.: Tededa :.


S
i dice che quando un uomo muore, veda davanti a sé la propria vita come se fosse al cinematografo. Ed è vero. Ora che la Tededa sta affondando, rivedo la mia vita. E non importa quanto Frank e Max s’impegnino a pompare l’acqua dalla stiva, non importa quanto io cerchi di mantenere la rotta e di arrivare in porto: il mare ha deciso che oggi si riprenderà le vite cui ha provveduto per quarantadue anni.
Le onde sono come muri d’acqua che si abbattono sul peschereccio, e non esiste incantesimo che potrebbe salvarlo. Certo, potrei disapparire e comparire tutto fradicio in salotto, inzaccherando d’acqua il pavimento appena lavato, ma come posso abbandonare i miei amici, i miei colleghi? Come potrei affrontare le loro famiglie, sapendo di essere fuggito? E come potrei affrontare te, Andromeda? E tu, Nimphadora, cosa penseresti di tuo padre?
Io non sono un cuor di leone, sono solo un mago mediocre e un pescatore che lavora sodo. E sono un marito che ama sua moglie e un padre pronto a tutto per sua figlia. Sono solo un uomo che fa il proprio dovere.

Fu per senso del dovere, che i miei genitori decisero che era meglio per me andare a Hogwarts, nonostante questo significasse un paio di braccia in meno durante il weekend ed un pescato meno abbondate –perché fino ad allora non sapevamo perché ogni volta che aiutavo mio padre, le nostre nasse traboccavano d’aragoste.
E penso che fosse per questo motivo che fui smistato in Hufflepuff: non possiedo il coraggio dei Gryffindor, né la sete di sapere dei Ravenclaw o l’ambizione degli Slytherin. E mi sentivo spaesato in quel mondo così diverso da quello in cui ero cresciuto, con tutte le sue parole difficili e le sue regole incomprensibili: era facile ignorarmi, perché preferivo essere ignorato, perché il mio pensiero non era mai sul topo da trasfigurare in tazzina o la piuma da far volare, ma andava al mare alla barca e a tutto quello che avevo lasciato dietro di me e che desideravo.

Ed ecco, proprio come in un film, rivedo la prima volta che ci siamo parlati.
Io già ti conoscevo, Andromeda, osservavo con invidia le tue maniere raffinate, la tua abilità con la bacchetta. E le tue mani, bianche e delicate, avvezze a stringere posate d’argento e ad essere protette dal gelo invernale da caldi guanti. Mani diverse da quelle di mia madre, che avevano a che fare con una casa da accudire e otto figli da allevare. Mani diverse da quelle di mio padre, rese ruvide e callose dalla salsedine e dalle cime.
Non so come il discorso cadde su quell’argomento, non so chi mi diede il coraggio di esprimere il mio parere, ma lo feci: ti voltasti verso di me, quasi stupita, poi sorridesti.
“Sai, non l’avevo mai considerato sotto questo punto di vista,” mi dicesti.
E poi… poi tutto fu così strano: iniziasti ad aiutarmi con le lezioni, i compiti. Mi chiedevi ripetutamente del mondo Muggle, di come riuscissero a vivere senza magia: ricordo il tuo viso estatico, gli occhi che ti brillavano, meravigliata come un bambino che scopre il mondo.
Ed io non potevo fare a meno di guardarti, di chiedermi cosa, oltre alla curiosità e alla solidarietà fra compagni di Casa, ti spingesse a concedermi la tua compagnia. Ed io… io facevo tutto il possibile per non illudermi, perché nonostante tutto io ero solo un pescatore d’aragoste e tu… tu eri una Black.
Eri così bella per me, rotondetta e paffutella, i capelli ricci e castani, gli occhi nocciola: quante volte ti ho sentito definirti grassa, lodando le armonie di tua sorella maggiore, e con un pagliaio in testa e degli occhi anonimi, descrivendo l’algida bellezza di tua sorella minore.
Poi sorridevi, un po’ orgogliosa. “Però io sola assomiglio alla nonna Davan.”

Era fine maggio, poco prima dell’inizio delle O.W.L.s: mi aiutavi a ripassare il programma d’Incantesimi, all’ombra dei salici che si specchiavano nel lago. Avevo allontanato il libro da me. “Che tutti questi paroloni? Non mi servono a niente!” sbuffai.
“Sbagli: n’abbisogni perché sei un mago, ed i maghi usano gli incantesimi per fare le cose,” rispondesti dolcemente.
“Allora io sarò il primo mago che non li userà, Miss Black.
“Voglio dire, l’anno prossimo non tornerò, mio zio mi ha trovato un lavoro su un grosso peschereccio: lo so che la pesca in alto mare è diverso dal pescare aragoste, ma è un buon lavoro e fra due o tre anni avrò abbastanza soldi per comprare una barca, la mia barca.”
“Non è il momento di sognare ad occhi aperti, Tonks,” dicesti ridendo, porgendomi il libro d’Incantesimi. “ricorda che stiamo studiando.”
Feci spallucce e mi stesi sull’erba. “Non ne vedo la ragione, Miss Black. E poi sono arcisicuro che non prenderò neanche un O.W.L.
“È che non so proprio come chiamare la mia barca. Sapete, Miss Black, una barca senza nome porta sfortuna, per questo voglio un nome davvero speciale.”
Non dicesti nulla, sospirasti appena e tacesti per qualche minuto. “Tededa,” dicesti infine.
“Tededa?”
“Sì, non è un nome adorabile per una barca?” rispondesti con uno dei tuoi sorrisi. “Ed ora, a studiare.”
“No, aspettate!” esclamai. “Che razza di nome è tededa? Non è neanche una parola!”
“Sì che lo è. In verità, sono due parole.” Mormorasti appena, chinandoti verso di me e tracciando le lettere sul mio petto col dito. “Ted e Andromeda, Tededa.”
Le tue labbra erano dolci e morbide sulle mie quel bacio –il nostro primo bacio- sembrò durare per sempre.

Se l’anno seguente tornai a Hogwarts, fu solo per te, e così l’anno seguente: eravamo felici, nel nostro amore clandestino di cui tutti, in Casa Hufflepuff, ne erano a conoscenza, pure il Frate Grasso. Ti ricordi i suoi ammonimenti, Andromeda? Ti ricordi quante volte ci aveva fatto una predica sull’amore e la santità del matrimonio?
E ti ricordi quella volta che litigammo, ma proprio di brutto, perché i tuoi genitori volevano che tu sposassi il cognato di tua sorella maggiore? Quando lo seppi, ero talmente furioso che ti accusai di usarmi, che per te non ero altro che un diversivo, un passatempo per dimostrare alla tua famiglia che potevi fare quello che volevi. Siamo entrambi dei gran testoni, vero?
Per quanto tempo ci tenemmo il broncio? Per quanto tempo non ci scambiammo una parola, neanche in classe? E come si disperavano gli altri, perché li costringevamo a farci da messaggeri! Mi ricordo, che quando ci fu la gita a Hogsmeade, tu ci andasti con Rabastan Lestrange, solo per il gusto di farmi un dispetto.
E poi… poi quella sera venisti da me, con le lacrime di rabbia che ti arrossavano il viso e gli occhi.
“Lo odio lo odio lo odio!” ripetevi fra i singhiozzi. “Solo perché sono una Hufflepuff, questo non gli da il diritto d’insultarmi! Chi si crede di essere, quello stupido di un Lestrange?
“Come… come possono i miei genitori farmi questo? Come possono essere così ciechi da pensare solo al buon nome, a non vedere oltre? Sono mia madre e mio padre, dovrebbero avere a cuore la mia felicità!
“Io… io amo il padre del mio bambino, perché non vogliono capirlo?”
Quelle parole mi fecero sentire come se l’insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure in persona mi avesse lanciato un Pietrificus Totalis.

Non avevamo molto tempo a nostra disposizione, perché tua sorella si sarebbe sposata a luglio ed i tuoi genitori avrebbero approfittato dell’occasione per annunciare il tuo, di fidanzamento. Ci ridevamo su, fingendo sorpresa per questa dimostrazione di taccagneria dei Black e dei Lestrange.
M’impegnai con tutte le mie forze per prendere la licenza d’Apparizione, perché era il modo più economico per raggiungerti, e poco m’importava se poi avrebbero potuto seguire le nostre tracce. Anzi, sarebbe stato perfetto, perché si sarebbero messi da soli davanti al fatto compiuto.
La sera prima della consegna dei diplomi, ci presentammo da padre Merrin e gli chiedemmo di sposarci: ricordo la faccia che fece, mentre ci ascoltava? E tu quasi scoppiasti a ridere quando ci disse che non potevamo fare una cosa del genere, e di nascosto alle nostre famiglie per giunta. Ci scambiammo un’occhiata complice.
“Ce ne spiace, padre, ma noi tre non possiamo più aspettare.”
E a quelle parole pareva che avesse ingoiato un rospo vivo.
Una volta tornati in Sala Comune, non fu solo la fine della scuola che festeggiammo, perché i nostri cari Compagni di Casa ci avevano aiutato in quei due mesi: Danielle Lovejoy, la Caposcuola, ci cedette la sua camera quella sera.
“Ragazzi, non pretenderete che una coppia sposata trascorra la sua prima notte di nozze in un dormitorio! Abbisognano di intimità,” aveva esclamato con un gran sorriso.

I giorni che seguirono furono pieni di ansia: io riuscii ad avere la licenza solo al secondo tentativo –se avessi fallito ancora, tutti i nostri piani sarebbero andati a monte- e tu dovevi fare il possibile per tenere nascosta la gravidanza ai tuoi. E poi il giorno tanto atteso giunse.
Faticai molto per raggiungerti, non ero mai Apparso per distanze troppo lunghe e non consecutivamente, ma alla fine riuscii ad arrivare alla villa dei Lestrange, dove stavate festeggiando le nozze di tua sorella. Il sole si avviava al tramonto, quando arrivasti: fulgida e splendida, con ancora indosso il vestito da damigella d’onore, le spalle coperte dal mantello da viaggio. Mi abbracciasti di slancio, baciandomi con passione, mormorandomi quanto ti ero mancato.
La gravidanza interferiva con la tua magia e per arrivare in Gran Bretagna impiegammo più tempo del previsto, ma non c’importava, non c’importava: eri mia moglie, la madre del mio bambino. Eri mia, e questo mi bastava.
Arrivammo nel mio villaggio che era già sera, e tu ridevi, felice, con gli occhi che ti brillavano come le stelle in cielo, assaporavi l’aria profumata di mare: ti cinsi le spalle con il braccio e camminammo lungo il molo, ti mostrai la Tededa.
“Il nostro nido d’amore, almeno finché non avrò abbastanza soldi per comprare una casa,” ti dissi.
Tu insistetti per conoscere la mia famiglia, tanto eri impaziente di iniziare la tua nuova vita quanto lo ero io di restare solo con te. Alla fine cedetti, e percorremmo la stradina tortuosa, ridendo, incuranti degli sguardi curiosi della gente, che si chiedeva chi fosse la raffinata ragazza abbracciata al pescatore d’aragoste.
“Ted Tonks! Si può sapere dove cavolo sei stato per tutto il giorno?!” e ti ricordi che faccia fece mia madre, dopo questo cordiale bentornato, quando ti vide?
“Mamma, ti presento Andromeda, mia moglie.”
Era così surreale, quella scena: una Black nella cucina di una famiglia di pescatori d’aragoste.
Mia madre mi fece una bella strigliata, quella sera, mentre con te era così impacciata: non aveva mai incontrato una vera strega, né tanto meno una lady come te. I miei fratelli e le mie sorelle ti studiavano curiosi, come se fossi qualcosa d’esotico.
Il giorno seguente i tuoi genitori ti mandarono un’Howler coi contro fiocchi, ma tu facesti spallucce e l’ignorati: eri Andromeda Tonks, e non saresti tornata indietro.

Per te fu faticoso abituarti al mio stile di vita, a non avere elfi domestici pronti ad obbedire al tuo comando; spesso eri imbarazzata, perché quello che avevi imparato durante le lezioni di Studi Muggle era solo una piccola parte della nostra quotidianità. Mia madre cercava di aiutarti, nonostante fosse sempre un po’ impacciata quando eri con lei. Ma tu eri testarda, e non ti lasciavi abbattere dalle difficoltà.

E poi arrivò la nostra Nimphadora.
Non dimenticherò la prima volta che l’ho presa in braccio: era così piccola, delicata, avevo paura di farle male con le mie mani ruvide e callose. Mi sentivo l’uomo più felice del mondo.
Festeggiammo il suo terzo compleanno nella nostra casa, che ero riuscito a comprare a costo di enormi sacrifici. Ma era nostra, il nostro nido d’albatro.
La nostra era la vita di ogni coppia: ci amavamo, litigavamo, non ci parlavamo per giorni, ma poi facevamo la pace, sempre. E come ti arrabbiavi, quando facevo piangere la nostra bambina, facendole vedere un’aragosta viva.
“Ted Tonks, lo sai che Nimphadora ha paura delle aragoste! Smettila di spaventarla!” mi rimproveravi, mentre fra le braccia cullavi il nostro tesoro in lacrime.
Fu in una di queste occasioni che scoprimmo che la nostra bambina era un Metamorphomagus, e quel giorno fosti tu a scoppiare in lacrime, e piangesti anche il giorno in cui ricevette il gufo da Hogwarts. E quando ricevette ben sette O.W.Ls. e quando si diplomò con degli ottimi voti. E quando fu ammessa all’Accademia per Auror: com’era radiosa, la nostra Nimphadora, il giorno del giuramento, splendida nella sua uniforme, il viso illuminato dal sorriso che aveva ereditato da te, come le fossette sulle guance.
Eravamo sempre in apprensione per quella che consideravamo ancora la nostra bambina, perché l’Oscuro Signore era tornato, perché tua sorella Bellatrix era di nuovo libera e tremavi al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere se si fossero trovate ad affrontarsi in battaglia. Ogni volta che Nimphadora tornava a casa, le preparavi il suo piatto preferito, la ricoprivi di ogni attenzione.

La Tededa affonda, amor mio, mio tesoro, l’acqua mi riempie i polmoni, non riesco a respirare, una cima mi tiene legato alla Tededa. Cerco di liberarmi, non riesco a resistere più di così, non ce la faccio. Perdonami Andromeda, per questo dolore. Perdonami Nimphadora se non potr
















Il corpo di Ted Tonks fu ritrovato dopo tre giorni, assieme a ciò che restava della Tededa.

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