Sospingo, pieno di incertezze, la scura porta che veste la targhetta dorata con il tuo nome, aprendomi il sipario verso il tuo mondo: una stanza in tumulto, buia, con le pareti tappezzate di statiche fotografie babbane di moto e giovani ragazze in costume, affisse in maniera indelebile sulla carta da parati cupa, rovinata dal tempo e dalla muffa. Il tuo letto è ancora in disordine dalla notte scorsa, il copriletto ammucchiato a terra, i cuscini accatastati l’uno sull’altro; dall’altra parte la scrivania piena di vecchi libri, fogli di pergamena, un piatto sporco, qualche bicchiere con fondi di Whisky incendiario… tutto è ancora come l’hai lasciato, secondo il tuo stile: quello di un ragazzino. Trovo il coraggio di entrare, l’aria mi manca, quasi quella stanza fosse fredda, spettrale, abitata dai fantasmi di troppi ricordi, esattamente come la casa di Lily e James.
Mi avvicino al tuo scrittoio, sposto appena qualche libro con l’indice ed il medio, quasi timoroso di scomporre quella forma caotica che tu avevi creato, temendo di dargli un altro senso. Do un occhiata veloce ai titoli, fino a che non mi ritrovo a fissarne uno in particolare: “Marauders”. Lo sfilo da sotto il piatto con i resti del tuo ultimo pasto, e lo fisso. Poggio il palmo della mano sulla sua copertina verde, come le scritte della Mappa, e sento uno strano calore risalirmi il braccio fino ad arrivare al cuore, ritrovandomi a sorridere, amareggiato. Aprendolo scopro una realtà che avevo dimenticato, foto sbiadite, così come il ricordo di quei visi nella mia mente: come avevo potuto dimenticare i nostri sorrisi?
Guardaci, eravamo così spensierati, così incoscienti, così… delinquenti.
Mi siedo sulla piccola poltroncina, gettando a terra i tuoi vestiti, convincendomi che tu avresti fatto lo stesso. Cerco di rispettare semplicemente il tuo stile, ed appoggiando quell’album sulle gambe inizio a sfogliarlo.
Guardaci, eravamo affiatati, agguerriti, indomabili… eravamo ancora tutti e quattro assieme, come una cosa unica, come una famiglia.
Quella gioia serafica, da quanto tempo non l’avevo? Quando avevo disimparato a sorridere con il cuore? Tu, tu invece l’hai fino alla fine, folle, reso pazzo da tutti i dolori che ti sono stati causati. Il tuo sorriso, quel sorriso sicuro che si è fatto beffa della morte quando ti ha trascinato via da noi, oggi; quel sorriso che hai rivolto ad Harry, quel sorriso di complicità che rivolgevi sempre a James. Quel sorriso eterno, di chi affronta ogni cosa come una nuova affascinante avventura. Quella serenità che mi hai rivolto con uno sguardo, come la prima volta che mi accompagnasti alla Stamberga Strillante, a tranquillizzarmi prima che il dolore mi sconvolgesse, ti ricordi?
 
In gioventù anche io conoscevo quella pace, ancora quando sapevo amare, fidarmi, sapevo credere in qualcosa e in qualcuno, così pieno di speranze, vivendo per raggiungere dei sogni, per creare un futuro in cui tutti e quattro assieme saremmo stati “Consiglieri ed Alleati dei Magici Malfattori”. Un futuro in cui fino alla fine saremmo stati tutti Malandrini, Malandrini fino a che saremmo stati tutti assieme.
Perché per noi essere Malandrini non era solo essere dei bulli, dei semplici ragazzi disposti a divertirci a discapito delle Regole; essere Malandrini era una filosofia di vita. Voleva dire essere noi stessi, sempre beffardi nei confronti della vita che ci volevano imporre, rifiutando di comportarci secondo le Regole, per Vivere secondo Principi, i principi per cui abbiamo sempre lottato e per cui siete morti. Non c’erano linee di sangue, non c’erano mostri ed ibridi, non c’era ciò che andava fatto per buon costume e ciò che non era saggio fare, non esistevano limiti od ostacoli nella nostra vita.
Essere Malandrini voleva dire lealtà, fratellanza, condivisione, affetto, stima, audacia, speranza, forza, Fiducia… tutte cose che ho irrimediabilmente perduto; io e Peter abbiamo smarrito la strada dei Malandrini. Ma tu, tu no, tu non hai mai smesso d’esserlo, forse perché non sei mai cambiato, non ti hanno mai lasciato la possibilità di scegliere d’essere qualcun’ altro. Ti hanno tolto la giovinezza, anni preziosi, ti hanno tolto la vita e la serenità, e tu, nonostante i capelli si ingrigissero, tu non sei mai diventato veramente adulto. Per sopravvivere in questo mondo di crudeltà tu ti sei aggrappato a ciò che eravamo, e sei rimasto un incosciente delinquente. Ma in fondo ti invidio, ti invidio perché hai mantenuto ciò che avevi di più prezioso, e l’hai tenuto intatto nel tuo cuore, mentre io l’ho rinnegato.
Hanno fatto bene il loro lavoro, i Mangiamorte, mi hanno tolto ciò che una volta mi rendeva forte, uno sciocco ragazzo, ma forte. Ciò che sono ora… beh, sono un uomo vuoto, solo, pieno di incertezze e timori, con la paura d’amare, di Vivere. Invece tu non hai perso la tua forza d’affrontare la Fine per sentirti Vivo.
 
Tu sei morto come un Malandrino, mentre io vivo senza più esserlo da molto, troppo tempo. Solo al tuo fianco, in questi due anni, ho potuto rivivere un bagliore di quella gioia, di quella fiducia e speranza, lasciando che la tua infantile, incosciente, spensieratezza mi contagiasse, a riguadagnare quegli stralci di vita che avevamo perso, a riguadagnare Tempo perduto.
Ti ho abbandonato, credendoti un mostro, un assassino, preferendo seguire la ragione dell’uomo adulto anziché il cuore saggio del ragazzo che ero. Ma tu non mi hai mai portato rancore, tu hai gettato tredici anni di solitudine alle spalle per ricostruire con me quel frammento di giovinezza che ci hanno strappato. Hai ripreso tutto da dove avevamo lasciato, quasi nulla ci avesse interrotto, diviso, e mi hai trascinato in questa tua complice pazzia. Ma ora, ora che te ne sei andato, tutto è finito, ti sei portato via quel pugno di folli certezze che mi avevi dato, e quella domanda torna ad assalirmi: io, cosa sono? Dopo quindici anni non ho mai trovato una risposta, ed ora che sono un uomo, sono un adulto, non so più chi sono, mentre quando ero un ragazzino non avrei mai esitato a riguardo: Lunastorta, ecco chi sono!
Ma forse, forse è proprio questo il problema, il Mio problema. Credo di non essere più la persona d’allora, credo di essere cambiato, cresciuto, come se ciò comportasse cancellare ciò che ero solo perché non ci siete più voi. Forse non eri tu il pazzo, ma io, a credere che ad un certo punto della propria esistenza si smetta d’essere giovani incoscienti, frenando così la Vita, smettendo di scoprire, di vivere per i Principi, iniziando a seguire le Regole, legandosi le ali, smettendo di essere se stessi.
Io non ho mai smesso di essere Monsieur Lunastorta, così come tu sei rimasto Felpato fino alla fine, orgoglioso d’esserlo, lasciando me come Ultimo dei Malandrini.
Allora così sia, perché le nostre voci risuonino ancora come una, oggi, come allora, per sempre:
 

Giuro solennemente di non avere buone intenzioni

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