Note alla storia

L'età di frequentazione di Hogwarts non sarà pertinente all'originale. In questo storia il primo anno si frequenta a quindici anni.







Prologo ~Un mondo fatto di bugie.









Non avevo mai pensato alle conseguenze a cui tutto quello avrebbe portato.
Mi ero limitato a fuggire, scappare lontano.
Con lei.
Sinceramente, non sapevo nemmeno perché lo avevo fatto.
Paura?
Risentimento?
Senso del dovere?
Non lo so.
Sapevo solo di doverla portare lontano da quel mondo fatto di orrori e tristi verità.
Lontano da tutto e da tutti.
Lontano dal dolore.
Non sapevo che le conseguenze di quella scelta non avrebbero fatto altro che aumentare lo strazio della verità.
Allora era troppo piccola per comprendere.
Troppo piccola per sapere.
Troppo piccola anche per soffrire.
L’avevo protetta, ma a che scopo?
Le avevo mentito per dodici lunghi anni.
E ora?
Il momento della verità era stato più violento di quanto non avessi potuto immaginare.
Tu non sei mia sorella…
Aveva corrugato la fronte, alle mie parole.
Incapace di comprendere quella cruda realtà.
La sua vita, costruita da bugie.
La sua vita, le cui salde mura erano solo un’illusione.
La sua vita, destinata a cadere come un fragile castello di carte, malamente colpito dal vento.
Io ero quel vento.
Io che avevo cercato di salvarla dal dolore.
Io che l’avevo strappata via alla sua vita difficile.
Io che l’avevo trascinata in un mondo fatto di deboli bugie.
Io, Sirius Black.

Mi aveva guardato come se fossi impazzito e aveva riso a fior di labbra, scuotendo al testa.
Era un sorriso amaro, freddo, tirato.
Un sorriso che non le avevo mai visto.
Che stai dicendo Sirius?
Mi aveva domandato, con voce nervosa.
Impaurita.
Sì, era stato molto peggio di come l’avessi potuto mai immaginare.
La ruga che le aveva solcato lo spazio tra le sopracciglia fine era dura e ansiosa e non era scomparsa neanche quando ci avevo passato sopra un dito, delicatamente.
Perdonami…
Le avevo detto, guardandola negli occhi.
Quegli occhi grandi.
Quegli occhi sinceri.
Quegli occhi di smeraldo, così simili a quelli di lei.
Così simili a quelli di Lily Evans...
Ancora una volta, mi aveva guardato preoccupata e poi aveva sorriso, abbassando lo sguardo.
Smettila di scherzare, non è divertente…
Aveva mormorato con aria ferita.
Magari fosse stato uno scherzo.
Avrei pagato tutti i galeoni del mondo, perché fosse così.
Avevo deglutito a fatica, nella speranza di cercare le parole migliori per dirle la verità
Quell’odiata verità
Quella maledetta verità.
Perché le cose erano dovute andare in quel modo?
Perché?

Mi ero limitato ad avvicinarmi a lei e a stringerla in forte abbraccio.
E allora, lei aveva compreso tutto.
Aveva capito che non stavo scherzando.
E che ciò che l’aspettava, sarebbe stato più duro di quanto avrebbe potuto accettare.
Avevo chiuso gli occhi e l’avevo stretta a me, strappandole un gemito soffocato.
Ma non mi importava.
Quel dolore che provava alla vita ora, sarebbe stato nulla in confronto a quello che avrebbe provato dopo le mie parole.
Avevo cominciato a lisciarle i capelli, poi l’avevo allontanata da me e gli avevo messo le mani sulle spalle.
Mi ero piegato, per guardarla meglio in viso.
Tu non sei una Black…
L’avevo vista deglutire e annuire lentamente.
"Il tuo vero nome è Alexis… Alexis Lily Potter.”
Avevo cercato di tenerla lontana dal mondo, in quegli anni.
Lontana dalle notizie.
Lontana dalla guerra.
Le avevo detto che ci spostavamo così spesso solo per una questione di lavoro.
E non perché orde di Auror mi erano alle calcagna.
Era per questo che non era rimasta particolamente scioccata dalla notizia di essere una “Potter.”
Si era limitata ad annuire di nuovo, ancora incredula.
Ancora incapace di capire.
Tu chi sei, allora? E perché mi hai portata via dalla mia vera famiglia?
Mi aveva chiesto, con un mormorio appena accennato.
E la nota di dolore che avevo visto attraversarle gli occhi, mi aveva stretto il cuore con una morsa così dolorosa, che avevo desiderato di morire.
Non meritava tutto quello, non lo meritava affatto.
Le avevo raccontato la verità, e avevo visto la sua espressione mutare sotto i miei occhi.
Dapprima si era limitata a corrugare la fronte, accentuando la ruga tra le sopracciglia.
Poi aveva stretto gli occhi e aveva cominciato a mordersi il labbro inferiore.
Alla fine, lucide gocce d’argento erano scese a rigarle le guance.
L’avevo vista cominciare ad urlare, mentre si prendeva la testa tra le mani e si tappava le orecchie, senza avere più il coraggio di sentire oltre.
Mai, come quel giorno, avevo desiderato che Dio mi colpisse con un fulmine e mi lasciasse incenerito al suolo.
Perché io, Sirius Black, ero una persona orribile.
Perché io, Sirius Black, le avevo rovinato la vita.

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