1 aprile 1999

Era domenica. George se ne accorse solo dopo aver scrutato La Gazzetta del Profeta. Domenica 1 aprile. Il suo ventunesimo compleanno. Eppure, non era come gli anni precedenti: era il primo compleanno senza Fred. Niente risate, niente festa, niente torte a tre piani. C’era solo lui. Era solo. Era passato un solo anno, ma sembrava una vita morta, senza Fred. Il ricordo dell’ultimo compleanno insieme al gemello era da zia Muriel, con un solo regalo ciascuno, e senza troppi fuochi d’artificio. Ma c’era Fred; e quando c’era anche un sassolino diventava una montagna. George stracciò il quotidiano e scese in negozio. Tantissimi pesci colorati scendevano dal soffitto. Era stata un’idea si Ron, per gli scherzi del “pesce d’aprile”. Avevano fruttato molto, dall’inizio dell’anno. Ma per George il negozio di scherzi non dava più quella soddisfazione di un tempo. Certo, c’era Ron; ma quando Ron non c’era tutto andava a rotoli, e prendeva il sopravvento la tristezza. Guardò con sguardo vacuo le famosissime Merendine Marinare; erano davvero poche nello scaffale. Ma non ci badò. L’indomani Ron avrebbe rimpinguato lo scaffale. Sistemò il cartello appeso alla vetrina, dove c’era la scritta CERCASI COMMESSO. Al più presto infatti, Ron sarebbe diventato un Auror, malgrado nell’ultimo anno avesse scelto di entrare in società con lui.

George sospirò e uscì dalla porta secondaria, che dava sulle viuzze di Diagon Alley. C’erano molti maghi per strada: chi guardava le vetrine, chi usciva di casa armato di scopa per andare a giocare a Quidditch in campagna, chi faceva colazione nei piccoli bar. George si infilò le mani in tasca e cominciò a camminare  a testa bassa. Guardava la strada ciottolosa davanti a sé, senza badare a quanta gente ci fosse davanti a lui. Mentre svoltava per andare sulla strada principale, intravide Bill e Fleur. Distolse ostentatamente lo sguardo, non volendo farsi vedere dalla coppietta felice. Tutti i suoi fratelli si stavano ricostruendo una vita; tutti, nessuno escluso. Persino Percy si era trovato una ragazza, ed erano più prossimi al matrimonio di Charlie, che era più vecchio di tre anni rispetto a Percy, ma che di metter su famiglia non ne voleva sapere. Ognuno aveva ritrovato la propria luce, tranne George, che aveva una vita a metà.

Voltò così, in una stradina, non lontana dal negozio. Era stretta e poco illuminata, senza negozi. George alzò il volto, libero di guardare avanti, poiché in quel vicolo non c’era nessuno; o così sembrava. Rannicchiata in un angolo, c’era una figura avvolta in un mantello azzurro. Accanto a sé aveva una serie di bottiglie di whisky Incendiario. Una, mezza piena, era sollevata, in procinto di essere bevuta. Quando la figura sentì dei passi, alzò il capo e guardò il ragazzo con occhi rossi e fiacchi. Il ragazzi guardò l’ubriaco e gli si intrecciò lo stomaco: era Angelina Jhonson. Si guardarono per un istante. George deglutì. “Angelina?” osò dire, avvicinandosi. La ragazza si alzò barcollante, con un sorriso folle stampato in faccia. “Ehi… sei tu! Ahahah, Fred… sei tornato dall’aldilà? Dai torna qui…”,borbottò Angelina con voce alterata dalle bevute. Barcollava verso George e gli crollò addosso, ma lui la prese prontamente, malgrado fosse scosso dall’amara scoperta. Quella non poteva, non doveva essere Angelina. I suoi capelli, un tempo sempre raccolti in mille treccine, cadevano sciolti e stopposi sulle sue spalle. Puzzava di alcool stantio e non era la fresca ragazza che era stata capitana del Grifondoro. Guardò George. “Eh dai, Fred… Dimmi perché sei tornato! Per me, vero? Freddy, Freddy... .”

“NON SONO FRED!” urlò a gran voce George. Lui non era Fred. Lui era George; si rese conto solo in quell’istante di avere un nome proprio. Guardò Angelina ridacchiare sulla sua spalla: decise che ,forse, quello era il momento giusto per aiutare e aiutarsi. Mise un braccio di Angelina attorno al suo collo, e, Smaterializzandosi, la portò al suo appartamento. La cacciò sul divano, dove, in breve tempo, la ragazza si addormentò. George si stropicciò gli occhi e si mise sulla poltrona, osservando l’amica. Dormiva beatamente, lì: forse, quando si fosse risvegliata, avrebbe raccontato cosa le era successo, oppure sarebbe scappata via, magari rubandogli qualche soldo. Forse si sarebbe messa a raccontare di Fred, perché anche lei probabilmente aveva sofferto per la sua morte: lei e Fred si erano messi insieme al Ballo del Ceppo, con frequenti tira e molla che George non apprezzava. A volte, il ragazzo si stupiva del gemello: George ,infatti, non aveva mai pensato tanto alle ragazze, tranne qualche scappatella con qualche Babbana di turno. Lui non era come Fred. Erano così uguali, ma così diversi. Forse c’era, in George, un’anima a parte. In quel momento, si rese conto di fissare Angelina: non aveva mai capito quanto fosse bella, lì addormentata…

La sentì mugugnare: “Dove.. Dove sono? George!”, disse Angelina, voltandosi di scatto verso l’amico.

George le sorrise. “A casa mia”

“ E cosa faccio io a casa tua?”,chiese stupita Angelina.

“Eri ubriaca… e…”, George voleva dirle che lo aveva scambiato per Fred, ma lei lo interruppe.

“Oh no! Mi sono ubriacata di nuovo? E’ per questo che ho un mal di testa folle!” Corrucciò la fronte e sospirò. “ Mi capita spesso”.

“ Senti, vuoi farti una doccia? Scusa eh, ma non è che sei al massimo della forma!”

Angelina gli sorrise allegramente. “Magari… E’ da, tipo, una settimana che non mi lavo...  Accetto volentieri! Dov’è il bagno?”

“Dal corridoio, seconda porta a sinistra.”

Angelina, filò via, togliendosi il mantello da viaggio; George invece tornò in cucina, rendendosi conto solo in quel momento di avere fame. Non faceva colazione da quasi un anno. Quella mattina, però, aveva un’incredibile voglia di porridge.

*****

George aveva messo sui fornelli del caffè e in tavola il porridge in due ciotole: ovviamente non era buono come quello di sua madre, ma non si poteva lamentare della sua cucina. Sentì dei passi nel salotto. Arrivò Angelina, coi capelli umidi, indossando grandi ciabatte di George e l’accappatoio blu. Di Fred.

“Grazie, George! Ci voleva proprio una doccia. Anzi, mi è anche passato il malditesta!”,disse sorridendo la ragazza, andando ad aiutare l’amico a preparare dei pancake a colpi di bacchetta. George la guardò. Era tornata l’Angelina di sempre, sembrava che non fosse mai stata ubriaca.

George servì il caffè in due tazzine, mentre Angelina posava il piatto coi pancake caldi. Poi si accomodarono sulle due sedie, uno di fronte all’altro, scrutandosi. George continuava a fissare Angelina, vedere quanto fosse diversa dall’ultima volta, di quanto fossero diversi e uguali allo stesso tempo

 La ragazza parlò: “E’ il tuo compleanno, oggi, se non erro. Il primo aprile”.

“Sì” mormorò a mezza voce George, abbassando lo sguardo. Non voleva parlare di Fred. Angelina sorrise timida: “ Ti ricordi quando vi abbiamo fatto uno scherzo, io e Alicia, per il vostro compleanno, nascondendovi le scope?”

“Sì, ricordo”,rispose George, bruscamente, tuffandosi nel suo porridge.

Angelina lo guardò col mento appoggiato sulla mano.

“So che non ne vuoi parlare”,gli disse a bassa voce. A George cadde con un tintinnio il cucchiaio della ciotola. Abbassò gli occhi, trovando interessante il piede del tavolo.

“Anch’io non ne voglio parlare”,disse lei mesta. “Ma penso… penso che tu mi possa capire, no? Eri suo fratello…”

“Gemello”,concluse George, alzando con fatica lo sguardo, sciupato. “Ti prego, parliamone”.

Si alzò e invitò Angelina a seguirlo in salotto. Si sedettero sul divano, distanti tra loro.

 Il ragazzo fu il primo a parlare. “Il giorno dopo la morte di… Fred”,disse con fatica, con la voce strozzata. “Ero… è difficile spiegarlo, Angelina...  Era come… se... se una parte di me fosse morta per sempre.” Osò guardare l’amica. Lo fissava con occhi lucidi. “Da allora non volevo più vedere nessuno”,proseguì George. “Certo, Percy mi stette vicino… Insomma, l’aveva visto morire.” Solo allora si rese conto di essersi messo a piangere e sul volto di lei c’era un certo imbarazzo, misto a stupore.

Si schiarì la voce. “Non ti ho mai visto piangere. Neanche la notte della guerra”,disse calma Angelina. “Ma ti capisco, era così anche per me.”

“Raccontami”,la incalzò George.

“Quando ho scoperto che tra i caduti c’era anche Fred, ho perso la testa. Era un grande, lui, ed era perso. Me ne andai subito dopo che Harry sconfisse Voldemort, senza fare le valigie, e con pochi soldi in tasca.” Sembrava ferita dalle parole che stava dicendo.

George le passò un braccio sulle spalle. “Se non ti va di parlarne va bene lo stesso”,la rassicurò lui, malgrado la sua mente pregasse di continuare il racconto.

“No, tranquillo… Non ne ho mai parlato a nessuno. Ormai la mia vita dipende solo dall’alcool.”

“Non deve dipendere tutto dall’alcool. Mi attaccavo a qualsiasi cosa alcolica, poco dopo la guerra. Beh, fortuna che è arrivato Ron in società, perché altrimenti avrei rischiato il fallimento di tutto il negozio.” Sorrise all’idea che, malgrado lui fosse di così cattivo umore, il negozio di scherzi andasse a gonfie vele.

“Sei fortunato ad avere tanti fratelli. Io sono figlia unica, e rifiutavo di vedere i miei genitori. Non volevo che mi vedessero così. E poi anche loro erano… come dire, turbati dalla morte di tanti ragazzi, anche della mia età. Non ne volevo parlare con loro!”

Angelina piangeva a dirotto ormai. Tastò nelle tasche dell’accappatoio. “Hai mica da accendere?”

 George la guardò infuriato. “Ah, allora non solo alcool, ma anche sigarette?” Dicendo così prese il pacchetto che aveva trovato nel mantello della ragazza e lo scaraventò fuori dalla finestra.

“George, ne ho bisogno!”,urlò Angelina infuriata. Ma la sfuriata fu bloccata da George, che la trattenne in un abbraccio.

 “Quella roba in casa mia non gira, ok? E comunque hai bisogno di qualcos’altro, no?” Angelina lo guardava, stupita ed estremamente dolce. “Con te, oggi, ho scoperto che io esisto perché dipendo da una mia vita. Tu mi hai fatto capire che io non sono Fred&George, ma George e basta. E tu hai bisogno di essere Angelina solamente.”

“Io lo amavo…”

George la strinse a sé. Angelina si stringeva forte a lui, come se fosse l' unico appiglio in mezzo al mare in tempesta. Si scostarono esitanti. “Angelina, puoi lavorare qui. Cerchiamo una commessa e penso che tu abbia bisogno di un po’ di risate. Me lo dice sempre Harry. Se vuoi puoi abitare qui; non credo che i tuoi ti rivorranno subito a casa, ok?”

Angelina gli sorrise come non gli aveva mai sorriso prima.

“Mi ricordi tanto lui, con queste iniziative.”

“Ma io non sono lui. Io sono George!”,sorrise il ragazzo.

“Posso regalarti qualcosa, George Weasley?”

George la fissò. “Quello che vuoi, Angelina Jhonson.”

Cercandosi le loro labbra si incontrarono. Si sfiorarono. Sorrisero entrambi.

“Non mi ricordavo che fosse così bello…”,sussurrò George

“Baciarsi?”

“No, rinascere.”

Note di fine capitolo

E' un piccolo regalo... pubblicare un fan fiction di vecchia data, che ho tenuto per tanto tempo nel cassetto. Un cimelio di famiglia, ormai... Grazie a tutti! Sleeping Beauty 

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