Note al capitolo


Questa one- shot, che non so esattamente come mi sia venuto in mente di scrivere, si interseca con avvenimenti precedenti, che in teoria (ossia, se non perdessi tempo a scrivere one shots quando ho una long fic da finire) dovrei descrivere in Vanità, ma non è importante nè averla letta nè leggerla per capire questa. E' post HBP, e quanto agli spoiler ne contiene uno, dunque fate attenzione se non ne volete. Certo, un nome non è un grande spoiler, ma comunque vi ho avvisati. Il titolo l' ho preso in prestito da una canzone di Ryan Adams, ed eviterò di sbrodolare questo spazio con faccine adoranti e smielate al pensiero di lui e della sua chitarra, solo per farvi un fasvore...
Where do you go when you're lonely
Where do you go when you're blue
Where do you go when you're lonely
I'll follow you

When the stars go blue



Non è stato facile per nessuno, Bellatrix” dice stancamente Lucius, sedendosi sulla poltrona e assumendo quell’ espressione tipica di chi vuole terminare una discussione. Bellatrix resta in piedi, tremante di rabbia, gli occhi fissi in un’ espressione incredula.
Rabastan tace, i capelli sugli occhi, evitando accuratamente di non guardare nè l’ uno nè l’ altro. Non gli interessa cos’ hanno da dirsi, nè per cosa litighino, lui è lì solo perchè gliel’ hanno chiesto, o perchè ritiene che così debba essere.
Perchè sono stati loro a cominciare, vero? Noi non c’ eravamo allora e non abbiamo il diritto di esserci adesso.
Lucius si accende un sigaro, e tua moglie è ancora lì, che lo guarda, i pugni stretti. Vorrebbe ribattere, oh, io so bene quanto lo desidera. E’ che non sa cosa dire, non è più quella di una volta. Sa di essere fallibile adesso, sa che non sono più tutti disposti a darle ragione. Non ottiene più nemmeno quello che conquistava per sfinimento.
Rabastan la guarda e sembra avere un moto di pietà per lei. Si alza, le posa una mano su una spalla “Lascia perdere, Trix”, le dice, ed il suo tono non è spazientito, come sarebbe stato qualche anno fa, è compassionevole; lei lo detesta, sia il tono che tuo fratello, lo ha sempre detestato, per cui non mi stupisco che si scrolli infastidita la sua mano di dosso, per poi voltarsi e andarsene, sbattendo la porta con la rabbia di una bambina cui è stato negato un giocattolo.
Lucius tira un impercettibile sospiro di sollievo, mentre tuo fratello resta immobile, con quella sua vaga espressione di pietà mista a fastidio che si sente in dovere di assumere ogni volta che mia sorella cerca di imporre le sue idee.
Una volta non era così.
Tanti anni fa, quando loro tre si rinchiudevano in una stanza ne uscivano con delle idee, con delle soluzioni: ora ne escono sfiniti, rabbiosi, impauriti, impotenti.
“E’ tornato, dopotutto, abbiamo una speranza, perchè non volete capirlo?” sento urlare Bellatrix dalla stanza vicina.
Mio marito e tuo fratello si guardano e si capiscono. Non v’è molta speranza, in fondo, e mia sorella è solo una pazza che si rifiuta di comprendere quello che ormai è così ovvio.
Lucius non mi parla di queste cose, ma non significa che io non capisca.
“Tu e Draco siete una delle cose belle della mia vita -mi ha detto un giorno- è per quello che voglio tenervi lontani dalle mie preoccupazioni”
Raramente Lucius dice cose del genere, e quando le dice sono battute di una rappresentazione teatrale, del piccolo dramma di cui crede io abbia bisogno. Non intendo dire che non siano sentite, ma valgono meno di quanto sembra. Sono belle parole, a prima vista, ma sono crudeli, in fondo. Non ho forse promesso “ ‘nella gioia e nel dolore’ ?” Avrei preferito che fosse davvero così, condividere tutto con lui, le soddisfazioni, i bei momenti non mi bastano, non era questo che volevo essere per lui, non solo almeno.
Se fossi qui adesso mi guarderesti con quei tuoi occhi chiari, sfodereresti uno di quei tuoi sorrisetti beffardi, amari, e mi diresti “ ‘Prometto di esserti fedele sempre’, hai promesso anche questo Cissy” poi, forse, mi baceresti. O almeno, vorrei che lo facessi.


*************

Rodulphus Lestrange posò il giornale. Una volta lo leggeva solo perchè si era convinto che aggirarsi con il Daily Prophet gli desse un’ aria da uomo di mondo e andare a comprarlo, insieme ad un paio di pacchetti di sigarette, era un irrinunciabile rito mattutino per lui: in realtà, leggiucchiava i titoli della prima pagina, l’ oroscopo, dava un’ occhiata se qualcuno che conosceva era morto, si era sposato o aveva avuto un bambino e poi usava quel rispettabile quotidiano per riattizzare il caminetto.
Adesso era Lucius che gli procurava le sigarette, gli portava il giornale, e lui era costretto ad usare quello del giorno prima per ravvivare il fuoco e non risultare scortese.
L’ esodo da Azkaban era stata una faccenda piuttosto difficile da gestire. Certo, non che potesse lamentarsi: non pensava che sarebbe uscito vivo da lì. Ci aveva creduto i primi mesi, poi aveva iniziato ad avere dei dubbi, e dal dubbio era nata una sorta di rassegnazione cosciente, ma in cuor su non aveva mai smesso di sperare. Si dice che la speranza sia l’ ultima a morire ed è vero, vale persino ad Azkaban, malgrado i Dementors. Lo distruggeva non sapere come se la cavavano sua moglie e suo fratello, temere ogni giorno che non ce la facessero. Sentiva Bellatrix urlare cose sempre più insensate; all’ inizio era straziante, ma poi era diventato un sollievo: se urlava era viva. Aveva nutrito dei seri dubbi su Rabastan, invece. Si era persuaso di averlo perso: per quanto ritenesse incredbile che fosse proprio lui a soccombere, con quel suo carattere così pragmatico, con la sua sicurezza che sembrava quasi illimitata. Si era detto che ad averlo ucciso era stata quella smania di libertà che aveva sempre avuto, quella beata libertà di cui andava cianciando quando parlava di legami, sebbene Rodulphus non ci avesse mai creduto molto. Ma alla fine, Rabastan si era rivelato essere quello più in forze di tutti. Per Bellatrix, invece, sarebbe stata questione di giorni, forse di uno o due mesi, per quanto il tempo potesse avere una qualche valenza ad Azkaban. Tutto sembrava fermo, eppure i rintocchi del grande orologio del corridoio erano abbastanza forti da farsi sentire nelle celle, affinchè i prigionieri non potessero dimenticare nessuno dei secondi che trascorrevano lì dentro.
Rodulphus si stiracchiò: sapeva che Lucius e Rabastan -c’ era anche Bellatrix, certo- stavano discutendo di cose che riguardavano anche lui, ma qualunque cosa avessero deciso sarebbe andata bene. Comunque non l’ avrebbero ascoltato: e allora perchè sopportare la loro compagnia quando avrebbe potuto farne a meno?
Prese tra le due dita ossute una campanella d’ argento, e la fece trillare, sorridendo al pensiero di Narcissa che usava quel ritrovato edoardiano per chiamare l’ elfo domestico, e all’ aria severa che assumeva quando lo faceva, un’ espressione solenne che chiariva quanto sua cognata prendesse sul serio la dicotomia tra servi e padroni.
Ma questa volta, la dicotomia non fu rispettata. L’ elfo arrivò, ma era seguito da Narcissa.
“Puoi andare, Kiky” esordì gelida, e l’ elfo si dileguò.
“Rod..” improvvisamente, quel fiume di parole che fino ad un secondo prima le vorticava insistente nel cervello scomparve, lasciando dietro di sè solo polvere. Polvere ed un silenzio imbarazzante. La donna si torturò le mani.
“Lucius sa tutto”
Rodulphus corrugò la fronte. “Cosa sa, Cissy?”
“Di... di noi, Rod” sibilò lei.
“Ne sei sicura?” per quanto improbabile fosse, Lestrange non se ne stupì più di tanto.
Narcissa annuì, mentre due grosse lacrime andavano a rigarle il bel volto.
“Io non so come...” singhiozzò.
Rodulphus si alzò e si avvicinò a lei. “Non piangere, adesso, Cissy. Sono passati quindici anni...” lasciò la frase in sospeso. Cosa voleva dirle? Che un tradimento di quindici anni prima non avrebbe potuto incidere, oramai, sulla sua vita coniugale? Che se non l’ aveva lasciata allora non l’ avrebbe di certo fatto adesso? L’ avrebbe rassicurata, forse, ma lui non voleva rassicurarla. Voleva che lei smettesse di chiedersi cosa sarebbe stato se le cose fossero andate in modo diverso, voleva smettere di chiederselo lui stesso.
L’ avrebbe portata via? Avrebbe avuto il coraggio di portarla via a suo marito, a suo figlio piccolo? No, non l’ avrebbe fatto. Del resto, Narcissa amava Lucius con ogni fibra del suo essere, lo tradiva solo perchè la faceva sentire nulla più che un grazioso suppellettile da esibire alle feste.
L’ abbracciò, e la scrollò lievemente, per obbligarla a guardarlo. “Cosa ti ha detto, esattamente?”
Narcissa trasalì. Esattamente, non le aveva detto niente. Per l’ esattezza, Lucius ignorava bellamene la faccenda.
“Solo... solo che lo sapeva” disse.
“E tu cosa gli hai risposto?” Lei si scostò da lui, e si voltò, in modo da dargli le spalle. Credeva che avrebbe capito che gli mentiva.
“Cosa potevo dire?” tremava, mentre aspettava che lui le rispondesse. Sapeva che tutta quell’ assurda messa in scena che aveva orchestrato portava a quella domanda, che tutte le parole che avrebbe voluto dirgli ma che non era più riuscita a trovare volevano andare a parare proprio lì. Quanto era cambiato tra loro in quei quindici anni?
“Che è finita quindici anni fa”
Rodulphus si accorse subito di aver sbagliato. Si accorse che non era quella la risposta giusta. Cosa poteva dirle del resto?
La situazione era quella che era: lui era un evaso, ricercato in mezzo mondo, e lei era la moglie dell’ uomo che lo nascondeva, nonchè la sorella di Bellatrix. Non avrebbero potuto fuggire insieme, non avrebbero potuto godersi quel bel dramma familiare in santa pace e concedersi il lusso di occuparsene a dovere. Quindici anni prima, forse, avrebbero potuto farlo, se avessero voluto. Avrebbero potuto scappare, scannarsi in tribunale cn Lucius per l’ affidamento di Draco, dare scandalo, trasferirsi dalla madre di lui, in Francia, ed avere una nidiata di bambini adorabili. In effetti, non avevano mai pensato di fare una cosa del genere.
Guardando Narcissa, in quel momento, si sentiva come pietrificato. Da un lato, avrebbe voluto andar da lei e cercare di rettificare, di cancellare in qualche modo quello che aveva appena detto, dall’ altro, il suo sguardo era così carico di risentimento che gli faceva paura, tanto che avrebbe dato qualunque cosa per poter fuggire in giardino e convincersi che si trattava solo di un incubo. Non si sentiva così da tempi della scuola, colpevole ed impotente, quando Alecto l’ aveva beccato mentre baciava Bellatrix. Ma allora, aveva diciassette anni ed un unico chiodo fisso, che si chiamava Bellatrix Black e non Alecto Carrows, adesso era un uomo, il cui unico chiodo fisso era morire per cause naturali, e poteva, doveva, ma soprattutto voleva reagire.
“Narcissa, ti prego...”
“Non hai mai pensato a me, in tutti questi anni, vero? Non ti sei mai chiesto se mi mancavi, se passavo le mie giornate a piangere perchè mi avevano portato via il mio migliore amico, l’ unica persona che sembrasse capirmi...” Narcissa nascose il volto tra le mani curate e riprese a piangere, facendogli male più di quanto non gliene avessero mai fatto.
L’ uomo si avvicinò a lei, scostandole le mani dal volto, e la baciò. Era un bacio insolito, dal sapore conosciuto. “ Un ricordo è quanto possiamo permetterci” le disse.
Laa donna lasciò scivolare la mano che aveva stretto la nuca del cognato sul torace ossuto di lui, per poi ritrarla improvvisamete, quasi a volerlo allontanare.
“Non hai mai scelto tra me e Tix, vero?”
No. non aveva mai scelto tra lei e Bella.
Una volta Rabastan gli aveva detto che non sarebbe mai stato in grado di scegliere, perchè Narcissa e Bellatrix erano così diverse e complementari da risultare ugualmente indispensabili. ”Un po’ come sedersi a tavola e dover scegliere tra il cibo e l’ acqua. Uno ha bisogno di entrambi. Dovevi trovarti una donna diversa, Rod, una più malleabile, più eclettica...” meglio non ricordare il patetico panegirico di Rabastan sulla donna ideale di Rod, un’ unica, fantomatica donna che nemmno il vecchio Rusty, comunque, era mai riuscito a trovare. Ma su una cosa aveva ragione: le desiderava entrambe in egual misura.
”L’ unica fortuna che hai, Rod - aveva continuato suo fratello- è che hai scelto prima di renderti conto che c’ era un’ altra possibilità”. E anche su questo aveva ragione: aveva già sposato Bellatrix. Ma non per questo aveva rinunciato a Narcissa, allora. Perchè lo stava facendo adesso? Erano le circostanze, a decidere, non lui. E Narcissa, quale sarebbe stata la sua scelta?
“Tu non avresti comunque scelto me” disse.
E così, è finita pensò amaramente, e chinò la testa. Il guaio era che nessuno dei due desiderava realmente che finisse. Narcissa cercò lo sguardo dell’ amante, ma poteva scorgere solo le sue folte ciglia scure che ombreggiavano le iridi chiare. Aveva messo in scena quella farsa perchè non poteva attendere ancora di chiarire ciò che c’ era in sospeso fra di loro, ma adesso non avrebbe voluto averlo fatto. Avrebbe voluto potersi crogiolare ancora un po’ nella dolcezza dell’ illusione che quindici anni potessero non aver cambiato le cose. Ma adesso lui era lì e non voleva guardarla negli occhi, e lei sapeva bene perchè. Sprofondò nella poltrona, incapace di sostenere il peso di quella ridondante verità, mentre i cocci del suo teatrino andavano a frantumarsi sul suo gelido, costosissimo pavimento di marmo.

End

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