Note alla storia
Autore/data: Ida59 – 10/21 agosto 2014
Beta-reader: nessuno
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Genere: drammatico, introspettivo
Personaggi: Severus, Silente, Tobias ed Eileen Piton
Pairing: Severus/Lily
Epoca: fine 6° anno
Avvertimenti: missing moments
Riassunto: Alcuni momenti salienti della triste esistenza di Severus Piton, quando la sua vita ha subito dei particolari mutamenti.
Parole/pagine: 3.984 parole, 10 pagine.
Nota 1: storia scritta per l’iniziativa “Il padre di Severus... Tobias o Silente?”
nell’ambito della Severus House Cup del Forum “Il Calderone di Severus”.
Le parole richieste (grotta, buio e sale) sono segnalate in grassetto alla fine della prima pagina ed all’inizio della seconda.
L’aveva fatto.
Era davvero riuscito a farlo.
Aveva ucciso Albus straziando la propria anima con la più acuta e profonda delle lacerazioni.
Aveva ucciso Albus, l’uomo cui voleva bene come ad un padre, anche se non glielo aveva mai detto.
Era ancora attonito, incredulo, sgomentato dalla propria terribile capacità di uccidere.
Albus era morto, scaraventato giù dalla torre di astronomia in un orrido lampo verde e lui, il traditore assassino, era ancora vivo, il cuore che nonostante tutto batteva, ligio al tremendo dovere imposto, torturato dal dolore di un rimorso che non avrebbe mai avuto fine per essere riuscito ad obbedire all’ultimo, agghiacciante ordine del suo unico amico.
Aveva portato Draco al sicuro consegnandolo personalmente nelle mani trepidanti di Narcissa, l’orrendo Voto compiuto fino in fondo; aveva visto chiaro nelle iridi azzurre della strega il sollievo per il figlio, ancora miracolosamente salvo, nel corpo e nell’anima, ma aveva capito altrettanto bene che la moglie di Lucius era riuscita a leggere la disperazione nel nero cupo e profondo dei suoi occhi. L’aveva compreso da quell’abbraccio tremante, da quel grazie sussurrato dall’intimo del cuore, da quelle calde lacrime che raccontavano parole dell’anima che non potevano in alcun modo essere pronunciate.
Era scappato via da Narcissa con rude urgenza, il volto pallido rivolto a terra, i lunghi capelli neri a nascondere un dolore che non doveva essere mostrato, ma che era stato compreso fino in fondo.
Poi si era dovuto recare da Voldemort, ad inchinarsi e a baciare l’orlo di tenebra della veste di chi ancora s’illudeva d’essere il suo padrone.
Aveva oscenamente brindato alla morte dell’unica persona che aveva saputo credere in lui ed era stato osannato come il primo ed il più grande dei Mangiamorte, mentre stringeva i denti in un ghigno ributtate che gli distorceva i lineamenti pallidi come un morto, cercando spasmodicamente di non vomitare davanti a tutti la sua straziante sofferenza.
Era stato tremendamente difficile, quasi come uccidere Albus un’altra volta.
Ed ora Severus era lì, finalmente solo e lontano da tutti, rintanato nel profondo di quella grotta gelida anche nel mese di giugno; il mago tremava, inginocchiato a terra e stretto nel suo mantello, mentre si confrontava con il buio infinito della propria anima di nuovo lacerata con inaudita violenza dalle parole di morte pronunciate contro Albus..
Piangeva, finalmente.
Piangeva di nuovo, dopo tanto tempo.
Piangeva, disperato, tutto il suo atroce dolore per la perdita del suo unico amico, così come sedici anni prima aveva inconsolabilmente pianto la perdita del suo solo amore.
E di entrambi lui solo era stato l’imperdonabile e spietato carnefice.
Le lacrime scendevano silenziose e cocenti sul suo volto e si mischiavano con il sangue rappreso intorno ai profondi graffi infertigli dall’ippogrifo; le gocce scendevano copiose e pesanti lungo i segni delle unghiate, gonfie del suo atroce dolore, e scioglievano i grumi cadendo a terra come macabre lacrime di sangue, sale bruciante per la ferita tremenda che aveva appena inferto alla propria anima.
Lacrime inutili, ancora una volta, che, ora proprio come allora, non potevano lavare via le sue orribili ed imperdonabili colpe né cancellare i suoi crimini; che, però, un tempo gli erano stati condonati, proprio grazie alle parole di Albus, che, del tutto inaspettatamente, aveva dimostrato di credere in lui, fino in fondo.
E la sua vita da quel momento era cambiata.
Ma ora lo aveva spietatamente ucciso, e nessuno più avrebbe ancora potuto credere in lui. Nessuno di coloro a favore dei quali aveva sempre lottato e per i quali avrebbe ancora continuato a rischiare la vita, giorno dopo giorno, anche se ora lo odiavano e lo chiamavano traditore. Della fiducia degli altri, invece, di quelli che lo chiamavano amico e compagno, non solo non gli importava nulla, ma proprio gli ripugnava.
Di nuovo un improvviso conato di vomito lo assalì ed il suo stomaco, ormai del tutto vuoto, si contorse inutilmente un’altra volta.
Era del tutto e definitivamente solo, ma aveva ancora il suo dovere da compiere, e lo avrebbe svolto, sino in fondo, proprio come aveva promesso ad Albus, a qualsiasi costo. Sarebbe stato ancora più difficile di prima, ma era disposto a fare qualunque cosa per mantenere la sua promessa; doveva stare attento a non commettere passi falsi: un solo errore davanti all’Oscuro Signore ed aver ucciso Silente non lo avrebbe salvato da una morte atroce. E se fosse caduto nelle mani di coloro ai quali andava la sua vera ma celata lealtà, nessuno sarebbe mai intervenuto a difenderlo come Albus un tempo aveva fatto, stupendolo profondamente con la sua incredibile dimostrazione di fiducia.
Perché Albus era morto e lui ne era stato l’orrido assassino.
E la sua vita sarebbe di nuovo tremendamente cambiata, il baratro infernale a spalancarsi di fronte a lui.
Eppure, proprio in quell’istante, immerso nella silenziosa e gelida oscurità di quella grotta, Severus si ritrovò nel passato, nel giorno in cui la sua vita era cambiata ed erano nati la fiducia e l’affetto per l’uomo che aveva appena ucciso.
*
Da giorni era ormai rinchiuso in quella cella angusta e fredda di Azkaban, dalle ruvide pareti che trasudavano umidità marcia e dove la luce del giorno arrivava solo per una manciata di minuti, troppo pochi per percepirne il prezioso tepore e per riuscire a ricordarla fino al giorno successivo e superare la notte densa di incubi e disperazione.
Aveva freddo e fame e sete.
Aveva paura… e non aveva neppure ventidue anni.
Eppure era già un assassino in attesa della giusta condanna.
Era un odiato Mangiamorte in attesa di un veloce processo sommario il cui verdetto era stato già scritto a priori, senza alcuna incertezza.
Era un giovane uomo che aveva tremendamente sbagliato ed aveva perduto tutto, anche ciò che non aveva mai avuto.
Era un essere umano disperato che voleva solo pagare fino in fondo per le sue colpe.
Il suo solo, vero desiderio, ora che aveva perduto Lily, era l’oblio della morte.
Il suo grande timore, invece, era di essere condannato a restare lì a marcire per anni, seguendo un percorso di pentimento e redenzione che era già ampiamente avvenuto, i suoi rimorsi a torturarlo con perfida crudeltà ancora più a fondo di quanto potesse fare un intero esercito di Dissennatori.
Di loro, soprattutto, Severus aveva paura: un folle terrore che gli portassero via quei pochi ricordi felici che aveva, lo smeraldo dei suoi occhi e le rosse fiamme dei capelli della sua Lily. E il suo sorriso di bimba, dedicato solo a lui, mentre gli stringeva piano la mano nella loro radura e parlavano dello splendido futuro che li attendeva a Hogwarts. Quel futuro sognato insieme e che lui aveva invece ucciso con la sua folle scelta sbagliata. Uccidendo anche lei.
Ma il potente Silente gli aveva promesso di aiutarlo in cambio di tutto ciò che per oltre un anno aveva fatto a favore dell’Ordine della Fenice nel suo rischioso ruolo di spia doppiogiochista, la sua vita in bilico su un filo sottile sospeso sul baratro.
L’autorevole capo dell’Ordine della Fenice gli aveva detto di stare tranquillo e di fidarsi di lui. Che lo avrebbe tirato fuori da Azkaban.
Ma il giovane Severus non poteva credere a quella promessa, non riusciva ad abbandonarsi a quella che sapeva essere solo un'altra dolorosa illusione: nessuno aveva fatto mai niente per lui, neppure sua madre.[1] Anche se le sarebbe bastato solo impugnare la bacchetta per fermare l'ira ubriaca e violenta di suo padre. Ma non l'aveva mai fatto: si lasciava picchiare e prendere a male parole, finché non arrivava anche il turno del figlio e allora restava a guardare in un angolo torcendosi le mani e singhiozzando piano su un amore che la magia aveva distrutto. Mentre i lividi proliferavano dolorosi sul suo corpo, il piccolo Severus non si era mai reso conto di quale fosse il potere racchiuso in quel pezzo di legno che sua madre conservava nascosto in fondo ad un baule come se fosse il tesoro più prezioso al mondo, e che ogni tanto osservava in silenzio, quasi senza nemmeno osare sfiorarla, le lacrime che le scendevano lente e gonfie di rimpianto sulle gote scavate e tumefatte. Solo più tardi Severus aveva capito cosa si poteva fare con una bacchetta in mano; ma se neppure sua madre, che poteva farlo, l'aveva mai aiutato, perché mai ora avrebbe dovuto farlo proprio il grande Albus Silente?
La porta si aprì cigolando sui cardini con un lamento sgraziato che strappò il giovane mago dai suoi tristi ricordi: finalmente erano venuti a prenderlo per portarlo nell'aula dove sarebbe stato condannato.
La sala sotterranea era molto grande, illuminata solo da lugubri torce sorrette da bracci infissi nei muri di pietra. Vi erano molte panche disseminate a varie altezze lungo le pareti, ma solo un piccolo gruppo di maghi e streghe vi era seduto cosicché la maggioranza dei posti era vuota e conferiva all’ambiente un’aura ancor più cupa e inquietante. Vi regnava un silenzio glaciale alimentato anche dai Dissennatori.
L'alito putrido di quegli esseri ghiacciava l'aria davanti al suo viso e Severus, scosso da brividi di freddo, cercò di voltarsi per sottrarsi alla stretta di quelle mani putrefatte che stringevano le sue braccia e lo strattonavano rudemente spingendolo verso il centro della stanza; con la gamba urtò qualcosa e si girò di scatto.
Una sedia troneggiava al centro della segreta, il punto dove tutti stavano guardando fisso, e delle catene pendevano dai suoi braccioli. Il gelido fetore dei Dissennatori lo raggiunse di nuovo alle spalle e, senza sapere come, il giovane mago si trovò seduto: le catene scintillarono d’oro all’improvviso e cominciarono a strisciare lungo le sue braccia immobilizzandolo.
Severus si guardò intorno, spaventato: Albus Silente era là, immobile, seduto sulla prima panca; era l’unico degli astanti che non lo stava osservando, l’acuto sguardo azzurro fisso verso un palchetto sul cui ripiano Barthy Crouch batté con decisione il martelletto:
- Severus Piton, - annunciò con voce asciutta, - ti trovi davanti al Tribunale della Legge Magica per essere giudicato per i crimini efferati che ti sono stati ascritti quale Mangiamorte al servizio di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.
Il silenzio si fece ancora più gelido e gli sguardi di tutti i presenti erano fissi su di lui, colmi di disgustato disprezzo; Severus ebbe un tremito e abbassò il capo, i lunghi capelli neri a coprirgli in parte il volto pallido.
- Il Wizengamot è stato convocato in seduta ristretta, senza pubblico né giornalisti, su espressa richiesta del suo Presidente, Albus Percival Wulfric Brian Silente, che ha preannunciato importanti rivelazioni.
Severus sollevò di nuovo il giovane volto in uno spasimo di speranza, ma Silente continuava a fissare Crouch, del tutto impassibile, confermando al giovane mago l’ovvia considerazione che era inutile riporre in lui alcuna speranza. Era già stato condannato a priori e presto i Dissennatori l’avrebbero riportato ad Azkaban per non uscirne mai più… vivo. Silente lo aveva sfruttato a fondo come spia ottenendo da lui la fedeltà più assoluta a rischio della sua stessa vita, ma poi non aveva mantenuto la sua promessa di proteggere Lily, così come ora non avrebbe mantenuto la promessa di tirarlo fuori da Azkaban. Del resto, se neppure sua madre l’aveva mai aiutato, perché il grande mago avrebbe mai dovuto farlo?
Severus abbassò di nuovo il capo, nauseato da se stesso che, ancora una volta, si era lasciato catturare dall’illusione che qualcuno potesse, e volesse, aiutarlo. Che qualcuno avesse fiducia in lui…
Abbassò del tutto il capo, rassegnato, i lunghi capelli neri a coprirgli interamente il volto ove ogni luce di speranza si era completamente spenta. Voleva solo morire, e si augurò che la cosa avvenisse presto. Non ascoltò nemmeno le parole di Crouch: non voleva sentire l’elenco dei suoi orribili crimini, non voleva ricordare e rivivere le sue imperdonabili colpe. Le ricordava fin troppo bene…
Poi, l’impossibile avvenne.
La voce di Albus Silente raggiunse i profondi recessi della mente in cui Severus si era rifugiato per non rivivere le atrocità che aveva commesso. Albus Silente aveva preso con decisione la parola in sua difesa, in difesa di quel giovane Mangiamorte che era stato disposto a qualunque cosa per salvare il suo amore, e che aveva fatto qualunque cosa il grande mago gli avesse ordinato. Qualunque cosa.
Incredibilmente, Albus Silente aveva mantenuto la sua promessa e lo stava difendendo a spada tratta, mettendo in gioco tutto il proprio potere e facendosi addirittura garante per lui davanti ai più alti esponenti del Wizengamot.
Severus sollevò il capo di scatto, sbalordito dall’impossibile accadimento, gli occhi profondamente neri nel volto pallido più che mai: Silente lo stava fissando con quelle sue iridi intensamente azzurre e luminose… e gli sorrideva.
Gli sorrideva come suo padre non gli aveva mai sorriso.
Incoraggiante.
Pienamente fiducioso in lui.
- Severus Piton, questo tribunale ti assolve, - affermò cupo Crouch, - perché lo stesso Albus Silente si è fatto garante per te. Ricordalo!
Le catene si sciolsero in un bagliore dorato lasciandogli libere le braccia, mentre Silente continuava a sorridergli, paterno, assentendo nella sua direzione e mostrandogli la sua bacchetta, simbolo di libertà e di riammissione nel mondo della magia.
In un attimo l’ambiente nella sala sotterranea era cambiato: il gelo dei Dissennatori era svanito insieme alla loro presenza e gli sguardi dei giudici non gli sembrarono più così tetri e severi.
Era stato assolto, grazie alla parola di Silente, ed era libero.
Libero di vivere, nonostante le sue imperdonabili colpe.
Crouch gli aveva intimato di non dimenticare il gesto di Silente, ma Severus non avrebbe mai potuto dimenticare l’istante in cui il vecchio mago gli aveva dimostrato di avere fiducia in lui, così tanta fiducia da spendere la propria parola ed il proprio nome, facendosi addirittura garante di un reo confesso dei suoi turpi delitti.
*
E la sua vita da quel momento era cambiata.
Così come erano completamente cambiati i rapporti con Albus.
Negli occhi azzurri del mago dai capelli d’argento aleggiava una quieta comprensione, come se fosse in grado di comprendere le sue colpe ma, soprattutto, di condividere fino in fondo lo straziante dolore del suo profondo rimorso per aver causato la morte di Lily. Solo dopo molti anni Severus aveva compreso che quel rimorso un tempo era stato anche di Albus…
In quella comprensione ed in quella condivisione, Severus aveva letto anche il perdono che mai sarebbe riuscito a concedersi; ma era bello sapere che quel grande stregone aveva perdonato i suoi giovanili errori. Ed anche in questo caso, il mago aveva scoperto solo molti anni più tardi il perché di quella propensione al perdono…
Ma, ben più forte della comprensione e del perdono, nei sereni occhi azzurri del preside brillava la fiducia per quel giovane che aveva così tanto sbagliato, e così tanto sofferto per gli errori commessi.
Nacque lentamente, senza neppure che Severus se ne accorgesse, fino al giorno in cui il giovane mago si trovò a pensare al vecchio come ad un padre: un padre esigente ma affettuoso, anche se Severus continuava a rifuggire da ogni dimostrazione di affetto del preside, che ancora non riusciva a credere di meritare, non lui, così tremendamente colpevole.
Eppure, alla fiducia ed all’affetto di Silente presto corrisposero la fiducia e l’affetto del giovane mago per l’uomo che aveva creduto in lui e gli aveva offerto una seconda possibilità di vita. E quella vita Severus l’aveva pienamente dedicata alla propria redenzione: sotto la guida attenta e sicura di Albus aveva intrapreso il lungo e doloroso percorso di espiazione sulla via di un perdono già ottenuto ma che il giovane mago voleva meritare fino in fondo.
Solo allora avrebbe accettato l’abbraccio del padre, solo allora l’avrebbe ricambiato con l’abbraccio colmo di riconoscente affetto del figlio.
Invece lo aveva ucciso.
Aveva ucciso l’unico uomo che aveva creduto in lui, che gli aveva sempre dimostrato la sua fiducia, che aveva creduto perfino all’innocenza della sua anima.
Suo padre, invece, il suo vero padre, l’aveva non solo condannato a priori e senza appello, ma aveva addirittura rinnegato il suo stesso sangue a causa di quella magia che lo animava e di cui aveva terrore perché non riusciva a capirla e, quindi, ad accettarla.
Albus aveva testimoniato davanti a tutti la sua inesistente innocenza, se ne era addirittura fatto garante in prima persona e gli era sempre stato vicino concedendogli piena fiducia; suo padre aveva condannato la sua ingenua innocenza e lo aveva abbandonato lasciandolo crescere da solo, senza alcuna guida.
E i ricordi di nuovo lo assalirono.
*
Quel pomeriggio sua madre sorrideva felice e il piccolo Severus undicenne la trovava bellissima in quel momento, perfino più bella della mamma di Lily.
Erano stati tutto il giorno a Diagon Alley, di nascosto dal padre, ed avevano comprato tutto quanto gli era necessario: i libri che Eileen non poteva passargli usati dai suoi anni di scuola, le divise e il cappello a punta da mago. Certo, era tutta roba usata anche quella, ma per Severus era tutto bellissimo ed era felice come non era mai stato in vita sua.
Nella sua piccola cameretta il vetusto baule di sua madre già conteneva un vecchio paio di guanti di protezione: erano sdruciti e lisi e c’era perfino un piccolo taglio di lato, ma era pur sempre pelle di drago di prima qualità che la famiglia Piton non avrebbe potuto permettersi, neppure se usata. Lo stesso valeva per il mantello invernale di calda pelliccia, seppure un po’ spelacchiata, con gli alamari d’argento che Eileen aveva lustrato a fondo e sui quali brillava lo stemma dei Prince con la grande P in rilievo: perfetti anche per il piccolo Piton, per fortuna!
In un angolo del baule, imballati e ben protetti c’erano il set di provette di sottile cristallo cui erano state aggiunte quelle mancanti, ovviamente in comune e spesso vetro, la bilancia d’ottone, anch’essa ben lucidata, e il piccolo telescopio di precisione, tutta pregiata eredità di casa Prince, naturalmente.
E poi c’era la bacchetta magica.
La sua, personale, bellissima bacchetta magica, nera ed elegante. Nuova. Potente. Invincibile.
Severus la teneva ancora stretta con orgoglio tra le dita magre, al culmine della felicità, il suo meraviglioso futuro che brillava luminoso negli occhi neri e una scia di scintille colorate che si spandeva per l’aria.
La porta d’ingresso sbatté all’improvviso al piano di sotto.
Quel giorno lontano Severus era ancora troppo piccolo e non aveva compreso nulla di quanto stava per accadere, ma nel ricordo il Severus adulto rivide bene il lampo di terrore passare negli occhi scuri di Eileen; era troppo presto per rincasare a quell’ora dal lavoro: come mai Tobias era già a casa?
Adesso Severus sapeva fin troppo bene il perché di quell’anticipato ritorno: la fabbrica dove suo padre lavorava aveva chiuso e lui era rimasto senza lavoro. Proprio quelpomeriggio.
- Dove diavolo vi siete nascosti? – urlò Tobias.
Immobilizzata dal terrore d’essere scoperta dal marito in mezzo a tutte quelle cose che parlavano apertamente di magia, Eileen aveva fissato disperata suo figlio, inconsapevole di tutto, portandosi le mani alla bocca a soffocare un urlo muto mentre il passo pesante dell’uomo saliva le scale.
Il naso adunco di Tobias fece capolino nella stanza seguito dal resto del viso e, subito dopo, suo padre fece ingresso nella stanza, l’espressione stralunata e gli occhi iniettati di sangue e di terrore al tempo stesso:
- E quello cos’è? – chiese con voce stranamente calma indicando il baule, una bottiglia ormai vuota tra le mani.
Severus aveva subito abbassato la bacchetta cercando di nasconderla dietro la schiena, ma il cappello a punta faceva bella mostra di sé appoggiato sulle altre cose già riposte nel baule.
Tobias avanzò piano e Severus gli lesse sulle labbra le parole che stava decifrando sulla copertina del libro posto in cima alla pila di quelli comperati a Diagon Alley quel mattino:
- Manuale degli incantesimi…
Allungò la mano libera dalla bottiglia, fece cadere a terra il primo libro e scoprì il titolo del secondo volume:
- Teoria della magia…
Tobias spalancò gli occhi, la rabbia che vi montava dentro, strettamente intrecciata al terrore; prese in mano il terzo libro buttando di nuovo a terra il secondo:
- Infusi e pozioni magiche… - compitò, quasi a fatica, il viso che si faceva paonazzo.
Per un attimo rimase immobile a fissare la moglie, il libro stretto spasmodicamente tra le dita.
- Tobias, ti prego…
La rabbia impaurita dell’uomo esplose improvvisa mentre le lanciava addosso il libro colpendola in pieno volto:
- Brutta strega maledetta! Ammettilo, finalmente, è con una pozione magica che m’hai stregato!
- No, Tobias, no, - singhiozzò Eileen, - io ti amo!
- Sei proprio una schifosa strega, non puoi più negarlo, adesso! – urlò, ormai del tutto fuori di sé. – Le mie non erano ubbie d’ubriaco. – aggiunse mostrandole trionfalmente la bottiglia vuota. - Quel piccolo mostro faceva davvero magie, anche se tu negavi sempre tutto e lo proteggevi!
- No, no! – mormorò sua madre terrorizzata davanti alla caduta definitiva del suo inganno. – Non è come credi… Tobias, ti prego…
Un violento ceffone interruppe le sue parole e la strega cadde a terra, il labbro spaccato e sanguinante.
- Taci una buona volta, sudicia megera! – inveì ancora suo padre preparandosi a tirare un calcio alla donna che, da terra, ancora implorava.
Il piccolo Severus strinse forte la bacchetta tra le mani: ora ne aveva una, ora poteva difendere la sua mamma. E sapeva come farlo: lei stessa glielo aveva insegnato.
Strinse forte la bacchetta, la puntò e prese la mira contro suo padre che già aveva sferrato un calcio alla moglie e si era voltato verso di lui brandendo la bottiglia come un’arma. Si concentrò con tutte le sue forze e urlò:
- Expelliarmus!
Con la sua nuova bacchetta Severus lanciò l’incantesimo che la mamma gli aveva insegnato qualche mese prima; lo lanciò con tutta la sua paura e con tutto il suo piccolo ma ardente coraggio di bimbo che stava diventando mago; lo fece per proteggere la mamma dalle violenze di quel padre che non capiva che essere mago era una cosa bellissima.
Era un incantesimo di difesa, non di attacco, Severus ne era assolutamente certo, proprio come la mamma gli aveva insegnato. Eppure la bottiglia esplose andando in mille pezzi nella mano di suo padre che si fermò di colpo proteggendosi il volto con l’altro braccio, il sangue che sprizzava copioso dalla mano che aveva brandito la bottiglia d’incanto svanita in una tagliente polvere di vetro.
Poi un urlo lacerò l’aria mentre suo padre, terrorizzato e sanguinante arretrava ed inciampava nella pigna di libri perdendo quasi l’equilibrio:
- Mostro! Assassino! Hai cercato d’ammazzarmi!
Severus rimase immobile, spaventato ancor più di suo padre dall’esito dell’incantesimo che, al di là di ogni sua intenzione, l’aveva ferito.
- Questo è troppo, piccolo bastardo. – riprese suo padre, i singhiozzi soffocati della mamma a fare da lugubre sottofondo. – Tu non sei mio figlio, sei un mostro, proprio come quella strega di tua madre, ed io non voglio sapere mai più nulla di voi!
- Tobias, Tobias!
Le grida terrorizzate di sua madre si spensero nel tonfo della porta che si richiudeva.
Suo padre se n’era andato per non tornare mai più.
E la sua vita da quel momento era cambiata.
*
Era stato il suo primo incantesimo con la sua nuova, fiammante e meravigliosa bacchetta: il primo errore di una lunga serie che lo avrebbe incatenato per sempre alle sue colpe.
Silente l’aveva creduto innocente davanti alla sua provata colpevolezza, mentre suo padre aveva condannato senza appello la sua totale innocenza di piccolo mago.
Severus abbassò lo sguardo nell’oscurità della grotta in cui si era rifugiato: tra le dita stringeva ancora quella stessa bacchetta, nera e sottile, quella che aveva usato contro suo padre, perdendolo per sempre, e con la quale solo poche ore prima aveva ucciso Albus, obbedendo al suo irremovibile ordine ma perdendo per sempre se stesso.
La stessa bacchetta con la quale aveva creduto d’avere in pugno il suo futuro.
Invece era solo servita a rovinargli la vita.
Note di fine capitolo
[1] L'ispirazione per il brano sulla madre di Severus deriva da uno scambio di mail che ho avuto con Anastasia (Severus Ikari).