casa mia…”
“Avete pure l’arazzo?” chiese stupita Rose, sgranando gli occhi.
“Ehm, ahimè sì, c’è pure quello,” sussurrò Scorpius a disagio, fissandosi le mani e giocherellando coi pollici, come se si vergognasse profondamente. “In realtà non si tratta esattamente di quello della mia famiglia, è quello della nonna, so che non è sempre stato in casa nostra, ma da che io sono nato c’è sempre stato, quindi… diciamo che per me è qualcosa di onnipresente.”
“Vuoi dire che…” Al balzò a sedere sulla sedia, come punto da un’ape. “Cory, vuoi che in casa tua hai l’arazzo dei Black?!”
Scorpius, sconcertato, alzò la testa; non aveva precisato della famiglia di quale nonna fosse l’arazzo, ed entrambe le sue nonne facevano parte di ricche e famose famiglie Purosangue. Come poteva Al aver capito immediatamente di quale famiglia si trattasse?
“Come… come fai a saperlo?” chiese sorpreso.
“Be’, perché… perché prima di arrivare in casa tua, è stato per secoli a casa mia,” spiegò Al arrossendo. “Sai che abito in quella che è stata da sempre la residenza dei Black. Ma ormai la linea maschile è estinta, e la casa è stata lasciata a papà in eredità dall’ultimo dei Black… e una volta ho saputo da Kreacher, il nostro elfo domestico, che nel salotto un tempo la parete di fondo era interamente occupata da un immenso arazzo della famiglia Black. Così quando mi hai detto che ne hai uno a casa, ci ho pensato subito… e visto che tua nonna è la sorella di zia Andy…”
“Accidenti, Al, sei proprio portato per questi intrighi famigliari!” esclamò Rose ammirata, ma sorridendo anche divertita. “Va già bene se io mi ricordo di tutti i miei zii e i miei cugini…”
A quell’osservazione, Scorpius rise divertito: “Veramente certe cose interessano anche a me; la mia famiglia, nel piccolo, non ha nulla di speciale. Io, mamma, papà, quattro nonni che non abitano con noi, una sorella di mamma con marito ma senza figli che vive lontano… se voglio qualcosa di interessante, devo andare a scavare nel passato, e soprattutto nella famiglia di nonna Cissy.”
“Forse, in fondo, Jamie non ha avuto torto a dire che dovremmo farti conoscere zia Andy, sai?” commentò Rose facendo nuovamente dondolare le gambe avanti e indietro sotto la sedia.
“Non credo che alla nonna farebbe piacere,” commentò Scorpius con un mezzo sorriso. “Mentre a me piacerebbe tantissimo.”
Rose sgranò gli occhi in segno di domanda, ma prima ancora che potesse parlare, Scorpius la anticipò: “Sua sorella è stata cancellata dall’arazzo per aver sposato un Nato Babbano.”
Mentre Scorpius parlava, Rose notò che Al faceva vigorosamente “sì” con la testa, convinto, con un’aria così buffa che la ragazzina non riuscì a non ridere: “Sì, ricordo che il nonno di Teddy era figlio di Babbani… ma Al com’è che fai così? Se non lo hai mai visto quell’arazzo!”
“Lo so”, rispose piccato Al “Ma Kreacher me l’ha descritto in ogni particolare!”
“Mm, se fossi in te non mi fiderei tanto di Kreacher… anziano e un po’ smemorato com’è…”
“Be’, se è lo stesso che c’era ai tempi della nonna, concordo!” rise a ruota Scorpius.
“Sempre lui, non muore mai!” esclamò Rose tra le risate.
“Uffa, ma perché dovete prendermi in giro pure voi?!” chiese piccato Al, incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio. “Mi bastava già James per questo!”
I due risero ancora più forte, senza rispondere, e Al si fece scuro in viso: “Begli amici che siete!”
“Dai, Al, che è divertente!” esclamò Rose.
“Mah, per voi,” Al guardava per terra, tutto scuro in volto, le braccia serrate al petto, le gambe raccolte sulla sedia. “Sapete che non mi piace che si rida di me.”
“Dai, dai,” Scorpius gli posò affettuosamente una mano su una spalla smettendo di ridere. “Non ridevamo di te, ridevamo dell’elfo!”
“Sì, mi immagino Kreacher smemorato che si perde nei suoi racconti mentre tu lo ascolti estasiato,” confermò Rose con un sorriso tenero, quindi si sporse sul cuginetto per baciargli una guancia.
“Mm,” rispose solamente Al, anche se aveva già capitolato.
“Purtroppo si è fatto tardi,” commentò Scorpius dando un’occhiata al costoso orologio che portava al polso, e facendo una piccola smorfia. “Se fra un po’ i Prefetti ci troveranno ancora in giro, saranno guai seri.”
Senza rispondere nulla, Al e Rose si alzarono in piedi, tristi e imbronciati. Era già ora di tornare in Sala Comune.
“Io andrò direttamente a dormire, Vic sarà inavvicinabile strasera,” commentò piano Rose, cercando di dirlo con noncuranza ma tradendo una profonda delusione.
Al le mise la mano sulla spalla, senza dire nulla. Non riusciva a inventarsi niente di consolatorio, perché sapeva che la cuginetta aveva perfettamente ragione.
“Andremo subito a letto anche noi,” disse Scorpius per rallegrarla. “Personalmente, sono stanco, e non ho nessuna voglia di stare a parlare con gli altri.”
Rose annuì solamente, sforzandosi di sorridere e non pensare a quanto si sentisse sola in Sala Comune se Victoire non era con lei. Non aveva ancora legato con le sue compagne di dormitorio, un po’ per la sua popolarità, un po’ per la sua timidezza.
“Allora buonanotte ragazzi, a domattina,” concluse con un mezzo sorriso.
“Buonanotte e a domani,” rispose i due in coro; Al baciò la cugina sulla guancia, Scorpius la salutò cordialmente con la mano e con il suo più bel sorriso.
Quindi uscirono, separandosi alla prima curva del corridoio.
Il tempo che potevano trascorrere a chiacchierare del più e del meno, purtroppo, era sempre troppo poco. Al avrebbe dato qualunque cosa, davvero qualunque, perché Rose fosse a Serpeverde con loro, così da poterla vedere da mattina a sera, e trascorrere la notte a parlare in Sala Comune.
Ormai, era l’unica dei suoi cugini che gli mancasse davvero quando la sera si ritirava tra i suoi compagni Serpeverde fino alla mattina dopo.
Note finali:
Ce la faranno i nostri "nuovi giovani eroi" a scoprire come usare la Mappa? Prossimamente su questi Accioschermi!
Capitolo 8 - Incontri di Miss Granger
Note dell'autore:
Una delle cose che più mi diverte di questa storia è andare a ripescare i "vecchi" personaggi in modi ogni volta diversi, e immaginarli ora, a vent'anni di distanza. Farli parlare del loro passato con la Next-gen, come se le avventure della saga fossero un passato lontano e quasi epico.
E ovviamente, io ADORO ingrassare le file della Next-gen. Ve ne siete già accorti vero? =P
Ebbene, la smetto di spoilerare, e vi lascio alla lettura, sperando che le mie trovate vi divertano ^^
Incontri

L’ora era finita già da qualche minuto, e la calca di ragazzi fuori dalle aule lo confermava; ma i ragazzi del primo anno, Serpeverde e Grifondoro, solo in quel momento lasciavano la serra numero due, senza nemmeno troppa fretta. Li aspettava una non molto allettante continuazione delle lezioni nei sotterranei, con due lunghe ore di Pozioni.
Lasciare il piacevole calore della serra, la luce tenue e rilassante, la piccola selva di piante affascinanti e la voce pacata del Professor Paciock, alla volta del buio e l’umidità dei sotterranei, la complicatezza delle pozioni e i commenti del Professor Lumacorno, non era fonte di grande allegria.
“Alla prossima lezione, ragazzi!” esclamò Neville; quando parlava, sembrava quasi cantasse. Non parlava più in modo impacciato e incerto come da ragazzo, ma la mitezza del suo carattere gli aveva lasciato un modo di parlare tranquillo che ai ragazzi piaceva moltissimo.
“Alla prossima, Professore!” risposero in coro una dozzina di ragazzi, sfilando senza troppa gioia verso l’uscita.
“Ah, Al,” chiamò un momento dopo Neville, alzando un poco la voce. “Potresti rimanere un attimo, per favore? Ho già avvisato il Professor Lumacorno.”
Nell’udire quelle parole, Al rimase interdetto: non si aspettava nulla del genere. Neville aveva lasciato passare i suoi primi tempi ad Hogwarts senza mai cercare di incontrarlo a lungo da solo a solo, con la sola eccezione di qualche fugace scambio di convenevoli lungo i corridoi, per il caso; per questo, il ragazzino aveva pensato che i suoi impegni da insegnante, oltre ai relativi obblighi di distacco dai suoi alunni, non glielo permettessero.
Era stato preso alla sprovvista; si sentì improvvisamente impreparato a quell’incontro, ma la sola idea di saltare almeno in parte la lezione di Lumacorno era così piacevole…
Si volse istintivamente a guardare Scorpius, già sulla soglia della serra, la borsa in spalla; gli stava sorridendo: “Sopporterò Lumacorno per entrambi!” esclamò sottovoce strizzandogli un occhio.
Ma Al non si decideva a muoversi; spostava lo sguardo da Neville a Scorpius, e viceversa, senza riuscire a capire che cosa fosse meglio fare. Rimanere, e chiacchierare con l’amico di sempre dei suoi genitori e zii, oppure declinare gentilmente e non perdere la lezione di Pozioni?
“Tutto bene, Al? Non voglio certo rimproverarti, sai?” esclamò divertito Neville, con il suo più bel sorriso, mentre si toglieva il grembiule dalla testa.
Al ricambiò il sorriso, sebbene un po’ titubante, e infine si decise ad avvinarsi al professore, non senza prima voltarsi verso Scorpius con un cenno di saluto.
“Ti dispiace saltare una parte della lezione di Pozioni?” fu la prima cosa che Neville gli chiese quando Al si avvicinò ed alzò su di lui gli occhioni sgranati.
“Assolutamente no!” ammise candidamente il ragazzino, poi si accorse che doveva stemprare un po’ il tono. “Non amo particolarmente Pozioni, se devo essere sincero…”
Neville sorrise divertito: “Io quando frequentavo Hogwarts odiavo Pozioni,” e terminò con una leggera risata. “Vieni, facciamo una passeggiata nel parco fino al castello. Ho pensato che fosse il momento migliore per fare due chiacchiere con te. La nostra prossima lezione sarà l’ultima della giornata, e ho pensato che invece di trattenerti con me avresti preferito andare a goderti la libertà prima di cena.”
Al annuì, senza purtroppo riuscire a trovare una risposta coerente e intelligente. Il viso tondo e rubicondo di Neville era sempre lo stesso; lo conosceva da che aveva memoria, e gli aveva sempre trasmesso tranquillità e calma. Ed ora che lui era diventato il suo professore di Erbologia, nulla era cambiato; ascoltarlo parlare era un piacere, perché aveva un tono sempre tranquillo e pacato, e spiegava con un tale entusiasmo, che non si poteva non esserne trasportati.
Al non aveva mai amato particolarmente le piante; sua nonna aveva sempre cercato di spingerlo ad aiutarla in giardino, ma tutto ciò in cui Al i era dimostrato davvero utile era stato scacciate gli gnomi assieme a Rose e Hugo. Con le piante, aveva sempre avuto dei problemi, sebbene nemmeno lui potesse spiegarne il motivo.
In famiglia, era Teddy ad avere una naturale disposizione per il giardinaggio; il salotto di casa dei Tonks era tappezzato di foto di Teddy e Andromeda che si occupavano del giardino, con buffi grembiuli dai colori sgargianti e sorrisi entusiastici.
Al aveva sempre invidiato quella dote naturale di Teddy, eppure lui con tutto ciò che fosse vegetale aveva un brutto rapporto. Per questo, ancora prima di iniziare Hogwarts, si era convinto che Erbologia gli avrebbe portato solo brutti voti.
Ed invece, grazie all’entusiasmo contagioso di Neville, stava iniziando a ricredersi. I compiti non gli pesavano poi più di tanto, e le lezioni erano sempre interessanti. In realtà, quel qualcosa che Al possedeva inconsciamente di avverso al mondo vegetale, sembrava trasmettersi alle piante con cui aveva a che fare in serra, e questo non gli permetteva mai di brillare; grazie all’aiuto di Scorpius, però, che sembrava molto più portato di lui, i lavori di coppia riuscivano loro sempre bene.
“Tanto per iniziare, vorrei restituirti il tuo tema; è un ottimo lavoro, Al, come mai sei convinto di non riuscire a prendere buoni voti nella mia materia?” lo riscosse Neville, spingendolo dolcemente a seguirlo mentre si incamminava verso il parco.
“Ma Lei come…” Al rimase a bocca aperta, osservando come inebetito il rotolo di pergamena che Neville gli stava porgendo con un sorriso.
“Me lo hanno detto i tuoi genitori, Al. Il fatto che i gerani di tua nonna non abbiano mai mostrato molta simpatia per te non vuole dire nulla, sai?” gli strizzò un occhio. “Qui si tratta di qualcosa di diverso. E ricorda, Al: chi non ha un buon rapporto con le piante, spesso, è molto portato a trattare con gli animali. E, a meno che tu non intenda diventare un Guaritore, credo che di voti eccellenti nella mia materia potrai farne a meno senza alcun problema,” gli porse con gentile insistenza la pergamena che Al osservava senza prendere. “E comunque questo tema era fatto molto bene; non vedo dove possa stare la tua preoccupazione.”
Al prese il tema senza smettere di osservare il volto di Neville: “Be’, fare un tema sulle piante non è come occuparsi delle piante,” rispose sottovoce stringendosi appena nelle spalle. “Anche fare un tema di Pozioni è più facile che fare una pozione.”
“Su questo hai proprio ragione,” annuì Neville convinto. “A prescindere dal fatto che le mie pozioni erano dei disastri esattamente come i miei temi al riguardo… comunque questo potrebbe voler dire semplicemente che sei portato per scrivere, Al.”
“Lo dice anche mia mamma,” rispose pensieroso il ragazzino. “E zia Hermione dice che le piace leggere le mie lettere. È che ho problemi nelle cose pratiche. E ci sono tante materie pratiche, qui.” “Questo anche è vero. Ma è solamente l’inizio, Al. E ti assicuro che essere bravi in tutto non serve proprio a niente, se non a confondere le idee. Se hai voti eccellenti in tutte le materie, sarà più difficile scegliere che cosa fare dopo, perché fari fatica a capire in che cosa eccelli davvero, per che cosa sei portato di natura.”
Al inclinò la testa sulla spalla, riflettendo: “Mm, sì, forse.”
“Nemmeno tua zia era brava in tutto, Al. Non ha mai imparato veramente a volare come si deve su una scopa, tanto per fare un esempio. Be’, in realtà quello nemmeno io,” e Neville si portò un dito alla bocca, mentre teneva l’altro braccio dietro la schiena; infine sorrise divertito.
“Ho saputo che hanno preso tuo fratello nella squadra della nostra Casa.”
“Sì, come Cercatore. Ci teneva così tanto. Papà gli aveva promesso la sua scopa.”
Neville alzò le sopracciglia in segno di positiva sorpresa: “Per Merlino, questa sé che è una ricompensa che vale lo sforzo… sono veramente curioso di veder giocare tuo fratello. Da che sono insegnante qui, non ho mai avuto la gioia di veder vincere la Coppa alla mia Casa. Gioia che non ritorna dai tempi in cui ero a scuola con tuo padre.”
Al sorrise divertito: “Se dovesse succedere quest’anno, mio fratello si monterebbe la testa in una maniera… chi lo fermerebbe più! Si crederebbe un fenomeno!”
Neville rise davanti alla buffa espressione del ragazzino: “Sì, lo immagino! Ho notato che tuo fratello non è come vostro padre… avverso alla popolarità e ai complimenti. Al contrario…”
“Be’, non è facile essere figli di un uomo come papà,” sussurrò Al stringendosi nelle spalle. “Tutti ti additano, tutti parlano di papà e sanno chi è… e poi sia lui sia mamma sono famosi anche per essere stati grandi giocatori di Quidditch. Per mio fratello scoprire di essere da meno di loro sarebbe una tragedia. Zia Hermione lo prende in giro per questo.”
“Immagino, non ha mai amato molto il Quidditch,” Neville annuì comprensivo. “E tu? Vorresti giocare a Quidditch anche tu?”
“Be’, sì, mi piacerebbe entrare in squadra. Ma non è così importante come per mio fratello.”
“Se ti prendessero, giochereste uno contro l’altro.”
Al annuì con foga: “Credo che questo mi spaventerebbe un po’. James è molto più competitivo di me, sa? E poi sarebbe un altro pretesto per deridere il fatto che non sono a Grifondoro come lui.”
“Da Capocasa, ti assicuro che non c’è nulla di disonorevole in questo,” esclamò Neville; guardava ora Al che gli trotterellava accanto, ora il paesaggio intorno. Era una splendida giornata di sole, tanto che Al aveva tolto il mantello e l’aveva abbandonato sulla borsa. Si sarebbe aspettato che facesse più freddo, ed invece si stava molto bene indossando la sola divisa.
“Però preferirei avere Lei come Capocasa, invece di Lumacorno,” sospirò Al, pur sapendo che non avrebbe dovuto parlare male dei colleghi del suo insegnante.
“Ti assicuro che Lumacorno è assolutamente innocuo. È solo un po’ noioso, ma in fondo è una persona ottima. Silente lo stimava molto, pur riconoscendone gli evidenti difetti, e questo dice molte cose.”
“Be’, sì, ma è pesante, a volte.”
“Però è un ottimo insegnante. Fidati, non lo dico per difenderlo. L’ultimo anno ho avuto lui per Pozioni, e i miei voti sono sensibilmente migliorati, anche senza l’aiuto di tua zia. Non perché fosse troppo buono, o regalasse voti, bensì perché non mi metteva in soggezione. E perché, comunque, sa essere molto umano verso i suoi alunni.”
Al lo stava guardando con gli occhi colmi di genuino interesse.
“Lumacorno non dà compiti lunghissimi da un giorno all’altro, oppure quasi impossibili da fare; non ama rimproverare, se non in casi estremi; commenta sempre e non lascia mai in pace quegli studenti che per un qualche motivo sono da lui “prescelti”, questo è vero, però li ammira ed ama sinceramente. Preparati, all’inizio di dicembre, a ricevere l’invito al Ballo del Lumaclub… e molto prima, al semplice invito ad entrare in questo Lumaclub. E tu accetta, mi raccomando. Non sarai obbligato a partecipare, ma acquisterai punti ai suoi occhi,” e gli strizzò un occhio con fare affettuoso. “Prendilo come un consiglio da amico, e non da insegnante.”
Al annuì piano, ammirato: “Capisco, è che a me mette in imbarazzo essere al centro dell’attenzione, e soprattutto se si tratta di trovarsi davanti ad una classo dove non conosco quasi nessuno… ho Pozioni coi Grifondoro, e non conosco nessuno di loro… e coi miei compagni Serpeverde, ho legato solamente con Scorpius Malfoy. Essere additato sempre davanti ad estranei perché mio padre ha sconfitto il più spaventoso e pericoloso Mago Oscuro mai esistito, e mia nonna è stata una ottima pozionista, non è facile. Non mi sento alla loro altezza… ho paura di dover dare tanto e non esserne in grado.”
“Al, lascia che ti dica una cosa,” Neville sorrise, posandogli quasi distrattamente una mano sulla spalla, ma con dolcezza. “I miei genitori sono stati Auror molto conosciuti ed amati, e lo sai; tutti nel mondo dei maghi li conoscevano. E tutti si aspettavano molto da me, il loro unico figlio, anche se non lo hanno mai detto apertamente. Mia nonna per prima: sperava che anche io dimostrassi la forza e la tempra di un Auror, ed invece riuscivo solo a essere impacciato e mediocre. La verità è che ognuno di noi nasce con delle caratteristiche sue, con delle attitudini particolari. Per essere sereni, bisogna scoprirle ed imparare a svilupparle nel modo migliore, perché solo così facciamo quel che ci fa stare bene. E ciò che è nostro, della nostra personalità, è del tutto indipendente da ciò che sono stati e hanno fatto i nostri genitori. Se Harry e Ginny sono stati ottimi giocatori di Quidditch, ciò non significa che tu debba per forza esserlo! Allo stesso modo, potresti non essere portato per Pozioni come lo è stata tua nonna, né rivelarti un combina guai come tuo nonno…”
“Teddy però è diventato Auror come la sua mamma,” osservò spontaneamente Al.
“Sì, è vero… ma è un caso,” sorrise Teddy. “A volte siamo portati per cose in cui sono eccelsi anche i nostri genitori. Capita. Non mi sembra che tuo fratello se la cavi molto male sulla scopa… ho dato un’occhiata ai suoi allenamenti, e anche alla selezione… mi sembra portato.”
Al annuì: “Sì, credo lo abbia nel sangue.”
“Al, lascia perdere cosa sono stati e che cosa hanno fatto i tuoi genitori, nonni, zii, cugini, parenti… non importa. Non deve importare a te, almeno, alla tua vita. Il tuo impegno d’ora in poi deve essere quello di scoprire la tua strada. La tua, Al, e non quella dei tuoi parenti o amici,” gli strizzò un occhio, senza smettere di sorridere. “Ti capisco, io ero un pasticcione incredibile quando avevo la tua età, non sapevo fare niente e combinavo solo guai quando provavo a fare qualcosa di diverso; a scuola ero un disastro, solamente in Erbologia andavo bene… appena un insegnante alzava la voce o mi correggeva, cadevo nel panico. Ci vuole tempo per superare l’imbarazzo.”
“Quando Lumacorno continua a paragonarmi alla nonna vorrei sotterrarmi…” ammise Al con un sospiro. “Ci sono professori meno invadenti, per fortuna. Lo so che è colpa mia. Sono troppo timido e troppo sensibile…”
“Ma non è una colpa,” sorrise Neville tranquillamente. “Che colpa vuoi che sia? Sei così. Chi ci soffre, in fondo, sei tu. Sai, Al, purtroppo al mondo le persone sensibili che non riescono a nasconderlo sono poche. Rimanere feriti è facile, purtroppo. Ma non è che gli altri lo facciano per cattiveria, semplicemente fare del male ad una persona sensibile è così semplice… non te accorgi nemmeno. È come avere a che fare con fiori di cristallo senza saperlo davvero.”
Al annuì, pensoso, guardando distrattamente l’erba sotto ai propri piedi, mentre si trascinava dietro la pesante borsa. Doveva essere proprio così.
“Ti senti più pronto ad affrontare Lumacorno?” sorrise Neville con aria allegra, strizzando un occhio ad Al, anche se questi guardava altrove.
“Sì, un po’,” il ragazzino ricambiò il sorriso sollevando lo sguardo. “Ma c’è Scorpius ad aspettarmi, e mi farà ridere, per fortuna.”
“Sono felice che tu abbia legato con il piccolo Malfoy. Sarà un pensiero sciocco, ma mi sembra la prova che l’amicizia può andare al di là delle ruggini di famiglia. E con questo, ti confesso che non ho mai potuto soffrire il padre di Scorpius. Ma lui è un ragazzino di buon carattere, simpatico e senza pregiudizi, e merita di farsi degli amici.”
“Tutti mi hanno parlato male di suo padre, ma lui è così caro!” Al esclamò con foga. “Con me è stato gentilissimo e disponibile fin dal primo momento. Mi fa ridere, ed è simpatico anche a Rosie; suo padre non lo conosco, io conosco lui, e lui mi piace.”
“Splendido ragionamento, Al!” lo lodò Neville con un sorriso ancora più raggiante
“E poi, non è vero che la nonna di Scorpius ha salvato papà?” aggiunse Al, a bassa voce, come se avesse paura di essere rimproverato per quell’osservazione. “Me lo ha raccontato zia Andromeda, e poi ho chiesto a zia Hermione, che mi ha detto che è vero, anche se non ha voluto raccontarmi i particolari. Se è così, zio Ron non dovrebbe essere così terrorizzato all’idea che Rose stia diventando amica di Scorpius come me.”
“Sì, è vero,” Neville si fece leggermente più serio. “Sinceramente, non so se tuo padre sarebbe vivo se la madre di Malfoy non lo avesse protetto con una menzogna.”
Al sapeva che era un argomento delicato; tacque, rimanendo a fissare Neville, non sapendo neanche lui cosa fosse meglio fare.
“Ti piacerebbe, vero, che tuo padre ti raccontasse di più di queste cose?”
“Sì… ma d’altronde, lo fa solo con Teddy… sai, a lui regala Ricordi. Dice che sono solo Ricordi dei suoi genitori, per permettergli di conoscerli in qualche modo, di sapere com’erano; ma Teddy sa anche tante, tante cose sull’Ordine della Fenice, sulla Prima e la Seconda Guerra, su quello che papà ha fatto l’ultimo anno di scuola, su Voldemort, sul lato Oscuro… cose che io, Jamie e Lily non sappiamo nemmeno lontanamente… credo papà ne parli solo con lui. Sicuramente, solo perché Teddy è molto più grande di noi.”
“Ne sono sicuro anche io,” sorrise Neville incoraggiante. “Non c’è motivo per cui vi tenga nascosto il suo passato, se non che siete ancora troppo piccoli.”
Al annuì convinto: “Anche io penso di essere ancora piccolo, però mi piace tantissimo quando zia Andy o nonno Artie ci raccontano qualcosa. Di solito, a me e Rosie…”
Anche Neville annuì stavolta, sembrava compiaciuto: “Sì, è giusto che siate curiosi. È bello. Ed è bello anche che veniate a sapere le cose poco per volta, in sordina… quando sarete abbastanza grandi e ne saprete abbastanza di magia da capire tutto, sarà più facile… meno difficile da sapere.”
“Anche zia Hermione dice che sarà difficile,” Al inclinò la testa su una spalla fissando un punto indistinto davanti a sé. “Ed è per questo che papà non ce lo dice ora.”
“Infatti.”
“Però mi dispiace un po’ che Teddy sappia più cose di noi.”
“Semplicemente perché è nato prima, per nessun’altra ragione.”
“Ma chissà quando papà ha cominciato a parlargliene.”
“Sicuramente da poco. Non prima del suo sesto anno almeno.”
“C’è tempo allora, per me.”
“Esatto… ma adesso è ora che ti riporti da Lumacorno, o penserà che ti ho rapito, o che ti ho spedito dalla Preside!” Neville rise dando un’occhiata all’orologio. “È già tardi, ti conviene sbrigarti a raggiungere i sotterranei. Spero ti abbia fatto piacere saltare Pozioni per fare due chiacchiere con me, Al.”
“Ma certo!” gli occhi di Al si illuminarono, mentre sorrideva radioso. “Sono stato contentissimo!”
“Allora, adesso corri dai tuoi compagni, e pensa alle Pozioni; avremo altre occasioni in cui parlare come oggi. Alla nostra prossima lezione, Al, e mi raccomando, continua a fare i compiti così bene!” e gli strizzò un occhio, accarezzandogli appena una spalla.
“Certo,” continuò a sorridere Al. “Alla prossima lezione!” e schizzò via, trascinandosi la pesante borsa, in fretta, anche se non era affatto ansioso di andare da Lumacorno.
Neville lo guardò allontanarsi, sorridendo compiaciuto. Quel ragazzino gli piaceva, e non perché era il figlio dei suoi amici. James non gli piaceva così tanto. Al prometteva bene, era chiaro, anche se sembrava così fragile. Bisognava coltivarlo, proprio come un fiorellino, e fare le cose giuste; ma con un po’ di cure amorevoli, sarebbe sbocciato splendidamente.

“Ma io non so il greco!” piagnucolò Rose. Aveva anche voglia di battere i piedi per terra, come una bambina, ma si sarebbe sentita tremendamente in imbarazzo, quindi si trattenne.
Si guardò intorno: nessuno in vista. Lei, da sola, a dover risolvere l’indovinello per poter entrare in Sala Comune.
Di solito, c’era Victoire con lei; e Victoire era in grado di risolvere qualunque indovinello e qualunque rompicapo. Rose no. Tanto che cominciava a chiedersi se il Cappello Parlante non avesse preso un granchio colossale a smistarla a Corvonero.
E adesso le sarebbe toccato restare lì ad aspettare che arrivasse qualcuno e risolvesse l’indovinello, per poter entrare. Al e Scorpius erano nella loro Sala Comune, Victoire chissà dove con le sue amiche, e gli altri cugini per i fatti loro. Sconsolata e un po’ demoralizzata dalla sua poca elasticità mentale, Rose si sedette accanto all’ingresso, raccogliendo le gambe e posando la borsa accanto a sé come per paura che gliela rubassero; posò il mento sulle ginocchia sospirando, e si dispose ad aspettare.
Non aveva alcuna intenzione di toccare i libri di scuola, ora che le lezioni erano finite, né tantomeno di mettersi a fare i compiti. Era stata una giornata pesante, e l’ultima cosa che voleva vedere in quel momento erano pergamene e libri di testo.
Purtroppo, però, non aveva nemmeno con sé un libro da leggere. Aveva ereditato dalla madre la passione per la lettura, anche se non maniacale come quella di Hermione; il libro che teneva sul comodino in quei giorni, però, era rimato lì quella mattina. E ora non aveva nulla da fare, se non scrutare speranzosa il corridoio semibuio nella speranza che arrivasse qualcuno.
Testardamente, si mise a ripensare all’indovinello. Non poteva non risolverlo, e farsi deridere da qualche ragazzo più grande sentendosi dare della primina che non riusciva nemmeno ad entrare in Sala Comune.
Quali sono quelle due sorelle greche di cui la prima genera la seconda, e la seconda genera poi di nuovo la prima?
Così era l’indovinello. Rose non riusciva a decidersi se “greche” significasse che si trattava di due parole in greco, oppure di due figure della mitologia greca. Ma poco importava, in realtà, non conosceva né la lingua greca, né l’antica mitologia.
Sospirando di nuovo, si diede della sciocca. Aveva un bel dire, suo padre, che aveva ereditato la mente sveglia di Hermione, se poi si ritrovava seduta impotente fuori dalla Sala Comune perché non riusciva a risolvere uno stupido indovinello.
E la colpa era anche di Victoire: sapeva che lei non era ferrata con i rompicapo, eppure la lasciava sola quando era il momento di tornare in Sala Comune, conscia che avrebbe potuto avere problemi.
Victoire non poteva immaginare quale indovinello sarebbe stato posto, e se la cuginetta lo avrebbe saputo risolvere o meno, però Rose dentro di sé la incolpava lo stesso. Victoire non aveva mai dovuto aspettare l’aiuto altrui per risolvere un indovinello.
E lei in quel momento si sentiva piccola, stupida, e incapace.
E non le piaceva.
Senza nemmeno accorgersene, iniziò a battere un piede a ritmo, con impazienza. Ecco, stava iniziando a fare la bambina piccola. E il corridoio era totalmente deserto.
Ovviamente, con una giornata così bella e per niente fredda, dopo le lezioni erano tutti fuori a schiamazzare nel parco; a lei sola toccava di stare lì, ad aspettare qualcuno che la deridesse della sua incapacità e le aprisse il passaggio.
All’orgoglio ereditato dai genitori Rose non avrebbe potuto sfuggire in nessun modo; era una cosa di sé che non amava, e che cercava di nascondere come possibile, ma che ogni tanto tornava a farsi beffe di lei senza volersene stare al suo posto. L’unica consolazione, seppure magra, era che suo fratello era molto peggio di lei; imbevuto d’orgoglio fino al midollo, Hugo sapeva imbronciarsi per un nonnulla, e tenere il muso anche per settimane.
“Chissà in che Casa finirà quel combina guai,” si ritrovò a pensare sorridendo tra sé. “Con il caratterino che si ritrova… finirà che lo ritroveremo a Serpeverde con Al, e allora sì che a papà verrà sul serio un infarto… è troppo diverso da me per venire a Corvonero. E chissà Lily, quella peste, dove finirà… molto probabilmente a Grifondoro, fiera com’è di Jamie.”
Da qui, si mise a fare congetture su tutti i suoi cugini non ancora abbastanza grandi per Hogwarts, con tanta dedizione che tirò fuori un foglio a caso ed una piuma e cominciò a scrivere alla rinfusa le sue tesi, con tanto di disegnini scarabocchiati. La divertiva, e molto; era un buon modo di passare il tempo, dopotutto, visto che non aveva altro da fare.
“Ciao!”
Quando una voce spuntata dal nulla la riscosse, Rose stava occupandosi della piccola Lucy, la figlia minore di Percy. Non si rese subito conto del fatto che, forse, era arrivato qualcuno in grado di salvarla e lasciarla entrare in Sala Comune; senza scomporsi troppo, alzò lo sguardo, finché non si ritrovò davanti un giovanotto alto, asciutto, coi capelli biondo intenso e un paio di grandi occhi azzurri. Indossava la divisa e la cravatta di Corvonero, eppure Rose avrebbe giurato di non averlo mai visto in Sala Comune.
Doveva avere circa la sua età. Aveva un bel sorriso amichevole, e la stava guardando con curiosità.
“Sei forse rimasta bloccata dall’indovinello?” proseguì il ragazzo senza aspettare la sua risposta, ma senza smettere di sorridere, come a farle capire che non intendeva deriderla per questo.
Ricordandosene all’improvviso, Rose arrossì violentemente fino alla radice dei capelli, già rossi di natura, così che dal collo in su era tutta di un adorabile color cremisi: “Ehm… veramente… cioè, è che io ho qualche problema con…”
“Oh, non preoccuparti!” proseguì la stessa voce, stavolta ridendo allegra. “Anche per me è così, secondo me il Capello Parlante mi ha mandato qui tirando ai dadi… se non fosse per lui, io passerei la mia vita seduto lì davanti, proprio come te in questo momento…”
Rose alzò di nuovo lo sguardo e rimase sconcertata nel rendersi conto che la voce che aveva parlato era sì la stessa, ma il ragazzo davanti a lei non aveva detto una parola; dietro di lui ce n’era un altro assolutamente identico, una goccia d’acqua... era lui ad aver parlato, e ora rideva di sé stesso.
Anche lui aveva la cravatta di Corvonero, ed era la copia semplicemente perfetta dell’altro.
“Ma voi… voi… voi siete due,” balbettò la ragazzina, sempre più sorpresa, come se non avesse mai visto una coppia di gemelli in casa sua.
E sì che di foto dei suoi zii gemelli da ragazzi ne aveva viste tante, davvero tante… eppure di persona aveva conosciuto solo George, e non era mai riuscita ad immaginarsi realmente cosa volesse dire vedersi davanti due persone perfettamente identiche.
“Oh, sì,” rispose tranquillo il primo, strizzandole un occhio con allegria. “Siamo gemelli!” concluse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Rose continuò a guardarli con gli occhi sgranati, spostando lo sguardo da uno all’altro senza sosta; d’accordo che erano gemelli, ma… ma erano così tremendamente uguali, faceva così impressione… aveva già visto dei gemelli nella sua vita, ma mai così perfettamente identici!
I due risero in coro; anche le loro voci erano assolutamente identiche.
“Lo so, facciamo sempre questa impressione a chi ci vede per la prima volta… non è così facile incontrare dei gemelli assolutamente identici”, spiegò quietamente quello più vicino a lei, il primo che le aveva rivolto la parola. “Ti abbiamo già vista diverse volte in Sala Comune e poi a tavola, ai pasti; era un po’ che volevamo conoscerti, in realtà.”
“Conoscermi?!” Rose si dimenticò completamente di alzarsi in piedi, sempre più strabiliata. Solo, lasciò scivolare la pergamena dalle ginocchia. “E perché?”
“Perché sappiamo che nostra madre è stata amica dei tuoi genitori,” le rispose il secondo, dividendo lo sguardo tra lei e l’entrata della Sala Comune, come chiedendosi quale fosse l’indovinello che l’avesse lasciata chiusa fuori.
Rose era sempre più scombussolata e più sorpresa… questa, poi, le giungeva nuova! Figli di una amica dei suoi genitori, e lei nemmeno sapeva della loro esistenza?!
“Comunque, andiamo per ordine!” cinguettò il primo con fare scanzonato, tenendogli una mano. “Tu sei Rose, vero? Io sono Lorcan, e lui è Lysander.”
“Sì, io sono Rose, ma… un attimo,” solo allora la ragazza si alzò in piedi, finalmente, lasciando che anche la piuma crollasse a terra. I due ragazzi erano di alta statura e lei, sebbene alta per la sua età, si sentiva stupidamente piccola, rannicchiata contro la parete.
“Un attimo… ma allora io so chi siete! Mamma, papà e gli zii mi hanno parlato di vostra madre… hanno anche dato il suo nome a mia cugina!”
“Esattamente!” esultò con un sorrisone Lysander, annuendo compiaciuto.
“Ma… ma voi che ci fate qui? Non girate continuamente per il mondo?”
“Mamma e papà lo fanno,” continuò Lysander strizzandole un occhio. “Ed in realtà, noi siamo arrivati qui solo quest’anno. Prima, abbiamo girato diverse scuole per seguire mamma e papà, ma era difficile, e pesante. Lo abbiamo fatto solo per un anno, ma è stato massacrante. E poi, mamma e papà ci tenevano molto che studiassimo qui a Hogwarts, e che crescessimo qui in Inghilterra, come loro, nella scuola dove hanno studiato loro. Così hanno deciso di mandarci qui, in modo stabile.”
“Così, Hogwarts sta diventando la nostra casa… le vacanze di Natale le trascorreremo qui, come abbiamo fatto anche nelle altre scuole, perché mamma e papà sono quasi sempre chissà dove, mentre per le vacanze estive ci verranno a prendere a King’s Cross e ci porteranno in giro con loro come quando eravamo piccoli,” concluse Lorcan.
“Che bello…” Rose sgranò gli occhi, con aria sognante. “Deve essere bello viaggiare e conoscere un sacco di gente e di posti nuovi…”
“Sì, quello sì,” rispose Lysander guardando in alto con aria pensosa. “Però dopo anni trascorsi a viaggiare sempre, se devo essere sincero non mi dispiace affatto fermarmi un po’. Insomma, stare qui tranquilli nove mesi non è niente male. Dopo un po’ viaggiare sempre stanca.”
“E poi non riesci a farti degli amici perché non rimani abbastanza tempo in uno stesso posto,” continuò Lorcan. “Qui, invece, di amici ce ne stiamo facendo tanti, ed è bello. D’estate ci scriveremo sicuramente delle lunghe lettere, e sarà molto bello, perché saremo certi che tornando qui a settembre li ritroveremo tutti. Non come l’anno scorso.”
“Avete proprio ragione,” annuì Rose ammirata. “Strano che io non vi abbia notato il Sala Comune; in che anno siete voi?”
“Secondo,” rispose in coro i ragazzi.
“Tu al primo, vero?” sorrise Lysander.
“Esatto, sono una novellina.”
“Tutti dobbiamo pur cominciare da qualche parte!” continuò Lysander allegramente. “E poi non è che noi siamo così grandi, anzi! Abbiamo soltanto un anno più di te, cosa vuoi che sia? Ma ora vogliamo occuparci di questo infido indovinello che ti ha tenuta chiusa qui fuori finora? Cioè, se ne occuperà ovviamente Lorcan…”
“Allora, vediamo…” Lorcan si avvicinò, alla porta, tranquillo. Fino a quel momento, Rose li aveva distinti uno dall’altro semplicemente perché uno le era accanto e l’altro più lontano; ora che erano uno a fianco all’altro, era quasi certa che non avrebbe più saputo dire chi fosse Lorcan e chi Lysander.
Quali sono quelle due sorelle greche di cui la prima genera la seconda, e la seconda genera poi di nuovo la prima? fu nuovamente la domanda.
“Mm…” rifletté Lorcan portandosi una mano alla bocca. “Allora… suppongo si tratti di due cose astratte, che evidentemente in greco devono essere di genere femminile… lasciami pensare…” restò un momento in silenzio, poi, esultante: “Ma certo! Il giorno e la notte… in greco sono sostantivi femminili!”
La porta si aprì, semplicemente. Rose fissò il ragazzo strabiliata, sgranando gli occhi: “Ma… ma come hai fatto, per Merlino? Come fai a sapere il greco?!”
“Ma figurati… non so assolutamente il greco,” sorrise schermendosi Lorcan. “Solo qualche parola qua e là presa da qualche libro… ma non so mettere insieme due parole formando un senso, per carità! Solo reminiscenze di qualche vecchia lettura…”
“Sono veramente un disastro…” sospirò Rose, mentre i due ragazzi le facevano cavallerescamente segno di entrare per prima. “Come faccio ad essere in questa Casa se nemmeno riesco ad entrare in Sala Comune se qualcuno non mi aiuta?”
“Ma non ti devi preoccupare per una sciocchezza del genere!” esclamò Lysander, entrando dopo di lei. “Anche io ho problemi con gli indovinelli… però devi sapere che è molto, molto difficile che il Capello Parlante si sbagli a smistare… sei stata tu a chiedere di essere mandata a Corvonero?”
“No,” Rose scosse la testa, piano. “Ho lasciato che fosse il Capello a decidere perché io non avevo idea di quale Casa fosse più adatta a me.”
“E allora è la Casa giusta sicuramente,” le strizzò un occhio Lysander.
“Ho notato che la tua moltitudine di cugini è stata sparpagliata tra le Case,” osservò Lorcan, mentre sia lui sia Rose posavano le borse su una poltrona.
“”Sì, ci siamo divisi tra tutte le quattro Case. Qui con me c’è solo Victoire.”
“Di quale dei mille fratelli di tuo padre è figlia lei?” rise Lysander.
“Sai che mio padre ha cinque fratelli?!” si stupì Rose, guardando ancora una volta i due fratelli con gli occhi sgranati.
“Mamma trova molto divertente parlarci della famiglia di tuo padre… anche lei avrebbe tanto voluto una famiglia numerosa, ed invece era figlia unica e noi siamo solo due…” spiegò Lorcan. “Mamma ha sempre invidiato la famigliona di tuo padre.”
“Oh,” Rose sorrise intenerita. “Be’, sì, è bello, ma a volte è pesante, sapete? Come viaggiare; prima o poi ti stanchi anche di una famiglia così numerosa. Comunque, Vic è figlia di zio Bill, il figlio primogenito.”
“Quello che lavora alla Gringott?” chiese Lysander incuriosito.
“Proprio lui… ma per Merlino, sapete davvero un sacco sulla mia famiglia!”
“Tutto merito di mamma!” rise Lysander.
“Non avrei mai immaginato ricordasse così tante cose della famiglia di papà… ormai lei e i miei ed i miei zii si scrivono solo per le feste…”
Lorcan sorrise: “Mamma non dimentica le cose che l’hanno interessata o colpita.”
“Mi mettete in imbarazzo… voi sapete così tante cose di me, mentre io non so nulla di voi.”
“Oh, ci sarà tempo per chiacchierare di questo!” esclamò Lysander divertito. “Se ti farà piacere.”
“Si tratta di un invito a fare amicizia?” rise Rose divertita.
“Più o meno… prendilo come preferisci,” Lysander le strizzò un occhio. “Quel che è certo, è che è tanto tempo che io e mio fratello volevamo conoscere di persona te e i tuoi cugini. La mamma ci ha fatto una tale testa su di voi…” e rise allegramente.
Lui ed il fratello avevano la pelle molto chiara, e così anche gli occhi; a Rose, abituata a capelli di fuoco e lentiggini in vista, faceva vagamente impressione. Tuttavia, sorrise cordialmente: “Sarò molto, molto felice di presentarvi il mio stuolo di cugini!” e rise a sua volta.
“Ne abbiamo contati, esclusa te, altri sei. Manca qualcuno?” chiese Lorcan.
“Allora… Jamie e Al, Vic, Bessie e Cathy, e Fred… no, non avete dimenticato nessuno, ci siamo tutti,” sorrise di un sorriso identico a quello di sua madre. “L’anno prossimo ci raggiungerà Molly.”
“Molly come tua nonna?”continuò Lorcan.
“Certo… è la figlia maggiore di zio Percy.”
I due gemelli annuirono soddisfatti, sorridendo.
“Quante cose sapete di me? Mi fa impressione!” esclamò Rose arrossendo, e passando una mano sulla borsa con gesto un po’ nervoso.
“No, non ti devi impressionare!” risposero i due in coro; poi Lorcan tacque, e lasciò continuare il fratello. “Siamo molto curiosi… d’altronde, ce l’abbiamo nel sangue. E poi mamma trovava così divertente, quando eravamo piccini, raccontarci di voi invece che leggere fiabe… secondo lei siete una famiglia perfetta, e vi ha sempre invidiato. E ci ha trasmesso l’interesse. Prima che venissimo qui, ci ha detto che avremmo trovato alcuni di voi. Abbiamo riconosciuto subito due dei tuoi cugini, i due fratelli… i figli di Harry Potter. E poi tu: mamma ha sempre parlato così bene dei capelli rossi della tua famiglia!”
Rose sorrise, scoprendo per l’ennesima volta gli incisivi un po’ troppo lunghi. Ormai aveva imparato a non pensarci e non farsene un cruccio, anche se continuava a chiedersi da chi mai li avesse presi: non li aveva notati in nessuno nella sua famiglia, e tantomeno nei suoi genitori! Ma non aveva il coraggio di chiedere. Le sembrava una cosa così sciocca. Eppure, in un angolino del suo cuore, era sicura che rovinassero un sorriso altrimenti molto grazioso.
I due sembravano però non essersene nemmeno lontanamente accorti; Lysander continuava a parlare, con un entusiasmo contagioso e con foga, di quanto sua madre adorasse ed invidiasse con fervore e con immenso affetto gli Weasley.
“Mia cugina ha il nome di vostra mamma come secondo,” rispose dopo un po’ Rose, accocolandosi sul divano. Le erano simpatici quei due ragazzi, si sentiva a suo agio. “Lily Luna. Mi sono sempre chiesta perché, finché mamma e zia Ginny non mi hanno parlato di vostra madre.”
I due ragazzi parvero arrossire leggermente: “Ti hanno parlato di mamma?”
“Tantissimo!” si entusiasmò anche Rose; d’altronde, era nella sua natura. “Mi hanno raccontato come l’hanno conosciuta, e tutte le cose che ha fatto per zio Harry, mamma e papà; e poi mi hanno raccontato di vostro nonno, e del suo giornale…” Rose sputò fuori un fiume di parole con foga, il che parve piacere ai gemelli, che l’ascoltavano senza perdersi una sillaba. Erano sempre stati certi che l’entusiasmo di Luna fosse eccessivo e non ricambiato, e ora invece venivano a scoprire come per miracolo che, al contrario, i suoi amici di scuola non si erano affatto dimenticati di lei, ed anzi, la ricordavano con affetto e parlavano di lei ai figli.
Mentre la ragazzina parlava, si scambiavano occhiate di sorpresa contentezza; notandolo, Rose si chiese se non facesse loro impressione guardarsi negli occhi e vedersi identici.
“Uffa… voglio anche io una gemella!” esclamò Rose alla fine del discorso, anche se non c’entrava proprio nulla con quello che stava, battendo le mani aperte sulle ginocchia in segno di infantile impazienza. “Deve essere davvero forte… e invece, nessun gemello tra noi cugini!”
“Nonostante i gemelli in famiglia?” chiese Lysander, il mento su una mano, lo sguardo attento.
Rose annuì, un’espressione fintamente imbronciata che le arricciava le labbra ed il piccolo naso cosparso di lentiggini evidenti: “Nessun cugino gemello. Che tristezza.”
“Mah, dipende dal punto di vista,” scosse la testa Lorcan. “Ha i suoi pro e i suoi contro, sai? Come essere figlio unico. Pensa quando uno di noi si farà la ragazza, che dovrà imparare a riconoscere il suo amato a prima vista!”
Rose rise di cuore, immaginando una scena di equivoco: “Sì, questo è sicuro… deve essere un po’ fastidioso, effettivamente. Nonna Molly mi racconta sempre che aveva lei stessa qualche problema a riconoscere gli zii uno dall’altro, e lo trovava particolarmente irritante.”
I due annuirono insieme: “Credo proprio che mamma sappia che cosa si provi!” confessò Lorcan con un sorrisetto birichino.
“Niente maglioni con le iniziali?” scherzò Rose ridendo prima ancora di finire di parlare.
“No, da noi non usa,” Lysander scosse la testa divertito, con un risolino. “Anche se mi piacerebbe vederne uno indosso a te o ai tuoi cugini.”
“Be’, un paio di maglioni con una grossa R li ho portati,” rifletté Rose. “A me e ad Al piace tanto indossarli, anche perché nonna Molly li fa sempre del colore che sta meglio ad entrambi, e cioè il verde smeraldo. Il più indicato a chi ha i capelli rossi,” si tirò una ciocca arruffata con una smorfia. “E lo stesso degli occhi di Al.”
“Al è il tuo cuginetto Serpeverde, giusto?” chiese Lysander, tornando a posare il mento sulla mano.
“Esattamente lui. Il mio migliore amico, il mio cugino preferito.”
I due annuirono: “Sì, quello era chiaro,” confermò ancora una volta Lysander. “Siete sempre insieme, voi due… e a volte quel ragazzino biondo.”
“Sì, Cory…” Rose si portò un dito alle labbra. “Ma cos’è, ci osservate sempre?” aggiunse con un sorriso divertito.
“Più o meno. Diciamo che ci incuriosite, ecco, come ti abbiamo già detto,” disse Lorcan. “E da mamma e papà abbiamo imparato che le cose interessanti si osservano, con attenzione.”
Più li ascoltava, più Rose trovava sorprendenti i due gemelli. L’idea della loro vita avventurosa, interrotta per gli studi la appassionava tantissimo. Al confronto, il suo tranquillo ménage familiare, seppure in una famiglia immensa come la sua, così ripetitivo e senza scossoni, le sembrava una noia mortale. All’idea di tornare a casa per Natale non si sentiva più contenta di riaccoccolarsi nel suo nido, bensì le sembrava come di doversi rinchiudere nella monotonia, mentre Lorcan e Lysander avrebbero letto le lettere piene di avventure dei loro genitori.
Così, li fissava con gli occhi sgranati e colmi d’interesse, immaginando come avrebbe potuto essere la sua vita se fosse stata come quella dei due ragazzi.
Questo, finché ad interrompere un interessante ed avvincente racconto dei gemelli, e a riportare una incantata Rose alla realtà, fu una voce che conosceva bene: “Rosie, ma non avevi detto che andavi a fare i compiti?”
Rose volse la testa, strabiliata che esistesse qualcuno al mondo al di fuori di Lorcan e Lysander, e si ritrovò davanti Victoire, alta, snella, coi capelli di fiamma perfettamente pettinati.
Splendida, come sempre.
“Ho solo un paio di cose da fare, e stasera ne avrò tutto il tempo,” rispose Rose dopo qualche momento, aggrottando la fronte. Era infastidita: non solo Victoire aveva interrotto un racconto che la stava avvicendo, ma lo aveva anche fatto per un motivo stupido come i compiti, come se lei fosse nient’altro che una bimbetta pasticciona che doveva sempre essere incitata a fare le cose.
Victoire inarcò un sopracciglio rosso chiaro, passando lo sguardo da Rose ai due gemelli che le sedevano di fronte, come a chiedersi chi diavolo fossero. Era evidente che, se anche li aveva notati in Sala Comune o ai pasti, non li aveva mai degnati di nessuna particolare attenzione.
Evidentemente la ragazza non era assolutamente di buon umore, contrariamente al solito.
“Ma dopo cena non ti devi vedere con Al e quel vostro amichetto biondo?” riprese Victoire con tono un po’ troppo severo, ignorando a bella posta i gemelli.
“Non mi va ti sentirmi fare la predica,” ribatté piccata Rose, in fretta. “Non da te.”
Victoire rimase allibita: non era nella natura docile di Rose rispondere a quel modo. La testardaggine ereditata dai genitori si faceva sentire poco in lei, perché Molly aveva saputo domarla.
“Sono capace di gestirmi i compiti da sola,” continuò la ragazzina con decisione. “Adesso sto chiacchierando con loro. Se non fossero arrivati, sarei ancora chiusa fuori perché non ho risolto l’indovinello,” e in quelle ultime parole c’era un sottile rimprovero per la cugina che l’aveva lasciata da sola di fronte ad una prova difficile. “E poi, sono figli di una carissima amica di mamma, papà e zio Harry,” concluse dopo un momento.
Basita e pietrificata, Victoire rimase a bocca aperta a lasciar vagare lo sguardo tra la cugina e i due sconosciuti. Percependo il gelo che era calato su di loro, e sentendosi in colpa per questo, Lorcan e Lysander si scambiarono un’occhiata, quindi Lorcan, più vicino a Victoire, le tese una mano con un sorriso incoraggiante: “Io mi chiamo Lorcan Scamander, e lui è mio fratello Lysander. Nostra madre si chiama Luna.”
Victoire strinse la mano del ragazzo senza troppo entusiasmo, ma ora più che contrariata sembrava profondamente sorpresa. Annuì piano, come un automa, poi guardò la cuginetta con sguardo pentito e un po’ triste.
“Sì, ho presente chi sia vostra madre, a casa ci hanno parlato molto e molto bene di lei… piacere, io sono Victoire, la cugina più grande,” rispose con un sorriso un po’ tirato. “Scusate se sono intervenuta in modo poco gentile.”
“Fa nulla,” Lysander e Lorcan si strinsero allegramente nelle spalle, senza troppi problemi.
Rose invece, era ancora un po’ imbronciata; evitò di guardare la cugina, e si rivolse ai gemelli: “Be’, io vado per davvero a fare un po’ di compiti prima che sia ora di cena. Vi va se ci vediamo qui per scendere in Sala Grande insieme? Così vi presento Al e Cory!” chiese allegramente.
“Certo! Dieci minuti prima dell’ora di cena, qui ad aspettarti!” esclamò Lysander accennando con una risatina un inchino galante da cavaliere.
Rose scoppiò a ridere, acchiappò la borsa e, salutando appena Victoire, sparì nel dormitorio delle ragazze con passo un po’ troppo svelto per la sua abitudine.
“Va bene… allora a dopo,” disse solo Victoire, pentita, salutando i gemelli con una mano; anche lei sparì, ma non in dormitorio, bensì fuori dalla Sala Comune.
Rimasti soli, i due gemelli si guardarono, dispiaciuti dal battibecco tra le due ragazze; ma poi, visto che, tutto sommato, non era colpa loro, tirarono fuori anche loro una pila di libri e di pergamene, e si sistemarono sull’unico tavolo libero. Avevano abbastanza tempo prima di cena, per finire tutti i compiti e poter poi passare la serata in pace… magari a chiacchierare con Rose e Al.
Note finali:
Allora, che ne pensate dei piccoli baby Scamander? =P
Capitolo 9 - I Doni della Morte di Miss Granger
Note dell'autore:
Mi piace immaginare un Al "paranoiato" con un po' di complessi di inferiorità. Credo che sia quasi ovvio in una famiglia come la sua. A volte, mentre scrivo, mi ricorda terribilmente Ron, e mi fa una tenerezza... *_*
Inoltre immaginate James alle prese con la Mappa, e l'incapacità di capire come funziona... prevedete guai? Fareste meglio XD
Ebbene, ma questo non il punto: se vi sono piaciuti i gemelli Scamander, preparatevi a conoscere un lato importante del loro carattere, molto simile a quello di mamma Luna... ^^
I Doni della Morte

Pioveva e faceva freddo.
L’acqua scrosciava incessante e ininterrotta da diversi giorni, e come se non bastasse, era arrivata in compagnia di un freddo pungente e molto fastidioso: non ci si poteva azzardare a mettere il naso fuori senza rischiare di ritrovarselo assiderato.
Al, da sempre assettato di aria aperta e di spazi liberi, era capace di passare anche ore intere col naso incollato al vetro di una finestra a guardare fuori, pregando che smettesse di piovere, o almeno piovesse un po’ meno. Sprofondato in una poltrona, avvolto in un pesante maglione Weasley verde smeraldo come i suoi occhi, lasciava vagare lo sguardo sul parco inondato d’acqua, attendendo fiducioso la fine del maltempo.
Fare i compiti lo distraeva solo per poco: lui, Scorpius e Rose erano veloci e diligenti insieme, e poi restava sempre tanto, troppo tempo libero a disposizione.
Giocavano a scacchi e a tanti altri giochi, leggevano e chiacchieravano, gironzolavano per i corridoi e si facevano raccontare avventure intriganti da Lorcan e Lysander… ma poi c’era sempre il tempo di annoiarsi, purtroppo. Ed Al soffriva la noia come nient’altro al mondo.
Anche quel sabato pomeriggio era davanti alla finestra, sconsolato. Sospirava a intervalli regolari, tanto che ad un certo punto Scorpius si sentì obbligato ad alzare lo sguardo dal libro che leggeva.
“Dai, Al, facciamoci una partita a scacchi. Mi fai soffrire a vederti lì a sospirare. Sembra che ti abbiano messo in carcere.”
“Più o meno!” esclamò Al con foga. “Cory, io ho bisogno di aria aperta, di passeggiare in riva al Lago, di correre, di sentirmi libero… qui dentro mi sembra di stare in gabbia!”
“Anche a me succede, ma sono abituato… a casa non abbiamo giardino.”
“Neanche noi, purtroppo, ma se ho bisogno di uscire dico che vado da zia Hermione e mi faccio due passi per Londra… ma odio, odio essere bloccato dal maltempo!” e gesticolò in modo abbastanza vistoso, sgranando gli occhi.
Per deriderlo, suo fratello era solito dire che quando lo faceva, diventava ridicolmente simile ad un pesce palla dagli occhi verdi. Scorpius lo aveva saputo, eppure non riusciva a condividere quella teoria. A lui Al sembrava somigliante, piuttosto, ad un dolcissimo cagnolino.
“Ti capisco,” Scorpius chiuse con gentilezza il libro che stava sfogliando; sospirò appena, chiudendo un attimo gli occhi. Quando li riaprì, li trovò posati sul maglione di Al, dove una immensa A ricamata in rosso attirava l’attenzione con prepotenza.
“Grazie a Merlino sono riuscito a convincere la nonna che aggiungerci una S era solamente un inutile spreco di lana e di tempo…” spiegò al volo il ragazzino, intuendo i pensieri del compagno.
“Be’, ma i secondi nomi non si usano molto… io il mio tendo perfino a dimenticarlo, tanto è osceno e ridicolo… ancora peggio del primo nome…” e concluse con un risolino.
“Mah, perdona il vittimismo, ma credo che non esista nulla di peggio di Albus Severus…” si lagnò Al, lasciando crollare il mento su un braccio.
“Mah…ti assicuro che anche io non scherzo coi nomi!” Scorpius rise di nuovo. “Comunque mi piacciono qui due gemelli… i figli dell’amica dei tuoi genitori. Sono spassosi, gentili e raccontano avventure intriganti. Che siano vere o no, non l’ho ancora deciso, però mi interessano, e questo è l’importante.”
Al lo guardò ma senza sorridere: “Be’, mamma dice sempre che anche Luna raccontava spesso cose assolutamente non vere come se lo fossero, con tranquillità… credo sia un tratto ereditario.”
“Be’, bisogna ammettere che anche ai due gemelli manca qualche venerdì, eh…” sorrise divertito Scorpius. “Ma sono simpatici proprio per questo. Ho avuto l’impressione che Rosie si sia affezionata a loro particolarmente.”
“Sì, anche io. La capisco, sai? Non ha ancora legato con nessuno della sua stessa Casa, e in Sala Comune la sera ha solo Vic… ma Vic è grande, e non le va di passare tutto il tempo con Rosie quando lei è sola. Almeno, quando Vic è coi suoi amici e noi siamo qui, Rosie non è sola.”
“Anche lei è un po’ timida.”
“Rosie ha un po’ paura di non meritarsi di essere stata smistata a Corvonero. Zio Ron glielo ha sempre detto, si vanta che lei ha la voglia di imparare di zia Hermione… però lei avrebbe avuto il cuore in pace se fosse stata a Grifondoro, dove non avrebbe dovuto dimostrare grande intelligenza.”
“Devo ammettere che questo Smistamento ha fatto un po’ di danni nella vostra famiglia!” rise Scorpius. “Tutti che volevano un altro clan di Grifondoro, e invece il Capello Parlante vi ha presi tutti in giro!”
“Sai cosa ho notato, al proposito?” lo incalzò Al, e con un gesto veloce si acchiappò la sedia da sotto il sedere e la spostò più vicino all’amico. “Che sembra che il Cappello Parlante si sia divertito a fare con noi quello che non ha fatto con i nostri genitori… o qualcosa del genere. Ti spiego: quando sono stati smistati, papà e zia Hermione non sono stati mandati subito a Grifondoro. Per papà, il Capello pareva aver scelto Serpeverde, e per zia Hermione Corvonero… dove siamo finiti io e Rose. E una cosa simile è capitata ai miei cugini. Vic è, tra le sue sorelle, quella che più somiglia caratterialmente a zia Fleur. E zia Fleur dice sempre che, se avesse frequentato Hogwarts, sarebbe stata una Corvonero. Però, quando ha passato un anno qui durante il Torneo Tremaghi, sedeva sempre al tavolo di Tassorosso, Casa che le ispira tanta simpatia. Zio Bill, invece, come sai, è stato un Grofondoro. Le loro figlie sono state divise in queste tre case. Mio fratello, poi, si chiama James Sirius, non poteva non finire a Grifondoro, con due Malandrini nel nome! Riesci a seguirmi? Mi sa che sto facendo un discorso un po’ attorcigliato… forse la mia è una teoria stramba, però più ci penso e più mi piace.”
“Ti dirò, piace anche a me!” ammise Scorpius osservandolo interessato. “Nella mia famiglia invece c’è una monotonia… sono tutti Serpeverde. Solo la cugina di papà, la mamma del tuo… cioè, del figlioccio di tuo padre (posso considerarlo tuo fratello?), oltre, ovviamente, al padrino di tuo padre, fa eccezione.”
Al sorrise: “Non so cosa sia meglio… se la tua monotonia o il nostro casino…”
“Ovviamente l’erba del vicino è sempre più verde, e quindi io invidio il vostro casino e tu invidi la nostra monotonia…” spiegò tranquillamente Sorpius con un sorrisetto. E distogliendo un momento lo sguardo da Al, si volse a raccogliere dal divano accanto a sé una copia della Gazzetta del Profeta distrattamente abbandonata da qualcuno.
“Papà mi racconta che quando lui era a Hogwarts c’erano sempre un sacco di cose da leggere sulla Gazzetta”, spiegò Al sporgendosi con curiosità verso l’amico. “Adesso invece non c’è mai alcuna notizia sensazionale.”
“Be’, effettivamente…” annuì Scorpius leggendo al volo i titoli in prima pagina.
“Tutta noiosa attualità,” Al appoggiò la schiena alla sedia. Era ancora così mingherlino da non poter toccare a terra del tutto coi piedi, e ne approfittò per lasciare dondolare avanti e indietro una gamba.
“Soffri di noia, Al?”
“Da sempre. A casa mi succede spesso quando mamma e papà sono al lavoro. Di routine, con noi in quei momenti resta qualche zio, o andiamo noi da loro… ma se non c’è Rosie io mi annoio. Se, per esempio, ci portano da zio Bill, io non so che fare, se non viene anche Rosie, perché James rompe le scatole a Bessie (quei due finiranno per sposarsi!), Vic ha sempre da fare con le sue amiche, e Lily gioca con Cathy. E allora finisce che io mi offro di aiutare zia Fleur con i lavoretti di casa, o a cucinare… la scorsa estate, sono stato tanto al Cottage, perché mamma aveva del lavoro extra, e zia Fleur per farmi passare il tempo, aveva iniziato ad insegnarmi un po’ di francese.”
“Ha avuto successo?”
“Abbastanza. Qualche frase riesco a dirla,” Al rise piano. “Ma solo parlando. Non ho alcuna idea di come si scriva in francese. Ci ho messo un sacco a imparare a scrivere il nome di Vic. E non sono nemmeno ancora sicuro di come si pronunci bene il nome da nubile di zia Fleur…”
Scorpius rise piano: “Io fossi in te mi riterrei fortunato, perché hai la possibilità di imparare una lingua in famiglia.”
Al si strinse nelle spalle, distrattamente: “Sì, ma è triste imparare una lingua mentre gli altri giocano e si divertono… anche se si tratta di farlo con zia Fleur, che cerca in tutti i modi di divertirmi… mi fa imparare le ninne – nanne che cantava alle sue figlie da piccole, e poi me le traduce… e poi si mette al pianoforte, le suona e me le fa cantare. Però io mi sento stupido. Il francese è una lingua dolce, e sta così bene nella voce delicata di zia Fleur. Mentre in bocca a me è orribile. Non ti dico poi quando zia Fleur e Vic hanno provato a insegnarlo a zio Ron… era a dir poco patetico.”
“Be’, ma suppongo che in Francia anche gli uomini parlino francese!” esclamò Scorpius ridendo.
“Lo so, ma secondo me sta meglio nelle voci femminili… zia Fleur e Vic hanno la voce sottile”, Al si strinse nelle spalle.
“Anche tu hai una bella voce, anche se sei un maschio.”
“Lo diceva sempre anche nonno Artie… quando ero piccolo voleva spedirmi tra i bambini Babbani a cantare nel coro della Chiesa… sai che cos’è?”
“Ne ho una vaga idea…”
“Diceva che con una voce come la mia, era un delitto non cantare. In realtà, credo fosse soltanto una scusa per introdurmi nel mondo Babbano!” rise Al. “Anche perché, quando nonna Molly gli ha proposto in alternativa un coro di giovani maghetti, patrocinato dal paese vicino a dove loro abitano, il nonno ha storto il naso mugugnando qualcosa che suonava circa come cosette inutili per far perdere tempo ai giovinetti….”
“Ma ti piacerebbe cantare?”
“Mah, non so… canto solo con zia Fleur, quando mi rinchiudono al Cottage, e a cantare ninne – nanne in francese mi sento stupido… magari, se cantassi qualcos’altro…”
Scorpius rise, immaginandosi un Al improvvisamente spigliato e esibizionista che cantava a squarciagola canzoni moderne su un palco iperilluminato, circondato da musica assordante e braccato da migliaia di ragazzine impazzite.
“Mm, a dire la verità ci vedrei meglio tuo fratello!” esclamò tra le risate dopo aver raccontato la sua buffa visione ad un costernato Al. Ma anche questi scoppiò a ridere fragorosamente, immaginando James su quel palco. James, il fratellone presuntuoso ed esibizionista, capace già a dodici anni di far arrossire le coetanee con un sorriso ad arte, con uno sguardo languido, con un’occhiata malandrina.
Com’erano diversi… Al se ne rendeva conto ogni giorno più lucidamente. Stentava pure a credere di essere davvero suo fratello. Anzi, ad essere pienamente sinceri, si chiedeva proprio che cosa mai ci azzeccasse lui nella sua famiglia.
James era com’era, ma Lily non era molto diversa da lui; e anche Hugo era uno scavezzacollo, e perfino Rose dietro la dolcezza celava un animo grintoso e, di tanto in tanto, anche combina guai.
Era lui l’intruso in famiglia, dopotutto. Sapeva benissimo che non solo suo nonno, ma anche sua madre e suo padre erano stati tutto fuorché alunni modello (delle punizioni di Harry, così come delle prodezze di Ginny ai tempi della presidenza di Piton, aveva sentito parlare fin troppo, fin da piccolo!). E lui? Già era stato smistato a Serpeverde, e poi era così ligio al dovere, così timido ed impacciato… una piccola versione maschile di Hermione.
“Forse la cicogna ha sbagliato”, aveva detto da piccolo ad una costernata Molly impegnata a preparare una torta di mele, “E mi ha portato a mamma e papà invece che a zia Hermione.”
“Ma cosa dici, Al?!” aveva strillato Molly rovesciando la ciotola di mele sbucciate e tagliate. “Chi ti mette in testa queste idiozie?! Non lo vedi come somigli a tuo padre?”
“Be’, sarei tuo nipote lo stesso,” aveva ribattuto lui placido inclinando la testa su una spalla, come Ginny da bambina quando si trovava costretta ad usare metodi “femminili” per intenerire la madre. “Ma almeno saprei che sono bravo come zia Hermione.”
“Bravo come zia Hermione? Che cosa vuol dire?”
“A studiare, a ubbidire, a non cacciarmi nei guai. Mamma e papà non erano così, l’hai detto tu. E neanche Jamie e Lil lo sono. Magari la cicogna si è sbagliata, doveva portarmi da zia Hermione, e invece ha invertito me e Hugo.”
“Stupidaggini!” aveva tagliato corto Molly con voce stridula, facendo lievitare in aria le mele e risciaquandole. “E se scopro chi ti dice certe cose, giuro che lo affatturo!”
Data la reazione poco accomodante di sua nonna, Al non aveva più toccato l’argomento con lei, ma certo non aveva smesso di pensarci.
Ed ogni volta che la differenza tra lui e i suoi fratelli gli appariva così chiaramente, quel pensiero gli tornava alla mente, anche se non credeva più alla cicogna o nessuna di quelle storie simili.
“Avrei veramente dovuto essere fratello di Rosie, al posto di Hugo,” si disse immaginando il viso di suo fratello dopo aver combinato un guaio, o quello di sua sorella quando Harry la sgridava. “Io, Jamie e Lily non abbiamo nulla a che spartire uno con l’altro… siamo così diversi! Loro si somigliano, così scapestrati e insofferenti a qualunque regola imposta. Mentre io…”
Alzò lo sguardo e guardò Scorpius; stava parlando, e ogni tanto rideva, convinto che l’amichetto lo stesse ascoltando, come al solito. Aveva abbandonato la Gazzetta, e gesticolava delicatamente mentre spiegava qualcosa.
Al lo squadrò dalla testa ai piedi: i capelli così biondi, gli occhi chiari, l’incarnato pallido, il sorriso (lo stesso di Andromeda… e Al comprese che era quello che, inconsciamente, lo aveva attirato), le belle mani, la cravatta verde e argento. E per un momento si guardò intorno spaesato, chiedendosi che cosa ci faceva lui, per Merlino, nella Sala Comune di Serpeverde, lui, un Potter, un Weasley.
“Sicuramente anche Lily finirà a Grifondoro,” sospirò Al pensandoci. “È un tale peperino, che non c’è altra Casa adatta a lei. E poi le piace così tanto fare la paladina della giustizia con i suoi amici, e anche a casa, quando mamma e papà ci vietano o ci impongono qualcosa che non ci va…”
Chiuse gli occhi e vide la sorellina che si lanciava giù da un lungo corrimano senza alcuna paura, urlando a ridendo, con Hugo che la seguiva, divertito quanto lei. E accanto a loro sulle scale c’era James, che li seguiva sui gradini, saltandone sempre di più ad ogni balzo, incurante del fatto che se avesse messo male un piede si sarebbe fatto seriamente male…
Scene che aveva visto troppe volte. E alle quali si sentiva sempre più estraneo.
Mentre i suoi fratelli e i suoi cugini (spesso a Hugo si aggiungeva anche Fred) si divertivano in modo così irruente e pericoloso, lui se ne stava accoccolato sul divano a leggere un libro regalatogli da Hermione, o dal signor Weasley (in entrambi i casi si trattava di romanzi per ragazzi babbani), oppure a disegnare, cosa che amava moltissimo fin da bambino.
E divorava una pagina dietro l’altra, e riempiva album interi, mentre fratelli e cugini urlavano e schiamazzavano poco distante, su e giù per i tre piani di Grimmauld Place numero dodici.
E quando era l’ora della merenda, e Kreacher richiamava tutti quanti i ragazzi perché scendessero in cucina, Al avrebbe voluto nascondersi poiché si presentava tranquillo e riposato, mentre gli altri si avventavano sul tavolo come animali imbizzarriti, sudati da far paura, ansanti, tutti rossi e con le guance congestionate, ma sorridenti e ancora pieni di energia.
Si sentiva uno stupido, perché non era capace di divertirsi come loro, per paura di beccarsi una sgridata; e pensava di non meritarsela quella merenda, o almeno di meritarsela meno degli altri, che vi si gettavano sopra come se non mangiassero da un secolo, mentre lui avrebbe potuto anche farne a meno, perché non era né stanco né affamato.
E alzava gli occhi a guardare Ginny e Hermione che trotterellavano intorno ai fornelli chiacchierando allegre, facendo fluttuare sul tavolo merende deliziose, e si sentiva in colpa.
I suoi fratelli e cugini avevano diritto a quella merenda, lui no. Che bisogno c’era che lui mangiasse, se non aveva fatto nulla di stancante, se non aveva bisogno di energie particolari per stare con le gambe raccolte sul divano a disegnare?
E si sentiva invisibile quando sua madre e sua zia rimproveravano figli e nipoti, oppure facevano domande o distribuivano (inutili) raccomandazioni, arrabbiandosi e divertendosi, preoccupandosi e rallegrandosi; mentre lui non aveva nulla da dire, nulla da farsi raccomandare. Non voleva parlare di quello che aveva letto o disegnato perché si sentiva stupido, e sua madre non aveva nulla da chiedergli, perché lui era il solo a non darle alcuna preoccupazione, di solito.
Da una parte era felice di non essere come i suoi fratelli, che facevano impazzire Ginny almeno dieci volte al giorno; ma dall’altra parte si sentiva sgradevolmente inutili e noioso.
In fondo, anche se in modo esagerato, in suoi fratelli e cugini si divertivano e si godevano le vacanze e le giornate senza impegni. Lui, invece, cercava solo di ammazzare il tempo finché un adulto non lo avesse chiamato per avere aiuto a fare qualcosa.
E quando Harry tornava a casa la sera, e si dedicava ai figli, James e Lily lo sommergevano con un fiume di parole, di racconti di scorribande, di battute divertite su Ginny che si era arrabbiata.
E lui, Al, non aveva nulla da dire. Così si raggomitolava ancora una volta sul divano, stavolta tra le braccia di suo padre, e lo guardava di sotto in su con occhi tristi. Quando veniva il suo turno di raccontare, arrossiva a balbettava qualcosa di poco interessante; solitamente in quel momento Lily e James scomparivano, sapendo che il fratello non aveva nulla da dire, e lo lasciavano solo con Harry. Era vero che suo padre lo ascoltava sempre, e se Al non sapeva cosa dire, gli raccontava lui qualcosa; e poi chiacchieravano d’altro, ma questo non impediva ad Al di sentirsi sciocco, diverso dai suoi fratelli e dalla maggior parte della sua famiglia, e per questo sbagliato e noioso.
Forse era per questo che era stato smistato nella Casa perfettamente opposta a quella di suo fratello: perché era perfettamente opposto a lui.
“Al, a che cosa stai pensando?” la voce di Scorpius lo riscosse.
“Oh… a niente di che…” balbettò con lo stesso tono che usava quando suo padre gli chiedeva che cosa avesse fatto quel giorno. E si disse che, in fondo, essere finalmente ad Hogwarts aveva un immenso vantaggio: di cose da raccontare ora ne avrebbe avuto a bizzeffe, anche senza essere uno scalmanato come James.
Scorpius sorrise lievemente, osservandolo con attenzione, come per scoprire eventuali bugie; ma Al ricambiò il sorriso scrollando le spalle, e l’altro si mise il cuore in pace.
“Mi accennava Rosie che Victoire è gelosa dei gemelli,” disse Scorpius guardando fuori.
“Mm, sì, lo accennava anche a me. C’era da aspettarselo, purtroppo. Cioè, Vic ha le sue amiche, è grande e in Sala Comune non ci sta mai; Rosie non si è ancora ambientata e non ha nessun altro. Ora che ha legato coi gemelli, e loro le fanno compagnia e la fanno divertire, e non è più da sola quando Vic è a zonzo, le cose sono cambiate. Ma era ovvio anche che Vic diventasse gelosa. Ha perso il suo ruolo di compagna privilegiata…”
“Questi sono i lati negativi di essere una famiglia così affiatata…” sospirò Scorpius.
“Guarda! Stanno tornando i ragazzi!” balzò in piedi Al, e in mezzo secondo era già perfettamente incollato alla finestra dalla testa alla cintola.
Nonostante il brutto tempo, infatti, la Preside aveva scelto quel week end come il primo a Hogsmeade per gli alunni, e nessuno degli autorizzati aveva voluto perdersi quell’occasione.
Pioggia o no, freddo o meno, tutti i ragazzi dal terzo anno in su erano sciamati urlando e ridendo fino a Hogsmeade, mentre i ragazzi più piccoli, come Cathy, James, Al, Scorpius, Rose e i gemelli, erano rimasti al castello; dopo aver passato tutta la mattinata insieme, i tre più piccoli si erano separati, perché Rosie aveva un appuntamento coi gemelli nella sua Sala Comune.
In quanto a James, sicuramente era a far baldoria e guai coi suoi coetanei, poiché Al non aveva avuto alcuna sua traccia in tutto il giorno.
E ora Al, appiccicato alla finestra come incollato, seguiva con gli occhi Fred, circondato dalla sua cricca di amici scapestrati, Victoire con le sue amichette graziose, truccatissime e ridacchianti, e Bessie, che chiacchierava coi compagni di squadra, mentre tornavano al castello. Era emozionato: non stava più nella pelle all’idea di farsi raccontare di Hogsmeade, dei suoi negozi… e poi (Scorpius lo aveva capito, anche se Al non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura) sperava ardentemente che il fratello e i cugini gli avessero portato delle caramelle da Mielandia.
In realtà, anche Scorpius sperava nella loro generosità, anche se sapeva che sarebbe stato poco probabile: la parentela dell’amico, purtroppo, ancora stentava a vederlo di buon occhio…
Ma chissà, magari Al, che gli voleva così bene, avrebbe condiviso con lui…
Accusandosi di essere egoista e mangiaufo, Scorpius si diede un colpetto in testa per rimproverarsi. Alla finestra, Al stava chiocciando come una gallinella: “Vado loro incontro! Dai, Cory, vieni con me, eravamo d’accordo che ci saremmo visti in biblioteca… vieni anche tu!”
Non aveva ancora finito di pronunciare queste parole, che già era letteralmente scomparso fuori dalla sala comune.
Costernato, Scorpius sbatté gli occhi una, due volte; poi li chiuse e li riaprì. Nulla. Al era davvero scomparso! In un attimo balzò in piedi e corse fuori: Al sarà anche stato timido e tranquillo, ma era davvero un folletto irrequieto!

“Io devo capire come funziona!” sbottò James pestando rabbiosamente un piede per terra.
“Mmpff!” rispose con foga Fred, la bocca piena di caramelle.
Al, una Cioccorana mangiata per metà tra le labbra, spostò lo sguardo dal fratello a Fred, e poi da Fred a Victoire che aveva alzato gli occhi al cielo esasperata, poi di nuovo a James.
“Secondo me è inutile accanirsi,” disse piano, come pigolando.
Lanciò un’occhiata di sotto in su a Scorpius, anche lui autorizzato a prendere parte al piccolo, delizioso e variamente assortito banchetto di caramelle e cioccolato arrivato da Mielandia.
I suoi cugini, appena arrivati, erano corsi veloci a farsi una doccia calda e indossare abiti asciutti, nonostante tutti gli incantesimi di Victoire per cercare di farli bagnare il meno possibile; poi avevano chiamato James, Cathy, Al, Scorpius e Rose (la quale aveva portato con sé i gemelli, come c’era da aspettarsi), e avevano indetto riunione in biblioteca.
I piccoli si erano fatti raccontare di Hogsmeade, del maltempo, del loro essersi rifugiati al “Piede di Porco”.
“Perché proprio là, e non da madama Rosmerta, dove vanno tutti?” aveva domandato Scorpius, sinceramente stupito.
I vari cugini e i gemelli si erano scambiati uno sguardo d’intesa; Lorcan e Lysander conoscevano fin troppo bene la risposta, senza bisogno di consultarsi coi rampolli Weasley. Avevano sorriso tutti, ed a rispondere a Scorpius era stata Victoire, forse per l’autorità conferitale dall’essere la più grande di tutte: “Perché è stato un luogo molto importante per i nostri genitori… e perché Abeforth, il proprietario, li ha aiutati durante la guerra contro Voldemort. Se non fosse stato per lui…”
“Da sempre andiamo là, perché sappiamo che a casa vorrebbero così… e poi Abeforth è così caro!” le aveva fatto eco Bessie.
“Ora è invecchiato, ma si è ammorbidito, zio Harry giura che vent’anni fa era molto più burbero,” aveva aggiunto Fred con un immenso sorriso.
“Suo fratello era quel Silente, Preside per moltissimi anni e membro d’onore del Wizengamot, di cui tutti parlano tanto e che mi ha dato il nome,” aveva concluso Al. “Il mio ridicolo nome,” aveva insistito per sottolineare, con una smorfia.
Come da copione i suoi cugini, a turno, iniziarono il vecchio ritornello: “Il tuo nome non è affatto ridicolo, Al, è solo importante!”, “Dovresti andare fiero di avere il nome di una così grande personalità!”, “Fai sempre questi discorsi sciocchi, hai un nome bellissimo,” e cose del genere.
Esclamazioni che Al detestava. Che potevano saperne loro, di quale sciagura fosse un nome come il suo? Nessuno di loro aveva un nome strano, se non Victoire, ma il suo nome era straniero, ed era un punto in più per la sua popolarità. Lei a Hogwarts era “Quella bellissima rossa dal nome francese”, oppure “La Weasley bella, quella con la madre francese”.
Lui era quello col nome ridicolo. O almeno, tra gli amichetti londinesi dell’infanzia lo era. Al, il suo diminutivo, non lo ricordava nessuno. Così breve, semplice, sfuggiva dalle labbra. Al faticava a capire perché. In fondo lui era un ragazzino insignificante, mingherlino, invisibile, timido; era giusto che avesse un diminutivo sciocco e comune. E invece no. Il suo nome non lo imparava nessuno, il suo diminutivo lo dimenticavano tutti. Alla fine lui rimaneva “Il fratello goffo di quel simpaticone di James.”
Gli amichetti del parco gliene avevano dato di appellativi sciocchi, scherzosi. Al un po’ aveva riso, un po’ aveva pianto, un po’ si era divertito e un po’ si era offeso. Tra “Occhioni”(pronunciato con evidente ironia), “Fantasmino”, “Potter junior”, “Chiodo”, “Puppazzetto”, e “Pucci – pucci”, Al ne aveva sentite veramente di tutti i colori. Ci mancavano solo i nomignoli in lingua straniera.
Si era abituato in fretta, ed aveva imparato a non offendersi, o almeno a non darlo a vedere.
Sapeva di essere lo zimbello perché era timido, non si metteva in mostra e si impacciava spesso e volentieri perché era goffo. Ma ingoiava il rospo, e spesso se ne stava in un canto, inventandosi di essere stanco o di avere male alla milza per aver troppo corso.
James e Lily, insieme ai cugini, giocavano, ridevano, si divertivano. Lui si ritirava in un cantuccio, come quando stava a casa, e si immergeva nel suo piccolo mondo dorato, soltanto suo, fatto di storie e di disegni, e si dimenticava di tutto.
“Insomma, ma mi state ascoltando? Ho detto che devo riuscirci, ma ho bisogno dell’aiuto di tutti voi!” la voce forte di James scosse tutti, e soprattutto Al, che si era perso a pensare ancora una volta.
Devo capire come funziona, per Merlino! Possibile che non ci sia un modo? Se davvero Teddy lo sa, be’, Vic, vedi di scrivergli e chiederglielo. Almeno avrai qualcosa da dirgli in quella lettera, no?” tirò la frecciatina finale senza reale cattiveria, solo per divertimento. Fece l’occhiolino a Victoire, come per cercare di spiegarglielo, ma il danno era già fatto: la bella rossa si alzò in piedi con uno scatto, rovesciando la sedia, che piombò a terra con un tonfo sordo.
Incavolata, Victoire faceva paura. Quel suo ottavo Veela ereditato dalla madre, si faceva sentire parecchio in certe occasioni: i capelli parevano gonfiarsi come una nuvola, gli occhi diventavano enormi e minacciosi, le mani che si aggrappavano al tavolo sembravano artigli pericolosi.
“James Sirius Potter, come TI PERMETTI?!” strillò con una voce acuta e strozzata che non era sua; sembrava piuttosto simile a quella di Bessie. “CHI TI DA IL PERMESSO DI FICCANASARE IN COSE CHE RIGUARDANO SOLAMENTE ME E TED? E CHI TI HA DETTO CHE DEVO SCRIVERE A TED? E CHI SE NE IMPORTA DI QUELLA MALEDETTA, INUTILE, STUPIDA PERGAMENA?” sbraitò (o abbaiò?) tutto d’un fiato. Quando si calmò era cianotica.
“Sembri la Strillettera di mia madre!” ribatté indignato James, dimenando in aria il suo naso Weasley, come una ragazzina Purosangue e viziata, abitudine che condivideva con la sorella. “In quanto alla lettera, tutta Hogwarts sa che dovevi scriverne una a Teddy… e comunque, questa pergamena non è né inutile né stupida, anzi, secondo me è un gioiello. Ma lo sappiamo che tu sei la santarellina della famiglia… chissà quale disonore se tu ci dessi una mano!” concluse piccato.
Victoire divenne rossa, il suo viso era pan dan coi capelli, che, spettinati, le danzavano davanti al viso in modo minaccioso. Strinse più forte le mani al bordo del tavolo, le nocche diventarono bianche per lo sforzo, lei iniziò a tremare di rabbia, d’indignazione, di dispetto. Aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Era così tesa che le corde vocali non riuscivano a muoversi.
Solo al terzo tentativo riuscì a ritrovare la voce perduta, e ricominciare a sbraitare: “QUANDO IMPARERAI A FARTI UNA GROSSA, ENORME PADELLA DI FATTI TUOI, FICCANASO STUPIDO E IMMATURO?! COSA TE NE FREGA A TE DI COSA FACCIAMO IO E TED? E… IO UNA SANTERELLINA? MA SAI DI CHI STAI PARLANDO? LO SAI? MI VEDI? IO UNA SANTERELLINA? FORSE TI STAI CONFONDENDO CON QUALCUN ALTRO… IO NON FACCIO LA SANTERELLINA, IO CERCO SOLO DI FRENARTI, PERCHE’ SEI UN PERICOLO IMMENSO PER L’UMANITà, E SE NON TI METTO UN ARGINE IO, IO CHE HO UN PO’ DI BUON SENSO…”
Si interruppe di colpo, con un gemito, come se si stesse strozzando con la sua stessa voce; emise un suono come un singhiozzo, poi: “James, sei un essere schifoso. SCHIFOSO!” e se ne andò senza più aggiungere una parola, scoppiando in lacrime.
“Permalosa, la cuginetta,” osservò James fingendosi assolutamente disinteressato e menefreghista, rigirandosi tra le mani la pergamena.
“Te la sei cercata, cervello di carciofo,” lo apostrofò con cattiveria Bessie. “Lo sai che non vuole che le si parli di Teddy. Che diritto hai di intrometterti nei suoi affari?”
“Oh, poche lagne, Elizabeht! Perfino il Ministro sa che tra Vic e Teddy c’è del tenero… non siete voi che li avete visti baciarsi a King’s Cross, sono io! E io vi assicuro che non era affatto l’innocuo bacino di due amici molto affiatati… e neanche quello casto e inesperto di due adolescenti curiosi! Era il bacio appassionato di due innamorati, solo che Vic ha paura di che cosa potrebbero dire in famiglia, ecco la verità… paura di cosa direbbero zio Bill e zia Fleur, se…”
“James, ma tu stai delirando!” lo interruppe Bessie. “Per Morgana, ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? Mamma e papà sarebbero felicissimi di sapere Vic e Teddy innamorati!”
“Tu sei troppo sentimentale, Bessie. Non sono del tutto sicuro che Teddy sia esattamente il tipo di fidanzato che gli zii sperano per Vic.”
“Ma cosa hai mangiato in nostra assenza, James? Un polpettone ottocentesco per adolescenti lacrimose e sentimentali?” lo derise Fred infilandosi un paio di caramelle Tuttigusti + 1.
Fred, Bessie, Rose e i gemelli risero; James, sentendosi umiliato, li guardò malissimo, contraendo il viso in una smorfia. Scorpius e Al, dal loro angolino, si scambiarono uno sguardo complice.
“Che discorsi insulsi e ripetitivi,” commentò Al sottovoce scuotendo la testa. “Parlano sempre delle stesse cose. Si punzecchiano sempre allo stesso modo. Sono diventati prevedibili e noiosi. Non mi fanno più ridere.”
“Be’, se dicono sempre queste cose… sempre queste…”
“Sì, Jamie è maestro a parlare delle stesse cose per una vita… adesso per un anno andrà avanti con la solita zuppa riscaldata di Vic e Teddy che si sono baciati a King’s Cross. Come se quello che fanno quei due fosse affare di James…”
Scorpius sorrise. Dall’altra parte del tavolo James e Bessie, senza smentirsi, erano ancora intenti a battibeccare, Fred si era intromesso e sembrava divertirsi come un matto, Rose e i gemelli ridevano, molto probabilmente per qualcosa che sapevano solo loro, mentre Cathy si stava abbuffando di Cioccorane, evidentemente felicissima che nessuno si curasse di guardarla o rimproverarla.
“Secondo me bisogna fare qualcosa,” borbottò Al osservando la scena. “Non possiamo lasciare che la situazione degeneri. Vic se n’è andata, è vero, ma non possono continuare a battibeccare come dei bambini!”
“Mm, purtroppo temo di aver intuito che è una costante nel tuo parentado.”
“Sì, ma io mi rifiuto di lasciarli fare. È una tale noia stare ad ascoltare i loro discorsi sempre uguali, se la storia della pergamena potesse essere un diversivo…”
Al, senza attendere la risposta di Scorpius, né tantomeno la sua approvazione, si alzò in piedi facendo rumore con la sedia. Nessuno si accorse di lui, come si era aspettato. Si schiarì la gola, cercando di attirare l’attenzione, ma fu tutto inutile. Infine, decise che doveva passare all’attacco.
“Fantastico, direi che possiamo occuparci della pergamena, adesso!”
Quando Al parlò, con voce chiara e decisa, forse a volume un po’ troppo alto, una voce che non era quella di Albus Potter, tutti tacquero improvvisamente, e si girarono stupiti verso di lui. In piedi aggrappato al tavolo c’era davvero il piccolo e timido Al.
“Credevo anche tu la reputassi una sciocchezza per cui non vale la pena perdere tempo,” James colse la palla al balzo; la provocazione era quasi inesistente: era sincero. I suoi occhi brillavano per la speranza di aver trovato un alleato per il suo piano, e si trattava nientemeno che di Al, il suo fratellino tranquillo e dotato di buonsenso… e di una buona dose di saggezza.
“Ma scherzi? Continuo a pensarci in questi giorni, e sono sempre più convinto che soltanto Teddy ci potrebbe aiutare veramente,” Al aveva giù riacquistato il suo normale tono tranquillo ed anzi un po’ sottomesso di sempre. Era di nuovo sé stesso. Ma aveva catturato l’attenzione di James. “Sì, ma se quando l’ho proposto Vic se l’è data a gambe frignando…”
“Perché tu l’hai offesa, stupido! Che cosa ti importa a te che cosa c’è tra Vic e Teddy? E perché devi tirarlo fuori in ogni occasione? Lo sai che Vic se la prende, potresti anche lasciarla un po’ in pace, no?” abbaiò Bessie piantandosi le mani sui fianchi.
“Mpf, anche tu sembri mia madre!” le rispose scocciato James lanciando un’occhiataccia alle sue mani piantate sui fianchi. “Siete tutte e due con lo stampino, vorrei sapere da chi avete preso, zio Bill è così simpatico, e zia Fleur è divertentissima… voi due… secondo me siete figlie del po…” 
“JAMES PIANTALA!” sbraitò Bessie furente.
“Non ha tutti i torti, mi sa che hai esagerato, Jamie,” aggiunse Fred sottovoce dandogli una gomitata. James sapeva rendersi particolarmente molesto e insopportabile con quel comportamento. Al aveva alzato gli occhi al cielo esasperato. Scorpius, seduto, lo guardava di sotto in su con aria sconsolata. Era tutto inutile, avevano solo voglia di litigare.
“James… ehi, James, lascia stare tua cugina e girati qui!” esclamò all’improvviso uno dei gemelli, tirando dolcemente James per la manica. Questi evitò di urlare addosso a Bessie e si volse stupito: “Dimmi,” chiese sgranando gli occhi scuri.
“Meglio che ci occupiamo della pergamena, e non di battibeccare, che ne dite?” disse l’altro gemello, facendo l’occhiolino a Bessie con un sorriso. Questa, invece di ammorbidirsi, si offese, e si girò dall’altra parte incrociando le braccia con fare minaccioso, facendo ondeggiare la bella massa di capelli biondi.
“Cosa sapete della pergamena?” in un secondo l’attenzione di James fu completamente sviata da qualunque altra cosa: da Victoire, da Bessie, dai battibecchi. Fissò i gemelli, uno dopo l’altro, con occhi carichi di attesa.
“Ne abbiamo sentito parlare da mamma,” spiegò Lorcan con voce solenne, in un sussurro. “O almeno, mamma ci ha parlato di una mappa appartenente a vostro padre, in grado di mostrare tutta la pianta di Hogwarts e tutte le persone che vi si muovono all’interno…”
James aveva sgranato gli occhi a dismisura e, dall’emozione, stava anche trattenendo il respiro.
“Credo si tratti di quella Mappa, solo che è incantata, e noi non conosciamo l’incantesimo per poterla usare. Ma forse potremmo scoprire qualcosa con un incantesimo. Non sarà quello per aprirla, ma…”
“Proprio per questo ho chiesto l’aiuto di Vic… è la più grande e la più esperta di magia,” sospirò James, sconsolato. “Ho provato a fare dell’ironia, ma…”
Bessie stava già per rispondere, anzi, strillare, ma Fred gli piantò una mano sulla bocca per farla tacere, e fece cenno ai gemelli di continuare.
“Abbiamo anche sentito parlare di questi… Malandrini, e se davvero è una loro invenzione, be’, non ci rimane che chiedere a un Malandrino,” disse Lysander.
“Sì, era ovvio, ma i Malandrini sono morti tutti e quattro, e i loro eredi sono zio Harry e Teddy,” osservò Fred. “Zio Harry… oh, se solo sapesse che abbiamo questa pergamena… o questa mappa che sia, andrebbe su tutte le furie! In quanto a Teddy… temo che per ciò che riguarda i segreti tra lui e zio Harry sia muto come una tomba…”
“Per Teddy i segreti dei Malandrini sono qualcosa di sacro”, sospirò Al. “Credo che neanche a suon di Crucio o di Imperio riusciremmo a cavare un ragno dal buco…”
“Resto dell’idea che i miei genitori sicuramente ne sapranno qualcosa,” esclamò Rose, parlando per la prima volta. Gli occhi dei gemelli si puntarono su di lei, e così quelli di tutti gli altri.
“Zio Ron non…” cominciò Fred.
“Lo so, lo so,” lo interruppe Rose. “Papà non ce lo direbbe mai e poi mai, ma magari mamma… in fondo, so come ottenere qualcosa da lei.”
“Forse potrebbe essere un’idea…” borbottò James col naso per aria. “Se tu riuscissi a fare leva su zia Hermione…”
“Io ho un’idea migliore,”gli occhi di Fred luccicarono. “Molto migliore che interpellare zia Hermione, col rischio che si lasci scappare qualcosa con zio Harry…”
“Che cosa?!” chiesero tutti in coro, fissando Fred.
“Papà,” disse solamente Fred, gli occhi scintillanti, un sorrisetto malizioso sulle labbra. “Se si tratta di qualcosa di importante, sicuramente papà ne sarà al corrente. Una mappa di tutta Hogwarts, avete detto?” si rivolse ai gemelli, che annuirono. “Sono tremendamente sicuro che papà era al corrente di qualcosa di così succulento, ai tempi in cui era qui… in fondo, lui conosce ogni angolo di Hogwarts, e come avrebbe potuto senza un… aiutino?”
“Effettivamente, il ragionamento non fa una piega…” rimuginò ad alta voce James. “E di certo zio George sarà molto più disponibile di zia Hermione su certe cose…”
“Non mi sono ancora abituato a tutti i vostri raggiri familiari… mi viene ancora il mal di testa quando ne parlate troppo…” sussurrò Scorpius a Rose e Al, seduti accanto a lui. “Almeno i gemelli mi fanno sentire meno estraneo in mezzo a voi…”
“Su, coraggio, è solo questione di abitudine!” Rose sorrise di un sorriso immenso, e gli accarezzò la testa in modo quasi distratto ma amichevole. Scorpius parve imbarazzarsi, e spostò lo sguardo “Quindi, potremmo provare. In fondo, non abbiamo nulla da perdere…” James continuò con il suo soliloquio, parlando col soffitto della biblioteca.
“E una volta scoperto l’arcano, cosa faremo esattamente della Mappa?” chiese Al. Poteva sembrare una domanda sciocca, ma a nessuno era venuto in mente finora.
“Come cosa faremo?! Al, tu forse non ti rendi veramente conto di che cosa significhi avere tra le mani una mappa di tutta Hogwarts! Significherebbe conoscere ogni passaggio segreto, ogni corridoio nascosto, ogni anfratto…”
“Sei tu il sesto Malandrino, Jamie, non io,” puntualizzò Al con una specie di sorrisetto. “Sei tu che non pensi ad altro che a combinare guai…”
“Al, prova a pensare… a pensare! Io, tu, Scorpius, Rose, Cathy… potremo andare a Hogsmeade con loro”, accennò ai cugini più grandi, “Di nascosto!”
“Grande genio!” esclamò Al sarcastico. “Perché cinque ragazzini sotto i tredici anni che escono di soppiatto e si fanno vedere a Hogsmeade secondo te riuscirebbero a passare inosservati, eh?”
“Papà è andato di nascosto a Hogsmeade più di una volta!” esclamò James. “Me lo ha raccontato mamma, e me lo ha confermato zia Hermione.”
“Papà era da solo, passare inosservato era più facile.”
“No, non è passato inosservato,” si intromise Lorcan. “Aveva un trucco.”
“Un trucco che noi non conosciamo ma voi sì?” esclamò di getto James. Nella sua voce c’era una evidente presa in giro nei confronti dei gemelli, estranei alla famiglia eppure così informati.
“Come, non lo sapete?” esclamò Lysander. “Non ne sapete nulla?!”
“Di che cosa?” si spazientì James, guardandoli male.
“Del… no, non è possibile che non lo sappiate! Vostro padre deve avervene parlato! È una cosa troppo importante, e poi… poi è di famiglia! Deve essere trasmesso di padre in figlio…” continuò Lorcan. Ma davanti alle facce sempre più strabiliate dei rampolli Weasley, comprese che questi – e Al e James tantomeno – veramente non ne sapevano nulla.
“Vostro padre era – ed è tuttora, suppongo – in possesso di una cosa molto, molto rara… un oggetto rarissimo e immensamente magico, che fa parte di una leggenda antichissima, uno dei tre oggetti che Voldemort ha cercato a lungo, sperando così di diventare troppo potente per chiunque altro…” spiegò Lysander, con voce suadente e l’aria di chi sta raccontando un giallo particolarmente avvincente ed intrigante. “Uno dei Doni della Morte… tre oggetti di straordinaria magia che, in mano alla stessa persona, ne avrebbero fatto il mago in grado di dominare la Morte…”
Nessuno osava respirare per l’attesa; James era già di un colore pallidamente azzurrino, eppure pareva non accorgersene, tanta era la tensione.
Lorcan prese la parola al posto del fratello, con un sorriso vagamente di trionfo, ma molto dolce: “Questo oggetto viene trasmesso di padre in figlio di generazione in generazione, da secoli e secoli… vostro padre,” si rivolse a Al e James, “Lo ebbe da suo padre, che lo ebbe dal suo, e via così… prima o poi anche voi, o quantomeno tu, James, lo erediterete.”
“Di che cosa si tratta?” sussurrò James con un filo di voce, preda della suspence creata dai due gemelli. L’idea che loro fossero al corrente di una cosa della sua famiglia lo irritava in modo incredibile, ma in quel momento se ne dimenticò.
Lorcan e Lysander si scambiarono uno sguardo complice, poi, all’unisono risposero, con gli occhi che brillavano come quelli di Fred poco prima: “Un Mantello dell’Invisibilità!”
Note finali:
Se qualcuno desiderasse fondare qualche club (anti - James Potter, pro gemelli Scamander, pro Povero-Albus-bistrattato, etc.) mi contatti pure ^_-
Capitolo 10 - Caro Teddy, ti scrivo... di Miss Granger
Note dell'autore:
Quando l'orgoglio e la necessità vincono timidezza e vergogna... spuntano lettere indirizzate a Ted Remus Lupin! Ci avreste scommesso??
Caro Teddy, ti scrivo

“Doni della Morte?” ripeté ancora una volta James, come un disco rotto, gli occhi sgranati. “E noi non ne sapevamo niente… lo sapevano loro, e noi…”
“Io non ci crederei così ciecamente ai gemelli, eh…” osservò Fred. “Secondo me è più quello che si inventano che…”
“Non dirlo neanche per scherzo!” strillò Rose con voce stridula, balzando in piedi. “Lorcan e Lysander non raccontano frottole!”
“Va bene, va bene!” esclamò Fred cercando di salvare il disastro. “Volevo solo dire… cioè, non volevo insinuare che non sono affidabili, però…”
“Non capisco cos’abbiano che non vi va!” esclamò Rose, con la stessa vocetta stridula e fastidiosa. “Volete spiegarmi cosa vi hanno fatto i gemelli? Perché ce l’avete con loro? Continuate a dire che non sono affidabili, che sono sciocchi e raccontano frottole… e tu Jamie, se potessi li metteresti in forno con le patate… ma insomma, perché? Solo perché papà ha sempre detto che la loro mamma è un po’ svitata? Guardate un po’ che zia Ginny, invece, ripete che è stata una delle sue più care e sincere amiche…”
“Resta il fatto che noi non sapevamo niente di questa storia,” le fece notare con calma Fred.
“Una storia che si riferisce a mio padre… a me… ad Al!” strillò James in un crescendo di tono, gesticolando con enfasi.
Rose alzò gli occhi al cielo esasperata; in quel momento sembrava terribilmente sua madre.
Victoire fu l’unica a notarlo. Era tornata da poco, si era fatta passare il nervoso con James e si era quasi obbligata a sedersi assieme a sorelle e cugini. Era pur sempre una riunione di famiglia, e lei non poteva mancare… non perché James aveva osato nominare Ted.
Il problema era che aveva centrato in pieno la faccenda… lei, quella lettera, non era mica ancora riuscita a scriverla… neanche una riga per Teddy, che aspettava con ansia e con terrore. Ormai di tempo ne era passato, da quando lei era partita, e… ancora nulla. Non ci riusciva. Ogni volta che ci provava la assaliva la sindrome del foglio bianco. Era sempre peggio, e lei ci soffriva… e sentirselo ripetere anche da James, con noncuranza e divertimento, era stato uno strazio…
Ora, seduta scomposta e con la testa abbandonata sulle braccia conserte, osservava Rose. Lei era la prima alla quale dessero fastidio i gemelli… in realtà era gelosa. Perché da quando c’erano loro, Rose non trascorreva tempo che con loro e con Al e Scorpius. E Victoire sentiva la mancanza della sua cuginetta, alla quale dare attenzioni, consigli, carezze…
Rose sembrava non averne improvvisamente più bisogno. Dopo che le aveva risposto male circa tre settimane prima, si era di colpo staccata da lei. E Victoire ne soffriva. Così passava molto tempo ad osservare in silenzio la cuginetta. E ora fu l’unica a notare la sua reazione alle parole di James.
Rose non si accorse che Victoire la stava guardando. Non si accorgeva quasi più della cugina maggiore, da che c’erano i gemelli.
Victoire si sporse un poco e, con tatto, le sfiorò un braccio: “Rosie…”
Rose si volse di colpo, e la guardò come se la vedesse per la prima volta. Poi la sua espressione cambiò in una sorta di rassegnato: “Ah, sei tu…”
“Dimmi,” disse solo. Era diventata rossa dalla base del collo fino alle orecchie, come suo padre, ma sembrava convinta di poterlo nascondere. Victoire si intenerì e, in un attimo, capì che quella era ancora la sua Rose, nonostante tutto. La piccolina insicura, timida, dolce, emotiva e spaesata che conosceva e amava come una terza sorellina. Aveva cercato di fingersi grande, forte, orgogliosa e indipendente ma, ogni tanto, la maschera crollava. Come in quel momento.
Victoire sentì il cuore che le si stringeva per la tenerezza, per il divertimento, per il sollievo, e per l’affetto; non disse niente, sorrise solo di un immenso sorriso, mentre ai lati degli occhi spuntavano due lacrimucce di commozione e di felicità.
“Che cosa c’è?” incalzò Rose; strinse le labbra, ma il rossore si estese alle guance. Sentendosi il viso ed il collo il fiamme, Rose sgranò gli occhi, e finse di guardare altrove.
“Niente… la mia Rosie!” esclamò in un sussurro Victoire, e si gettò in avanti per abbracciarla.
Rose non disse niente. Subito cercò di divincolarsi, di tenersi lontana, ma poi la stretta di Victoire divenne così forte che fu costretta a ricambiare per non soffocare.
“Credevo non mi volessi più bene,” ammise Victoire col candore di una bambina piccola.
“Tu mi trattavi come una bimbetta capricciosa e incapace!” saltò su la ragazzina.
“Volevo proteggerti. Volevo starti vicina.”
“Mi lasciavi sola. Se non fosse stato per i gemelli…”
Rose avrebbe continuato, ma lo sguardo di Victoire era così sinceramente addolorato, che si fermò; on avrebbe mai avuto il coraggio di infierire ulteriormente. Tacque e si morse le labbra: “Perdonami Vic…” sussurrò piano.
“Va tutto bene,” disse Victoire sforzandosi di sorridere. Le accarezzò i capelli rossi e arruffati, e la guancia violacea. Sì, era sempre la sua Rose, anche se giocava a fare la “grande” perché aveva trovato due nuovi amici fuori dalla stretta cerchia della famiglia.
“Tu hai sempre altro da fare… altri amici, altri impegni, altri compiti,”sussurrò Rose guardandosi i piedi con un sospiro. “E io, quando non potevo vedere Al e Cory, non sapevo che cosa fare. Ed ero sola. E… e lo sai che io non risolvo spesso gli indovinelli per entrare in Sala Comune. Mi toccava anche restare chiusa fuori e andarmene a zonzo…”
Victoire non rispose. Era stata così preoccupata per quella lettera a Teddy, che nient’altro era riuscita ad attirare la sua attenzione nell’ultimo periodo.
All’inizio, occuparsi di Rose e Al, i piccolini, era stato un compito gradito e divertente, che ogni giorno svolgeva con piacere e apprensione. Ma le lettere da e per casa continuavano a circolare regolari, e Teddy aveva preso l’iniziativa di scriverle: lettere lunghe, piene di novità e allegre.
Victoire continuava a dirsi che avrebbe risposto, e aspettava un’ispirazione (o si trattava forse di coraggio?) che non arrivava mai. E aveva cominciato a non pensare ad altro.
Si dimenticava di Rose, appena aveva un momento libero cercava di spremersi le meningi per scrivere qualcosa, oppure si perdeva in lunghe, brutte riflessioni pessimistiche sule conseguenze delle sua incapacità di scrivere quella lettera…
Aveva fatto un gran casino, lo sapeva. Era quasi novembre e Teddy non aveva ancora avuto una sola sua lettera, Rose si era sentita trascurata e si era dovuta arrangiare da sola, e come se non bastasse tutti si erano accorti di che cosa stesse succedendo. E le battute di James ne erano la prova.
“Jamie ha ragione, vero? È per Teddy, giusto?” la colse alla sprovvista Rose. Si sosteneva la testa con le mani a coppa, e la guardava con aria comprensiva e triste allo stesso tempo.
Victoire annuì, e si sentì stupida, perché la cuginetta di cinque anni più piccola stava dimostrando di avere più buon senso di lei.
“Scrivigli di questo, no?” osservò Rose con semplicità, sgranando gli occhi.
Victoire la guardò con aria interrogativa.
“Scrivigli di quello che stiamo combinando… scrivigli di me e dei gemelli, di Jamie che si indigna per la Mappa sconosciuta e per questi… Cosidellamorte”, pronunciò l’ultima parola tutto di un fiato come per imbarazzo, “di Al e Cory, di Hogsmeade…”
Victoire stava per ribattere, per dire che erano cose sciocche, che a Teddy non sarebbe importato molto delle loro marachelle… ma si fermò prima di parlare, e continuò a tacere.
Forse aveva sbagliato lei a pensarlo.
“Raccontagli di quanto è sciocco Jamie che se la prende,” Rose continuò, indicando James che ancora gesticolava e faceva la sua orazione sui Doni della Morte e il loro mistero. “E di Al e Cory che fanno le battutine sottovoce. Raccontagli di cosa avete fatto a Hogsmeade, e di che cosa faremo per Halloween.”
“E se sono cose troppo banali?” chiese Victoire, anche se si sarebbe sotterrata, perché si stava facendo dire da Rose, dalla piccola Rose che cosa doveva fare.
“Dovrai pur cominciare con qualcosa, no? Magari poi ti viene in mente qualcosa di meglio.”
“Insomma, voi due, volete partecipare?” esclamò James nella loro direzione, piantando i pugni sul tavolo con fare irritato.
“Cosa?” chiese Victoire aggrottando le sopracciglia, sospettosa. Aveva un’aria da: non istigarmi, che posso morderti ancora.
“Stiamo parlando di che cosa possono essere questi Doni della Morte, di dove e come potremmo saperne qualcosa, di come i gemelli possono averlo saputo,” spiegò James un po’ impaziente.
“Jamie, te l’ho già detto: una grandissima pentola di affari tuoi? Saranno affari di zio Harry, no? Di certo, Lorcan e Lysander ne hanno sentito parlare dalla madre, e ora ti hanno messo la pulce nell’orecchie. Non farti influenzare, dai. Ci manca solo che ti spacchi la testa su queste cose. Perché non pensi agli allenamenti di domani, e a studiare? Se porterai dei voti come l’anno scorso, zia Ginny ti farà lo scalpo, lo sai.” Esclamò Bessie.
“Possibile che tu sia capace a parlare soltanto di studiare?” esclamò James sbuffando. “Non ti pare forse che anche queste cose del passato dei nostri genitori, che noi ignoriamo e che invece Lorcan e Lysander sanno, siano molto importanti? In fondo, che cosa sappiamo noi della guerra contro Voldemort, se non racconti fiabeschi di nonno Arthur e qualche accenno di mamma e papà? Ma niente più che favole. La verità dov’è? Perché Teddy può saperla e noi no? Forse che io e Al non ne siamo più degni, in quanto suoi figli? Capisco che Teddy non abbia mai conosciuto i suoi genitori, e papà abbia ritenuto giusto parlargli del perché sono morti. Ma ormai tutti noi qui siamo abbastanza grandi per sapere a nostra volta la verità. O no? Teddy, quando papà ha iniziato con quei cosi della bacinella…”
“Si chiama Pensatoio, sapientone,” lo interruppe Bessie. “E si chiamano ricordi.”
“Teddy, quando papà ha iniziato con quei ricordi del Pensatoio,” riprese James ignorando Bessie se non per essersi corretto, sempre più infervorato dal proprio discorso, “aveva l’età che ha ora Al. E allora perché noi non possiamo sapere quello che sa Teddy e che, scopriamo ora, sanno anche i gemelli, che non c’entrano nulla con la nostra famiglia?”
Ormai si rivolgeva a tutti quanti. Bessie alzò gli occhi al cielo, esasperata, e con lei Rosie. Scorpius si lasciò sfuggire un risolino, e Al diventò rosso nello sforzo di non ridere. Fred guardò James con l’aria di chi sta valutando ciò che ha sentito, e Cathy lo fissò con sguardo un po’ vacuo; ma l’unica che rispose fu Victoire.
“In realtà, a pensarci bene, hai ragione, Jamie,” disse tranquilla, scioccando tutti. “Noi abbiamo lo stesso diritto che ha Teddy di sapere certe cose. E il fatto che Lorcan e Lysander le sappiano al posto nostro, è quantomeno irritante. Però, possiamo prenderla come una sfida. Come una… caccia al tesoro? Sì, credo che questo renda l’idea. Una caccia al tesoro per scoprire il passato dei nostri genitori. Che cosa ne pensate?”
“Potrebbe essere un’idea,” James borbottò, sembrava soddisfatto.
Gli altri tacevano. Ma a rompere il silenzio, inaspettatamente, fu Scorpius.
“Io forse non dovrei intromettermi, visto che non faccio parte della vostra famiglia,” cominciò, un po’ a disagio, “però mi appassiona ascoltare queste volte discussioni, e voi tutti mi piacete tanto, e lo sapete. Anche io, come voi, ignoro le cose del passato, della guerra contro Voldemort. Voi sapete che la mia famiglia era rappresentante della… ehm, della controparte, e anche a me piacerebbe tanto scoprire cose su questo. Quella di Victoire mi sembra una bella idea… credo che per voi sarebbe molto divertente, ed anche per me.”
“Ognuno dalla sua parte, quindi,” osservò James guardando Scorpius incuriosito.
“Infatti,” Scorpius sorrise. “Voi dalla parte dell’Ordine della Fenice, e io dalla parte opposta… purtroppo. Mi pesa, ma è la realtà.”
Su di loro scese un imbarazzante silenzio. Ognuno sembrava perso nelle sue riflessioni, ma Al ebbe il tremendo timore che la colpa fosse dell’intervento di Scorpius. Istintivamente, toccò il braccio dell’amico, che si volse.
“Andiamo?” chiese solo sottovoce. “Ha smesso di piovere.”
Scorpius lo guardò un momento senza parlare, poi annuì in silenzio e si alzò; le cose sembravano sull’orlo di prendere una piega pesante.
“Noi andiamo un po’ in giardino. È bellissimo uscire dopo la pioggia,” disse Al a mo’ di scusa, acchiappando il mantello e allacciandoselo intorno al collo. Teneva la testa bassa per non incontrare gli sguardi indagatori degli altri, e stando attento a non staccarsi troppo da Scorpius.
Nessuno, fortunatamente per lui, protestò. Tutti si limitarono a salutarli con affetto e allegria, come se la loro improvvisa dipartita fosse del tutto normale. Victoire, però, riservò loro un sorriso speciale, mentre Rose acchiappò entrambi per un lembo del mantello: “Stasera a che ora?”
“Solita ora, aula di Trasfigurazione,” rispose Scorpius strizzandole un occhio. Rose sorrise, e li salutò allegramente: “Poi vi racconto se qui c’è qualche novità!”
I due annuirono, e si allontanarono, scambiandosi uno sguardo complice. A loro, in fondo, non importava poi così tanto degli intrighi di famiglia. Erano cose che non li riguardavano più di tanto, in realtà. Così, fianco a fianco, avvolti nei mantelli, scomparvero nel parco ancora umido di pioggia.

Mio carissimo Teddy,
so bene di essere imperdonabile per non aver mai risposto alle tue lettere finora. Io stessa non riesco a trovare nessuna giustificazione o scusa al mio comportamento.
Forse crederai che sia solo una scusa, ma la verità è che ho provato milioni di volte a scrivere questa lettera, ma non ci sono mai riuscita. E come se non bastasse, mi sono sentita in colpa.
Tu non immagini la gioia che mi davano ogni volta le tue lettere; le divoravo con avidità, ridendo e commuovendomi. E so bene che reputi impensabile che io non abbia mai avuto nulla da raccontarti in tutto questo tempo. E hai ragione. Non è che non avessi nulla da raccontarti… semplicemente, mi sembrava tutto troppo stupido. Volevo scriverti una lettera bellissima, esilarante, divertente, senza banalità e senza doverti parlare delle sciocchezze della vita a Hogwarts… ed era impossibile.
Così ho finito per non scriverti nulla.
Sei molto in collera con me? Potrai perdonarmi?
Ora sono qui per scriverti niente meno che le insulsaggini di Hogwarts. Perché in fondo credo sia quello di cui tu vuoi sentire parlare… della nostra tranquilla vita qui.
Ebbene, che cosa raccontarti?
Credo potrei cominciare da Al e Rose.
Sai già tutta la storia di Al, del suo Smistamento, di cosa ne pensano a casa, e quant’altro. James non si è ancora rassegnato, purtroppo, all’idea di avere un fratellino Serpeverde. Continua a fare battute poco felici, ad arrabbiarsi, a punzecchiare Al e prendersela con lui in ogni modo possibile.
Ma, per fortuna, Al si trova bene. Sta accettando il suo posto, e la sua amicizia col rampollo Malfoy sembra sincera, e lo occupa molto. Passano tutto il tempo insieme, chiacchierano, fanno i compiti, giocano, passeggiano nel parco, studiano in biblioteca.
Hanno un modo tranquillo di divertirsi, come d’altronde è nella natura di Al; e anche il piccolo Malfoy è di indole tranquilla. Cosa ha di bello quel ragazzino, è uno splendido e spiccato senso dell’umorismo, che niente ha a che fare col tagliente sarcasmo di suo padre.
Si diverte e fa divertire. Come immaginerai, il suo bersaglio preferito è il vecchio Luma, che li adora entrambi e fa loro moine a non finire. Il piccolo Malfoy sostiene, a ragione, che il vecchietto somiglia ad un’enorme, vecchio cagnone, che sceglie chi leccare e chi aggredire.
E, senza dubbio, Scorpius e Al sono i principali “leccati.”
Sono veramente inseparabili, penso che dovrei guardare loro per avere un’idea di zio Harry e zio Ron ai tempi della scuola; ma la cosa più spettacolare (anche se io stessa non ho ancora deciso se in bene od in male), è che il duo è diventato un trio. Sì Teddy, hai capito bene: Al e Scorpius sono molto legati anche alla piccola Rosie.
Non so da quando né perché; so solo che li vedo sempre più spesso insieme, in biblioteca, nel parco, in aule vuote la sera, non potendosi incontrare il Sala Comune, che ridono, scherzano, sfogliano libri, controllano compiti e ripetono lezioni. Oppure prendono in giro professori e alunni.
Il vecchio, caro Luma dice che sono tali e quali a zio Harry, zio Ron e zia Hermione vent’anni fa. Non stento a crederlo. Sperando che nella sua visione Luma tralasci le storie d’amore.
Però vedo che Al di questo è felice. Passa ancora tante ore a leggere o a disegnare, ma non più da solo, bensì in compagnia di Scorpius, il quale acanto a lui legge a sua volta.
Al è sereno e tranquillo, e se c’è Scorpius accanto a lui, si sente anche meno a disagio coi professori e gli altri alunni. Certo, anche qui c’è chi lo deride: ma ho scoperto che nessuno che osi dire qualcosa su Al può passare indenne alle difese di Scorpius.
Insomma, pare proprio che Al sia in buone mani e, personalmente, mi sento tranquilla: non sono ragazzi da fare caos o cacciarsi nei guai, per fortuna.
In quanto a Rosie, ultimamente la sento un po’ lontana.
Essendo stata Smistata con me si era attaccata così tanto a me; ma, purtroppo, non posso dedicarle ogni momento del mio tempo, e lei se ne è risentita.
Avrai già sentito nelle lettere a casa, dei gemelli.
Ebbene sì, anche noi abbiamo una coppia di gemelli, e si tratta nientemeno che dei figli di Luna, Lorcan e Lysander.
Sono due ragazzi splendidi, detto tra noi. Molto tranquilli, simpatici, educati, di buon carattere.
Peccato che dalla madre abbiano ereditato la sgradevole abitudine di credere a tante sciocchezze, e di appassionarsi a tutto ciò che è (o almeno sembra) strano, misterioso, spettacoloso.
Mi chiedo quali storie abbia loro raccontato Luna nei loro dodici anni di vita; e devono essere davvero tante, perché non sono mai, mai a corto di argomenti di conversazione.
Peccato che spesso queste storie riguardino la nostra famiglia, e il passato di zio Harry.
Il fatto che Rosie sia così profondamente affezionata a loro, e non vada da nessuna parte senza i due (a parte quando sta con Al e Scorpius), ha significato che abbiamo Lorcan e Lysander “tra i piedi” ogni giorno almeno un paio di volte.
E quasi ogni volta tirano fuori qualcosa che a Jamie fa venire l’orticaria.
L’ultima loro mania è raccontarci tutto ciò che sanno della Seconda Guerra, ovviamente tirando in ballo zio Harry ogni due parole, e quando scoprono che noi sappiamo ben poco al riguardo, finisce che tutti ci sentiamo un po’ (tanto) scemi, Jamie va in bestia, Rosie si stizzisce perché Fred comincia a cambiare argomento, e Al se ne va.
Per quel che mi riguarda, solo felicissima di ascoltare le loro storie. A casa non sono mai stati molto prodighi di racconti su Voldemort e sulla Guerra, e a me non irrita che Lorcan e Lysander sappiano più di noi, perché ho potuto conoscere Luna prima che scomparisse inghiottita dai suoi viaggi, me la ricordo bene, so com’è fatta e capisco perché i suoi figli siano così; e so anche che quello che i gemelli dicono deve essere preso un po’ con le pinze.
Ho cercato di spiegarlo agli altri e soprattutto a James, che ne ha fatto una questione di orgoglio personale, ma non c’è stato verso. Jamie continua a strillare cose del tipo: “Non accetto che loro sappiamo più di me su mio padre!”
E da quando i gemelli hanno accennato a un Mantello dell’Invisibilità che passerebbe di padre in figlio nella famiglia Potter da generazioni e generazioni, e che ora dovrebbe (ovviamente) essere in mano di zio Harry, James pare aver perso del tutto la testa.
È uno spettacolo orribile. Il suo scopo attuale nella vita è scoprire quanto più possibile sulla Guerra, su Voldemort, su quello che zio Harry ha fatto, e su questo (esisterà davvero?) Mantello.
E questo, come intuirai, significa angosciare e assillare con continue domande chiunque qui dentro possa saperne qualcosa. Le sue vittime preferite sono il buon Luma e il caro Neville.
Il primo si perde in mirabolanti orazioni, dalle quali però Jamie non riesce quasi mai a cavare un ragno dal buco; il secondo, sapendo bene che zio Harry non ci tiene a parlare con James né con noi di certe cose, è un po’ restio, e tenta sempre di tenersi sul vago. Temo abbia un po’ paura che zio Harry vada a cercarlo per fargli la ramanzina…
D’altronde, non stento a capirlo. Pare che ora James intenda andare da McMillan, e poi addirittura scrivere una lettera a Luna. E questa ultima possibilità sì che mi spaventa…
Anche perché ora James si immagini chissà quali cose assurde sulle poche sciocchezze che si sono lasciati scappare i gemelli! Adesso reclama di sapere tutto ciò che concerne suo padre, la sua famiglia, dice che ne ha diritto perché si tratta “del sangue del mio sangue!”
Lo so, è ridicolo, ma come si fa, secondo te, a fermare un dodicenne scatenato, soprattutto se si tratta del sesto Malandrino? Potrei giusto imbavagliarlo, legarlo, immobilizzarlo, zittirlo, ma sono certa che conosce tutti gli incantesimi per liberarsi, qualunque cosa o magia usassi…
Per la cronaca, i gemelli hanno parlato, nell’ordine:

a) Di una mappa di Hogwarts che si celerebbe in una vuota pergamena che James ha sgraffignato dalla scrivania di zio Harry tempo fa, e che continua a restare vuota e inerte qualunque incantesimo le si usi. Se James sapesse che te lo racconto, mi ucciderebbe, perché è sicuro che tu sia una spia di zio Harry. Per quel che mi riguarda, posso dirti che se ci tieni a ricevere altre mie lettere, ti conviene cucirti la bocca sul fatto che quella pergamena sia in nostro possesso.
b) Di qualcosa che si chiamerebbe “Doni della Morte”. Secondo le parole di Lysander “(…) uno dei tre oggetti che Voldemort ha cercato a lungo, sperando così di diventare troppo potente per chiunque altro… Uno dei Doni della Morte… tre oggetti di straordinaria magia che, in mano alla stessa persona, ne avrebbero fatto il mago in grado di dominare la Morte…”
c) Del Mantello dell’Invisibilità a cui accennavo.

Si discute molto, in riunione, di chi potrebbe svelarci l’uso di quella pergamena che i gemelli sostengono essere la mappa di Hogwarts. E si è fatto tante (troppe?) volte il tuo nome, Teddy.
Perché? Perché tu sei il quinto Malandrino, e se veramente quella pergamena è una mappa, la quale è opera dei Malandrini, tu ne sei sicuramente al corrente.
Qui sostengono che tu non ce lo svelerai mai, perché per te quel che concerne i Malandrini è sacro, e soprattutto, è relegato tra te e zio Harry. Così, almeno, sostiene Al.
Non so se credergli. Io, qui, intendo chiederti ufficialmente se puoi dirci la verità; e se puoi svelarci quale incantesimo occorre per usare quella pergamena.
Se vorrai dirlo, ne saremo tutti felici, io perché i ragazzi smetteranno di assillarmi, loro perché avranno con che trastullarsi per un bel po’ di tempo.
Nel caso Al avesse ragione, non preoccuparti: abbiamo già un secondo possibile nome al quale appellarci e sperare di avere più successo!
Ovviamente, se vorrai anche spiegarci cosa sono questi Doni e questo Mantello, sarai sicuramente osannato e glorificato dai ragazzi. In caso contrario, anche per quello ci rivolgeremo altrove!
James sta già pensando a quando sarà in possesso e dell’incantesimo per la mappa (ammesso che quella pergamena sia davvero la Mappa di cui parlano i gemelli, e ammesso soprattutto che una mappa di Hogwarts esista!), e del Mantello. Ha già deciso che li userà per andare a Hogsmeade di nascosto, e sostiene che è esattamente così che zio Harry ci è sempre riuscito.
Ovviamente non oso immaginare se ciò dovesse succedere quale catastrofe si abbatterebbe su di me; zia Ginny mi farebbe arrosto con patate, come minimo, se sapesse suo figlio a zonzo ora che è troppo piccolo, e di nascosto per di più…
Ma ripeto, non conosco incantesimi per fermarlo di cui lui non conosca il modo di liberarsi; ci vorrebbe magia troppo avanzata per me. Personalmente, credo neanche Voldemort resuscitato e nel pieno delle forze riuscirebbe a fermare James Sirius Potter.
Così come Al sostiene che “Per Teddy i segreti dei Malandrini sono qualcosa di sacro. Credo che neanche a suon di Crucio o di Imperio riusciremmo a cavare un ragno dal buco…”, allo stesso modo io sostengo che ciò valga per impedire a James di fare guai.
Ormai mi sono rassegnata che Fred gli farà scuola… sempre che James ne abbia bisogno.
Ho come il tremendo sospetto che Fred non sia nulla rispetto a ciò che James potrebbe diventare; devo cercare di convincere i Professori a essere più severi e guardinghi con lui.
Non hai idea di quanto mi facciano diventare matta tutti quanti. Ovviamente, James e Bessie passano la loro vita a insultarsi, e se non fossero cugini ora aspetterei trepidante il momento in cui si sposeranno.
Vorrei tenere più controllati Al e Rose, ma James da solo è in grado di esaurire tutte le mie energie.
Fred non è da meno di lui, in realtà, ma ha dimostrato di essere un po’ più responsabile. Non so cosa pagherei pur di non essere la maggiore, o almeno di avere un coetaneo nella famiglia.
E invece sono qui da sola ad occuparmi di questa orda di matti. Prima o poi mi verrà un collasso, mi porterete al San Mungo e l’allegra pargolanza della famiglia Weasley sarà allo sbando!
Lo so, sto esagerando. Ma lo faccio apposta per cercare di strapparti un sorriso. Per cercare di farmi perdonare. Perché mi hai perdonato vero? E sono riuscita a incuriosirti con le cose che ti ho appena raccontato, vero?
Lo spero ardentemente, perché se dovessi scoprire che sei in collera con me per questo, e che non mi risponderai per ripicca… be’, sarebbe un brutto colpo, anche se avresti tutte le ragioni.
Spero quindi che ti sia divertito e mi abbia perdonato… per ora, credo di averti raccontato tutto ciò che potevo.
Sappi che aspetterò la tua risposta con ansia, e soprattutto incrocerò le dita perché tu risponda ai nostri enigmi, alle pulci che i gemelli ci hanno messo nell’orecchio.
Io mi fido di te, e so che non mi tradirai. Se dovessi farlo… significherebbe che non ho capito nulla del fatto che tu sia il quinto Malandrino! (e allora dovrò farne di strada per capire tutto da capo…)
Attendo la tua risposta con trepidazione, e nel frattempo ti abbraccio forte e ti mando un bacio grande, grande.
Con tutto il mio affetto la tua, sempre,
Vic


“Come se non me ne fossi accorto…”
“Come se non ce ne fossimo accorti, vorrai dire!”
“Sì, infatti… e che cosa chiede, in conclusione?”
“Tanto per cominciare, conferma. Poi la formula. E poi del Mantello. E perfino dei Doni!” la voce di Teddy andò in un crescendo di stupore e divertimento.
“Oh, ma quante pretese!”
“Mi sa che questi due figlioletti di Luna siano proprio come la mamma.”
“Che ne dici se li ribattezziamo “I Cavillini”?”
Teddy rise sonoramente: “Sarebbe fantastico!”
“Be’ in fondo anche loro, come la madre, cavillano su ogni cosa, soprattutto se riguarda Voldemort e la Guerra.”
“Saranno la nostra rovina. Davvero. La prossima volta come minimo racconteranno della Pietra Filosofale, della Camera dei Segreti, del Torneo Tremaghi…”
“Mm, Vic e le sue sorelle sanno già tutto il possibile sul Torneo. Opera di Fleur.”
“D’accordo, questo lo sapevo, ma… ma i Doni… non è un po’ esagerato?”
“Luna ama condividere con gli altri quello che sa, sa sempre. Figurati coi suoi figli…”
Condividere?!” Teddy rise fragorosamente, quasi cadde dalla sedia dall’impeto. “Be’, se vuoi definirlo così… d’altronde dovevamo aspettarci una sua simile reazione, no?”
“Era ovvio, in fondo, che i figli di Luna avrebbero parlato di tutto ciò che riguarda Voldemort e la Guerra, con aria di chi la sa lunga… devono essere due ragazzini simpatici. Che cosa ne dici se li invitiamo a stare da noi per Natale?”
“Sarebbe una fantastica idea. O magari potrebbero venire da me ad allietare la nonna.”
“Sì, anche… o magari a farsi due chiacchiere con Molly, no? Se non le viene un infarto con loro due, allora avremo la prova che quella donna è immortale!”
Teddy rise ancora: “Ma poi tu che dici, che cosa le rispondo? Tutta la verità mi sembra un po’ troppo per i ragazzi, ora. Raccontare dei Doni, del Mantello… magari la Mappa…”
“Mi stupisce che James non sia ancora riuscito a capire da solo come fare… o che abbia dovuto mobilitarsi Victoire per tentare di scoprirlo. Credevo fosse più ingegnoso… insomma, quanto è che ha la Mappa, ormai? D’accordo, non si può capire la formula senza saperla, ma credevo avrebbe inventato prima qualcosa per capirlo da solo. È sempre così orgoglioso e indipendente…”
“E invece ha avuto bisogno di Vic.”
“Infatti. E mi chiedo come sia possibile che Fred e George, ai tempi, fossero riusciti a capire da soli come si usava la Mappa, e James invece…”
“Ma secondo te chi potrebbe essere la persona alla quale Victoire accenna dicendo che potrebbero rivolgersi a lei nel caso io non volessi dire nulla?”
“Sono indeciso tra Hermione e George. Ma punto decisamente su George. I ragazzi conosco fin troppo bene il passato da “quasi – Malandrino” di George, e sicuramente avranno pensato di rivolgersi a lui. O almeno, Freddie sicuramente ci avrà pensato…”
“E farebbero bene, perché Hermione li metterebbe tutti in castigo a vita!” Teddy rise per l’ennesima volta, dondolandosi all’indietro sulla sedia.
“Più o meno… e pensare che lei della Mappa si è servita parecchio…”
“Non capisco perché rivolgersi proprio a me allora. Al lo ha detto a tutti, no, che per me ciò che riguarda i Malandrini è sacro. Perché non gli credono?” ma Teddy rideva di cuore mentre lo diceva. “Mi credono così buono da tradire i Malandrini per loro?”
“Tu sei buono Teddy! E non potrebbe essere altrimenti, conoscendo i tuoi genitori…”
“Mi stai prendendo in giro, forse?” scattò Teddy divertito, piantandosi le mani sui fianchi in tipico “Weasley style”. “Ho forse la faccia da… da… insomma, da uno che te le passa tutte?”
“Mm… no, no, non volevo dire questo…”
“Stai mentendo, stai trattenendoti da scoppiare a ridere! Insomma, se davvero credono…”
“Ma tu intendi farlo, a prescindere da cosa potrebbero pensare di te?”
“Non lo so. Dimmelo tu. Che faccio? Glielo dico come usare la Mappa?”
“Secondo me sì, dovresti dirglielo, sarebbe la cosa migliore. In fondo è vero che tu sei il quinto Malandrino, ma James è il sesto, e non avere la Mappa non lo fermerebbe certo da combinare guai. Personalmente, sono dell’idea che la Mappa alla mano gli permetterà di sbrigliarsi da situazioni pericolose più di una volta. Almeno, per me è sempre stato così, fin da quando l’ho scovata. Non so come sarebbe finita, tante volte, se non avessi avuto la Mappa…” Harry lo disse con un immenso sorriso, giocherellando con una piuma.
“Sono sicuro che James combinerebbe guai con o senza Mappa. Quantomeno, conoscendo i passaggi segreti e la posizione di Gazza nel castello, potrà sgusciare avanti e indietro senza farsi beccare in continuazione. Victoire ha ragione, a meno di legare con qualche incantesimo di magia molto potente e avanzata, James combinerà tutti i pasticci che ha in mente senza che nessuno possa fermarlo. E, se credi a me, neanche parlare coi professori servirà a niente.”
“Secondo Ginny ha preso anche molto da te…” lo provocò Teddy con tono falsamente casuale.
Harry arrossì, ma fu solo un attimo: “Ehm… io la definirei piuttosto una congenita, ereditaria allergia alle regole . Ce l’abbiamo nel dna, non è colpa nostra…”
“Certo, certo…” lo derise Teddy.
“Senti chi parla, l’altro figlio del Malandrino!”
“Del più tranquillo e ligio dei Malandrini, Harry!”
“L’ultimo Maladrino!” incalzò Harry, divertito. “E non mi sembra tu sia mai stato un modello di… disciplina, vero, Teddy Scavezzacollo Lupin?” lo derise.
“Vero, ma sono diventato comunque Prefetto e Caposcuola!”
“Lo sarei diventato anche io, se… insomma, sarei stato Prefetto con Hermione, se non avessi dovuto dedicarmi a Voldemort e all’Oclumanzia, e sarei diventato Caposcuola se avessi frequentato il settimo anno regolarmente… quindi, signorino…” e lo redarguì divertito.
“Insomma, mi stai cercando di convincere che James non sarebbe peggio di me, eh?” lo punzecchiò Teddy. “E invece sappiamo benissimo che tuo figlio è insuperabile!”
“Degno erede dei Malandrini!” sorrise Harry orgoglioso, appoggiando la schiena alla poltrona e stendendo le gambe. “Comunque, fossi in te, non mi preoccuperei tanto di cosa rispondere, quanto dei miei sensi di colpa… Vic non ti ha forse chiesto esplicitamente di non parlarne con me?” e guardò Teddy con uno sguardo di divertito rimprovero.
Teddy, all’istante, divenne rosso dal collo all’attaccatura dei capelli; questi ultimi si fecero cremisi un momento dopo: “Io… io… cioè, insomma… ho pensato che fosse bene che lo sapessi…”
“Sai che non amo le spie, Teddy…”
“Non volevo fare la spia, Harry,” si giustificò il ragazzo, sentendosi in imbarazzo come mai prima.
Harry non aveva nemmeno avuto bisogno di alzare la voce, e Teddy aveva comunque capitolato; Harry stesso si chiedeva come avesse fatto, ma con gli anni era riuscito a imitare piuttosto bene il modo di Silente di far leva sull’emotività dei ragazzi per sgridarli senza dover fare nulla, nemmeno urlare. Con Teddy aveva sempre funzionato, e perfino su James il metodo aveva un buon successo.
“Davvero, non sono una spia. Lo sai. Però non vorrei che quei mattacchioni combinassero qualcosa di strano, e ho preferito parlarne con te. Altrimenti, se finisse che fanno un guaio, mi sentirei tremendamente in colpa e non potrei mai perdonarmelo.”
L’espressione di Teddy era sincera, oltre che grave; e lo dicevano anche i capelli, di un turchese carico, che stavo dicendo la verità. Ormai Harry sapeva quando il figlioccio mentiva, e non era quello il caso. Così sorrise: “Hai fatto bene. Vic non ne saprà mai nulla, io farò in modo di fare finta di niente. Mappa del Malandrino? Quale Mappa?” finse Harry.
Teddy rise allegramente.
“Doni di che?” continuò Harry. “Mantello? Invisibilità? Cos’è, la saga dei Nibelunghi?”
Teddy rise più forte, e ancora una volta rischiò di cadere dalla sedia dal tanto ridere.
Non era la prima volta che trascorreva una pausa dell’Addestramento nell’ufficio di Harry al Ministero; d’altronde, l’ufficio del Capo Auror non era facilmente né spesso disturbato (per un muto accordo, pareva che i dipendenti del Ministero non amassero disturbare Il Prescelto quando questi era al lavoro), e Teddy usava niente meno che il Mantello dell’Invisibilità per sgusciare dentro e fuori dall’ufficio.
Non sarebbe stato carino se si fosse scoperto che un apprendista Auror approfittava del fatto di essere il figlioccio del Capo del Dipartimento. Non che Teddy ne approfittasse davvero; ma i commenti e i pettegolezzi, di sicuro, si sarebbero sprecati.
“E cosa mi invento circa il Mantello? Se dico loro che ce l’ho io… James potrebbe uccidermi… ma non posso nemmeno fare finta di non saperne niente, di non averlo mai sentito nominare…”
Harry sorrise: “Hai ragione… tu dì loro quello che sai del Mantello, e che ce l’ho io, e che non passerà a nessuno di loro finché io sarò in vita. E prega che io muoia il più tardi possibile, perché sono i miei figli i legittimi eredi!” e rise.
Anche Teddy rise: “Non che ce l’abbia io a tutti gli effetti…”
“Diciamo che l’idea di James e Al che girano per Hogwarts sotto il Mantello non mi fa impazzire,” sorrise Harry. “Ma penso che presto, anzi, molto presto lo darò loro di persona. In fondo, a me è stato di grande aiuto, proprio come la Mappa.”
“Hai perfettamente ragione. Io a Hogwarts l’ho già avuto!”
“Ma loro non devono saperlo… dì loro che è vero, esiste, ed è in mio possesso e non lo troveranno mai in casa perché me lo tengo in tasca. Quando glielo regalerò, non ci crederanno…”
“E circa i Doni? Cosa gli racconto dei Doni?”
Harry aggrottò le sopracciglia e sospirò: “Credo sia ancora troppo presto per questo. Scrivi loro che il Mantello dell’Invisibilità esiste e ce l’ho io, ma che per quanto riguarda i Doni sarò io a parlarne con loro quando sarà il momento. Scrivi che è vero, i Doni esistono, ma di essi solo il Mantello è in mio possesso (e d’altronde, è la pura verità), sebbene io li abbia trovati tutti perché ne ho avuto bisogno per uccidere Voldemort. E che il resto lo sapranno quando lo riterrò opportuno.”
“Allora, ricapitoliamo: svelo loro come usare la Mappa, dico che il Mantello esiste ma è in mano tua, che è uno dei Doni ma che di questi parlerai tu con loro a tempo debito.”
“Proprio così. Tu che ne dici?”
“Mi sembra la soluzione migliore. Anche se temo che combinino qualche guaio.”
“Con la Mappa?”
“Sì… e col Mantello, quando lo avranno. E poi… be’, metà dello staff docenti di Hogwarts è a conoscenza del Mantello. E come minimo James, Mappa e Mantello in tasca, se ne andrebbe ad Hogsmeade di notte, o nella Foresta Proibita (inseguito da Hagrid, con tutta probabilità), oppure ancora chissà quali birbonate…”
“Non dare loro né Mappa né Mantello non lo impedirebbe,” sospirò Harry. “Ed anzi li metterebbe doppiamente nei guai.”
Teddy annuì abbassando la testa: “Quello che mi fa paura è che… insomma, io quando andavo ad Hogwarts conoscevo tutto, o quasi, del tuo passato, e dei Malandrini… tutto ciò che tu avevi scoperto. James, Al e gli altri non sanno nulla.”
“Proprio come non lo sapevo io ai miei tempi.”
“Ho paura che si mettano nei guai.”
“Oh, ma loro non hanno nessun pericoloso assassino fuggito da Azkaban, né alcun grande mago oscuro che li pedina per ucciderli!” sorrise divertito Harry.
“Lo so, ma comunque potrebbero cacciarsi in qualche brutto guaio.”
“Tipo trovare lo Specchio delle Brame, aprire la Camera dei Segreti, fare festini notturni alla Stamberga Strillante, andare a infastidire i Centauri, scovare la Pietra della Resurrezione?” scherzò Harry con lo stesso sorriso divertito.
“No, no,” Teddy sgranò gli occhi. “Però…”
“Teddy, ti prego, stai tranquillo,” gli disse Harry appoggiando una mano sulla sua. “I miei ragazzi sono scapestrati, e non possiamo fermarli. Ma non sono stupidi né irresponsabili. Io sono stato così prima di loro, e voglio fidarmi. Avranno la Mappa e il Mantello.”
Teddy non rispose: deglutì rumorosamente e annuì.
“Mi raccomando, che in nessun modo Vic sappia che me ne hai parlato.”
“Ovvio!”
“Be’, non si sa mai…. E chiedile di raccontarti che cosa combinano!”
“Per raccontartelo?”
“Assolutamente no!” esclamò Harry alzandosi in piedi. “Non voglio che tu venga ancora a fare la spia! Voglio che tu lo sappia per divertirti perché, credimi, sarà divertente. Vieni da me solo nel caso ci sia qualcosa di davvero grave e pericoloso.”
“Certo Harry, come vuoi.”
“Adesso andiamo a pranzo? Sto morendo di fame.”
“Certo!” Teddy ora sorrise soddisfatto. “Solito posto?”
Harry annuì, e Teddy si avvolse nel Mantello dell’Invisibilità; il suo sorriso scomparve dietro un lembo, mentre ancora il padrino lo guardava soddisfatto.
“Fantastico, andiamo!” Harry gli batté una mano sulla spalla a tentoni, quindi uscì, indugiando un momento a chiudere la porta. Fu subito invaso di gente che lo salutava o gli chiedeva qualcosa, poiché il tacito accordo di non disturbarlo diveniva nullo appena la porta si apriva. Harry non si sottrasse, mentre Teddy sgusciava via, per aspettarlo.
E mentre si avviava con attenzione, lasciava che il suo cuore facesse le capriole di gioia: finalmente Victoire gli aveva scritto una lettera, e lui avrebbe fatto in modo che per la ragazza diventasse un piacere… un grande piacere.
Note finali:
Trovate che Victoire sia troppo perfida e/o ipocrita?
Ma più di tutto sono interessata a sapere che cosa ne pensate delle scenette Teddy/Harry. Io adoro scriverle, e i piacerebbe sapere seper voi è altrettanto gradevole leggerle!
Grazie a tutti di aver avuto la pazienza di aspettare i miei tempi da glaciazioni... ed essre arrivati fin qui!
Capitolo 11 - Malandrini... si diventa di Miss Granger
Note dell'autore:
James pensa di essere nato Malandrino. E se invece Malandrini... si diventasse? Con applicazione, una mente brillante e... un piccolo aiutino sleale? :-P
Malandrini si… diventa

“Prima dovete dirmi che cosa vinco se ve lo dico!”
“Vi dico che cosa?”
“Come usare la Mappa…”
“La Mappa?!” James quasi si strozzò con i fagiolini; cominciò a tossire convulsamente, divenne in viso di un bel color turchino, che donava ai suoi capelli neri, ma che spaventò non poco i cugini e fratelli: Fred e Cathy si alzarono insieme per battergli forte sulla schiena.
Non ci fu bisogno di fare altro: i fagiolini finirono dove dovevano, James tornò in fretta del suo colorito naturale, ma i suoi occhi sgranati restarono immutati. Li puntò quasi con violenza su Victoire che ancora stringeva la lettera di Teddy come un trofeo.
“Victoire Fleur Weasley… se non mi dici immediatamente come usare quella mappa…” ruggì a scatti. Questa volta stava tingendosi di un simpatico color cremisi. Tutti i suoi cugini si trovarono più tardi d’accordo sul fatto che gli donasse molto di più il turchese di prima.
Victoire allontanò da lui la pergamena della lettera di Teddy, e lo guardò con una divertita aria di superiorità: “Eh no, signorino, mica è così semplice! Voglio un premio!”
“L’uso della Mappa non è un premio sufficiente?”
“Uso? Con che regolamento?”
“Ma ci vuole un regolamento?”
“Sì, perché la Mappa appartiene di diritto a te e Al, ma potete usarla solo grazie alla mia intercessione con Teddy… saremo in tre a dividerci la Mappa, e se non vogliamo litigare…”
“Un momento, la Mappa è mia!” esclamò James. “Sono stato io a rubarla a papà, e quindi è mia… niente storie!”
“Eh, ma se io non ti dico l’incantesimo per usarla…”
“Non se ne parla. Tienitelo. Troverò il modo di scoprirlo,” sentenziò James buttandosi di nuovo sui suoi fagiolini e distogliendo lo sguardo da Victoire. “Se c’è riuscito zio George, non vedo perché non ci dovrei riuscire io!”
“Forse perché non ci sei riuscito finora?” lo provocò Victoire.
“Finora non mi ci sono applicato troppo, ma stai tranquilla che lo scoprirò! Non avere troppi dubbi, io so benissimo quello che faccio. E tienitela la formula. Tanto la Mappa ce l’ho io. Della formula da sola non te ne fai niente. Ma scommetto ti sia servita come scusa per scrivere a Teddy, vero? Ed era ora! Be’, adesso che hai fatto il primo passo, non avrai più bisogno della mia mappa, quindi arrangiati,” rispose piccato James.
“Ma ti sembra il caso di scaldarti così?” lo rimproverò di getto Victoire, guardandolo stupita e prevenendo Bessie.
“Sì, che mi sembra. Pensavo ci fossimo messi d’accordo per collaborare, ma pare che questo vocabolo nel tuo splendido dizionario bilingue non esista!” sbraitò James. “E adesso te la tiri tanto che hai saputo la formula da Teddy… bella roba, sai, quello per una tua parola riesumerebbe i cadaveri dei genitori, si farebbe tatuare il Marchio Nero, o che ne so…”
“James, piantala IMMEDIATAMENTE!” urlò Victoire di getto, facendo un balzo indietro. “Ti sembrano cose da dire?! Ma sei forse impazzito?”
“No che non lo sono! Perfino i muri sanno che per te Teddy farebbe di tutto… svelarti il segreto della mappa è la cosa minore! E adesso tu te la tiri tanto, che vuoi un premio, come se avessi fatto chissà che! La verità è che tu vuoi che io compri il tuo silenzio; perché so che vuoi andarlo a raccontare a mio padre, o a mia madre… per farmi mettere in castigo. Vuoi un premio per stare zitta. E che cosa vuoi? Sentiamo, cosa vuoi? Come se per te fosse stato difficile chiedere una cosa del genere a Teddy! Teddy, che ti sbava dietro da una vita…”
“James, SMETTILA!” disse Victoire torcendosi le mani, viola in viso, la voce che tremava.
“Come se nessuno sapesse che Teddy è innamorato di te,” la voce di James aveva ora assunto una tonalità stridula e quasi innaturale, “che ti ha baciato prima che partissimo con l’Espresso, davanti ai tuoi genitori e tutti i tuoi zii e cugini… come se non fosse risaputo che tu puoi chiedere a Ted Lupin di buttarsi giù da un ponte, sapendo che ubbidirà… e hai ancora il coraggio di venire a chiedermi qualcosa in cambio per avere chiesto qualcosa a Ted Lupin?! Credi anche di meritare una ricompensa per aver fatto qualcosa che non ti è costato la benché minima fatica, ed anzi, ti ha anche procurato divertimento e soddisfazione per la tua vanità femminile…?”
“James, adesso BASTA!” sbraitò Bessie alzandosi in piedi e battendo le mani sulla tavola.
“Io le offro una possibilità di fare la civetta con Teddy, cosa che sogna da una vita, che spera ardentemente di poter fare da che siamo arrivati qui… e lei… lei ha pure il coraggio di venire a chiedermi una ricompensa per una cosa che appartiene a me… a me! La Mappa è mia, l’ho presa io dalla scrivania di mio padre!”
“James, smettila…” boccheggiò Victoire, pallida come un cencio dalla vergogna, la rabbia, la frustrazione.
“James, piantala davvero, ci stanno guardando tutti, ora arriverà qualche professore!” esclamò Fred cercando di attirare l’attenzione di James.
James lo guardò per un momento, ma la furia non lasciò il suo viso; stava per ricominciare, quando Fred gli tappò la bocca con una mano, di forza: “SMETTILA, UNA BUONA VOLTA!” urlò.
“JAMES POTTER SEI IL Più GRANDE DEFICIENTE CHE ESISTA…” iniziò Bessie, ma Fred, con una poderosa manata sul sedere, fece tacere in fretta anche lei.
Non uno, ma tre professori si stavano avvicinando a passo di marcia e con espressione ben altro che incoraggianti al tavolo di Grifondoro.
Victoire, che tremava dalla testa ai piedi – non sapeva nemmeno lei se per la vergogna o per la rabbia, o per quale di queste emozioni in modo maggiore – cercò di allontanarsi, stringendo forte la lettera di Teddy tra le mani, per tornare al suo tavolo, ma Lumacorno la prese gentilmente ma con decisione per un polso: “Un momento, signorina Weasley.”
“Ebbene? Potter, voi tre Weasley, che succede?” chiese un momento dopo Vitious con la sua vocina divertente, anche in quel momento.
James abbassò la testa sui suoi fagiolini ormai freddi, Bessie si morse le labbra imbarazzata, Victoire desiderò di scomparire senza lasciare traccia, e toccò a Fred parlare.
“Nulla… una discussione in famiglia, sapete…” cercò di ironizzare, spostando lo sguardo tra Vitious, Lumacorno e Neville. “James e Victoire… ma è una cosa davvero da nulla, solo che sono tre sciocchi,” guardò male anche Bessie, “e alzano la voce quando non dovrebbero. Mi dispiace davvero tanto, spero non la reputiate una cosa molto grave…”
“Non è una cosa da poco, signor Weasley,” sospirò Lumacorno. “Ma in fondo, è solo una discussione tra ragazzi… niente mani, niente magia…”
“Infatti: niente magia,” ripeté Neville con una strana decisione nella voce. “Non credo ci sia nulla da fare se non chiedervi di trattenervi, la prossima volta. Anzi, che non esista una prossima volta… non è carino, ragazzi.”
“Niente magia, niente punizione. Ma siete avvisati, signori. La prossima volta, se ce ne sarà una…” li ammonì col dito Lumacorco, lasciando andare il polso di Victoire.
Questa, viola fino alle orecchie, balbettò sottovoce qualcosa di incomprensibile, ma che suonava come una serie di scuse e promesse di non rifarlo più, quindi aggirò il grasso corpo di Lumacorno con grazia, e scomparve in fretta fuori dalla Sala Grande.
“Mi raccomando, signori Weasley… signor Potter…” ripeté Vitious. “Avete messo tutta la scuola in una situazione davvero imbarazzante.”
“Me ne rendo conto, professore,” disse Fred tranquillo. “E mi dispiace di nuovo.”
“A me dispiace il fatto che tu non c’entri, ma chiedi scusa, Fred,” disse Neville con voce gentile ma decisa. Entrambi guardarono James, Bessie, e la porta dalla quale era sparita Victoire.
“James, devi imparare a trattenerti. Ci sono momenti e luoghi più opportuni per prendertela con tua cugina,” continuò Neville a media voce, così che i ragazzi vicino non udissero il suo tono di confidenza, quasi paterno. In quel momento non era più il Professor Paciock, ma solo Neville, che ammoniva dolcemente l’irruento e impulsivo figlio maggiore dei suoi amici.
“Che cosa ti ha fatto Victoire di così grave?”
James si strinse nelle spalle: “Teddy.”
Neville sospirò rassegnato: “James, come devo dirtelo che sono fatti loro…?”
“Qui si tratta di un’altra cosa,” mugugnò James con le braccia strette al petto e un broncio lungo così.
Neville, guardandolo, lo trovò più buffo che truce, e trattenne a stento una risata: “In ogni caso, lascia perdere il tenero che c’è tra loro. Non ti riguarda.”
“Mpf,” rispose solo James, fissando come ipnotizzato i fagiolini.
“Io vado, è quasi ora di lezione… mi raccomando, ragazzi,” li ammonì di nuovo Neville, ed ora puntò con più decisione gli occhi su Bessie, che distolse lo sguardo.
“Allora a presto, Neville,” lo salutò Fred con un sorriso.
“A presto, ragazzi. James… mi hai capito?”
“Sì,” borbottò l’interpellato, tirando su col naso.
Neville salutò ancora, lanciandogli un’ultima occhiata, quindi si allontanò verso il tavolo degli insegnanti; sul tavolo di Grifondoro, nel frattempo, il silenzio imbarazzato era stato sostituito da un chiacchierio sommesso e alacre alle spalle di Fred, Bessie e James.
“Comunque, prega che io non trovi quella Mappa, James Sirius Potter, o giuro che la faccio a pezzi così piccoli che la scambierai per polvere!” esclamò Fred tra i denti, lasciando finalmente che la rabbia per la scena di prima si sfogasse. “E stai pur certo che, alla tua prossima mossa falsa, zio Harry sarà informato di questo. E che tu hai la sua Mappa, e che ne fai motivo di litigio. Quindi, vedi di darti una regolata,” sentenziò deciso.
James lo guardò furente: “Oh no… tu non oserai farlo!”
“Oh sì che oserò! Non c’è modo di giustificare una scenata del genere! Certo, Vic non si è comportata al meglio, e poteva evitare di provocarti… ma tu sei andato fuori dai gangheri, in Sala Grande, all’ora di pranzo! Sei completamente fuori di testa, James!”
James non rispose nulla. Si aggrappò forte al tavolo per sfogare la rabbia senza parlare, quindi si alzò in piedi di scatto e corse via, acchiappando la borsa al volo.
“E anche tu…” iniziò Fred rivolto a Bessie. Ma questa lo fermò: “Evita la predica almeno a me, Fred… devo andare a finire di copiare un tema prima che inizino le lezioni,” ed anche lei si alzò in fretta e scomparve, lasciando Fred da solo con la sua rabbia.
Non era possibile che si comportassero in quel modo. James, che se ne veniva fuori con parole del genere… a ripensarci, a Fred venivano di nuovo i brividi. E Victoire, la giudiziosa, seria, tranquilla Victoire! Bastava nominare Teddy per farla andare completamente in crisi… e chi la riconosceva più?
E a lui toccava di mandare avanti la baracca, di sedare gli animi, di abbaiare e fare il guardiano; e ben capiva gli urli e gli scatti di rabbia di Ginny, quand’erano a casa.
A lui toccava, lui, che non era certo il più grande, perché Bessie era capace soltanto a urlare più forte di James e di Victoire.
“Che manica di cugini idioti,” commentò infine, lasciando cadere le posate nel piatto. Del secondo non aveva toccato quasi nulla, ma tutto quello che era successo gli aveva fatto passare la fame.
Così, anche lui si alzò, ma non per uscire: bensì, puntò dritto verso il tavolo dei Serpverde.
“Ma si può sapere che è successo?” lo aggredì immediatamente Al, sebbene con voce dolce, aggrappandosi ad un lembo della sua giacca.
“Idiozie, come al solito… Vic ha ottenuto da Teddy la formula per usare la Mappa, ma ha detto a James che gliela avrebbe rivelata solo su compenso… James si è alterato e ha cominciato a strillare di Teddy e Vic, eccetera… Vic è andata fuori dai gangheri, Bessie le ha dato corda…” fece un gesto irritato ed annoiato allo stesso tempo, e non continuò.
Al era pallido, aveva gli occhi sbarrati, e con la mano libera si aggrappava al tavolo; doveva essersi spaventato parecchio, a giudicare dalla sua espressione. Accanto a lui, Scorpius osservava Fred con occhi seri, con quell’espressione buona e intelligente tutta sua: “E per una cosa così da poco hanno fatto un tale caos? Hanno scomodato tre insegnanti…”
“Infatti. Be’, l’avete visto che strillavano come aquile…”
Al abbassò gli occhi sul piatto, mortificato: “Se continuano così, se davvero Vic e Teddy si amano, saranno guerre a casa, con James… e io invece che vorrei…” non finì di esprimere il desiderio, perché sospirò, mentre le lacrime gli salivano agli occhi, e tacque, lasciando e la giacca di Fred e la tovaglia, e raccogliendo le mani in grembo, rassegnato.
“Sì, lo so, James è veramente molesto,” affermò Fred. Lui, al contrario di Al, era profondamente arrabbiato. Aveva le guance arrossate dalla rabbia, stringeva i pugni nelle tasche e stringeva gli occhi sbattendoli furiosamente.
“Dai, magari è solo l’inizio, poi si abitua,” Scorpius divorò una forchettata di quel fagiolini che quasi avevano strozzato James, posando poi una mano sulla spalla di Al per rassicurarlo. “Tuo fratello è un ficcanaso, ma non è cattivo.”
Al sospirò, senza dire niente. Adesso si sosteneva pigramente la testa con entrambe le mani, mentre fissava un punto qualunque davanti a sé, senza vedere nulla.
“Su che pianeta sei, Al?” cercò di recuperarlo Fred, agitandogli una mano sotto al naso.
“Sul pianeta di James Siriu Potter. Vorrei tanto sapere che cosa accidenti gli frulla in testa, a quel cervello di criceto…”
“Avete criceti a casa?” chiese Scorpius con noncuranza.
“Ne avevamo tre… sai, i genitori di zia Hermione ne avevano regalato una coppia a Rosie e Hugo, e noi abbiamo avuto i cuccioli… solo che James li ha terrorizzati e Lily li ha trascurati. Così sono morti, poveretti… non so bene se d’infarto o di fame, o di tutti e due…”
“Animali babbani…” commentò Fred con un sorrisetto.
“Adesso sogno un gufo tutto mio,” sospirò Al, guardando in alto con aria sognante. “Ma forse sono ancora troppo piccolo…”
“Ma cosa dici, se zio Harry ha ricevuto il suo primo gufo come regalo per il suo undicesimo compleanno!” esclamò Fred. “Basta che lo chiedi, un gufo.”
“Dici sul serio?” gli occhi di Al cominciarono a sprigionare stelline. “E dici che mamma e papà me lo regalerebbero?”
“Se zio Harry e zia Ginny non lo faranno, potrai sempre rivolgerti ai nonni,” spiegò Fred con tranquillità. “Non credi? Nonno Artie non potrebbe negarti nemmeno un manuale di Arti Oscure.”
“Potresti sempre dire che il Manuale di Arti Oscure ti è indispensabile per diventare un Auror preparato a tutto,” spiegò Scorpius con tono tranquillo.
“Ma io non voglio diventare Auror!” protestò di gettò e con innocente spontaneità. Al, senza comprendere l’ironia delle battute di Fred e Scorpius; sempre il solito, ingenuo, adorabile Al.
“E cosa vorresti fare?” continuò Fred, che si stava divertendo immensamente. Al aveva il potere di conquistarlo con la sua innocenza e la sua semplicità, e di allontanare ogni nervosismo.
“Mi piacerebbe diventare Guaritore…” sussurrò Al facendosi piccolo piccolo sulla sedia, fino quasi a scomparire, con una vocetta che si udiva appena.
“Saresti il primo in famiglia,” questa volta Fred usò un tono dolce. “E credo che tutti ne sarebbero contenti.”
“Oh, ormai, dopo il mio Smistamento, ci vuole poco perché a casa siano contenti di me… che cosa posso fare di peggio, ormai, che essere a Serpeverde?” commentò tristemente Al.
“Se non la smetti, il mio orgoglio di Serpeverde orgoglioso si offenderà… e sarai avvelenato,” disse Scorpius, ma con tono tranquillo.
“E piantala,” disse invece energico Fred. “Se non la smetti ti picchio.”
“Meglio le tue botte che tornare a casa e sapere di essere in mezzo ai Grifondoro.”
“Ne abbiamo già parlato Al. Te ne stai facendo un’ossessione,” esclamò Scorpius serio.
“Esisteva una volta un rampollo di famiglia Serpeverde che finì a Grifondoro, e finì dalle stalle alle stelle,” sospirò Al con cattiva autoironia. “Poi arrivò un rampollo di famiglia Grifondoro che finì a Serpeverde e passò dalle stelle alle stalle…”
“Lo sai che se divento un anaconda ti uccido stritolandoti e poi ti ingoio tutto intero?” disse Scorpius senza guardare Al. “E ci metto alcuni giorni a digerirti. Se invece divento una vipera, ti mordo e tu muori tra sofferenze atroci, ma non ti mangio. Oppure, se divento un Basilisco, ti uccido guardandoti negli occhi.”
“E Al scopre di essere Rettilofono e ti manda via,” rise Fred. “E si fa insegnare da zio Ron.”
“Avete uno zio Rettilofono?” chiese strabiliato Scorpius, abbandonando la sua lezione ironica sui serpenti e sui modi di uccidere Al.
“Ehm… zio Harry lo è stato, come saprai. Ma no, ormai non più, da quando Voldemort è morto. Ma zio Ron dice di aver imparato alcune cose che ha sentito dire a zio Harry, ma tutti sappiamo che non è vero…”
Scorpius sorrise sollevato: “Ecco, ora tornano i conti… Al, che ne diresti? Un Serpeverde Rettilofono farebbe successo, se fingessimo di esserlo?”
“Oh, che sciocchi che siete. Queste sono cose da Malandrini.”
“Potremmo diventare Animagi e trasformarci in serpenti. Io una vipera, piccola e cattiva.”
“Come te?” scherzò Scorpius.
Al gli fece una linguaccia; Fred rideva: “Se anche riuscirete a diventare Animagi, non sarete voi a decidere in quale animale trasformarvi! Diverrete l’animale che più vi somiglia nel carattere.”
“Ah, se è così, altro che vipera, Al,” rise Scorpius. “Diventeresti un tenero coniglietto.”
“Vuoi dire che sono un codardo?” esclamò Al indignato.
“No, che sei dolce e morbido come un coniglietto,” rispose Scorpius con affetto.
Ma ad Al l’osservazione non piacque lo stesso; incrociò con forza le braccia sul petto, e mise il broncio, facendosi tutto rosso in viso: “Antipatico,” proclamò piccato.
Fred non riuscì che a ridere di cuore, per diversi minuti, senza poter fermarsi: Al era davvero uno spasso. Il piccolo, dolce, ingenuo, divertentissimo Al.
“Hai già compiuto gli anni, vero?” chiese Scorpius ad Al come se nulla fosse.
“Sì, a giugno,” borbottò il bambino, offeso.
“Gemelli?”
“Cancro.”
“Dolce come sei, era ovvio.”
“Preferirei non esserlo. Puoi evitare di ricordarmelo ogni momento?”
Scorpius, però, sorrise addentando la sua mela: “Fossi in te ne andrei fiero.”
“Facile dirlo, non sei Albus Potter, tu.”
“Neanche tu. Tu sei Albu Severus Potter, fino a prova contraria,” puntualizzò Fred.
“Simpatico Freddie,” borbottò Al. “Grazie per avermi ricordato la mia doppia disgrazia.”
“Il tuo doppio orgoglio vorrai dire!” esclamò Scorpius.
“Ma perché tutti dite che devo sempre essere orgoglioso di tutto?” piagnucolò Al. “Dei miei nomi assurdi, della Casa in cui sono… e invece per me sono solo disgrazie, perché così sono diverso da tutti!”
“Smettila, Al… dai che siamo in ritardo, grazie a quei due matti,” osservò Fred facendo pat pat sulla spalla del cuginetto. “Mi conviene andare di sopra a cambiare i libri nella borsa per le lezioni del pomeriggio. Ci vediamo stasera, ok?”
“Sempre che quelli là si siano fatti passare il nervoso!” esclamò Al, ritornando di colpo di buon umore.
“Oh, e se non sarà così peggio per loro,” Fred fece l’atto di scacciare una mosca. “Perché sono davvero furioso e potrei farli a pezzi!” quindi uscì a larghi passi.
“Sei pronto?” chiese Scorpius con un sorriso.
Al annuì, e si volse a fare un cenno a Rose perché si avviassero.

“E quindi?”
“E quindi devo trovare il modo di sbrigarmela da solo!” esclamò James sbuffando.
“Non credo sia facile.”
“Voi non ne sapete proprio niente?”
Lorcan e Lysander scossero la testa insieme: “Più che dirti che la Mappa esiste…” esclamarono in coro.
James sospirò contrariato, senza prestare alcuna attenzione a Neville che parlava, né alle piante che aveva di fronte e che avrebbe dovuto travasare: “Fantastico.”
“Hai idea di qualcuno che possa saperlo?”
“Sì… lui, ad esempio,” e puntò un dito con decisione in direzione di Neville che spiegava con fervore. “Era molto amico di papà e mamma, e sicuramente lo sa.”
“Dubito te lo dirà, dopo la scenata di stamattina,” commentò Lorcan. “Altre alternative?”
“Zio Goerge, zia Hermione.”
“Voto George perché è un gemello,” scherzò Lysander.
James ridacchiò: “Non so se il suo spirito da Malandrino sia ancora molto sveglio.”
“Perché non dovrebbe?”
“Perché è sposato con prole. Credo che i rimasugli di quello spirito si estinguano nel suo negozio.”
“Non vedo perché matrimonio e figli possano bastare.”
“Bastano. Da quando ci siamo noi, papà è diventato bravissimo a fare le prediche,” borbottò James. “Come se noi non sapessimo che cosa combinava lui a scuola.”
“Lui aveva anche un po’ più guai di noi, eh…”
“Ma anche io voglio i guai! Solo che senza la Mappa non posso andarmeli a cercare!”
“Credo che sentire questo a tuo padre non piacerebbe,” Lorcan scosse la testa.
“Perché? Oh sì… dice sempre che non era lui a cercare i guai, ma i guai a trovare lui… guarda un po’ che io, invece, i guai vorrei cercarmeli.”
“Mi sembra che tu ci sia già riuscito stamattina,” osservò Lysander con aria innocente. “La scenata che avete messo su tu e le tue cugine in Sala Grande non è stata da poco.”
“Dici?” chiese James distrattamente, iniziando a travasare la sua pianta. “Non è stata colpa mia, è che Victoire e Elizabeth sono due isteriche. Suppongo abbiano preso da zia Fleur.”
Lorcan e Lysander si guardarono, leggermente stupiti, ma con uno sguardo d’intesa.
“Ok, ok, lo so che io ho esagerato, ma giuro che non era mia intenzione…” ritrattò James. “Sono loro che mi portano ad essere cattivo.”
Lorcan e Lysander si guardarono di nuovo, ora più soddisfatti, sorridendo.
“Mi state facendo un terzo grado in silenzio sperando che mi prenda tutta la colpa?” sbottò James piantandosi le mani sui fianchi in perfetto Molly – style.
“No, ma cosa pensi?” sussurrò Lysander con la sua migliore espressione di innocenza.
Troppo tardi: James aveva parlato di nuovo troppo forte.
“James?” disse Neville a voce alta e chiara, interrompendo la spiegazione e fissando il ragazzo.
“Sì, signore?” scattò il ragazzo, cercando di apparire noncurante e innocente.
“Pensavo avessi già provocato abbastanza scompiglio, per oggi… e poi si lavora meglio quando non si perde tempo in chiacchiere,“ spiegò Neville con tranquillità ma decisione.
“Io… io stavo solo facendo un commento, signore…” provò a giustificarsi. “Mi dispiace.”
“Continua a lavorare e non ti perdere in chiacchiere, James,” tagliò corto Neville, tornando a chinarsi sulla pianta che stava mostrando ai Grifondoro e Corvonero secondo anno.
James non disse nulla, soltanto ringraziò che Neville fosse com’era; un altro professore, dovendolo richiamare ancora dopo quello che era successo a pranzo, lo avrebbe come minimo mandato in punizione. E di punizione, quel giorno, gliene era bastata una: quella che si era preso un paio di ore prima da un innervosito Lumacorno per aver chiacchierato per tutta la lezione e aver presentato una pozione assolutamente senza senso.
Non che fosse una gran punizione; Lumacorno non aveva ancora imparato ad essere veramente severo, e a James non sembrava una tragedia andare un paio di sere in biblioteca per una ricerca di castigo sulle proprietà di una rara radice tropicale. Però era pur sempre una punizione.
Quel giorno il suo umore era già abbastanza sotto le scarpe. Continuava a ruminare sulla faccenda della Mappa. Sapere che Victoire aveva la formula ma faceva la preziosa, lo mandava davvero su tutte le furie.
Come se fosse difficile, per lei, ottenere qualcosa da Ted Remus Lupin. Come se lui non lo sapesse che le bastava sbattere un po’ le lunghe ciglia, o gettarsi distrattamente dietro l’orecchio una ciocca dei bei capelli rossi, per indurre Teddy a diventare un Mago Oscuro senza una parola di protesta.
James scosse la testa al solo pensiero. In realtà, si odiava profondamente, perché non era capace di arrivare da solo a capire la formula per usare la Mappa. Sapeva che suo zio George, assieme al suo gemello, c’era riuscito senza alcun aiuto – e soprattutto, senza avere la benché minima idea di chi avesse creato la Mappa.
Perché lui non ne era in grado? Dove sbagliava? Harry aveva sempre detto che in lui c’era lo spirito di un Malandrino, ma se si fosse sbagliato? Se in realtà lui non avesse nulla di un Malandrino se non la presunzione e l’arroganza?
La sola idea di questo lo terrorizzava e lo indispettiva allo stesso modo; così, digrignando i denti, cercò di concentrarsi con tutte le sue forze sulla pianta che stava travasando.
Sentiva i gemelli bisbigliare accanto a lui, ma finse di non sentirli. Non aveva voglia delle loro storielle. Avevano già eccitato a sufficienza il suo orgoglio e il suo spirito di rivalsa.
“E se ci provassi da solo? A trovare la formula per la Mappa, intendo,” sussurrò Lorcan dopo qualche minuto di silenzio all’orecchio di James. “Insomma, ce l’hanno fatta i tuoi zii, puoi farcela anche tu, no?”
James si morse forte le labbra; avrebbe voluto girarsi e tirare un bel pugno a quel ficcanaso. Ma era mai possibile che non riuscisse a farsi i fatti suoi per più di cinque minuti consecutivi?! Lo sport preferito di quei due sembrava essere impicciarsi di ciò che non li riguardava!
“Mpf,” rispose solo, sbuffando, e cercando di nascondere la collera.
“Non prendertela, non volevo insinuare che sei incapace!” riprese Lorcan. “Anzi, volevo dirti che ho molta fiducia in te e in quello che puoi fare. Sono sicuro che puoi scoprire da solo come usare la Mappa, così da vendicarti di tua cugina.”
“Sapessi almeno da dove cominciare!” rispose James con un po’ troppa foga. Per fortuna, l’ora era terminata, e tutti stavano preparando la borsa per uscire.
“Mm, hai ragione,” osservò Lorcan. Lysander comparve alle spalle del fratello, con la sua migliore espressione malandrina e birbante: “Fosse in te, partirei da ciò a cui serve la Mappa.”
“A cosa vuoi che serva una mappa?” esclamò James spazientito. Odiava i consigli dei gemelli.
“Una mappa serve a vedere la planimetria di un luogo. Grande aiuto!”
“Tu useresti la Mappa per pura curiosità sulla planimetria di Hogwarts?” lo provocò però Lorcan con sguardo birichino.
“Ovvio che no!”
“Pensi che con questo scopo l’abbiano creata tuo nonno e i suoi amici?” riprese Lorcan.
“Ma assolutamente no!”
“Bene… e allora, a quale scopo è stata creata la Mappa?”
“Be’…” James pensò un momento alla risposta. “L’hanno creata per avere un utile strumento per le loro scorribande, per i loro guai.”
“Credo sia esatto,” approvò Lorcan. “E se accetti un consiglio, proprio su questa considerazione devi battere.”
“Dici?” James rifletté, portandosi un dito alla bocca. “Mm, potrebbe essere. Potrei fare dei tentativi…”
“Lasciati consigliare anche di non farlo solo: più cervelli pensano meglio e più alla svelta!” riprese Lorcan, che si divertiva immensamente a dispensare consigli. “Quindi, trova un compagno adatto, e mettiti al lavoro!”
“Quel che è certo, è che non sarai tu quel compagno, ficcanaso impertinente!”pensò James, ma riuscì comunque a rivolgere ai gemelli il suo sorriso più bello: “Grazie dei consigli, Lorcan, credo proprio mi saranno molto utili!”
“Mi raccomando, facci sapere come finisce,” esclamò Lysander con allegria, posando gentilmente una mano sulla spalla di James. Non a caso il giovane Potter lo trovava molto più simpatico ed accattivante del fratello, e lo preferiva nettamente.
“Ovvio, ve lo devo!” esclamò James mentre uscivano tutti e tre dalla serra, le borse in spalla; Erbologia era stata l’ultima lezione della giornata, finalmente.
“Non vedo l’ora di fare le prove, ora corro,” esclamò James, improvvisamente reso più allegro e ringalluzzito, iniziando anche a fischiettare. L’idea di poter riuscire da solo a svelare il segreto della Mappa lo elettrizzava e gli dava energia. Aveva già scelto chi lo avrebbe aiutato nel compito: chi meglio di Fred? Anche lui era in parte Malandrino, e poi doveva farsi perdonare per la scenata di quella mattina.
Chiamare Al avrebbe avuto senso? Forse no. Al era così ligio al dovere, così pieno di dubbi e di piccole paure, era troppo giudizioso e avrebbe messo troppi paletti.
Con Fred avrebbe potuto fare le cose molto più liberamente, a cominciare dal riappacificarsi dopo quello che era successo a pranzo in Sala Grande; di Victoire, invece, non gli importava nulla. Che se ne stesse nella sua torre d’avorio, l’altezzosa principessa. Se lui fosse riuscito a trovare il modo per usare la Mappa senza doversi ridurre a strisciare ai piedi di quella smorfiosa, Victoire sarebbe diventata assolutamente inutile… e non avrebbe avuto nemmeno più una scusa valida per scrivere a Teddy.
E sarebbe andata a chiedere scusa a James, oh sì che l’avrebbe fatto!
Al pensiero di Victoire che strisciava ai suoi piedi, James sorrise di un sorrisetto maligno da vero Malandrino; Victoire era una gran brava ragazza, generosa, onesta, dolce, premurosa… ma spesso e volentieri si metteva sul piedistallo, e questo James proprio non riusciva a sopportarlo.
Sapeva che l’aveva ereditato da Fleur, ma proprio non lo digeriva. Ed anzi, andava in bestia.
Facile per Victoire, ottenere le cose da Teddy. E facile vantarsi con gli altri di qualcosa che avrebbe avuto ad ogni costo. Facile fare la preziosa e chiedere ricompense quando non le era costato alcuna fatica, anzi, solo divertimento!
“Dovrebbe ringraziarmi per averle dato una splendida e inappuntabile ragione per scrivere a Teddy, finalmente!” pensava James, indispettito. “E invece fa la gran dama chiedendo ricompense e gettando giudizi! Ma chi si crede di essere, solo perché è carina?”
Ora doveva trovare Fred. Sperò ardentemente di trovarlo in Sala Comune, e quindi vi si precipitò il più velocemente possibile, una mano sulla borsa ed una sulla tasca nella quale era gelosamente custodita la preziosa mappa; quando lo vide arrivare, prima di chiunque altro studente, affannato e sudato, la Signora Grassa lo apostrofò: “Ehi, birbante, non sarai qui per un’altra delle tue solite monellerie, spero, perché io non voglio essere testimone di niente! Di niente, capito?! Che cosa ci fai già qui?”
Ad maiora”, rispose solo James con impazienza.
“Eh, no, prima mi devi dire che cosa ci fai già qui e che guai sei venuto a combinare!”
Ad maiora,” ripeté James con più impazienza, quasi ringhiando.
“Ragazzino viziato e presuntuoso!” gracchiò la Signora Grassa, indignata. “Tuo padre non era così, oh no! Dovresti…”
“Vuoi lasciarmi entrare, sì o no?” sbraitò ora James, scalpitante. “Ad maiora! Ho detto la parola d’ordine, lasciami entrare, per favore!” ma lo disse tra i denti.
La Signora Grassa sbuffò sonoramente, borbottando qualcosa circa la mancanza d’educazione dei giovani moderni; ma James non la ascoltò, si gettò all’interno della Sala Comune coi pensieri troppo lontani da quella rompiscatole. Cercava Fred, e non voleva perdere tempo.
Sapeva che Fred aveva avuto un’ora di lezione in meno, e quindi doveva già essere libero; così divorò con gli occhi tutta la Sala Comune in uno sguardo.
“Oh, eccoti!” esclamò quando riconobbe la testa scura e ricciuta del cugino sulla poltrona davanti al fuoco. “Mai come in questo momento sono grato che tu sia nella mia stessa Casa!” aggiunse, gettando la borsa accanto a Fred.
“Oh, James,” disse solo Fred, senza entusiasmo, alzando a malapena gli occhi.
“Non dirmi che ce l’hai ancora con me per oggi,” disse James, contrariato.
“Ovvio che sì,” Fred continuò a scrivere qualcosa.
“E allora fattelo passare, Freddie, perché abbiamo qualcosa di importante di cui occuparci.”
Fred, finalmente, alzò e volse il viso, corrugando la fronte ed aggrottando le sopracciglia; guardò James con espressione diffidente e quasi ostile: “Cosa significa?”
“Che ho bisogno del tuo aiuto, Fred Weasley,” disse James scandendo bene le parole.
“E per fare cosa, di grazia?”
“Per scoprire come usare la Mappa.”
“E perché proprio del mio aiuto?”
“Perché so che tu puoi farlo.”
“Io non voglio avere nulla a che vedere con quella mappa. Non dopo quello che ha scatenato questa mattina. Per me, quella pergamena dovrebbe essere bruciata!”
“Stai scherzando, vero?” rispose indignato James, storcendo il naso. “Non hai idea di quanto sia preziosa!”
“Senti, James,” Fred chiuse il libro che aveva in grembo e depose la pergamena, voltandosi ora del tutto a guardare il cugino. “Anche io sono curiosissimo di cosa ci sia in quella mappa; anche io sono elettrizzato al pensiero di poter combinare qualche bella birbonata grazie a quella. Ma sta portando troppi guai… troppe discussioni. Tu che ce l’hai coi gemelli che ne sanno più di te, e poi le discussioni con Victoire, e Teddy di mezzo… mi sembra un prezzo eccessivo, non trovi? Per non parlare del fatto che, se zio Harry lo venisse a sapere, sarebbe un guaio. Se davvero la Mappa deve portare tanti guai, allora preferisco rinunciarvi.”
“Io non ci rinuncio,” esclamò di getto James. “E ti garantisco che, una volta scoperto il suo segreto, non ci sarà più alcuna discussione.”
“E invece ci sarà, James, ci sarà!” esclamò Fred. “Perché tutti la vorranno usare, e bisognerà discutere per questo. Victoire vorrà averla a disposizione, e poi anche Al e il suo amico, e anche Rosie… insomma, ognuno reclamerà il suo diritto alla mappa. Lo so cosa pensi: la Mappa è di tuo padre, e quindi di diritto tua; inoltre, sei stato tu a rubarla. ma questa non è una giustificazione valida, James.”
“Lo è. Anche perché se scopriremo come funziona la Mappa… sarà un segreto tra te e me.”
“E Al dove lo metti?”
“Al non è un Malandrino.”
“Al è tuo fratello, e devi smetterla di considerarti privilegiato per il tuo carattere, James. Al è dolce, ma non per questo non ha diritto a nulla.”
James sospirò: “Un segreto tra te, me e Al.”
“Tra te, me, Al e il giovane Malfoy.”
“No, un Malfoy no!”
“Pensi che Al non lo direbbe al suo amico?”
James sbuffò più forte: “Troppa gente.”
“Infatti! Vedo che mi capisci.”
“Fred, io devo sapere come funziona la Mappa, ok?” James usò il tono più deciso che riuscì a trovare. “Per me è troppo importante. A qualunque costo. Non lacerò che i gemelli sappiano più di me, né che i rischi che ho corso rubando la pergamena dalla scrivania di papà siano vani. Voglio scoprire come funziona. Al resto penseremo a tempo debito.”
Fred sospirò: “Sei irremovibile.”
“Oh, sì.”
“Va bene,” Fred abbandonò tutto sulla poltrona, alzandosi in piedi. “E allora andiamo a cercare di capire come funziona questa maledetta Mappa!”
“Benedetta, vorrai dire!” esclamò James con un sorrisetto.
“E nel caso non riuscissimo… chiederò a papà, come ho già detto,” anche Fred sorrise con aria da Malandrino.
“E al diavolo Victoire.”
“Non dirlo nemmeno per scherzo, maledetto!”
James rise; ormai era fatta. Senza dare il tempo a Fred di aggiungere altro, cominciò a spiegarli i preziosi indizi che gli avevano dato i gemelli nell’ora di Erbologia; poi gli spiegò le sue teorie, e le sue idee, mentre si ritiravano nel dormitorio di James, che sarebbe stato di certo deserto, per fare le prove.
“Quindi, dovremmo fare leva sullo scopo della Mappa, cioè… combinare guai?” riassunse Fred a mo’ di chiarimento.
“Esattamente.”
“Mm, almeno il campo è ristretto. Ma si può sapere quante accidenti di cose sanno quei due matti… e soprattutto, come fanno a saperle?”
“Me lo sto chiedendo anche io. Mi faranno venire un travaso di bile se continuano così.”
Fred sorrise, sornione, mentre si sedeva sul letto di James: “Dai, che ne abbiamo di frasi e parole da provare… non perdiamo troppo tempo.”
James tirò fuori in fretta la Mappa: “Verissimo. Speriamo di farcela.”
“Ce la faremo,” esclamò deciso Fred.
“Sai una cosa, Freddie?” James sorrise malandrino. “Ti adoro quando fingi di fare il serioso e poi ti lasci trascinare!”
“Taci, tentatore maledetto,” lo zittì il cugino.
James ridacchiò, mentre Fred tirava fuori la bacchetta e la puntava verso la Mappa: “Da dove cominciamo?”
“Propongo Sono un vero Malandrino.”
Fred sorrise birichino: “E tanti saluti a Victoire…”
“Vediamo cosa riuscirà a farle scrivere a Teddy, adesso,” rise James. “E verrà a chiedermi scusa…”
“Sei perfido,” commentò Fred. “Perfido.”
“Sono un Malandrino, Fred.”
“Io direi piuttosto che… lo stai diventando!” e gli strizzò un occhio. “E ora vedremo anche con quali risultati! Che i Malandrini ci assistano!” sussurrò, puntando la bacchetta.
E iniziarono a darsi da fare con la Mappa.
Note finali:
Nonostante tutta la mia solidarietà femminile e il mio odio per i prepotenti, non riesco ad avercela troppo con James. Non trovate anche voi che Victoire se la tiri un po troppo, a volte...?
Personalente, mi sono divertita da morire a scrivere il dialogod Scorpius-Al-Fred su Grifondoro e Serpeverde, e spero che ve ne siate accorti. L'excursus di Scorpius sui serpenti l'ho preso da un documentario XD
Vi ho divertiti?
Capitolo 12 - organizzazioni segrete di Miss Granger
Note dell'autore:

Mie cari lettori! Sono secoli che manco. Chissà se vi ricordate ancora di me... ma alcune fortunate coincidenze sembrano avermi convinto a tornare.
Purtroppo, il tempo per scrivere ora mi manca proprio, ma ho promesso a me stessa di fare del mio meglio. Non so se vi ricordate bene di me, se sarete ancora disposti a leggermi dopo tutto questo tempo, però... io ci provo!
Ringraziate le mie ultime recensioni, nel caso foste felici di rivedermi... lo spero, perché voi tutti di Accio mi siete mancati tanto, e ora che finalmente trovo un minuto per sedere qui con voi, e presentarvi un nuovo capitolo, mi sento invadere dalla commozione.
In fondo, ritrovare vecchi amici che si credevano perduti è sempre una festa, no? ^^
Ed ora, eccoci tornati, forse!
Di questo capitolo, posso dirvi che lo amo molto, che vi sono molto affezionata; ho provato gioia ma anche profonda commozione a scriverlo, e in più punti, anche rileggendolo, mi scappa una lacrimuccia.
Spero sarà lo stesso per voi. Avevamo lasciato Vic alle prese con il suo "non-si-sa-se-seio" innamoramento per Teddy, frenatop dalle derisioni del nostro nuovo malandrino James Sirius; Che cosa combinerà ora la nostra capricciosa, iper femminile, e un po' isterica piccola Fleur?
se siete curiosi, eccoci di nuovo qui a (speriamo) divertirvi!
Un abbraccio, e buona lettura ^^

Organizzazioni segrete

Ancora per diversi giorni, Victoire non riuscì a togliersi dalla testa quello che le aveva urlato contro James circa Teddy e la Mappa.
Avrebbe dovuto rispondere alla lettera del giovane Lupin, e invece, ancora una volta, era incapace di farlo; il giudizio di James la bloccava. Si sentiva derisa e controllata.
Ancora una volta, era a corto di una scusa per scrivere a Teddy. Perché non voleva scrivere a Teddy per il semplice piacere di farlo. Voleva scrivergli con una scusa; ma non voleva raccontargli della scenata di James, né delle discussioni. Tantomeno, voleva mentire.
Così era di nuovo bloccata; come se non bastasse, lei e James non si rivolgevano la parola da quel fatidico pranzo, e inoltre sua sorella Bessie era sul piede di guerra.
E ancora una volta, una gelida mattina di neve, Victoire entrò nell’aula di Difesa contro le Arti Oscure con la testa tra le nuvole, e un’ombra scura in viso che denotava i suoi brutti pensieri.
“Che succede?” chiese candidamente Jo, la ragazza con la quale Victoire aveva legato di più.
Victoire non rispose che con un suono inarticolato, mentre appoggiava pesantemente a terra la borsa e si sedeva.
“Ancora per quella storia?” chiese Jo, ma senza troppa foga, sfogliando il libro di testo.
“Ovvio,” disse solo Victoire, di malavoglia.
“Secondo me dovresti smetterla di preoccuparti così tanto. ti stai avvelenando la vita… per cosa? Per un pivello pettegolo che dovrebbe tagliarsi mezzo metro di lingua…” Jo continuò a sfogliare pigramente il libro. “E come se non bastasse, oltre a fare del male a te stessa, stai anche facendo del male a quello che c’è tra te e Ted.”
“Tra me e Teddy non c’è nulla,” ribatté piccata Victoire.
“Ma potrebbe nascere qualcosa di molto bello,” la corresse Jo. “O no?”
“Forse,” Victoire si strinse nelle spalle.
“Sicuramente, Vic, sicuramente. E dando così tanto peso a quello che dice il tuo sciocco cuginetto, impedisci che questo qualcosa possa sbocciare. Capisci?”
Victoire annuì: “Non lo faccio apposta… mi ha colpita profondamente.”
“Cerca di convincerti che ha parlato solo perché ha la lingua in bocca, e che tu devi proseguire per la tua strada. Sempre. Soprattutto nelle piccole cose.”
“Mm,” rispose solo Victoire, osservando la superficie liscia del banco.
“Non è una risposta, la tua, ma un suono inarticolato. Preferirei un suono intellegibile.”
Victoire alzò gli occhi su Jo: era di media statura e media corporatura, capelli ed occhi scuri e portava gli occhiali. Lei l’aveva sempre ammirata per il suo carattere determinato, volitivo, deciso e quasi duro. Nulla riusciva a piegarla: sembrava essere sempre lei la più forte.
Victoire non era così, e lo sapeva. Molto più sensibile, più fragile, sebbene avesse sempre dato a credere di essere forte, perché era la più grande dell’immensa cucciolata Weasley.
“Ho capito… hai ragione,” disse solo Victoire, sentendosi piccola piccola al confronto dell’amica. “Vuoi darla vinta in questo modo a uno sciocco?” rincarò la dose Jo. “Perché se è così basta che me lo dici… ti prendo a ceffoni e forse il cervello riprende il suo posto!”
Victoire riuscì a sorridere.
“Insomma, reagisci!” riprese Jo con foga. “Fagli vedere chi sei, e soprattutto che non ti fai mettere sotto dal primo pivello che alza la voce!”
Victoire aprì la bocca per rispondere, anche se con calma; ma l’entrata del Professor McMillan glielo impedì. Ernie attraversò l’aula salutando cordialmente i suoi alunni – Corvonero e Tassorosso sesto anno – e si diresse spedito verso la cattedra.
Aveva un’espressione meno spensierata del solito, quella mattina, e tutti gli studenti se ne accorsero subito; era sempre così scherzoso e vanitoso! E invece non ancora una battuta!
Inoltre, si era aggiustato il ciuffo sulla fronte soltanto una volta lungo il tragitto dalla porta alla sua cattedra, invece che le consuete cinque; e questo era davvero molto sospetto, oltre che fonte di comprensibile preoccupazione.
I ragazzi cominciarono a guardarsi e fare congetture; mentre Ernie si sistemava, si alzò un mormorio generale, piuttosto marcato e anche irritante. Tutti gli occhi erano fissi sull’insegnante, con zelo, attenzione, e anche un po’ di preoccupazione.
“Oggi, ragazzi,” annunciò poco dopo Ernie, posando la borsa sul tavolo. “Oggi voglio parlarvi di un argomento molto, molto importante. Ma soprattutto, che toccherà da vicino molti di voi.”
Subito, lo accolse il silenzio; così Ernie riprese la parola: “Sì, ragazzi, avete capito bene. Vi toccherà da vicino. Potrebbe anche turbarvi, ma sono certo che è il momento adatto per parlarne.”
I ragazzi si guardarono, e questa volta si sollevò un nuovo mormorio, ora sempre più forte e insistente; ognuno faceva le sue congetture. Ma MacMillan alzò pomposamente un mano per avere silenzio: “E proprio per questo, vi chiedo la massima collaborazione, anche a parole… vorrei che chi ha vissuto da vicino ciò di cui parlerò, me lo dica, e ci racconti la sua esperienza.”
Il mormorio questa volta divenne un vero e proprio chiacchiericcio concitato; ma ancora una volta, l’insegnante impose il silenzio: “E prima di cominciare, vorrei qui con me alla lavagna la persona tra voi che più si sentirà toccata da vicino: Victoire, per favore?”
Victoire sgranò gli occhi: come poteva lei c’entrarci? Quale argomento avrebbe potuto toccare Ernie in quel momento che la riguardasse così da vicino? Oh per Merlino, non avrebbe per caso parlato dell’Addestramento Auror come prometteva da tempo, tirando in ballo… Teddy Lupin?!
Confusa e titubante, Victoire si alzò in piedi, guardando Jo in cerca di sostegno; da una parte moriva di curiosità per sapere di cosa si trattasse, dall’altra aveva paura.
“Non essere spaventata, Victoire: non ce n’è proprio bisogno. Vieni qui, cara, per favore. Vieni ad aiutarmi, ho bisogno proprio di te.”
“Di me?” ripeté Victoire, come se fosse stata chiamata per la prima volta. Tuttavia si era alzata, e si stava avviando verso la lavagna, sebbene a passi incerti.
“Sì, cara,” ripeté il Professore sorridendo incoraggiante. “Devo parlare di gran parte della tua famiglia, e vorrei che tu mi aiutassi.”
“La mia famiglia?!” ripeté Victoire strabiliata, ma questo la rassicurò un poco. Forse aveva capito dove voleva andare a parare Ernie: “Signore, questo significa che Lei oggi vorrebbe parlare…”
“Sì, Victoire, credo tu abbia capito bene. Ed è esattamente così. Come potrai immaginare, ho bisogno di te. Anzi, la verità è che ho bisogno soprattutto di te: perché anche di tutti voi,” si volse verso gli altri ragazzi, “ho bisogno quest’oggi. Vorrei che foste voi a dirmi cosa sapete di questo argomento, e io completerò le vostre lacune.”
Seguì un lungo momento di opprimente silenzio, durante il quale i ragazzi fissarono l’insegnante con insolita attenzione, quasi a cercare sul suo viso un’anticipazione di quello che avrebbe detto.
“Bene, ora cominciamo,” disse infine Ernie, quando ormai l’attesa dei ragazzi sembrava giunta al punto di esasperazione massima. E pareva proprio che avesse creato ad arte quell’effetto, per avere più suspence possibile e cogliere i ragazzi di sorpresa con il suo personale deus ex machina. “Come sono certo che Victoire avrà già capito,” proclamò con voce baritonale, “l’argomento di oggi non è altro che… l’Ordine della Fenice.”
Ancora una volta le sue parole furono seguite dal silenzio, mentre Victoire annuiva senza parlare, segno che le sue intuizioni erano giuste; ma questa volta non si trattava più di un silenzio di attesa, bensì un silenzio di stupore. I ragazzi, a sentire quelle parole, si erano fatti quasi tutti pallidi, chi per l’apprensione, chi semplicemente per la sorpresa. Più di venti visi stupiti erano fissi su Ernie, che li osservava soddisfatto.
Quando il momento di incantesimo fu rotto, e l’attimo di smarrimento scomparso, il silenzio fu subito sostituito da un accanito chiacchiericcio, che divenne quasi rumoroso.
“Ragazzi!” li fermò ancora una volta l’insegnante. “D’accordo che ho chiesto il vostro aiuto a parole… ma non così! Insomma!”
Tutti si zittirono subito e tornarono a fissarlo.
“Ebbene”, Ernie iniziò a camminare lentamente in mezzo alla stanza, “sono sicuro che praticamente ognuno di voi sappia qualcosa sull’Ordine della Fenice; ho voluto qui con me Victoire non certo per una preferenza, ma semplicemente perché la sua famiglia al completo è formata da membri dell’Ordine della Fenice. Vero, Victoire?”
Victoire annuì, sentendosi emozionata. Il cuore le batteva a mille nel petto; sapeva di essere nata il giorno in cui ricorreva l’anniversario della battaglia di Hogwarts, il 2 di maggio, e quindi quando la Guerra era ormai da tempo conclusa. Per questo si chiamava Victoire, Vittoria, perché i suoi genitori avevano voluto che la sua nascita, il primo vero lieto evento dopo la fine della Guerra, sancisse la vittoria del Bene sul Male, sul dolore, sulla guerra… sulla Morte.
In famiglia le avevano parlato molto della Guerra, e anche dell’Ordine della Fenice. Lo faceva soprattutto suo nonno Arthur, ma anche suo padre non disdegnava l’argomento. Aveva visto molte foto dei membri, a cominciare da quella, enorme, che troneggiava nell’ingresso semicircolare di Grimmauld Place numero 12.
In casa di Harry, tutti avevano ormai l’abitudine di rivolgere un cenno di saluto ai volti sorridenti e alle mani sventolanti della foto appena entrati nell’ingresso, o prima di uscire.
Victoire conosceva tutti i membri del primo e del secondo Ordine a memoria, soprattutto le persone che non aveva mai conosciuto.
A volte, insieme a Teddy, era rimasta in piedi nell’atrio dell’antica casa dei Black, ad osservare quella grande foto: Ted non staccava gli occhi dai propri genitori, come per paura di dimenticare i tratti dei loro volti; Victoire, invece, lasciava vagare lo sguardo da un viso all’altro, affascinata.
Al contrario di Ted, e come tutti gli altri ragazzi, Victoire non aveva mai potuto vedere i ricordi di Harry; tuttavia, immaginare le persone delle foto come vive non le riusciva affatto difficile.
Così, mentre Ernie teneva lo sguardo fisso su di lei, Victoire sentì l’emozione crescere; doveva anche essere diventata rossa, come le capitava spesso (maledetta eredità degli Weasley!), ma non certo per imbarazzo, anzi, per gioia. L’idea di parlare dell’Ordine della Fenice, della propria famiglia, della Guerra, di tutte queste cose che nella sua mente appartenevano ad un passato epico ed eroico, la mandava letteralmente in brodo di giuggiole.
“Verissimo,” esclamò infine, con un sorriso beato.
“Benissimo. Ora vorrei che alzassero la mano coloro i quali sanno già qualcosa dell’Ordine della Fenice.”
Tutti i ragazzi presenti sollevarono le mani.
“Proprio come immaginavo!” sorrise Ernie annuendo.“Ed ora, coloro i quali hanno avuto familiari e/o amici che ne abbiano fatto parte.”
Nessuno questa volta alzò la mano.
“Mm, che peccato… ed ora, coloro i quali conoscono qualcuno che sia stato membro.”
Stavolta, quasi tutti sollevarono le mani.
Ernie sorrise soddisfatto: “Ottimo, ottimo… proprio come pensavo! Proprio come pensavo!” esclamò in un tono che lo rese per un attimo sgradevolmente simile a Lumacorno. “Bene, ed ora ditemi: che cos’è questo Ordine della Fenice?”
Una ragazza di Corvonero alzò la mano decisa: “Una specie di società segreta istituita per combattere di nascosto il Signore Oscuro.”
Ernie McMillan annuì soddisfatto: “Esattamente. Da chi e quando fu fondata?”
“Dal Preside Albus Silente durante la Prima Guerra contro il Signore Oscuro,” rispose un ragazzo di Tassorosso.
Victoire, in silenzio, ascoltava. Era tutto vero, eppure… eppure dalle labbra dei suoi compagni di scuola, estranei alla cosa, sembrava tutto così ordinario, freddo, lontano… non c’era più traccia del calore, l’emozione e il trasporto con cui Arthur Weasley le aveva raccontato quei fatti quasi incredibili, della luce che sia lui sia Bill avevano negli occhi quando rievocavano quei momenti, o il fascino terribile dell’ombra scura che passava sul volto di George quando i ragazzi gli chiedevano di raccontare qualcosa della Battaglia di Hogwarts.
All’improvviso, ogni cosa sembrava spenta. E Victoire si sentì triste. Chi non ha vissuto esperienze del genere, non può raccontarle degnamente. E forse nemmeno lei sarebbe stata in grado di rendere con giustizia le emozioni che le trasmettevano i suoi familiari.
Parlarne così, piattamente, freddamente, a scuola, come un argomento qualunque… a Victoire sembrava di parlare di una cosa lontana e sconosciuta, e non dei favolosi racconti della sua infanzia e giovinezza. E in un attimo, comprese perché Ernie l’aveva chiamata alla lavagna: se c’era qualcuno che poteva colorare quel racconto e trasmettere emozioni, era lei.
“Splendido!” commentò Ernie. “Ora, Victoire, avrei bisogno di te. Puoi scrivere, per favore, alla lavagna, quanti più membri dell’Ordine della Fenice ti vengono in mente?”
Il cuore di Victoire ebbe un tuffo; decine di nomi e di volti cominciarono a fluttuare nella sua testa, mentre la grande foto di Grimmauld Place le danzava davanti agli occhi.
Lei, che aveva sempre ascoltato con avida curiosità, lei, che era sempre stata solo una spettatrice, ora avrebbe avuto, forse, il privilegio di raccontare… si sentì quasi mancare dall’emozione. Ma in qualche modo, riuscì a trovare la propria voce nei meandri della gola: “Del Primo o del Secondo Ordine, signore?” chiese con tono più possibile naturale.
Nessuno nella stanza avrebbe mai potuto capire la sua emozione, nemmeno Ernie. Lui aveva vissuto la cosa, lei… lei aveva solo assorbito quei racconti idolatrandoli, ed ora che poteva ripeterli… era così strano, si sentiva così agitata…
Ernie sorrise: “Ecco, fantastico… primo o secondo? Entrambi, Victoire, così spiego ai tuoi compagni. Tu intanto scrivi. Sono sicuro che farai un ottimo lavoro.”
Annuendo, Victoire prese il gesso. Mentre lo faceva, la sua lunga coda fulva ondeggiò in modo affascinante, e continuò a farlo leggermente, dolcemente, per tutto il tempo in cui la ragazza fu impegnata a scrivere.
Il cuore le batteva come un tamburo, ma si sentiva felice, felice… lei sapeva. A lei era stato concesso il dono di vivere le emozioni di chi aveva vissuto la Guerra. Lei era stata la vittoria sulla Morte.
Ecco ciò che scrisse Victoire, attenta, meticolosa e precisa:

Primo Ordine della Fenice.
Custode Segreto: Albus Silente.
Membri:
Minerva McGranitt
Abeforth Silente
Alastor Moody
Elphias Doge
Rubeus Hagrid
Severus Piton
Sturgius Podmore
Frank Paciock – torturato fino alla pazzia. San Mungo.
Alice Paciock – torturata fino alla pazzia. San Mungo.
Mundungus Fletcher
Fabian Prewett – ucciso da Mangiamorte.
Gideon Prewett – ucciso da Mangiamorte.
Sirius Black – ingiustamente imprigionato ad Azkaban.
Remus Lupin
Peter Minus – passò dal Lato Oscuro consegnando a Voldemort i Potter.
James Potter – ucciso da Lord Voldemort (31 ottobre 1981)
Lily Potter (nata Evans) – uccisa da Lord Voldemort (31 ottobre 1981)

Secondo Ordine della Fenice.
Custode Segreto: Albus Silente – ucciso (giugno 1997)
Membri:
Minerva McGranitt
Abeforth Silente
Alastor Moody – ucciso in un agguato di Mangiamorte (luglio 1997)
Elphias Doge
Rubeus Hagrid
Severus Piton – ucciso da Lord Voldemort durante la Battaglia di Hogwarts (2 maggio 1998)
Sturgius Podmore
Mundungus Fletcher
Sirius Black – ucciso (giugno 1996)
Remus Lupin – ucciso nella Battaglia di Hogwarts (2 maggio 1998)
Hestia Jones
Kingsley Shacklebolt
Arthur Weasley
Molly Weasley (nata Prewett)
Bill Weasley
Fleur Delacour (poi Fleur Weasley)
Charlie Weasley
Fred Weasley – ucciso nella battaglia di Hogwarts (2 maggio 1998)
George Weasley
Ninfadora Tonks (poi Ninfadora Lupin) – uccisa nella battaglia di Hogwarts (2 maggio 1998)


Finito che ebbe di scrivere il lungo e dettagliato elenco, Victoire posò il gesso e sospirò di sollievo, ora che l’emozione si stava placando, volgendo il bel viso a Ernie. Questi, soddisfatto, si complimentò: “E ora, Victoire, potresti spiegare gentilmente ai tuoi compagni, quanti di questi membri sono tuoi parenti, diretti oppure acquisiti?”
Victoire si sentì tremare; spalancò gli occhi ed arrossì di piacere. Il momento era arrivato. Poteva fare qualcosa per trasmettere quell’emozione.
Agitata, strinse forte nelle mani la bacchetta, si schiarì la gola, prese fiato, e iniziò, indicando ad uno ad uno i nomi che proferiva con la propria bacchetta; ad ogni nome, la sua voce vibrava di emozione e di affetto: “Arthur e Molly Weasley, sono i miei nonni paterni; sono entrati soltanto nel Secondo Ordine, su richiesta di Silente, che li ha voluti fortemente al proprio fianco. Sono entrambi di famiglie Purosangue, e per questo sono disprezzati dai Purosangue fedeli al Lato Oscuro, che li hanno bollati come “Traditori del proprio sangue”. Gideon e Fabian Prewett erano i fratelli di mia nonna Molly, arruolatisi volontari nel Primo Ordine, rimasti uccisi durante una pericolosa missione. Se mia nonna ha accettato in seguito di prendere parte all’Ordine, è stato anche per il desiderio di continuare la loro volontà… e vendicare quanto possibile la loro morte immatura.”
A questo punto Victoire prese fiato di nuovo: “Bill e Fleur Weasley, i miei meravigliosi genitori”, proclamò con orgoglio e soddisfazione, sorridendo di un immenso sorriso. “Charlie, Fred e George Weasley, tre dei sei fratelli minori di mio padre. Zio Charlie vive in Romania, dove lavora coi draghi; zio George e zio Fred erano gemelli, ma zio Fred è rimasto ucciso durante la Battaglia di Hogwarts. Degli altri miei zii, zio Percy allora era schierato col Ministero – cosa di cui continua a pentirsi ancora ora – mentre zio Ron e zia Ginny erano minorenni, e per questo non potevano fare parte dell’Ordine”, Victoire fece un piccola pausa, poi: “James e Lily Potter, erano i genitori del mio zio acquisito Harry. La storia di zio Harry, di certo, la conoscete tutti quanti. Il suo padrino, Sirius Black, amico del cuore di James Potter, fu ingiustamente accusato di aver tradito i Potter. Fu condannato ad Azkaban, ma dopo dodici anni riuscì a fuggire, e si dedicò anima e corpo all'Ordine. Fu ucciso da Bellatrix Lestrange durante la Battaglia del Ministero, nell'estate del 1996. In quanto a Peter Minus, il vero traditore, è rimasto ucciso durante la Seconda Guerra. Credo sia stato meglio: di sicuro lui non avrebbe preferito l’oblio eterno ad Azkaban. Ed infine, Remus e Ninfadora Lupin; Ninfadora era un abile Auror da sempre devota alla causa di Silente. Sua madre, zia Andromeda, è una Black, anche lei una “traditrice del suo sangue”. Remus era il migliore amico dei Potter. Lui e Dora sono rimasti uccisi durante la battaglia di Hogwarts, per mano, rispettivamente, di Dolohov e di Bellatrix Lestrange. Erano i genitori del mio fidanzato.”
“Grazie mille, Victoire,” sorrise riconoscente Ernie. Ma Victoire non lo sentì: era troppo occupata ad insultarsi per quello che aveva detto.
Il mio fidanzato?!” si ripeté, sconcertata, facendo una smorfia. “Ma che cosa ho detto? Teddy non è il mio fidanzato, nemmeno il mio ragazzo, anzi, Teddy per me non è proprio nulla, è semplicemente il figlioccio di zio Harry…è un amico sì, ma niente di più… Teddy è solo Teddy!” si era portata le mani alla bocca, anche se cercava di nasconderlo, ed era tutta viola in viso. “Come accidenti ho potuto dire una cosa del genere? Mi hanno sentito tutti, e domani tutta la scuola saprà che io sto con Teddy… è non è vero! E chissà che cosa dirà James… che commenti farà…
Poi, in un attimo, si ricordò dell’emozione di raccontare, e alzò gli occhi sui suoi compagni.
Capì subito che ce l’aveva fatta: era riuscita a trasmettere emozione, come aveva fatto la sua famiglia con lei. Le espressioni dei ragazzi in aula non lasciavano dubbi: era riuscita a colpirli ed emozionarli.
E in un attimo dimenticò quello che aveva detto su Teddy, e sorrise raggiante, stringendo forte la bacchetta tra le mani. Doveva volare a scriverlo a casa… sarebbero stati fieri di lei. Avrebbero pianto di gioia, quando avessero letto!
Ignaro di ciò che passava per la testa della ragazza che stava in piedi a pochi passi da lui, MacMillan riprese la sua lezione, soddisfatto: “Come avete detto giustamente, l’Ordine della Fenice era una organizzazione segreta nata per combattere contro Voldemort; a capo, come potete leggere, il preside di allora, il Professor Albus Silente. Questo intendevo quando dicevo che l’argomento vi avrebbe toccato da vicino: come vedete, almeno un terzo della famiglia di Victoire, se non la metà, ne ha fatto parte: i nonni, i genitori, la maggior parte degli zii. Lei è il caso più eclatante, ma non il solo. I suoi cugini, che sono tutti più piccoli, sono nella sua stessa situazione. Anzi: andate a chiedere a James Potter, Grifondoro secondo anno, oppure a suo fratello minore Al, Serpeverde primo anno. Nonni, sia materni sia paterni, genitori, la stragrande maggioranza degli zii, amici, tutti all’interno dell’Ordine della Fenice. E Ted Lupin? Conoscete Ted Lupin? Si è diplomato da poco, certo che ve lo ricordate. Come ha detto Victoire poco fa, i suoi genitori sono morti entrambi nella Battaglia di Hogwarts, quando lui aveva due mesi appena. E, come potete vedere, ci sono due signori Paciock nel Primo Ordine: si tratta dei genitori del Professor Paciock. Una questione che tocca da vicino tutti quanti noi. Come già detto, lo scopo dell’Ordine della Fenice era quello di fermare Voldemort, o almeno cercare di farlo. La prima volta il Signore Oscuro scomparve, la seconda fu definitivamente ucciso. Se non fosse stato per l’Ordine della Fenice…”
Ernie sospirò; guardò per un momento a terra, tenendosi il mento con una mano, quindi riprese: “Ricordo benissimo il mio quinto anno di scuola. Voldemort era tornato, ma nessuno credeva ad Harry – Harry Potter, ovviamente – e il Professor Silente, che lo sostenevano. Ricordo la morte di Cedric Diggory per mano di Voldemort, l’estate prima, un bravissimo studente di Tassorosso, che partecipava al Torneo Tremaghi. Ma nessuno voleva crederci. Silente, la sera stessa in cui Harry raccontò di aver visto tornare Voldemort, riconvocò l’Ordine, ingrassandone le file decimate dal tempo e della guerra.
Ma il Ministero non ci credeva. Diceva che erano invenzioni di Harry per portare l’attenzione su di sé, e che Silente gli dava corda per avere popolarità. Silente fu espulso dal Wizengamot, e qui fu mandato un Inquisitore Supremo, tale Dolores Jane Umbridge, fidata dell’allora Ministro della Magia Cornelius Caramell,” nel pronunciare il nome di Caramell e nel pensare alla Umbridge, la voce di Ernie ebbe un tono di puro disgusto. “Era una donna terribile. Terribile. Infine, davanti all’insistenza di Harry e Silente, destituì quest’ultimo dal suo ruolo di Preside e lo sostituì. Il Ministero voleva che si credesse a lui; Voldemort non era tornato, erano solo frottole… invece Voldemort era tornato, eccome. E solo l’Ordine della Fenice si era mobilitato per combatterlo.
Poi ci fu la Battaglia al Ministero. Voldemort voleva una Profezia che era custodita al Ministero, e qui fu raggiunto da Harry e i suoi amici. Oh, ma a questo punto devo parlarvi dell’ES…”
“Anche di questo, sono certo, sei perfettamente al corrente, vero, Victoire?”
Victoire sorrise raggiante: “Certo!” esclamò con voce sonora e squillante.
Ernie sorrise al ricordo. Ripensare al suo quinto anno, all’ES, lo commuoveva sempre.
“Non solo l’Ordine della Fenice – e quindi gli adulti, perché come vi ha chiarito Victoire, bisognava essere diplomati per farne parte – si era mobilitato. Anche noi ragazzi, qui a scuola, avevamo organizzato una ribellione verso la terribile Umbridge. Poiché costei insegnava – anzi, a dirla tutta, non insegnava Difesa contro le Arti Oscure, la materia della quale più avevamo bisogno in quel momento, ci eravamo organizzati. Eravamo in tanti. L’idea è stata di Hermione Granger – ora moglie di uno degli zii di Victoire, Ron – e avevamo scelto come nostro insegnante personale nientemeno che Harry. Lui era così più preparato di noi! Ci ha insegnato di tutto. Incantesimi di Appello, Schiantesimi, Sortilegi Scudo, e perfino a evocare un Patronus! Io ne facevo parte. Questa organizzazione si chiamava ES, che stava per Esercitazioni Segrete, ma anche per Esercito di Silente, nel caso qualcuno ci avesse scoperto. E in fondo era questo: un piccolo esercito di maghi in erba che lavorava parallelamente a Silente contro il Lato Oscuro.
Eravamo giovani e poco esperti, ma cercavamo comunque di fare la nostra parte, per quanto piccola ma non di certo inutile.
I veri fedeli, fedeli fino in fondo, erano pochi, e sono orgoglioso di essere tra quelli. Io, Hermione Granger, Ronald, Ginevra, Fred e George Weasley – tutti zii di Victoire – Luna Lovegood – la madre dei gemelli Scamander, sapete, Corvonero secondo anno – e il Professor Paciock, eravamo i più appassionati.
Per noi l’ES non era solo un palliativo per imparare un po’ di Difesa contro le Arti Oscure, bensì era una vera e propria missione.
Venne la Battaglia del Ministero: io non c’ero, e me ne rammarico. Voldemort voleva una Profezia, e Harry, insieme agli altri fedelissimi, tentò di fermarlo. Arrivarono i Mangiamorte, che cercarono di ucciderli, ma furono raggiunti dall’Ordine della Fenice, e infine da Silente in persona. Mi dissero che fu una battaglia epica. Sirius Black vi perse la vita, e Harry rimase inconsolabile: Black era il suo padrino, tutto ciò che gli rimanesse di una famiglia.
Infine, arrivarono anche le alte cariche del Ministero, compreso il Ministro in persona. E lo vide: vide Voldemort che scappava, dopo non essere riuscito a sopraffare Silente.
E finalmente, il Ministero ci credette. Peccato fosse ormai troppo tardi…
Caramell fu indotto alle dimissioni poco tempo dopo, per la sua cecità e la sua tenacia nel difendere le sue errate posizioni. Ma era tardi, e la situazione ridicola. Se non ci fosse stato l’Ordine della Fenice, saremmo finiti tutti sotto il potere Oscuro prima del mio sesto anno…”
Ernie si volse a guardare Victoire, e si stupì di trovarla ben altro che attenta; se la sarebbe aspettata ferma, a divorarlo con gli occhi impaziente, come tutti gli altri ragazzi in aula. E invece no: appoggiata alla lavagna (o meglio, schiacciata contro di essa), Victoire stava ora guardando per terra, era tutta rossa in viso, e teneva le braccia dietro la schiena.
Si mordeva continuamente le labbra, e sembrava in imbarazzo.
Era tornata a pensare a quello che aveva detto di Teddy.
Ernie fu tentato di riscuoterla, ma si disse che una ragazza di quella età era molto delicata, e avrebbe potuto combinare qualche pasticcio, così fece finta di nulla, limitandosi a congedarla.
Appena fu libera, Victoire corse al proprio posto quasi sfuggisse da una belva, e solo quando fu seduta accanto a Jo parve calmarsi, anche se non del tutto.
Si torceva le mani senza sosta, e non degnava Ernie di uno sguardo, mentre questi aveva ripreso a parlare dell’Ordine e delle battaglie contro Voldemort, con grande interesse degli alunni.
“Non sapevo che tu e Ted Lupin steste insieme,” scherzò Jo sottovoce.
Victoire reagì come se le avessero dato una pugnalata nella schiena: “Cosa?” chiese con voce stridula e strozzata.
“Perché hai parlato di Ted Lupin come del tuo fidanzato, Vic?”
“Non lo so!” rispose lei con la stessa voce strozzata.
“Mm… forse perché vorresti che fosse così.”
“No! No, no! non c’è nulla tra me e Teddy… nulla…”
“Il fatto che non ci sia ora non significa che tu non voglia che ci sia in futuro, Vic cara!” sorrise Jo con aria da esperta. “Sono certa che ti sei lasciata scappare qualcosa che non è vero… ma che vorresti tanto lo fosse.”
Victoire si torse più forte le mani: “Non lo so, non lo so… so solo che ora tutti andranno in giro a dire che sto con Teddy. Chissà cosa dirà James!”
Jo fece un gesto di stizza con la mano: “Oh, ma chi se ne frega di quello là! Devi smetterla di preoccupartene, Vic, o non ci dormi più.”
Victoire sospirò, continuando a torcersi le mani, ma non disse nulla.
“Dacci un taglio con queste fobie, Victoire,” proclamò Jo dopo qualche momento di silenzio.
Victoire, per tutta risposta, sospirò, fissando la superficie del banco, e continuando a tormentarsi le belle mani. Jo, guardandola, si disse che non riusciva proprio a capire come una ragazza bella e corteggiata ed ammirata come Victoire Weasley potesse crucciarsi per certe sciocchezze.
Avrebbe potuto avere metà dei ragazzi di Hogwarts ai propri piedi solo schioccando le dita, e invece correva dietro al giovane e affascinante Lupin, e questo poteva essere comprensibile: era una ragazza romantica, molto più dolce e affettuosa di quanto potesse sembrare.
Ma perché negarlo perfino a sé stessa? Più ci pensava, più Jo lo trovava assurdo. Davvero assurdo. E perché poi farsi tanti crucci per quel piccolo pettegolo linguacciuto di James Potter?
“Che sciocca che è,” si disse Jo, scegliendo di lasciare Victoire a cuocere nel suo brodo.
Nel frattempo, la mente di Victoire macerava instancabile molti pensieri per nulla postivi; le stava crescendo l’ansia, oltre alla rabbia e allo sgomento. E si trovava del tutto spersa e confusa.
Che cosa aveva detto? Era una sciocchezza, com’era possibile che le fosse venuta alle labbra?
Era stata l’emozione, la foga del momento, l’ansia di trasmettere quelle emozioni con le quali era cresciuta e alle quali doveva tanto? Un modo, semplicemente, per giustificare il perché includere tra i parenti anche Lupin e sua moglie?
Si disse che era veramente sciocca, e aveva parlato per stupidità. E adesso ne avrebbe pagato le fin troppo amare conseguenze. Già sentiva le derisioni di James, le sue cantilene, le canzoncine inventate ad arte, le smorfie, le filastrocche offensive…
Ma, in quel momento, Ernie ordinò di tirare fuori penne e quaderni, e scrivere. Victoire fu costretta ad accantonare i propri nuvolosi pensieri e spostare l’attenzione sulla lezione. Sapere così tanto dell’Ordine non le permetteva certo di astenersi da seguire la lezione… Sbuffando e scuotendo la testa, si disse che ne avrebbe parlato con Fred, prima che James potesse venirlo a sapere. E insieme a Fred, una qualche soluzione avrebbe potuto trovarla.

“Dai, raccontami, che combinano tra le vecchie mura di Hogwarts i nostri cari Cavillini? E i nostri Malandrini in erba?”
“Mpf.”
“Hai qualcosa in bocca o sei di pessimo umore, Teddy?”
“Mpppfff.”
Harry si fermò, le chiavi di casa nella mano destra, la giacca gettata sul braccio, la ventiquattr’ore nella sinistra. Osservò per qualche momento il figliastro, quindi, scorgendo in lui i segni della catastrofe emotiva, aggrotto la fronte inarcando un sopracciglio: “Ted, che succede?”
Teddy si strinse nelle spalle senza rispondere, ma facendo cenno al padrino di entrare in casa.
Harry emise uno strano verso, simile ad un lieve sbuffare, e armeggiando con la chiave, la infilò un po’ nervosamente nella toppa.
Era rincasato più presto del solito, quel giorno, e aveva portato con sé Teddy con l’intenzione di tenerlo a cena, e rallegrare un po’ la serata in famiglia. Da che Al e James erano a Hogwarts, Lily trascorreva la maggior parte delle serate vuoi alla Tana vuoi da Ron e Hermione a giocare con Hugo, con la scusa che senza i fratelli si sentiva sola; tuttavia, Harry e Ginny non riuscivano mai a godersi la pace della casa libera dai figli, perché sempre troppo stanchi, e finivano per mangiare in fretta e poco e andarsi ad accovacciare sul divano, dove si addormentavano profondamente dopo pochi minuti.
Così Harry aveva pensato di invitare Teddy; questo non solo avrebbe indotto Lily a rimanere a casa, ma avrebbe anche fornito il pretesto per invitare Andromeda – non la si poteva certo lasciare a casa da sola – e magari anche Ron, Hermione e Hugo, così avrebbero passato una piacevole serata in famiglia, come non succedeva da tempo.
Ma qualcosa sembrava dovesse andare storto. Ed evidentemente cominciava col malumore di Ted.
“Sempre che si tratti di qualcosa che posso sapere,” si affrettò ad aggiungere Harry, come per salvarsi un po’ la faccia.
Teddy, ancora una volta, si strinse nelle spalle senza rispondere.
“Ho detto qualcosa che non va?” Harry spalancò la porta con un lieve movimento della spalla.
A casa non c’era nessuno, e lo sapeva: Lily era dagli zii, e Ginny ancora al lavoro. Ora non doveva fare altro che aspettare l’arrivo chiocciante e caloroso di Kreacher… e cercare un modo per farsi dire da Ted Lupin che cosa andasse storto.
“Dai, Ted, da quando in qua non ti fidi più di me?”
“Da quando in qua mi chiami Ted?”
Harry, a quell’osservazione, sorrise divertito. Chiuse la porta e lasciò cadere tutto quello che aveva in mano sulla poltrona dell’ingresso senza troppa cura. Gli faceva così tanta tenerezza, gli ricordava Tonks! “Ebbene, Teddy, cosa c’è che non va?”
Teddy si strinse ancora nelle spalle, ma questa volta senza chiudersi nel silenzio: “Diciamo che era una domanda che avresti fatto meglio ad evitare… ecco.”
“Quella su come stanno i ragazzi?” chiese stupito Harry, ora libero da ogni intralcio. Guardando il figlioccio con aria quasi sconvolta, alzò una mano per grattarsi la testa, come per cercare di capire.
“Esatto.” Ted aveva una voce di tomba.
“Perché? Cos’hanno combinato?”
“Non lo so. Questo è il problema. Non lo so!” “Be’, non è mica colpa tua se non lo sai, Teddy! Insomma, a me fa piacere se ci butti un occhio a quello che ti raccontano, certo, ma non prenderla così seriamente, ecco… non come un dovere a tutti i costi, se ancora…”
Ma non terminò la frase. All’improvviso, prima di dirlo, capì.
Victoire non aveva più scritto.
“Capisco,” disse solo, mogio anche lui. “Vic non ha più scritto…”
“Esattamente,” sospirò Teddy.
“Oh, Teddy, lo sai che possono esserci mille e uno motivi per questo. Non ha tempo, ha paura di essere banale, ha paura che tu la sgridi perché lascia troppa libertà ai ragazzi, cose così. Ma non certo perché non voglia sentirti. Non pensare cose assurde!”
“Io non penso cose assurde. Io sono solamente realistico!”
Harry alzò gli occhi al cielo: “Teddy… tu lo sai già, vero, che tra me e Ginny non è mai stato tutto rose e fiori?”
“Sì, me lo avevi detto, ma cosa...”
“Cosa c'entra? Oh, c'entra eccome,” Harry gli sorrise, ma era quel sorriso che preannunciava perle di saggezza o spiegazioni illuminanti. Teddy lo conosceva bene. Per questo si tranquillizzò, e decise che valeva la pena mettersi ad ascoltare.
“Raccontami,” disse, d'improvviso impaziente, sedendosi sul divano del salotto con una certa fretta. Per qualche momento, Harry continuò a sorridere, divertito; si tolse le scarpe e sedette senza troppa attenzione sulla poltrona di fronte al divano, fissando Teddy con lo sguardo che il ragazzo preferiva. “Tra noi all'inizio è stato molto difficile. Ginny si è innamorata di me appena mi ha visto, quando io avevo undici anni e lei dieci; ma io non mi sono mai accorto molto di lei, finché... be', finché lei non ha iniziato a destare l'attenzione maschile di Hogwarts, quando io ero al quinto anno. L'estate tra il mio quinto e sesto anno l'abbiamo trascorsa per buona parte insieme – avevo bisogno di compagnia, aiuto e sostegno dopo la morte di Sirius. È stato allora che ho iniziato a vederla diversamente. Non più come la sorellina del mio migliore amico, ma come una ragazza. Ma lei era così corteggiata, e io ho iniziato a diventare così geloso... finché lei non ha liquidato, uno dopo l'altro, tutti i miei concorrenti, e mi sono deciso a baciarla...” al ricordo, Harry sorrise. “I dettagli te li racconterò un'altra volta, sono molto divertenti. In conclusione, ho scoperto che era stato tutta una trovata di Hermione, che aveva spinto Ginny a lasciarsi corteggiare per farmi ingelosire. E aveva anche funzionato... non è buffo? Hermione è meravigliosa nel dare agli altri il consiglio giusto, poi, quando si tratta di sé stessa... vorrei precisare che lei e Ron hanno tirato avanti la loro soap opera per un altro, lungo anno...” scoppiò a ridere, ripensando ai litigi di quei due imbranati. Poi, però, tornò serio, e sembrò rattristarsi: “Poi, però, la guerra si è fatta aspra, e ho dovuto lasciare Hogwarts per tentare di sconfiggere Voldemort... e stare lontano da Ginny.”
Teddy lo stava divorando con gli occhi. Harry riuscì a sorridere: “Tutto questo, per dirti che le faccende di cuore non sono sempre semplici. Anzi. La maggior parte delle volte sono molto, molto complicate. E soprattutto, le donne sono molto, molto complicate!” esclamò infine, ridendo. “Quindi, se Vic non ti ha più scritto, non pensare automaticamente che non le interessi. Quest'estate ha dato a credere tutt'altro, se vuoi il mio parere. Pensa solo che le donne sono complicate... e hanno sempre bisogno di tempo! Non chiedermi per cosa, perché non l'ho ancora capito. Prendilo come un assioma, e non farne una cosa troppo personale,” gli strizzò l'occhio con fare cameratesco. Teddy fece per rispondere, ma la porta si aprì, e voci femminili riempirono l'atrio. I due uomini si scambiarono sguardi d'intesa.
“Ecco che arrivano gli esseri complicati!” scherzò Harry a bassa voce. “Ora dobbiamo andare a omaggiarle, lo sai. Ma ne riparliamo!”
Teddy annuì, ed entrambi si alzarono, per andare incontro alle donne appena arrivate – Ginny, Lily e Hermione. Si sentiva sollevato, alleggerito. Ringraziò il padrino con uno sguardo eloquente, ma questi fece il gesto di dirgli che non doveva.
E tutti e due sui gettarono incontro agli “esseri complicati”.

Note finali:

Che nostalgia, eh?
Propongo un minuto di silenzio per i caduti dell'ordine (no, non sto scherzando, sono serissima).
E prometto che i prossimi capitoli saranno più allegri ^^
Allora, che ne dite del ritorno? Io sono emozioantissima!

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