Note alla storia

Dopo un anno di totale inattività, torno finalmente a pubblicare questa breve one shot, regalo di compleanno (seppur terribilmente in ritardo) per la mia adorata ladyhawke, che ha pazientemente aspettato questa storia per mesi, auguri polla!^^ Avvertenza ormai di rito: il racconto, pur non essendo il seguito di alcuna storia, è più facilmente comprensibile da chi ha già letto qualcuna delle mie one shot precedenti.

[ I will be the one to watch you fall ]


Infila una mano nella tasca della veste scura e ne estrae un paio di forbici.
«Allora posso avere i tuoi capelli?»
Non sono forbici qualsiasi, ma lo strumento vero e proprio di un barbiere, professionale, bello e lucido. Non emettono alcun bagliore nella stanza scarsamente illuminata, tanto che riesco solamente a distinguerne la sagoma.
«Smettila».
«Perchè? Non ti diverti, Lucius?» domanda in tono innocente.
«No, Bellatrix» replico muovendomi a disagio. «Non mi diverto».
«Voglio solo giocare un po'...»
Avanza nella mia direzione aggirando la scrivania, le labbra distese in un sorriso indecifrabile. Apre e chiude le forbici senza sosta, agitandole a pochi centimetri dal suo stesso volto. Il rumore che producono è stridente, rimbomba in maniera stravagante tra le pareti nascoste dai quadri, annullando il silenzio improbabile dell'ambiente.
«Allora?»
Cerco nel suo viso i tratti delicati di mia moglie, le sue guance piene, la fronte alta e gli zigomi perfetti; per la prima volta non ne ritrovo alcuno e ne sono profondamente turbato.
«Posso avere i tuoi capelli?»

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Esco dal camino scrollando la veste per eliminare la polvere volante in eccesso. Mi accorgo subito della sua presenza e mi piacerebbe poterla ignorare; mi sfilo invece il mantello per posarlo sulla poltrona di fronte a quella occupata da lei, rivolgendole subito la parola. È sempre meglio parlare per primi con Bellatrix, fingere il più a lungo possibile di poter gestire la conversazione.
«Narcissa?» domando.
«E' dal suo Medimago. Tua moglie è incinta, Lucius, lo sai, vero?» risponde nel suo tristemente famoso tono provocatorio.
«Lo so perfettamente, Bellatrix» ribatto, stranamente suscettibile alla sua cattiveria. «Semplicemente non ricordavo che oggi avesse una visita. Credevo fosse domani, l'ultima».
Mi abbandono stancamente all'abbraccio della poltrona, sentendomi ridicolo per aver tentato inutilmente di trovare una giustificazione alla mia mancanza.
«Ti facevo un marito migliore, Lucius, ma probabilmente sono l'ultima persona che dovrebbe stupirsi» ride, di una risata che un estraneo potrebbe equivocare e scambiare per divertita, o innocentemente canzonatoria. Nel momento esatto in cui mi sono seduto, tentando di trattenere la rabbia, lei si è alzata per venire a sedersi al mio fianco, sul bracciolo della poltrona.
«Perchè sei qui, Bella?»
«Per parlarti».
Alzo lo sguardo per osservarla mentre mi passa una mano tra i capelli con estrema lentezza. Non è facile notarlo, ma assomiglia moltissimo a Narcissa, nei lineamenti, nella voce, nel taglio degli occhi. Cambiano solo la morbidezza delle espressioni, l'intonazione, la dolcezza o la crudeltà dello sguardo.
Cambiano i colori e il significato dei singoli gesti e poco altro.
«Di cosa volevi parlarmi?»
Si china, come per sussurrarmelo all'orecchio, cercando invece le mie labbra, senza lasciarmi tempo a sufficienza per decidere se ritrarmi o meno.
«Il tè è pronto, Bella» giunge raggelante la voce di Narcissa alle nostre spalle, appena fuori dalla grande porta.
«Cissa!» esclamo con voce strozzata, alzandomi di scatto e facendo così cadere a terra il mio mantello.
Mia moglie sta già attraversando a piccoli passi il salone, una mano a reggere il pancione e la bacchetta stretta nell'altra a far levitare davanti a sé un vassoio con due tazze di tè.
«Ciao, tesoro. Non ti ho sentito rientrare» mi saluta con un ampio sorriso, ed io devo avere un'aria estremamente sorpresa, perchè subito dopo mi domanda: «Come mai così stupito di vedermi?», ha un tono incuriosito, e forse è un po' sorpresa anche lei, perchè per la prima volta da quando abbiamo scoperto della sua gravidanza non mi sostituisco immediatamente a lei appena la vedo usare la magia, anche se per una cosa banale come il far levitare un vassoio.
«Bè, io... Credevo che avessi l'ultima visita dal tuo Medimago, oggi...» rispondo chinandomi a raccogliere il mantello, nascondendole così il mio volto per qualche istante nel tentativo di riprendere il controllo.
«No, tesoro, è domani. Comunque so già cosa mi dirà, mi dirà che ormai manca molto, molto poco».
Narcissa si siede pesantemente sul divano, lasciando che il vassoio si posi delicatamente sul tavolino a metà strada fra lei e Bellatrix, tornata a sua volta a sedersi sulla poltrona che occupava prima.
«Domani, eh? Com'è che l'hai dimenticato? Ti facevo un marito migliore, Lucius» sibila allungandosi per prendere la sua tazza di tè.
La osservo attentamente, posando una mano sulla spalla di mia moglie, ignara.
Bellatrix sorride, in quel modo beffardo tipico di tutto ciò che la riguarda, la sua risata, il suo sguardo, le sue pose. Tutto in lei è facilmente fraintendibile; tutto può essere confuso, male interpretato. Anche quello che adesso, per mia moglie ignara, è un semplice sorriso di finto rimprovero, dettato forse dalla sua instancabile voglia di stuzzicare il prossimo, e che per me, consapevole, è invece un ghigno crudele, soddisfatto, divertito e provocatorio.

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Mi sveglio quando un rumore acuto e insistente colpisce le mie orecchie.
Bellatrix è sdraiata nuda al mio fianco, stesa languidamente sul ventre e con i gomiti saldamente puntati sul materasso. Mi volto nella direzione del suo sguardo e individuo immediatamente la fonte del rumore. Un gufo che non conosco svolazza di fronte alla finestra, picchiando furiosamente il becco sul vetro, chiuso contro la brezza estiva del tardo pomeriggio.
«Da quanto è lì?»
«Da un po'» risponde Bella, in un tono che è tutto fuorché interessato. «Qualcuno ha anche provato a contattarmi attraverso il camino, prima, ma gliel'ho impedito. Ho pensato che sarebbe stato meglio se nessuno ci avesse visti così» aggiunge senza che alcuna malizia si insinui nella sua voce.
«Quanto tempo fa?» domando ancora, andando ad aprire la finestra al gufo, irritato dalla noncuranza velata di apatia di Bellatrix.
«Un paio d'ore...» e ancora torna quel ghigno.
Crudele, soddisfatto.
Leggo il messaggio, indirizzato a lei e scritto nella calligrafia piccola e frettolosa di suo marito.
Divertito e provocatorio.

Osservo la porta chiusa di fronte a me senza sapere bene come comportarmi, come presentarmi, che espressione assumere.
«Non farla aspettare oltre» mi suggerisce Bellatrix, come se non fosse anche lei responsabile di questa assurda situazione. Senza attendere una mia risposta apre la porta ed entra per prima, salutando i presenti con un ampio gesto della mano.
La stanza è grande ed estremamente illuminata. Ogni cosa è bianca, il pavimento, le pareti, il letto e le lenzuola. Mi ritrovo a pensare che la luce deve essere artificiale, magica, perchè fuori dall'ampia finestra spalancata il sole sta ormai tramontando. Anche mia moglie è bianca, stesa tra le lenzuola e scarmigliata.
«Ciao» le sussurro, interrotto all'istante da una breve risatina di scherno. Rodolphus è appoggiato con i gomiti al davanzale della finestra, lo sguardo perso tra la fitta vegetazione del parco del San Mungo.
«Perchè è aperta?» domando irritato. «Fa freddo».
«O il freddo o questa» replica lui, alzando stancamente un braccio a mostrarmi la sigaretta che stringe tra le dita, continuando a darmi le spalle.
«Non puoi...» inizio prima di notare con la coda dell'occhio un movimento al mio fianco. Narcissa sta allungando un braccio nella mia direzione, invitandomi a raggiungerla. Le prendo la mano sedendomi sulla sponda del letto; le carezzo una guancia e le domando scusa, ma silenziosamente.
«Non vuoi vederlo?» mi chiede con voce esausta, forse troppo stanca per essere arrabbiata.
«E' un maschio allora?»
Sorrido debolmente, sentendomi inspiegabilmente terrorizzato. Narcissa annuisce e con un ulteriore cenno del capo mi indica un angolo della stanza, una culla sulla quale Bellatrix è già chinata.
«Pare che sarai l'ultimo della famiglia a vedere tuo figlio, Lucius» giunge puntuale il commento di mio cognato. Ha gettato la sigaretta dalla finestra e si è seduto sul davanzale, rivolgendosi infine verso la stanza. «Sai come si chiama?»
Raggiungo la culla in tre ampie falcate, intenzionato a non raccogliere le sue provocazioni, perchè nessuno, nemmeno io, suo cognato, il suo migliore amico, può immaginare quanto effettivamente sappia e quanto in là sia disposto a spingersi ogni volta.
Mi sporgo anche io sulla culla per osservare mio figlio, consapevole di essere invaso dalle emozioni sbagliate, trattenuto da sensazioni che non dovrei provare adesso, in quello che dovrebbe essere il momento più felice della mia vita. Non dovrei provare vergogna guardandolo, non dovrei sentirmi in colpa, non dovrei sentire gli occhi di Bellatrix che mi osservano dall'altra parte della culla di mio figlio.
«Draco» sussurro sfiorandogli la manina con un dito, timoroso e affascinato. «Si chiama Draco».
«Grazie a Merlino! Se l'aveste chiamato davvero Scorpius sareste stati oltremodo crudeli!» commenta Bellatrix, pronunciando le sue prime parole da quando abbiamo varcato la soglia, mentre si dirige con passo sicuro verso suo marito.
«Dov'eri?» le sibila Rodolphus, distogliendomi dai miei compiti di neo padre, quali il tornare da mia moglie e dirle che è bellissimo, che è stata bravissima e che ne sono convinto. Anche se io non c'ero.
«Vi abbiamo cercato entrambi...»
Bellatrix però lo ignora, rivolgendosi invece a sua sorella.
«E' un bel bambino, Cissa» le dice stupendoci tutti.
«Grazie, Bella».
Osservo Rodolphus, perchè le sue reazioni alle parole di Bellatrix sono tutto ciò che può far intuire cosa stia per accadere, se stia per attaccare o meno, se sarà crudele o posata. Rodolphus ha preso dalla tasca del mantello il suo accendino d'argento, quello con la sottile lingua di serpente che gli si attorciglia intorno, a creare una lunga linea sinuosa. Vi gioca accendendolo e spegnendolo, lo sguardo rapito dalla fiamma, attendendo impassibile la catastrofe, il punto di rottura.
«Chissà come sarebbe se fosse stato mio...»
«Bè» Narcissa esita un istante, con la tipica espressione che assume ogni volta che ha qualcosa da dire ma non sa come esprimerlo. «Sono sicura che anche tu e Rodolphus...» ma la risata fragorosa di Bellatrix la interrompe prima che possa concludere. Bella prende la mano di suo marito per poi replicare: «Non intendevo quello, sciocchina, volevo dire chissà come sarebbe stato se fosse stato figlio mio e di Lucius
Lo dice sorridendo, quel sorriso che forse è un ghigno, forse è provocatorio, forse..., e stringendo maggiormente la presa intorno alla mano di Rodolphus.
«Oh, andiamo, non guardatemi così! Lo sanno tutti che ero io quella destinata a sposare Lucius. Se non mi fossi intestardita a voler sposare te» puntualizza rivolgendosi a Rodolphus, «chissà come sarebbe quel bambino oggi...»
Chissà come saremmo noi.
Narcissa osserva sua sorella con occhi spalancati, Rodolphus continua a giocare con l'accendino d'argento ed io vorrei tanto non essere qui. Vorrei tanto non essere qui in questo preciso giorno, con mia moglie e mio figlio appena nato.
Rodolphus sussurra qualcosa a Bellatrix senza che io riesca a udirlo e qualcuno bussa alla porta, per venire forse ad esaudire il mio vergognoso desiderio. Ad entrare è un'infermiera piuttosto corpulenta, con l'ampio sorriso di rito caratteristico di chi lavora in questo reparto.
«Buonasera, signori. Sono venuta a portare il piccolo Draco nella nursery insieme a tutti gli altri bambini che gli terranno tanta compagnia!» chioccia con voce alta e squillante. «E poi dovreste lasciare tutti la stanza, signori, la signora Malfoy deve riposare».
Tira fuori dalla divisa una bacchetta molto corta e scura e inizia a far levitare la culla di mio figlio in direzione della porta. «Vuole vederlo ancora una volta?» domanda a Narcissa, già pronta a far deviare la culla volante verso il suo letto bianco.
«No» risponde mia moglie, voltando il capo per non dover incontrare gli occhi dell'infermiera e dando l'impressione di sprofondare ancora di più tra le lenzuola che la avvolgono.
«Oh» commenta stupita lei, senza che l'ampio sorriso lasci però il suo volto squadrato e, senza aggiungere altro, abbandona la stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Un silenzio sottile e sinistro invade l'ambiente, trovandoci nelle stesse identiche posizioni che occupavamo prima. L'unica differenza è l'assenza della culla, ma è poi una vera assenza? Ho davvero un figlio? O siamo sempre stati qui da soli?, senza alcuna particolare novità che ci spingesse ad infierire ancora, di nuovo, l'uno sull'altro?, senza qualcosa che ci giustificasse.
«Allora dobbiamo andare» sottolinea Bellatrix, gioviale. «Ciao, Cissa» e in un attimo è già fuori dalla porta, rapida ma non per questo indolore. Lascia Rodolphus ad osservare attentamente la mano che stringeva fino a un attimo prima; io aspetto che la segua per poter restare da solo qualche istante con Narcissa, ma non sembra intenzionato a muoversi dalla sua finestra, spalancata su quella che ormai è quasi notte.
«Ciao, tesoro» balbetto raggiungendo incerto Narcissa. «Torno domani mattina, va bene?» domando baciandola brevemente sulle labbra.
«Va bene».
Prima di uscire mi volto ancora verso di lei. Rodolphus le sta carezzando dolcemente una guancia con la mano ingiallita dalla nicotina. Mi domando quando mia moglie abbia smesso di evitare quelle mani, quel contatto, quell'odore di mille sigarette fumate di fretta che un tempo la infastidiva.
E ancora una volta si guardano negli occhi.

+ + + + + + + + + +

Non mi stupisco quando la porta si apre lentamente senza emettere alcun suono, rivelando la sua figura scura. Bellatrix indossa le vesti da Mangiamorte ed è palesemente infuriata, i lineamenti del suo volto contratti e una mano stretta ferocemente a pugno.
«Non sei venuto».
Mi sistemo più comodamente sulla sedia prima di rispondere. «No».
«Non puoi permettertelo, Lucius» replica con voce tremante dalla rabbia, sovrastando il rumore della pioggia che picchia sui vetri.
«Cosa non posso permettermi, Bellatrix?»
«Di finirla così».
Sorrido vagamente, carezzando le carte che ricoprono la mia scrivania. È insolito trovarle così disordinate, sparse illogicamente sul legno scuro e stropicciate. Mi accorgo di avere una mano macchiata d'inchiostro.
«Non si può finire qualcosa che non ha mai avuto inizio» constato sollevando lo sguardo, sorpreso di trovarla ancora ferma sulla porta, le mani infilate nelle tasche della veste come se in realtà non le importasse davvero di ciò di cui si sta discutendo.
«E' questo che pensi?» domanda con voce nuovamente ferma. Bellatrix è fatta così, in lei le emozioni si susseguono a ritmi serrati, anche le più feroci svaniscono all'improvviso, sostituite quasi sempre dall'indifferenza.
«Penso di avere altre priorità».
Mi sembra quasi di vedere le mie parole attraversare lo studio in penombra per raggiungerla, come se avessero una loro precisa e netta fisicità.
«Quali priorità?»
«Lo sai».
«No, non lo so» ribatte Bellatrix, iniziando ad avanzare nella stanza. Mi rendo conto con stupore di essere immensamente sollevato dal suo incedere elegante, felino. Il mio corpo si rilassa; non mi sento più minacciato dalla sua figura scura immobile sulla porta, semi inghiottita dall'oscurità. La pioggia accompagna i suoi passi.
«Mio figlio» ed è la prima volta che pronuncio ad alta voce queste due semplici parole da quando è nato. Mio figlio.
«D'accordo» è la sua sorprendente risposta. Si ferma a pochi centimetri dalla scrivania, incrociando le mani dietro la schiena. Mantiene questa posa per alcuni interminabili istanti, evidentemente valutando la situazione. «Ma voglio qualcosa in cambio» ghigna poi, inclinando leggermente la testa da un lato.
«Cosa?» domando incredulo.
«Chiamalo un pegno, se vuoi, Lucius. Non si può finire qualcosa che non ha mai avuto inizio senza un piccolo pegno».
Bellatrix ride di me, di me che mi alzo repentinamente dalla sedia per allontanarmi dalla scrivania, all'erta come un animale braccato. «Posso avere i tuoi capelli?»
«Come?»
La pioggia è cessata, facendoci piombare all'improvviso in un silenzio surreale, interrotto solamente dalle lancette dell'orologio antico posto sul ripiano del camino. Scandiscono un tempo che non sembra trascorrere mai.
«Vorrei una ciocca dei tuoi capelli» spiega in tono cristallino, sorridendo pericolosa.
Io non dico una sola parola, immaginando che questo sia uno dei suoi soliti giochi pregni di affettata follia e nient'altro, troppo incredulo per fare qualcosa. Attendo che rida ancora una volta per poi mandarmi al diavolo e sparire, ma non succede.
Infila una mano nella tasca della veste scura e ne estrae un paio di forbici. Le osservo nella penombra, domandandomi se siano sempre state in quella tasca e perchè.
«Allora... posso avere i tuoi capelli?»

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